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mercoledì 21 ottobre 2015



La confraternita della “Mastranza” alla fine del Settecento.


Stralciamo dalla documentazione che ancora (ma fino a quando?) si conserva nella chiesetta dell’Itria alcuni spunti che ci illuminano non solo sulla solita attività della buona morte che ogni confraternita si propone – e si proponeva, in ispecie, a Racalmuto – ma, e soprattutto, sul risveglio dei “mastri” e cioè di questo piccolo ceto medio della società contadina, sempre solerte e significativo nel nostro paese.


Desumiamo dagli archivi parrocchiali dati che ci ragguagliano sui matrimoni più significativi del secolo: ecco come già allora le migliori famiglie non amavano inquinarsi ma circoscrivevano nel loro stretto ambito gli intrecci nuziali per non disperdere le loro ricchezze accumulate non sempre onestamente, quasi sempre con un pizzico di pratica usuraia. La chiesa, indulgente, perdonava e benediceva; del resto al sacerdozio si poteva accedere se si era facoltosi, se si apparteneva dunque alle schiatte egemoni del paese.

Il beneficio del Crocifisso.



La vicenda del beneficio del Crocifisso è lunga, tortuosa ed intrigante ed ha dato adito ad almeno un paio di complicate vertenze giudiziarie. Leggiamo nella bolla che si tratta dei seguenti beni:

in oppido praedicto reperiatur Ecclesia Sancti Antonij jam diruta cum Immagine SS.mi Crucifixi quae detinet salmas tres et tumulos quatuor terrarum in pheudo Mentae Status Racalmuti cum onere proprietatis unciae 1.6. aliam clausuram terrarum salmae unius tumulorum quatuordecem et quarti unius cum dimidio in dicto Statu et pheudo Racalmuti et contrata di Garozza cum onere proprietatis unciae 1.6.7.3. et tarinorum viginti quatuor Conventui Sancti Francisci de Assisia dictae Terrae.

Negli atti giudiziari dell’arciprete Tirone avverso i coniugi Giuseppe Savatteri e Concetta Matrona abbiamo la ricostruzione della provenienza di tali beni. Come risulta da un atto del 3 settembre 1659, la Confraternita del SS. Crocifisso di Racalmuto aveva diritto ad un canone di proprietà «primitivo veluti jus pheudi et proprietatis su terre della Menta e Culmitella». Trattavasi, in base a quel che si desume da altri atti, di un fondo di quattro salme e tumoli sei di terre ubicate nel feudo Menta, contrada Fico Amara, detta - secondo l’arc. Tirone - «in quei tempi Mercanti»Del resto aggiunge l’arciprete che «il nome di contrada fico amara e Mercanti andiede in disuso. Questa contrada prese nome di SS. Crocifisso.»

Non essendo stato pagato tale canone per più di un triennio, ed essendo state le suddette terre abbandonate, la confraternita del SS. Crocifisso esperì il diritto domenicale di avocazione del fondo per distruzione di migliorie, mancata corresponsione del canone ed abbandono delle terre dell’enfiteuta che era tal Giaimo Lo Brutto. Essa, pertanto, fu immessa nel pieno possesso delle cennate terre della Menta secondo il rito del tempo con atto notarile del 3 settembre 1659,  redatto innanzi a quattro testimoni.

Gli atti giudiziari tacciono sulle vicende che intercorsero tra il 1659 ed il 1767, un intervallo di tempo in cui si colloca la dotazione dell’Oratorio Filippino. Intanto non so su che cosa basi l’arc. Tirone il ruolo sostenuto dalla Confraternita del SS. Crocifisso. Di questa conosco il vago accenno contenuto nell’elenco della Giuliana della Curia Vescovile - voce Racalmuto, pag. 205 - che riguarda la «conferma della Conf.ta del SS. Crocifisso - reg.tro 1669-70, pag. 488».  Ma qualche chiarimento lo troviamo in quest’atto del 10 ottobre 1648 del notaio Michelangelo Morreale. Trattasi della «recognitio pro Archiconfraternitate SS.mi Crucifixi contra Donnam Vittoriam del Carretto e Morreale». In esso la Del Carretto (del ramo collaterale dei locali conti) si obbliga di corrispondere  al «Rev. D. Joseph Thodaro .. uti procuratori venerabilis Archiconfraternitatis SS.mi Crucifixi fundatae in Ecclesia Sancti Antonii huius terrae Racalmuti .. uncias quinque red. ann. cens. et red.bus dictae Archiconfraternitatis cession. nomine Petri Piamontesio et alijs nominibus in scripturis debitas, et anno quolibet solvendas supra loco qui olim erat dicti quondam de Monteleone vigore contractus emphiteuci celebrati in actis notarij Nicolai Monteleone die XXIIIJ Maij XII ind. 1584 et contractus solutionis donationis et assignationis  in actis not. Simonis de Arnone die 31 aug. 1605 et aliorum contractum  in eis calendatorum.» inoltre «supradicta Donna Victoria .. solvere promisit .. seque sollemniter obligavit et obligat eidem de Thodaro dicto nomine pro se et pro successoribus in dicta Archiconfraternitate in perpetuum uncias centum quatraginta una p.g. tempore annorum decem in decem equalibus solutionibus et partitis anno quolibet facere numerando et cursuro a die date literarum Civitatis Agrigenti ... Et sunt uncias 141 in totalem complimentum omnium censuum decursorum annorum retropreteritorum enumerandorum ab anno 1608 usque et per annum presentem inclusive , ratione d. unc. quinque anno dictae Archiconfraternitate debitae super dicta vinea.»

Quell’arcicofraternita era dunque operante dentro la chiesa di S. Antonio e siamo nel 1648. Ne è procuratore il sac. d. Giuseppe Todaro che muore il 7 maggio 1650.[1]Successivamente alla morte del sacerdote Todaro, si rinviene l’atto del 3 settembre 1659 di cui sopra; dopo dell’arciconfraternita si perdono le tracce e tutto fa pensare che si sia estinta: si spiega forse così perché in un primo tempo i benefici di quel sodalizio finirono all’Oratorio di S. Filippo Neri, per volere del Vescovo Rini.

Nel 1767 il vescovo Lucchesi Palli si ritrova vacanti quei beni dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso e con bolla dell’8 luglio 1767 li assegna al sac. D. Francesco Busuito. La ricostruzione di un successivo beneficiario, il sac. Don Calogero Matrona, fatta il 15 giugno 1870, è particolarmente vivace ed intrigante.

«Con Bolla di erezione in titolo dell’8 luglio 1767 - vi si legge fra l’altro - da Monsignor Lucchesi fu eretto nella Cappella del SS.mo Crocifisso dentro la Chiesa Madre di Racalmuto un beneficio semplice in adjutorium   Parochi di libera collazione da conferirsi a concorso ai naturali di Racalmuto con le obbligazioni di coadiuvare il Parroco nell’esercizio della sua cura, di celebrare in diverse solennità dell’anno nell’anzidetta Cappella numero trenta Messe, costituendosi in dote del beneficio taluni beni, che esistevano nella Chiesa senza alcuna destinazione, dandosene anche l’amministrazione allo stesso Beneficiale. Riserbavasi però il Vescovo fondatore il diritto di conferire la prima volta il beneficio, di cui si tratta, senza la legge e forma del concorso in persona di un soggetto a di lui piacimento.

«In seguito di che con bolla di elezione del 10 luglio 1767 dallo stesso Monsignor Lucchesi fu eletto per primo Beneficiale il Sac. Don Francesco Busuito di Racalmuto, allora Rettore del Seminario di Girgenti dispensandolo dall’obbligo del concorso, e dalla residenza, e facoltandolo ad un tempo a sostituire a di lui arbitrio un Ecclesiastico, per adempire in di lui vece le obbligazioni e pesi tutti al beneficio inerenti.

«Appena verificatasi tale elezione, come risulta da un avviso dato dal Parroco locale di quel tempo, dal Sac. Don Giuseppe Savatteri qual uno degli eredi e successori di D. Giaimo Lo Brutto di Racalmuto impugnavasi la fondazione e ricorrendo al Tribunale della Reggia Gran Corte Civile, otteneva lettere citatoriali contro il detto Reverendo Busuito, affine di rivendicare i fondi constituiti come sopra in dote al beneficio come appartenenti al suddetto Lo Brutto. Sostenevasi dal Savatteri che la Confraternita del SS.mo Crocifisso dentro la suaccennata Chiesa Madre percepiva onze cinque annue per ragion di canone enfiteutico sopra quattro salme di terre esistenti nello Stato di Racalmuto contrada Menta dotate alla moglie del suddetto D. Giaimo Lo Brutto dalla di lei zia D. Vittoria del Carretto, annuo canone destinato per legato di maritaggio di un orfana. Nel 1659 i Rettori della cennata Confraternita per attrarsi di pagamento del canone anzidetto e per deterioramenti avvenuti nei suddivisati fondi, unitamente all’Arciprete e Deputati dei Luoghi Pii senza figura di giudizio e senza le debite formalità giudiziarie s’impossessavano di quei fondi e melioramenti in essi fatti dal predetto Lo Brutto. Si credettero autorizzati a far ciò senza ricorrere alle procedure giudiziarie da un patto enfiteuco solito apporsi in simili contratti, in cui espressavasi, che venendo meno il pagamento o deteriorandosi il fondo fosse lecito all’Enfiteuta di propria autorità ripigliarsi il fondo enfiteuco, come tutto rilevasi dagli atti di possesso presso Notar Michelangelo Morreale di Racalmuto sotto il 3 settembre 13 Ind. 1659. Così postasi la Chiesa in possesso dei fondi, conosciutosi che pagate le onze cinque per legato di maritaggio ed i pesi efficienti, il resto delle fruttificazioni rimaneva senza destinazione, pensavasi dal Vescovo Monsignor Lucchesi per di esse fondare il beneficio anzidetto, che indi conferivasi al sopra indicato Sac. Busuito. Impugnavasi questo fatto dal sac. Savatteri e facevalo come sopra citare a fin di chiarirsi nulla la suddivisata fondazione. Ma il beneficiale frapposti buoni amici persuase il Savatteri a rimettere tutto al saggio arbitrio di S.E. Rev.ma Monsignor Vescovo di Girgenti, il quale tutto riponendo sotto lo esame dell’Assessore Canonico d. Nicolò A. Longe, fattesi varie sessioni inanzi a lui con l’intervento dell’arciprete di Racalmuto per parte del Beneficiale e di altra persona per parte del contendente Savatteri, dichiaravasi dall’Assessore nullo l’impossessamento dei fondi e riconosciuta evidentemente la usurpazione dei fondi fatta dalla Chiesa. Ma protrattosi a lungo l’affare, pria di definirsi pubblicavasi la prammatica della prescrizione del 22 settembre 1798, quindi il Beneficiale avvalendosi di tal legge non volle più fare ulteriori trattamenti della causa, né arrendersi alle pretensioni del Savatteri.

«Morto però il Beneficiale, il cennato Savatteri fece ricorso al Re e dalla Segreteria Reale abbassavasi biglietto alla Giunta dei Presidenti e Consultori per informare. Moriva intanto il Savatteri ed il di costui erede Don Pietro Cavallaro e Savatteri agendo con più di moderazione pensava di mettere l’affare in mano del Vescovo Monsignor Granata, e desiderandosi dal ricorrente che il beneficio rimanesse, si contentava soltanto che divenisse patrimoniale e proprio della di lui famiglia e suoi discendenti.

«Il Vescovo conosciuta la validità delle ragioni e la pienezza del diritto del ricorrente, perché fondato il beneficio sopra beni proprii di D. Giaimo Lo Brutto di lui autore, a vista della patente usurpazione fattasi dalla Chiesa, della non ecclesiasticità del beneficio, perché fondato senza la volontà del padrone dei fondi, pensò accordarne la prelazione ai discendenti della famiglia Brutto. Quindi perché conobbe la verità delle cose per conscienzioso temperamento pensò conferire anche in minore età quel beneficio ad un chierico erede dei beni, che è l’attuale investito Cavallaro. Ed infatti il conferì con decisione del 16 giugno 1804. [...] Ottenne per ciò pria dispensa della Santa Sede, perché al detto chierico avesse potuto conferire il beneficio nella minore età di anni 14, lo dispensò dalla legge del concorso e dell’obbligo della coadiuvazione del Parroco nello adempimento degli offici parrocchiali sino all’età del sacerdozio e gli diede l’amministrazione dei beni dotalizii [...]»

Al beneficiale don Ignazio Cavallaro succede il nipote (figlio della sorella) don Calogero Matrona, con bolla di Monsignor Domenico Turano del 1° marzo 1875. Ma non fu una successione pacifica. Vi si rivoltò contro Giuseppe Savatteri, unitamente alla moglie donna Concetta Matrona, con cause, ricorsi, appelli che durarono decenni. Eugenio Messana, nello scrivere le sue memorie su Racalmuto, risente ancora di quel clima infuocato che in proposito si respirava ancora nella sua famiglia.

Il beneficio del Crocifisso è quindi oggetto di una bolla di collazione nel 1902 (cfr. reg. Vescovi 1902 pag. 703). Viene poi assegnato al padre Farrauto, per passare nelle mani di padre Arrigo. Attualmente è accentrato presso la Curia vescovile di Agrigento.


Racalmuto coinvolto nella controversia liparitana del 1713




L’eredità arcipretale del Lo Brutto tocca a Fabrizio Signorino: su di lui cade la tegola dell’interdetto. Senza ricorrere al Mongitore, sappiamo dai libri della matrice che:


eodem die 2 settembre 1713 VII ind. die 3 settembre 1713 VII Ind.Vigilia Sanctae Rosaliae hora vigesima fuit affixum interdictum generale locale in hac terra Racalmuti.

Si dovette affiggere la bolla episcopale di interdetto generale il 3 settembre 1713, nel giorno di Santa Rosalia: forse fu anche per questo che dopo meno di un secolo decadde a Racalmuto il culto di Santa Rosalia, prima egemone ed a carico della universitas. L’ordine è quello di approfittare della notte (hora vigesima, per aggirare e raggirare le autorità civili).

Le sepolture, dal giorno dopo, non possono farsi in chiesa, ma in un luogo a ciò “deputato” dal signor arciprete. Il primo a farne il piccolo di pochi mesi Santo Bordonaro, figlio del chierico coniugato con tale Ninfa:


4/9/1713 – SANCTUS  F. CL. CONIUG. STEFANI ET NINFAE BORDONARO;                            IN LOCO DEPUTATO A REV.DO ARCH.

L’esordio è duro e sembra che non si guardi in faccia a nessuno. Dopo, data la legge, trovato l’inganno: basta una bolla a pagamento di sovvenzione delle crociate per avere cristiana sepoltura in chiesa.

Certo, scatta ora il dramma della regolare somministrazione dell’estrema unzione: quest’atto ne lascia traccia:

5/9/1713 - AGOSTINA F. DI M° STEFANI ET CATARINAE            RIZZO di anni  11; sepolta IN UNA EX FOVEIS DEPUTATA A REV. ARCH. IN VIA S. GREGORII  - GRATIS PRO DEO -  ROBORATA ANTE OFFICIUM INTERDECTI.

La fanciulletta, undicenne, figlia di mastro Stefano e Caterina Rizzo, viene tumulata - con quale strazio, è facile intuire - nelle fosse comuni prescelte (e benedette) dall’arciprete Signorino, degradanti nella scoscese contrada di S. Gregorio (S. Grigoli). E’ povera ed il funerale è avvenuto gratis pro Deo; era stata “roborata” - confortata e temprata alla morte - secondo i sacri canoni, alcuni giorni prima, quando non era scattato l’ Officium interdecti.

Ma ora muore un notabile, un Romano: non può certo venire esposto all’inclemenza del clima e di altro:

7/9/1713 - SALVATORE ROMANO VIR JOSEPHAE ROMANO di anni 45; sepolto in MATRICE, PER PRIVILEGIUM BULLAE SANC. CRUCIATE e pure GRATIS PRO DEO.

Le note dell’atto funerario svelano parecchi aspetti religiosi ma anche sociali ed economici della Racalmuto del tempo. Il Romano muore a 45 anni, ad un’età che pur supera di molto l’età media della mortalità del secolo dei lumi in quel di Racalmuto. Appartiene ad una delle più prestigiose famiglie del luogo, ma è caduto in miseria e per i suoi funerali non può corrispondere i diritti ecclesiastici dei c.d. festuarii. Supplisce la carità dei preti, che il funerale lo fanno lo stesso, gratis pro Deo. Il settecento fu a Racalmuto, come altrove in Sicilia, misero, in crisi economica profonda, con punte di grande fame per tutti. A fine secolo, i sacerdoti racalmutesi ottengono l’autorizzazione dell’Ordinario ad impegnare gli arredi sacri per approvvigionare l’Universitas di grano per la pubblica fornitura del pane quotidiano. Lo studio del Valenti (cfr. Calogero Valenti - Ricchezza e povertà in Sicilia nel secondo settecento) può estendersi anche al primo settecento e le considerazione sulla povertà di Grotte si attagliano appieno pure a Racalmuto.

Ciò nonostante il buon Romano ha sepoltura nella Matrice: aveva la bolla della santa crociata: un privilegio che scavalca il rigore dell’interdetto del Ramirez, comminato per la difesa dei beni materiali del ricco vescovo di Catania.

Desta pietà la fine di questa neonata racalmutese: muore a soli quindi giorni: una “gloria”; potrebbe trovarsi un cantuccio nelle carnaie delle chiese; ma è povera ed è illegittima: finisce - sia pure gratis pro Deo - nel nuovo pauroso cimitero all’aperto, che l’arciprete ha degnato dell’acqua benedetta:

11/9/1713 - ANTONINA F. JULIAE VIRTULINO INZIONE PATRE IGNOTO VIRTULINO 15 GIORNI - IN FOVEA NON BENEDICTA DEPUTATA A REV.DO ARCH. IN VIA S. GREGORII OB INTERDICTUM - GRATIS PRO DEO.

Frattanto la miseria genera violenza: mastro Stefano Savatteri viene folgorato dalla lupara all’età di 44 anni. E’ povero ed i funerali avvengono gratis pro Deo. Ma è anche mastro: appartiene alla confraternita del Tau. La su sepoltura deve avvenire nell’oratorio della confraternita - interdetto o non interdetto:

16/9/1713 - STEFANUS MAG. VIR PAULAE SAVATTERI - 44 - IN ORATORIO TAU ET SOLUM FUIT ROBBORATUS SACRO OLIO UNCTIONIS OB MORTEM VIOLENTAM GRATIS PRO DEO.

Quando a morire è un “galantuomo”, l’imbarazzo del cappellano detentore dei libri della Matrice è evidente; il suo latino si ingarbuglia, comunque la sepoltura avviene in chiesa, nonostante l’interdetto:

5/10/1713 – FRANCISCUS  DON  VIR MARIAE   PUMO -  45        IN ECCLESIA S. JOSEPH PER PRIVILEGIUM BULLAE SS.ME CRUCIATAE OB INTERDICTUM

Le annotazioni sparse qua e là nel libro dei morti contengono queste altre notizie:

A 28 AGOSTO 1713 - L'INTERDETTO IMPOSTO DELL'ILL.MO E REV.MO SIGNOR FRA D. FRANCESCO RAMIREZ ARCIVESCOVO E VESCOVO DI GIRGENTI - CON IL CONSENSO DELLA S. SEDE NELLA CHIESA CATTEDRALE DI GIRGENTI, ET IN TUTTA LA SUA DIOCESE - FU' RIMOSSO; E PROSCIOLTO DOMENICA - 27 AGOSTO 1719 AD HORAM 22 - DAL REV.MO SIGNOR DR. DON GIUSEPPE PANCUCCI CA. TES., E VIC. GENERALE APOSTOLICO CON L'ACTORITA' DELLA S. SEDE PER VIA DELLA SAC: CONGREGATIONE DELL'IMMUNITA' 


Li bro dei MORTI 1714-1724

A 28 AGOSTO 1713 - L'INTERDITTO FU IMPOSTO DELL'ILL.MO E REV.MO SIGNOR D. FRANCESCO REMIRENZ ARCIVESCOVO E VESCOVO DI GIRGENTI CON IL CONSENSO DELLA S. SEDE NELLA CHIESA CATTEDRALE DI GIRGENTI, ET IN TUTTA LA SUA DIOCESE

L’interdetto durò poco meno di sei anni e - forse anzi tempo - fu revocato il 27 agosto 1719, stando alle precisazioni dei libri parrocchiali:

FU' SCIOLTO DOMENICA  QUARTA D'AGOSTO  AL DI' 27 DELL'ORA VIGIGESIMA SECUNDA 1719 - DAL REV.MO SIGNOR DR. DON GIUSEPPE PANCUCCI CA. TES., E VIC. GENERALE APOSTOLICO CON L'ACTORITA' DELLA S. SEDE.



[1]) Secondo l’elenco della Matrice sarebbe invero deceduto il 7 aprile 1650 a 52 anni (cfr. col. 3 n.° 62). Si rilevano però due inesattezze. Nessun dubbio sulla data di morte può sorgere stante il seguente atto della Matrice:
7
5
1650
Todaro
Giuseppe Sacerdote
sepolto nella chiesa di S. Maria del Monte
gratis
Sull’età del  Sacerdote Todaro è da precisare che era già chierico nel 1598 come risulta del tuo elenco:
4
1598
GIUSEPPE
TODARO
CHIERICO
12
1600
GIUSEPPE
TODARO
CHIERICO
9
1632
GIUSEPPE
TODARO
4
1634
GIUSEPPE
TODARO
e nella visita del 1608 è già sacerdote abilitato alle confessioni. Sono portato a pensare che il sacerdote sia morto settantenne e questo potrebbe essere il suo atto di battesimo:
26
12
1580
Todaro
Joseppi
Vincenzo Mastro
Violanti

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