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venerdì 13 novembre 2015

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Ill.mi et Rev.mi Mons.ri oss.mi


 


L’Abbadessa e Moniche del Monasterio di Santa Maria del Soccorso detto l’Abbatiola dela Città di Girgento dicino alle ss. VV.Ill.me e Rev.me che detto Monasterio tiene buona quantità di rendite e ni spera maggiori tanto per dote assignata alle donne moniche quanto per raggione di successioni di heredità, sebe ha speso et spende molta quantità di denari e rendite di detto monasterio ed attribuendoli ad altre opere ad essi loro benviste. Supplicano le ss. VV.Ill.me e Rev.me voglino restare servite ordinare un decreto con qualche pena che tali prelati non voglino alienare nè movere dette rendite nè denari, ma quelli lasciarli spendere ed augumentare in aiuto della detta Casa e fabriche conforme al dovere ed intentione delle persone che l’hanno lasciate, che altrimente si facesse molti restarianodi portarci èiù entrade e lasciarli heredità ed essendo la domana giusta sperano dalle ss. VV.Ill.me e Rev.me ogni favore et ita sup.t


 


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All’Illmi e Rev.mi sig.ri oss.mi li s.ri Cardinali della sacra Congregatione sopra Regolari.


 


Giorgento


 


Per


L’Abbadessa e Moniche de S.ta Maria del Soccorso di Girgenti.


 


Che il Monasterio ha buona quantità di rendite, quali sono acquistati con le doti di dette monache, et altre lasciate per heredità. Acciò non siano diminuite dall’Ordinario pro tempore, supplicano per un decreto proibitivo che non ne possano porvi sopra la mano, nè impedirsi di dette entrate.


 


XXX Martii 1599  ...


 


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Ill.mi et Rev.mi Mons.ri oss.mi


 


La Priora e Moniche di Santa Maria delle Racomandate, detto la Batiella della città di Girgento, sotto la regola del terzo ordine di S. Francesco  espongono  alle ss. VV.Ill.me e Rev.me che se bene il Rev.mo Mons.r Don Diego d’Haedo all’hora Vescovo di detta Diocese, per sua devotione havesse fondato detto Monasterio acciò in quello potessero  entrare e fare la professione tanto donne Vergini come Vedove, pirchè non siano state meretrici, nè di mala fama come nell’atto chiaramente si vede, e per tal causa all’hora veni entrassero quattro vedove e tutte le altre donne vergini; havendo per la esperienza conosciuto convenire più al servigio del Signore e buon stato di detto Monasterio che in quello non vi sia tal mescolanza, con la protettione delli Prelati hanno atteso à ricevere donne vergini e non più vedove talchè due solamente sono rimaste; E desiderando per l’advenire non possino essere astrette à ricevere tli vedove non convenendo allo stato loro tal mescolanza sicome il Rev.mo Vescovo e la città fan fede alle ss. VV.Ill.me e Rev.me humilmente le supplicano restino servite ordinare che detto Monasterio sia solamente di donne vergini e non altre del servigio di N.ro Sig.or  Iddio che sarà maggiore quel luogo haverà più utile poichè vi entraranno persone facultose e nobili per monacarsi quali per tal dubio adesso non vi entrano, Ed essendo la domanda tanto giusta sperano dalle ss. VV.Ill.me e Rev.me ogni gratia per le cui Ill.me persone continuamente pregaranno  et ita sup.


 


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Ill.mi e rev.mi SS.ri


 


In questa città di Giorgento vi è un monasterio di donne Monache del terzo ordine di Santo Francesco  dotato e fondato per lo Rev.mo Don Diego d’Haedo all’hora vescovo di questa Città con clausola che in quello si dovesse ricevere donne vergini et vedove purchè siano state di bona vita e fama e non  donne meretrici ad effetto di monacarsi. Nel quale si bene nel principio v’entrarono alcune donne vedove dall’hora in qua che sono anni undici in circa sempre in quello s’have atteso à ricevere donne vergini parendo più conveniente allo stato di religiose che non vi fosse tal mescolanza . Il che per gratia del Signore ha riuscito cossì havendo trovato io in detto Monasterio ogni buono odore di vere religiose, è buona edificatione delli popoli; poichè al presente in detto Monasterio vi sono dieci Vergini professi et dieci per monacarsi, e molte altre desiderano intrarvi per detto effetto e per dubio che l’indetto monasterio v’è tal libertà, si sono restati. Il che viene ad essere alcun danno al detto luogo desiderando esse conferma che questa Ill.ma Congregatione che detta Casa sia sola per donne Virgine, mi ha parso accompagnarle con questo facendo fede alle SS.VV.Ill.me che tal licenza  se gli puotrà concedere restando però libertà del Prelato permettere che alcuna donna vidova honesta però per il grand’utile che tal monasterio potesse riceverci concedergli che in quello poss’intrare à far la professione. Del resto fo fine con pregare N.S. Dio per ogni contento et aumento di dignità delle SS.VV. Ill.me e Rev.me


Da Giorgento à 8 di febraro 1599


Ill.mi et rev.mi SS.


 de le SS.VV.Ill.me et rev.me


prompitissime servitor


El Obspo de Girgento.


 


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Mons. don Didaco de Haedo Vescovo  di questa Città di Girgente adesso  Arcivescovo di Palermo già si fanno anni undici incirca fondò un  Monasterio di donni in detta città di terzo ordine de San Francescoin una chiesa di Santa Maria. La recomandata ad effetto di ricevere in quello donne vergini per monacarse, ed anco vedove pur che fossero di buona vita et che non fossero state meretrici, siccome per atto di fondatione appare. Per il che, da principio con alcune donne vergini ci entrarono anco quattro donne de quali hoggi due che pervivono, et vedendosi l’incoveniente che di questo ni resoltava  non stando bene tal mescolanza, sempre  doppo in detto monasterio, ci hanno entrato donne donne vergini essendo in quello hoggi monache velatediece, et altre tante novitie con una servitrice ( quali sia sempre lodato il N.S.r ) hanno donato bono odore di zsantità di vita loro, con grandissima edificatione di tutta la nostra Città, per le molte virtù loro et esercitij che si fanno in quello, et parendo à noi per esperienza convenire  essere solamente vergine in detto monasterio del quale tiene questa città protetione particolare come per atto di detto Rev.mo Monsignore appare, humilmente supplicamo le Ss.VV.Ill.me  vogliano ordinare si facci un ordine che solamente in quello si ricevano donne vergini e non di altra sorte, il che sarà gran contento di tutta la nostra città ed utile del monasterio, essendo che molti temendo di entrarci per causa di tal mescolanza, resta il monasterio di augmentarsi  di rendite, ed essendo la domanda giusta, e le SS.VV. Ill.me attendendo al maggior servigio di Idio e decoro di religiosi, sperano dalle Ill.me loro mani ogni favore restando prontissimi à quanto degniranno comandarci con pregar per ogni augmento di dignitàet contentodelli SS.ri VV. Ill.


 


 


Da Girgente del Regnio di Sicilia il dì V^ di febraro  1599


Ill.mi et Rev.mi Signori


Delli SS. VV. Ill.


prontissimi servi - Li giurati della città di Girgente


 


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All’Ill.mi e Rev. SS.ri Cardinalidella Sacra Congregatione sopra Regolari.


Giorgento


Che il Monasterio dell’Abbatiella
l’anno 1589 fù fondato dall’
Vescovo di quel tempo con questo
che si dovessero ricevere in esso
zitelle, et vidove, come fi fatto
et perché par che convenghi più
al servitio di Dio che siano tutti
zitelli
supplicano che si ordini che nell’
avvenire non si possino ricerversi
in detto Monasterio se non Vergini
Vi è lettera del Vescovo et Città
che fanno instanza per questo.


Per


La Priora e Moniche de la Batiella de Girgento Die XXX martij 1599 Ad Signaturam S.m


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


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Ill.mi  e rr.mi SS.ri Oss.mi


 


Il Vescovo di Girgento dice alla SS.VV.Ill.me che conforme all’ordine datoli dalla Sacra Congregatione per un atto giuridico è deputato il Decano di quella Cathedrale Dr. Geronimo Zanghi giudice delle cause e prosecutioni contro li Can.ci Don RamondoVitali e Don Francesco Navarra, come per l’incluse lettere responsali, le SS.VV.Ill.meresteranno servite  vedere, acciò conischino la prontezza in eseguire gl’ordini di questa Sacra Congregatione alla quale per sempre sarà ubidientissimo.


E perché ha inteso che detti canonici hanno celebrato, et al presente celebrano, assistendo parimenti nel clero con grandissima meraviglia di quella città e scandalo, sapendo li delitti di quali son prosecuti,  essere di grandissima qualità, e meritarsi ogni rigore di giustizia, e credesi non essere questa la mente delle Ss.VV.Ill,me perciò le supplica restino servite ordinare che durante la detta prosecutione si vogliano astenere, ed ordinare al Decano che constandoli giuridicamente essere veri  li capi delle loro prosecutioni vogli provvedere à carceratione, affinché non solo si punischino li delitti, e si levino li scandali, ma gli altri temano di commettere simili enormità e delitti in opprobrio della sacerdotale dignità, ed  honestà, che oltre di essere giustizia e servigio di Dio si riceverà per gratia e pregarà per le SS.VV.Ill.me Quas Deus ...


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Ill.mi et Rev.mi Monsignori et Patrone Oss.mi


 


A instanza di Don Raimundo Vitali et Don Francisco Navarra mi sono stati presenteti lettere di V.S. Ill.ma et rev.ma del tenro seguenti, v.l. Ill.mo et Molto Rev.do signore come fratello, Poichè monsignor vescovo di Mazara non ha voluto acceptare la comissione delle cause di don Francesco Navarra e don Raimondo Vitale sopra le imputatione et capi  per i quali erano molestati nella corte di V.S.  questi miei signori ill.mi della Sacra Congregatione hanno resoluto che lei debia in loco suo elegere et deputare il Decano di questa Cathedrale judice delle sudette cause al quale se ne scrive acciò accetti la comissione et diffinisca le sudette cause. Però non manchi V.S. di deputare subito detto Decano remossa ogni ecceptione et qualsivoglia scusa con actu juridico con tutta l’autorità  che a lei medesma dipotere intendere, procedere, sententiare et exeguire come serà justo in tutte le sudette cause et loro annexi et connexi, emergenti et dependenti sensa intromettersi lei nè per se stessa  nè per mezo di altra persona in esse volendo che in tutto e per tutto la jurisditione rest libera  a lo detto signor Decano alle provisione del quale debiano tutti ministri di lei prontamente  obedire et sinchè non siano spedite le sudette cause dal Decano, vogliono le ss.ie loro Ill.mi che per il recorso che esso don Francesco ha havuto in questa et per qualsivoglia causa lui nè li soi padre et madre siano molestati nel tribunale di V.S.  Si è inteso che V.S. ha mandato novo visitatore per la diocese il quale imitando le vestigie degli altri maltratta il clero. Però V.S. lo facci soprasedere sino che al suo arrivo a Roma si dia altro ordine. Cossì la non macherà di fare  exeguire subito. Il Signore per dine sia con lei.


Da Roma adi VI° settembre 1599.


Di V.S.  ill.ma et molto Rev.da come fratello El Cardinale Ferensa All.


 


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All’Ill.i et Molto Rev.do sig. Come fratello Mons.r Vescovo di Girgenti.  In sua absensa al Vicario episcopale che examina le quale lettere, essendosi hoggi stati presentati per il detto di Navarro, quelli subito foro da noi executi et per obedire come siamoobligati alli mandati di quotesta Santa Sede Apostolica fecimo l’acto iuridico in persona di detto Decano  et quello ci habiamo presentato per exeguirlo come l’exeguirà justa la forma del comandamento che li ss.ri vv. ill.mi per l’inserite lettere ni hanno dato et cossì sempre, con prompta obedientia, si exesiguirà quanto comanderanno. Il visitatore già se ne retornò della visita per ordine di Mons.r Vescovo prima che lui si partisse di Palermo... Con che suplicamo sua divina majestà per la felicità di V.S. Ill.mi et Rev.mi


Di Girgenti il di XJ° 8bre 1599.


 


Ill.mi et Rev.mi ss.ri e Patroni oss.mi - di VV.SS. Ill.me et Rev.me  - prontissimo servitore  e continuo onoratore


El dottor don Antonio Perez.


 


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All’ill.mi ert Rev.mi ss.ri et Patroni Mei oss.mi Li ss.ri Cardinali della sacra Congreg.ne sopra Vescovi.


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Da conto di havere subbito esseguito
l’ordine della Congregatione nelle
cause delli Canonici Raimondo Vitale
et  Navarra, con haverli deputato per suo
giudice il Decano di Giorgento.
Supplica per ordine al Decano che constandoli
delli delitti de quali sono stati processati,
proveda à carcerali acciò siano puniti, nè permetta
che celibrino, né tampoco assistino in choro
mentre dura la speditione delle cause loro,
dicendo che sia di scandalo alla Città.
 
provando la medesima lettera la
deputatione del giudice.


 


 


 All’Ill.mi e Rev.mi sig. Cardinali della sacra Congregatione sopra Vescovi - Giorgento


 


Decanus procedatur ut juris - Per il Vescovo di Girgento


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


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Beatissimo Padre


L’Episcopo di Girgente del Regno di Sicilia dice à V.B. che l’è, pervenuto à notitia che alcune persone maligne per calunniare la bona vita et amministration che l’ha fatto et fa esso supplicante per esse et per esse et sommisse persone persone hanno informato et fatto informare à V.B. et alla Sacra Congregation di Cardinali che esso exponente habbia fatto diversi eccessi in detto vescovado se ben l’esponente non sappia particolarmente le sinistre antepositioni che hanno fatto perché da conto suo ha la conscentia limpia et non può sapere respondere ne dar disciplina se fosse bisogno à quanto havessero anteposto contra esso nondimeno è, ben securo delle parti contrarie che ponno haver fatto tal sinistre machinationi per li menazzi che generalmente hanno fatto più volte fo voler con la lor potentia suppeditare all’exponente per respetto che hanno tentato di farsi exenti della giurisditione della Santa Ecclesia hanno procurato et procurano di tenere li prelati subditi per farci fare quello che li torna gusto contra la verità et la giustitia et come avvezzati à far quello che vonno senza obedire et reconoxere li ministri della Santa Chiesa non havendo potuto far questo con esso exponente procurano calunniarlo et levarselo d’innante perchè li pare che habbino molto di non poter più usurpare beni della giurisditione della Ecclesia come hanno fatto per il passato et perciò con la conrespondenza che tenno con quella mala gente di detta città di Girgente la quale hà sempre stato inimica di prelati et l’hà procurato maltrattare et calunniare et particolarmente con don Petro et don Gastone del Porto di detta città di Girgente che hanno usato tanto poco rispetto anzi con sfrenata audacia et temerità hanno provisto contra l’exponente et l’honore della Santa Ecclesia come appare per informatione, li quali volendo diffugere il condegno castigo s’hanno congiurato contra esso exponente et fra l’altri sono il Principe di Castelvetrano, la duchessa di Bivona, il Marchese di Giuliana, il Conte di Raxhalmuto, il conte di Vicari,  il Baron di Rafadal, il Baron di San Bartolomeo Don Bartolomeo Tagliavia, diocesani di esso exponente, la magior parte delli quali son parenti concertati  à calunniar l’exponente per causa che esso Principe di Castelvetrano volia che l’exponente condennasse indebitamente al Cler: don Calcerano Serravilla per usar contrafoco et per far desistere à detto di Serravilla che non domandasse come domandava innante il viceRè di detto Regno molti migliaia di scudi che il procuratore et agente generale del detto Principe Alfonso Posterla s’havia pigliato per forza et con violenza della casa di detto di serravilla del che ni pretende fin hoggi prosecutione come si vede per una lettera viceregia del viceRè di detto Regno et per altre scritture et recusando l’exponente di far aggravio à detto di Serravilla anzi non potendolo tener carcerato havendolo provisto conforme al dovere di detto di Posterla appellao per via di gravame alla corte metropolitana archivescovale di Palermo per la quale fù confirmata la provista fatta per la corte del exponente del che restao sdegnatissimo esso exponente et ancor perché esso exponente l’ha stato facendo vedere alcune scritture per tentare una lite contra esso Principe d’un fegho chiamato dello Muxaro che è, fegho del Ecclesia appartenente à detto vescovado et se lo tene occupato esso Principe et la detta duchessa di Bivona sta colerica et sdegnata contra esso exponente per haver processo contra don Pietro Cardona suo creato Capitanio della sua città di Bivona come inobediente dell’Ecclesia et della giurisditione ecclesiastica. Et il detto Marchese di Giuliana haveria voluto che esso exponente havesse sopportato che il Capitanio della sua terra di Chiusa habbia preso un clerico et straxxinatolo in terra con darci molti colpi et ferite, et dopo carceratolo senza che vi facesse resentimento esso exponente il quale non potendo soffrire che fosse strapazzata in questa manera la dignità dell’Ecclesia et persone ecclesiastiche ha processo contra esso Capitanio con disgusto di esso Marchese come ha processo anchora contra un delegato destinato per esso Marchese il quale per le sue giornate estorquio et come si prese li denari colti dell’elemosina nella confraternità di Santa Maria dell’Assuntione di detta terra di Chiusa, tanto più trovando esso exponente che altra volta detto Marchese, non curando delle censure ecclesiastiche ne del debito honore di ministri d’Iddio, fece prendere un prete et lo fece mettere sopra una bestia imbardata, attaccato con tanto vilipendio et dishonore, come consta per informationi prese alcuni anni sonno per li predecessori d’esso exponente.


Il detto Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la spoglia del arciprete morto di detta sua terra facendoci far certi testamenti et atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta spoglia toccante à detta Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte debitore di detto condam Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli di esso Conte, per occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non pagare ne lassr quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal termino che per la gran Corte di detto Regno fece destinare un delegato seculare sotto nome di persone sue confidenti per far privare ad esso exponente della possessione di detta spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con intento di far mettere in condentione la giurisditione ecclesiastica con lo regitor di detto Regno. Et l’exponente processe con tanta pacientia che la medesme giustitia seculare conoscio haver fatto errore et comandao fosse restituta ad esso exponente la detta spoglia. Ma con tutto questo, esso Conte non ha voluto pagare quello che si deve et si tene molti migliara di scudi et molti animali toccanti à detta spoglia, non ostanti l’excommuniche, censure et monitorij promulgati per esso exponente et che detta spoglia tocca al exponente appare per fede che fanno li giurati, per consuetudine provata, et per le misme lettere della giustitia secolare che ordinao fosse restituta al exponente.


Et più esso Conte ha voluto et vole conoscere et haver giurisditione sopra li clerici che habitano in detta sua terra di Raxhalmuto et vole che stiano à sua devotione privi della libertà ecclesiastica, con poterli carcerare et mal trattare come ha fatto à Cler: Jacopo Vella che l’ha tenuto con tanto vituperio et dispregio dell’Ecclesia in una oscura fossa “in umbra mortis”, con ceppi, ferri et muffuli per spatio di doi anni et fin hoggi non ha voluto ne vole remetterlo al foro ecclesiastico. Anzi, perchè il vicario generale d’esso exponente impedio a don Geronimo Russo, genniro d’esso Conte et gubernatore di detta sua terra, che non dasse, come volia dare, certi tratti di corda à detto clerico et essendo stato bisognoso per tal causa procedere à monitorij et excommunica, il detto Conte fece tanto strepito appresso lo regitore di detto Regno che fece congregare il Consiglio per farlo deliberare che chiamasse ad esso exponente et al detto Vicario Generale et lo reprendesse, che è, stata la prima volta che in detto Regno si mettesse in difficultà la potestà delli prelati per la potentia di detto Conte.


Con lo quale di più esso exponente have liti civili per causa di detti beni ecclesiastici, per causa di detto archipretato.


Et di più don Cesare parente di detto Conte, per il suo favore, fece scappare dalle carceri à doi prosecuti dalla corte episcopale di Girgente, et perchè ni fù prosecuto, diventano innimici delli prelati.


Et il detto conte di Vicari have havuto et hà colera con esso exponente perchè li hà requesto che non castigasse al clerico Pietro Canzoneri prosecuto di nefando crimine per don Gio: Villaraut et perchè detto Conte và contrariando in ogn’attione al detto di Villaraut per respetto che esso di Villaraut habbia procurato d’assintare la pretensione del Cardinal Alexandrino, bona memoria, circa la terra et baronia di Prizzi et à mettere in chiaro che detta baronia e, delli beni dell’ecclesia non havendo voluto l’exponente far passare senza castigo à detto di Canzoneri, esso Conte di Vicari l’è, diventato innimico, et lo detto barone di Rafadale perché hà preteso et pretende lo jus patronatus della magior Cathedral Ecclesia et sederci esso barone et li soi figli, parenti et amici et detoo capitulo restare senza il suo conveniente et solito loco, havendosi deliberato usar forzo et con violenza cacciare detto capitulo da detto loco nell’ecclesia in tal manera che fù costretto il detto capitolo fare instantia che si ni dasse avviso al regitor di detto regno perchè non lassasse usare tal violentia, nè succedesse tumulto, et in questa maneraa ci raparao. Et con haver esso exponente processo benignamente et con submissione, per non far succedere rumori, vedendo al detto barone tanto indurato et congiurato con tutta la sua parentela, et vedendosi esso barone che non hà potuto haver detto loco, resta disperatissimo contra esso exponente in tal manera che quando non li hà possuto far altro hà subdutto l’officiali di detta città, et particolarmente il secreto et giurati del anno, che s’occupassero, come s’occuparo, la giurisditione che have havuto detto capitolo ab antiquo in una  fera che si fà à San Giorlando, dalla quale ci ni cavano alcuni proventi per mantenere lo servitio del culto divino et si ni sustentano li preti che servino in detta ecclesia et fece far tanto rumore à detti secreto et giurati che li fece occorrere al regitore del detto regno à lamentarse d’esso exponente che difendia detta giurisditione.


Et come che s’antiponia pregiudicio di giurisditione del Rè di Spagna per non si mettere l’exponente in tal contentione, lassao pigliare à detti secreto et giurati la giurisditione di detta ecclesia, non potendose defendere per lo detto respetto, non essendo intentione della detta volontà di detto Rè, ma iniquità di detti barone, secreto et giurati.


Et lo detto barone di San Bartholomeo don Bartholomeo Tagliavia, parente del Rev.mo Cardinal Terranova, et di detti Principe di Castelvetrano et del detto Conte di Raxhalmuto, cognato di detto Principe et di detto barone di Rafadale,  ha conceputo odio contra esso exponente, perchè esso exponente processe ad interdirci l’ingresso dell’ecclesia et declararlo incorso in excommunicatione della bolla «In cena Domini» et del capitulo «si quis, suadente diabolo», perchè, come pretenso Capitan d’armi in la città di Xacca, volse impedire la visita che faceva il vicario generale d’esso exponente, non volendo fossero prohibiti li soldati del concubinato continuo, et volendo conoscere li clerici, come con effetto processe à conoscerli et mettere, le mani, che senza respetto alcuno della dignità ecclesiastica et con disobedientia sfacciata, prese et carcerao un clerico in una carcere oscura chiamata la «grutta di l’oglio» di questo titulo perchè in quella non ci par mai giorno et fece mettere in ordine la tortura et diede fama che lo volia appicare di fatto et fece assediare un altro clerico dentro la magio ecclesia di detta città facendoci entrare li soldati con archibuxi et armi fin dentro lo thesauro et sacristia per pigliarlo et perchè il detto vicario generale volse difendere la giurisdition dell’ecclesia et mandao al capitano delli ministri della sua corte giontamente con il promotor fiscale, et tutta la corte formata ad inhibire al carcerario che non consignasse detto clerico al detto Tagliavia, il quale, incontrando l’officiali ecclesiastici, spinto dal diavolo, pose le mani sopra li detti officiali, et maltrattato al detto capo delli ministri ecclesiastici, rompendoci la virga, strappazzandolo per terra et mandandolo carcerato, con haver detto molte ingiurie al detto promotor fiscale. Il che vedendo esso vicario generale fece monitorio che nessuna persona impedisse nè disturbasse la giurisditione ecclesiastica, sotto pena d’excommunica. Et il detto di Tagliavia minazzava li clerici et ministri che li promulgavano detto monitorio di volerci dare tratti di corda et finalmente tenne carcerato et assediato al proprio vicario generale con haver fatto sonare tamburi et congregato tutta la compagnia di soi soldati, li quali pose per guardia alla casa dove stava detto vicario, levandoci  lo commercio et tenendolo talmente prohibito di conversare che non permettia che ci potessero andar medici à medicare in detta casa, nè confessori ad examinarsi in detta visita et perchè non potesse detto vicario dar avviso di tal vexatione, fece serrar tutte le porte di detta città che è, caso non soccesso altra volta fra christiani, di tal manera che il mismo regitore di detto regno ci mandao ubn delegato per castigare à detto di Tagliavia. Et non potendo esso exponente tollerare un dispegio tanto notorio dell’ecclesia, declarao ad esso di tagliavia per excommunicato papale senza citarlo, parendoci che per essere stato il delitto notorio non ci sia stato bisogno citatione et volendo procedere contro d’esso exponente per lettere di l’Archivescovo di Palermo, per respetto che esso don Bartholomeo di Tagliavia ottenne lettere  «perveniant acta via gravaminis» dal detto Arcivescovo, et non potendo l’exponente contrastare con la potentia di dette persone, domandao il bracchio del vice Rè di detto regno et lo carcerao nelli propri carceri dove lo tenne per alcun tempo et vedendo esso don Bartholomeo non poter diffugire per detta  strada recorse all’Inquisitori di detto regno pretendendo che come familiare non potesse esser conosciuto et non havendo expresso la causa della sua prosecutione forno fatte lettere inhibitorie per detti Inquisitori al Exponente innante li quali esso don Bartholomeo comparse con memoriale contra esso exponente con parole di pochissimo respetto et di pregiuditio della dignità vescovale d’esso exponente, ett essendo poi informati li detti inquisitori non si intromessiro più in detta causa, però con tutto questo esso exponente non hà potuto castigarlo conforme alli soi tanti demeriti, perchè il giudice della Monarchia di detto regno impedia al exponente di non poterla  fare et declarao che sia stato fatto aggravio à detto di Tagliavia di non essere stato citato volendo tenere opinione contra la commune dottrina di legisti che in delicto notorio ci sia bisogno citatione et perché esso Principe, detto Conte di Raxhalmuto et esso  don Bartholomeo et anco il Marchese di Montemagiore, parrastro per affinità di detto don Bartholomeo, non hanno possuto far desistere ad esso exponente che non prosequisca al sudetto di Tagliavia ci sonno intrati in magior odio et pare à tutte le predette persone che non possano usare la loro solita et sfrenata potentia di volere essere superiori delli  prelati della santa Chiesa et di usurparse la giurisditione et li beni di quella et perchè non sonno più patroni come sonno stati delli preti, clerici et persone ecclesiastice, habitanti nelle loro terre, stati et baronie, perchè esso exponente non li hà voluto tollerare questo, non per ambitione ma per zelo della giurisditione et ministri della santa Chiesa, come tutto questo che sìhave exposto appare per scritture piblice in questo incartamento et per tal causa hanno procurato con sinistre informationi et con falsie concertate per submisse persone, con depositioni di loro vassalli et persone confiderati et gente devota ad essi senza monstrar, scoprirse, calunniare ad esso exponente appresso V.B. et detta sacra Congregation di Cardinali come si n’hanno  già attato ? amminazzandolo publicanmente nella cittòà di Palermo et in altre parti et non li manchiranno testimonij falsi tanto per la potentia loro che son patroni di tanti vassalli, apparentati con signori di detto regno, quanto perchè in detto regno vi è, abondantia  et copia di falsie et testimonij falsi et li sanno molto ben concertare. Perchè non è, giusto  che habbino  loco le calunnie contra l’honore di un prelato per le potentie di persone seculari che sarria darci magior audacia di perder del in tutto il  respetto alli prelati et ministri della santa Chiesa. Supplica perciò V.B. sia servita restare informata  di questa verità che è, conforme (et) have exposto et comandare che l’exponenti possi sapere quello che hanno anteposto per dare sodisfatione sofficientissima et farria chiarire che son tutte calunnie et falsie d’emoli et per poter V.B. castigare à dette persone, innimici delli ministri d’Iddio et Dio li conceda à V.B. salute et longa vita.


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Alla S.tà di N. S.


 


 


Alla Congregatione de Vescovi


 


 


Il Vescovo di Girgento


 


 


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Vita di Don Giovanni Horosco Covarruvias Vescovo


di Girgento da tre anni in quà ch’è in


questa Diocesi


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1. -  la sua persona una conditione che per il soverchio pasto che fà et per il bevere una volta il giorno et una la notte lansa (?) et per questo effetto ne succeddono molti inconvenienti circa l’amministratione et cura d’Anime che non sa dove sia nè tampoco quello che fà che vive peggio di un animale, onde li medici concludono che un giorno sarà che con il vomitare tanto spesso che fà, lo soffocarà il pasto, per attendere tanto al cibo che tutto il giorno stà sonnachioso et quasi semihuomo et non sà far altro che dormire.


2. -


Scandaloso et scommunicato


Alle visite de monasterij s’hà dimostrato molto inesperto à tale officio, non sapendo cosa sia visita di prelato nè tampoco letto ma letto si bene cose d’huomini morti nell’inferno come come appare nel suo studio che non tiene eccetto libri d’historia onde in quelli facendo visita la vigilia di S. Pietro all’Abbatia grande si pose in una camera di moniali facendo venire collatione et in presenza di tante moniali et huomini in sua presenza si pose a fare collatione nel detto monastero et fatta collatione si faceva dare da bere dalla più bella monacha che si trovava nel monasterio ponendoci la sua beretta sopra il capo, toccandola con la mano in faccia, alli mascilli, diceva: questa è grande amica mia.


Et doppo fatto questo si pose à dormire nella propria camera et altri suoi creati stavano nel monasterio, non convenendo. Alla risvegliata si fece venir acqua dalla sopradetta; si lavò le mani e la faccia; dimandò l’orinale; orinò inante tante monache ad un canto di camera, non convenendo à suo officio farlo.


Disobediente et lascivo


3.- In Xacca fece cose mirabili. Mangiò et fece collatione come di sopra  pigliandosi presenti, contra le declaratione fatta in Palermo alli monasterij moniali, non poter li monache far presenti, pigliando amicitia con certe monache, partendosi partendosi li soleva scrivere. Accapitò una lettera di risposta d’una monacha al detto Vescovo in mano d’un Religioso. Facendola leggere in confessione ad alcuni canonici , si vidde in quella grandissimo animo male et lascivo alle cose dedicate al Signor, onde la tenne riservata con molta antia. Et certi sacerdoti molto di buona vita di quelle parti dicono cosi mirabili et in  mezo della piazza si parlava et mormorava publicamente. Dicevano che non conveniva farlo prelato ma farlo far monaco, che magnasse et dormisse come è il suo solito et doppò lansa che il pasto et attende che alla crapula come è il suo intento.


4. -


Scandaloso


Il detto, venendo furfanti che saltavano in banco, si li faceva venir al suo Vescovado et illà recitavano cose profane non convenendo recitare d’innante ad esso prelato et di sua persona lo carnevale faceva vestire un suo paggio di donna. Quale dormiva innanti il suo lettoet doppò lo faceva ballare, ond’esso alle volte faceva la sua parte. Et questo impara a suoi creati in presenza di molti cavaglieri. In una farsa esso teneva la guida di detta farsa come haversi stato comediante; far  ripresentare comedie lascive in sua casa publicamente, essendo proibito à prelati questo.


5. -


 Scandaloso nano. 


Il  detto, convitando la città il Giovedì santo, et  il capitolo ancora, et doppò haver fatto solenne apparato et banchetto, non convenendo farlo, infine della mensa dove doveva fare inessortatione et predica, come conveniva à Prelato à tal giorno, havendosi seppellito et postosi al monumento  N. Sig.re,  al contrario, fece pigliare un suo nano buffone, con suo vestito quartiato di bianco e di turchino, con un capoccio in testa à modo d’una simia - cosa ridicolosa à vederlo - sopra detta mensa, et con le sue proprie mani  ci sonava una tavola, et lo fece ballare sopra la detta mensa, facendoci fare cacatombi (sic). Et le voci andavano sino al ciel et li risi grandissimi, con molta admiratione di cui fù presente et lo seppe.


 


6. -


nano scandaloso


Un Giorno, facendo il detto ordinationi generali, essendo vestito Pontificale, si pose il mastro notaro à chiamare quelli che dovevano esser ordinati, infrà li quali fece mettere il suo nano buffone la soprapelliccia è farlo chiamare come ordinante. Et comparso il nano buffone mezo l’ordinanti, che parce più tosto come comedia che ordinatione, et furno tanti li risi et gridi che fecero  gl’ordinanti che per un pezo non si sentiva nessuno. Arrivato il detto nano buffone innanti d’esso, ci levò la soprapelliccia et  li tagliò con li forfici il tuppo della fronte.


 


7: -


Homicidio


 Concorse il detto alla morte di Luciano lo Messinese, che per haverci ammazzato il suo sergente, in compagnia con il s.r Michel la Seta, Gioseppo Xaxa et suo genero, che li compagni del detto bandito l’havessero ammazzato, come fù , mandandoci signali ch’era la sua volontà, come ci mandò il suo annello delle mani, promettendoci il viato, come ad istanza del detto Michele la Seta l’hebbero, declarando essi banditi inanti ad alcuni amici come Monsignore ci lo fece fare.


8.-


Disobediente della Sede Apostolica.


 S’imagina  exssere Papa et Rè: fà quel che vuole et non obedisce nè consig. nè moti proprij nè tampoco determinationi di Cardinali, delli quali si vede che ordina li suoi creati innati li tre anni contro quelli Capitoli del sacro Concilio Tridentino, che «incipit Episcopus familiarem suorum &», come al licentiato Ferdinando l’ordinò sudiacono et Diacono innanti il sudetto tempo; et anco ordinò D. Mario di Palermo sudiacono con non haver stato à pena un’anno0 senza patrimonio et benefitio, nè tampoco sà leggere si hà supplicato al detto che quando teneva carcerati alcun’huomini constituti in dignità, che ci desse cercere competente al grado suo, come è stato dichiarato dall’Ill.mi Cardinali alli Canonici di Messina, et esso non hà voluto eseguire, anzi ponerli in inferiore loco alli carceri maggiori della città di Girgente.


9. -


Concurso à laici.  


Il detto, per i  grandissimi aggravij che   ha fatto alli poveri prosecuti indegnamente et à tanto per non voler eseguire i suoi falsi mandati, gl’hà processato et quelli havendo ricorso al metropoli di gravaminis trasmettendoci gl’atti et fattoci suppliche protestatorij  in lettre con grandissime spese del Metropoli, quelli non hà voluto esseguire, et appellando detti prosecuti alla Santità di Papa Clemente vjjj et alla santa Sede Apostolica, ci denegò il recurso à detta Sede Apostolica, consultandola con la Regia Monarchia, dando altro superiore a S. Santità, come appare alle scritture di Don Francesco Navarra Canonico Agrigentino.


10. -


Contra il Motu proprio di Sisto.  


Il detto ha ordinato persone poenitus ignoranti che non sanno tampoco leggere nè scrivere il suo nome contra il motu proprio della fe: mem: di Papa Sisto et di quel Capitolo “contra male promotos”, n’hà ordinato infinitissimi, come per sua Diocesi et extra.


 


11.- Il detto hà ordinato persone irregolari et certi chierici prosecuti di Naro con grandissimo scandalo et romore, doppò che l’hebbe ordinato.


 


12. - Il detto hà huomini di malissima vita, li quali lo consigliano; hanno campato et campano come secolari, tenendo puttane in casa et extra, facendoci figli maschi et femine. Li quali li maritano publicamente, essendoli detti sacerdoti et constituti in dignità. Et esso gl’ha fatto visitatori di monasterij moniali, mandandoli lupi tra li pecore et delli monaci cui è guardata di quà et di là, cosa certo pessima ad intendersi da tutti, et le povere monache parlando sopra di questo che non conveniva nè tampoco era buono, furno poste carcerate come appare nel monastero grande di Girgenti, et quelli tenevano le chiavi di dette monache hor cogitate.


13. -


 Usurpatore.


Il detto hà tenuto et tiene l’intrate et pensioni che deve alla chiesa, non curandosi di scommunica, di poi ch’è venuto. Et quella detta chiesa stà per cadere per essersi fatte alcune fessure, come hanno dichiarato i capi mastri del Regno che caderà frà poco tempo con scritture publiche fatte di sue proprie mani, che non basteranno, se lei cade, da numero di sessanta mille  scudi. Et esso non n’hà  voluto far niente anzi c’hà  tenuto li sudetti et poco si cura di questo et chi ni parlasse gl’era nimico capitale et lo poneva carcerato.


 


14. -


 Usurpatore.


Il detto, havendosi ricuperato 300 et tante oncie dalla Regia Corte per la morte del q- Don Francesco del Pozzo della pensione dell’Episcopato che deve 500 scudi, l’hanno applicati alla detta fabrica ecclesiastica, il detto sol l’hà pigliato senza scrupolo di censuirla et spenderseli à suo modo et alla detta Chiesa senza spenderci un quattrino, come appare per polize fatte al Thesoriero di tali dennari.


 


15. -


 Usurpatore.


Il detto si prese un thesauro ecclesiastico  dove stavano le robbe della detta Chiesa et lo volsi “loco mutui” per un’anno sinchè si faceva il suo studio et hora son passati tanti tempi, onde la Chiesa patisce rt hà patito tanti danni, perdite et maltrattamenti di robba, essendo gittati trà lochi stretti et non conviene maltrattare detta robba stando con bona conscienza, pigliandosi giucali, tovaglie, paramenti di calici, candilori, calici et  patene d’oro, pigliandosi reliquarij aprendoli auctoritate propria del Thesauro  oro, argento; levandole messe della Chiesa dell’obligo per sparagnare non tenendo capellano et se la fà dire entro il suo Episcopato.


 


16. - Li suoi creati et praecisè il suo confessore passato, huomo di grandissima malavita, essendo monaco fuori della sua Religione, che non potendo havere (sendo carnale) donne per sfogare il suo male appetito quelle faceva processare li riduceva carcerate in una carcere et ivi redotte sotto l’auttorità della giustitia le violavano publicamente la notte e’l giorno.


 


 


17. - Il detto suo confessore frà Giovanni era tanto lascivo della carne ch’era la notte incontrato con la mula di Mnsignore che andava un di Petra sua puttana et quella attaccava dietro la porta. Diceva la messa ogni mattina con grandissimo scandalo. Di più lo detto teneva li dennari dell’elemosina et li poveri andavano un di esso et esso per fama publica si diceva per la città haver profanato molte vergini figliole ch’andavano à domandarci l’elemosina. Come s’è visto che una donna povera di conditione nobile andò al detto frà Giovanni et espose la sua necessità che teneva una figliola;  quel tempo era d’haverla collocata et per non potere per essere povera donna supplicò sua Reverenza trattare con  Monsignore li volesse dar la charità. Il detto Episcopo li mandò à dire che ci voleva dare oncie 5. et il buon Padre le disse: «ho fatto quanto havete voluto. Monsignore vi dona oncie cinque et oncie cinque vi dono io et lasciatemi colcare con vostra figlia inanti che si marita, altrimenti non haverete nè l’uno nè l’altro.» Et la donna lo incominciò à riprendere et lo seppe Monsignore dallì à tempo et non ne fece niente, anzi disse che non era vero come fù  vero, essendoci testimonij degni di fede.


 


18.- Vi fù un monaco suo theologo dell’ordine di S. Augustino il quale si chiamava P.dre Honofrio, quale Monsignore mandava spessisime volte delegato. Arrobava publicamente essendo essaminatore con il Vicario generale. Passò certi ignoranti che à pena sapevano leggere della Licata et se ne presero oncie dodici facendo simonia. Et da certi altri ordinanti certi cantari di formaggio et cascicavalli. Et facendosene parole di questo intrà la sala sopravenne Monsignore. Volse sapere ciò si trattava; li fu detto il tutto et Monsignore disse: «io tengo carta che quelli ci lo diranno in faccia», et  dicendo tiri spagnuoli tra essi l’un l’altro si posero molto à ridere et non se ne trattò più.


19. -


Gio: Dios


Di più, portò un huomo con esso da Spagna, chiama[to] Gio: Dios, il qual di subito ch’arrivò à Girgente, lo fece visitare et sopra di delegato in Diocesi. Et si partì et conferisi nella città di Sambuca. Incominciò ad arrobbare publicamente che furno costretti ricorrere all’Arcivescovo di Palermo, et in fine al Vicerè, onde venute molte lettere che Monsignore ci lo mandasse in Palermo acciò desse conto del tutto: come stava che buoi, giomenti, muli, porci, frumenti, orzo, formagio et robbe tutte queste così rubbatole. Et vedendosi così affrontato il detto Monsignore lo fece imbarcare per Malta per non essere affrontato. Et doppò che fù arrivato in Spagna il detto Gio: Dios incominciò à dir male de l’ Episcopo che ci fece fare in sua diocesi, et doppò non fù  habile favorirlo, onde lo seppe suo cognato; fattoci lettere di riprensioni grandissime; se queste cose havessero arrivato all’orecchie, di subito l’haveria prohibito del suo beneficio, ond’esso con grandissima malitia investigò et scrisse che Jan Dios non è venuto per esso chiamato da S. E.; ma fù mentita perch’esso l’haveva prosecuto.  Essendo qua esso sindi fuggito, il che non fù vero et havendo havuto questa nuova, di subito voleva dare testimonij alcuni canonici con dire che Jan Dios era adultero et si godea Donna Petronilla sua criata. Li fù detto che non ne sapevano niente et se esso lo sapeva lo doveva castigare et proseguire quando era qua et non hora che è andato.


 


20. -


Gio: Dios


Senza nulla saputa del Capitolo fece fare una una lettera approbatoria del Consiglio falsa per la risposta, fatta di Spagna et curò ? con diligenza che Monsignore si prese il sigillo del Capitolo; sigillò la lettera confidandosi al Cancellere. Et questo si fece per non si sapere sua malavita. S’ha accompagnato con questi huomini delli quali sindi spagna (?) et lo portano dove vogliono essi che hanno rovinato questa povera Diocesi; che li poveri preti non possono più; se ne vanno fuori ad altra diocesi, finchè N.S. li provederà dal Cielo, cosa che non s’ha saputo à tempi antichi quello che si fà oggi.


Il detto frà Giovanni et frate Honofrio, per le gran lettere che vennero di Palermo dall’Arcivescovo et da S.E. che li volesse mandare di sua casa, che non conveniva à Prelati tener huomini così di mala vita, come non li mandò.


 


21.-


Fra Antonino.


Teneva uno in casa sua qual’era apostata reuscito (?) della sua Religione, chiamato nell’habito frate Antonino d’Amore dell’Ordine di Santo Domenico; prete, si faceva chiamare D. Francesco d’Amore, il quale lo fece molte volte delegato et fece tanti miracoli che altro. Xacca, il Burgio, Caltavellota et Chiusa tutto il giorno et notte non predicano, nè si può scrivere che si non era chiamato da questa Santa Sede Apostolica, come molti furno chiamati, di quest’habito haveria stato una gran rovina. Et era come un orso traditore: peccava di malo vitio et per questo effetto stette sette anni in galera; et non v’era peccato che non l’havesse adoperato. Monsignore, tutto così, lo favoriva.


 


22. -


Creati.


Il detto Monsignore hà proseguito molti suoi creati delegati et quelli mandandoli à pigliare à posta et provandoci con testimonij cosi mirabili, arrobamenti et sopra questi officij si facevano chimarare la tale et la tale donna per causa di testimonij, et doppò che erano ridotti nelle loro case, le violavano con andare li sudetti delegati di notte con liuti, tenendo gioco di carte nelle case loro. Quelli li pose carcerati et voglio fare et voglio dire con farci inventario di tutta la loro robba, pigliandoci quanti dennari havevano et dippò di là à pochi giorni erano tristi. Li fece delegati et sono al presente che dove passano ardino largo.


 


23. -


Homicidio.


 Et per essere costoro ignoranti se bene malitiosi et astuti al male, à molte parti fecero inciuntione à donne maritate, su pena di oncie dieci et della frusta che non dovessero pratticare con li tali et anco alla persona sospetta. Pervenendo questo a l’orecchie di mariti et parenti, da subito l’ammazzorno, come in Caltavillotta, che il marito ammazzò una donna honesta, senza peccato: non convenendo à persone far inciuntione per il gran pericolo dell’homicidio, come hà successo. Tutto ciò è stato causante il detto Monsignore che doveva mandar delegati huomini dabene et non figlioli tristi et di mala vita, onde che alle volte, senza peccato mortale, si partiro delegati à tarì quaranta, ad instanza del fisco, come fosse giudice della gran corte.


 


24. -


Usurpatori.


 Si dice che le giornate che fanno li delegati se le piglia Monsignore et per questo vanno tanti delegati il giorno che fanno un Perù et questo si verifica quando morì un beneficiale, esso si piglia tutti li frutti non toccandoci et lo povero beneficiale che viene vuol pagare duoi annate della pensione che deve della sua pensione, come si vede in Girgente alla parochia di S. Pietro, che se la riscote tutta esso et lo povero benefitiale non hebbe niente et si moria di fame.


Il simile ha fatto per la morte de l’Arciprete di Raxhalmuto di detta terra.


 


 


25. -


Disobediente della Sede Apostolica.


Il detto Monsignore per la gran cupidità  di dennari che tiene in gabelle li giorni festivi per tutta la sua diocesi et per queste donò, modo et causa, à quelli che tal gabella prendono d’arrobare essendo tant’alto il prezzo che c’impongono, non potendo esso Vescovo ingabellare tali giorni, stante esser così provisto dalla Sacra Congregatione de’ Cardinali. Et di quelli non si cura poichè quelli giorni festivi si devono esseguire da l’ordinarij delli luochi et dalli ad opere pie. Ma esso se l’imborsa.


 


26. -


Subornatore.


Il detto Vescovo suole suducere testimonij con darvi à mangiare et bere et offerirci dennari per sostentare loro famiglia  et giurassero quello che dice esso, come fece con Vincenzo Cillebba che lo fece giurare contra certi sacerdoti et canonici  dandoci à mangiare nel suo Vescovato in un suo camerino, mandandoci il mangiare con frà Gio: suo confessore. Et giurò come volse esso Vescovo. Promettendoci che da subito lo voleva scarcerare, lo lasciò un giorno carcerato: esso s’imaginò esser tradito; incominciò dire publicamente inanti tanti carcerati nel castello le carezze et l’intento che teneva lo sopradetto. Et doppò l’indomani l’uscìo et se lo portò à sua casa, tenendolo per servitore et creato, onde commessi certi delitti et fù appicato ad istanza di S.E. nella città di Girgenti. Et inanti ch’havesse morto, facendosi scrupolo di tal fatto, essendo in potere delli bianchi et di molti sacerdoti, canonici et secolari, declarò esso confitente che non fù mai quel che giurò  esser la verità ma bugia, dimandando perdono à chi haveva offeso, che ci fù fatto fare. Et quello diceva per sgravare sua conscienza.


 


27. -


Scommunicato.


Il detto Vescovo, essendo in Roma ad effetto per essere approvato Vescovo di Girgente, come fù, ottenne lettera dalla Sacra Congregatione delli Ill.mi Cardinaliche li frutti della Sede vacante si dovessero reversare al nuovo successore, qual portò sigillata more solito. Come fù in Palermo l’aprì et la presentò alla giurisditione temporale, facendola essecutoriare in Regno senza saputa del Capitolo et di subito il Capitolo, dandone di questo avviso, mandò in Palermo  à lor procuratore et da subito inviaro à S.S.tà, dal quale ottennero un breve da mons. Giusto che Mons. non movesse li canonici fin tanto che si determinasse in Curia et provassero l’horatori immemorab.e. Esso di subito fece intimare capitolo ad istanza sua mandando  il suo Vicario generale. Espose la sua volontà che voleva tre mille scudi della sede vacante, onde alcuni Canonici, havendo coscienza mala essendo huomini di mala vita et tenendo figlij et puttane come ci fossero moglie, campano come preto greci et per questo si contorno pagare come mancia seicento scudi. Alcuni Canonici volendone per la giurisditione capitolare spettare la sentenza di sua B.ne et doppò pagare quello toccava giusto et li sopradetti Canonici, quelli che ci davano tali dennari per questo e davano quest’offerte acciò non facesse indulto della loro mala vita passata et non se ne trattasse di niente, come fù, tenendoli al suo palazzo per consigliere, facendoci fare mille errori il giorno et agl’altri ci cominciò à processare, come appare per suppliche fatte all’Arcivescovo di Palermocome Metropoli, che per non consentire alla partedi questa sede vacante et fece questo aggravio à processare. Onde doppò con tutti haverli processato et esserci escarcerati da detta Metropoli, li compose et sequestratoci cosi debiti non obstante ancora esser deffinito il negotio in Roma dalla Santità di Papa Clemente Ottavo come supremo dittatore (?) et quelli se l’hà tenuto et tiene per forza.


 


28. -


Scandaloso.


Si desidera sapere se il diavolo  può celebrare et dir messaet se il Prelato se ne può servire famigliarmente come consultore et quel che dice esso si fà et facendolo  à chi sia tenuto.


 


29. -


Scandaloso.


Anco si desidera sapere se uno sacerdote constituto in dignità accettasse esserci dato il titolo dal diavolo et fare suo officio et di quello  si avanta tenendosi gloriosissimo appresso delli popoli; se esso può dir messa et se può tenere beneficio ecclesiastico. Et vedendo li popoli dir messa da lui, dicono il diavolo del Vescovo dir messa modo molto male et lo lascio considerare à cui spetta et provedere à chi può.


 


30. -


Cupido.


Il detto Vescovo non usa quelli termini paterni verso li prosecuti et contra di quello che dispone il sacro Concilio Tridentino et il Sinodo Diocesano, onde che à questi si deve fare prima, seconda e 3^ monicione inanti che li processasse; ma esso da subito prosequisce et quelli mette carcerati come appare nel Erario Fiscale essere ingarcerato. Et così si fà pagare à cui oncie dieci, a cui venti, à cui trenta, à cui quattro, et à chi tre, talchè  niuno mai è castigato ma si castigano burli et li popoli dicono mormorando: «non peccamo et esso se ni piglia li denari sui ledendo l’autorità sua.»


 


31. -  Il detto Vescovo, venuto che fù in Girgenti di fresco alla Chiesa, incominciò à mandar fuori del choro di detta chiesa molte persone che erano venute per ascoltare gl’officij divini, dicendo - esso Vescovo - che non conveniva los picaros con los nobles nè tampoco i prosecuti star inanti d’esso et l’inviavano carcerati, come fù una mattina vedendo la predica di quadragesima Don Natale Muserava et il medico Lauricella. Questi essendo carcerati à sua istanza dicevano: «noi tornamo carcerati per haver veduto la predica, non havendo lor fatto delitto». Et quello andando attorno, ogn’uno temeva venire alla detta Chiesa et si perse la frequentatione di detta Chiesa.


 


32. -


Pazzia


Il detto Vescovo, trattandosi di non si che atto di giurisditione della fera sopra le cosi comestibili et potabile, diede esso Monsignore ordine   sub poena di scommunicatione che nissuno si volesse traperre (?) alla fera, pigliandosi l’autorità temporale adesso non auditi (?) li   ..[giurati (?)] della città che erano soliti dar  la metà sopra le cosi sopradette acciò non arrobassero li poveri che vanno et vengono in detta fera, havendo l’occhio alli poveri mandano in Palermo à S.E. dove fù previsto  dal Real Patrimonio li giurati haver di far questo et  non il Vescovo come appare per lettere executoriate nella detta città. Da subito li Giurati fecero exeguire quanto ci fù imposto. Il detto Vescovo, doppò haver veduto questo, si mosse et disse li Giurati c’erano incorsi in excommunicatione: così infamò la città di Girgenti, fugendo sin à Caltafaraci, loco molto vile, dove si dava herba à cavalli à tempo de state. Et doppò un esserli supplicato, chiese che se ne volessero venire, seppe che la città se ne voleva venire à pigliare in forma di città . Esso Vescovo se ne fuggì al Chiuppo ad una mandra in mezo d’huomini di fori svilendo sua dignità. Illà concorsero molti gentilissimi cavaglieri et Canonici ad espronarlo che se ne volesse venire. Et illà, in campagna, tra case private, sopra tavole et buffetti che servivano da mangiare, faceva dir messa come se fosse stato Papa. Onde  et inde era scandalo molto non vi essendo chiesa né oratorio à tal effetto. Et quelli non volendo ascoltare, il sopradetto se ne fuggì à Cammarata à stare à S. Jo:, onde fù costretta la città farne di tutto consapevoli. Mandò duoi giurati con grandissime spese in Palermo à S. Ecc.a et fattoli ad indendere il tutto si fece assemblea di diverse parti, concludendo Monsignore haver il torto et li giurati non haver incorso in scommunica. Et in quella sua mala opinione, si partiro li giurati con grandissimo honore. Il Vicerè, come luoco tenente di S. Maestà, hebbe molte lettere acciò l’informasse perchè causa s’è partito da sua casa et lasciato sua residenza; se qualche inconveniente havesse stato illecito contra esso, voglia far esperienza di giustizia. Li rispose, per esser infermo voglìa mutar aria simulando perchè spettava la venuta del Duca di Machina che vuol rovinare tutti li giurati con grandissimo animo et odio. Li suoi creati questo publicaro in una processione. Onde si tiene huomo et prelato di molto poca conscienza et poco sapere. Da subito il Vicerè fè lettere al Vescovo con il regio patrimonio, che di queste cose vili che faceva n’erano per scrivere à S. Maestà, onde tre Canonici da bene et molti amati dalla città ci  disposero haver sentito questo farlo venire acciò non si sapessero queste calamità et miserie. Trattano in somma la pace con la città et con il Vescovo et fatta la detta per lettere, da subito se ne venne, onde la città ci fece tanti regali che non gl’ha fatto giamai à nissuno prelato. Con un’entrata pomposissima mandò la città otto cavaglieri fin à Cammarata, duoi giurati con molta compagnia di cavaglieri fino alla metà del camino, facendoci un solenne banchetto. Vi fù il Barone di Rafadali come Capitan d’armi in guerra et vennero in compagnia molti ss.ri Canonici et preti, facendoci  battagliare inanzi che lo incontrassero. Doppò fattoli la debita riverenza, se lo posero in mezo; gridavano con lagrime: «Iddio sia lodato che s’è fatta questa pace.» Li sacerdoti et clerici erano in processione;  per spatio di sei miglia si vedeano un’esercito di clerici. Onde, doppò, nescì il Sig.r Barone di Cianciana con il sig.r  Buvalandro, Barone di Montechiaro, Jurati in forma di città et li fecero tanto honore che non l’hanno fatto à nessun Vescovo.


Di poi haver scorto per spatio d’un miglio un corpo di vita pontificale, con molta compagnia di cavaglieri, con li maschi, trombette et tabale lo ricevero sotto Santo Petro et li fecero profondissima riverenza, non guardando à sua ingratitudine et infamia che l’haveva dnato ma all’’obedienza apostolica et à quella havendo l’occhio. All’entrata della città vi si trovò l’infanteria con sue bandiere spiegate et tabale. Facendo segno d’humiltà, sparavano et s’inchinavano spettando al prelato, non à sua persona - che non lo meritava. Inanti ch’entrasse la porta, sparò molti maschi che mai fù tale preparatorio. Et così lo condussero per tutta la città con grandissimo honore, facendo salva nell’entrata del vescovato. Li popoli dicevano. «Iddio sia laudato che habbiamo fatto raccogliere il Vescovo». Et di tutto questo  murmoro et mal’essempio fù lui causa. Et passando pochi giorni, quelli poveri Canonici che fecero fare questa pace non li potè più vedere. Si servì, come si servì, di quelli che ci consigliavano che non c’havessero venuto acciò havessero esseguito loro mala conscienza et stare senza timore, dimostrando alli poveri clerici et sacerdoti essere tali lupi affamati. Tutto questo fece la città per dare loro intendere, ad esso et à tutto il mondo, ch’erano catholici come sono et come diceva esso che pigliava le cose al contrario, onde il Vicerè con il Real Patrimonio  l’hebbe molto à caro et se bene l’haveva maltrattato tuttavia l’accettavano come padre et pastore et non come persona odiosa.


 


33. - Il detto Vescovo, facendo la visita, conferito che fù à Chiusa  per li mali huomini che teneva et tiene, tenendo cresima in la maggiore Chiesa, li suoi creati stando alle porte, festeggiando certe nobili donne, s’avvidero li parenti, dove vi fù tumulto di popoli; sonorno campane all’armi et se non si salvavano in detta chiesa l’haveriano ammazzato dove era esso. Onde un suo creato dalla bocca per spatio di molti giorni mandava sangue et esso come levantino et subito interdisse la terra. Onde recorsero in Palermo li detti popoli, hebbero la gratia et con suo affronto sonaro le campane all’arme, facendo festa. Lo tennero et tengono per volubile et quasi pazzo et per questo s’ha  visto esso che doveva far guerra non và più in visita et per questo manda li suoi visitatori.


 


34. -


Usurpatore


Il detto Vescovo per tutta la sua Diocesi hà levato molti beneficij semplici con molto scandalo come fù per S. Stefano. Levata l’entrata alli padri di S. Domenico senza esser intesi, spogliò dove fù grandissimo rumore et scandalo di popoli havendosi ribellato, levando il pan di tanti servi di Dio per conferirlo ad un figliolo che non sà scrivere il suo nome. Così ha levato molti altri beneficij con obligo di messe conferendoli à suoi creati, dicendo che ci sono troppo messe in questa chiesa. Et così fà dove và facendosi cognoscere per  huomo odioso. Et proprio ad ogni terra che ciò fà guerra et scandali molti che non si possono scrivere.


 


35. -


Pazzo


In Xacca ci furno fatti molti regali et bellissimi banchetti da molti cavaglieri et genti illustri. Et come fù al fine del mangiare, promise portare et transportare la sede episcopale in Xacca, onde incominciò à disegnare l’episcopato dicendo quà è buono stare l’episcopo  che lo regalano muccio. Il simile fece in Naro, voleva trasportare la sede et illà voleva a S. Maestà che havria fatto quanto esso havrebbe voluto contandoci proragia. Quelli ss.ri vedendo questo cui ci offerse casa di tre mille scudi et cui dennari; la città ci offerse non sò quanti dennari contanti. Esso respondeva: «Io son obispos di Naro et non di Xuvento perchè  quelli sono heretici», alli quali publicamente li chiamava et l’infamava. La cui è stata et è sempre Catholica patria, onde per le parole sue connobbero essere huomo molto leggiero et inhabile à tal dignità dicendo queste parole inanti tanti ss.ri Baroni et sacerdoti honorati et discorse molte parole contra S. Maestà Catholica come appare dalli Giurati di Girgenti, havendo scritto à S. Maestà Catholica, contra di cui ci diede il pane standone tutti attoniti et meravigliati, non solo essi cittadini, ma anco tutto il popolo.


 


36. -


Disobediente


 Per il mal’essempio che hà dato di sua vita e stato mirabile, le  cose ch’ha fatto non potremo noi altri Cavaglieri esplicarle nè narrarle con bocca, ma li diciamo esser bisogno che fossimo lettori un paro d’anni per legerci  cose nuove et stupende, onde negli altri - come hò detto di sopra - non  obedisce nessuno , non stà à legge. Ha fatto nel suo cortile fare guioco del toro con la ... in mezo cen..(?), dalli santi Dommi et ecclesia prohibito et esso stare ad una finestra che dava al detto cortile et ordinava come dovevano fare, ridendo dosirdinato, onde ne fù  causata molta meraviglia et scandalo.


 


37. - La vita sua la spende con huomini vili et con quelli mangia, come per la città, che da molti si è visto trasere che à sua dignità non conveniva, dimandando di fare colatione et smersare (?) alli casi di barbieri vili et dicralij (?) di detta corte, essendo persone vili, facendoci collatione. Anzi alla sua tavola si vidde una sera à Pinnavaijra, fossaro vile, vestito di lana, in compagnia del Capitanio et di molt’altri, et il detto fossaro lo burlava alla tavola; diceva à detto Vescovo: «Monsignore mio, vivi et con la bocca ci faccio il pidico (pidito ?)». Saputosi la mattina per la città  conclusero essere huomo vile, indegno, immeritevole di tanto bene. Andando à star fuora come si vide alla vigna di edtto Pinnavarija, si pose che all’hora havendo finito di mangiare, fece collatione con il pane di Pinnavajra et notorio nigro come un panno, fomaggi, radici et cipolle zuppe ad un fiasco che fù spasso per tutta la città et ogn’uno s’ammormora di tal fatto.


 


38. -


Scandaloso


S’hà visto molte volte con il suo nano buffone  mandare à chiamare ad una giovinetta, mogllie di un suo creato choamato Roderico, giovane molto bella: quella con sua madre suole entrare nel Vescovato fin alla sua camera dove stà esso, in presenza di molti, onde non si hà potuto sapere quel che facevano, sebene dava molto scandalo et murmuro, che ci doveva parlare publicamente fuor dal vescovato, non andandoci occulto: Ma alla fine del Vespro all’hora che li parrini andavano à detta chiesa, havendo molte vesti nobili di drappi di seta, essendo essa vilissima et povera, s’imagina che esso ci l’habbia fatto con molto scandalo.


 


39. -


Sordido.


Delle cosi delli paramenti dell’Altare n’è indevoto che si vedono le tovaglie lordissime, standosene li mali suoi sporchi paggi, tenendoci piatti da mangiare di sopra, vedendosi tovaglie svoltate et strapazzate, pendendo una merà in terra et l’altro per aria, lo pariete dell’Altare stando nudo, il paraltare stracciato, non essendo suo ma della chiesa maggiore, con haverci così mala cura che ci dormono li daini la notte, animali sporchissimi, non convenendo à tal luoco.


 


40. -


Cupido.


Soleva publicamente in Santa Maria delli Greci far cavare un thesoro chiamato Bradamanti sotto un campanaro, facendo una cava tanto grande che per il gran peso del campanaro fece moto di cadere onde à N.S. non piacque. Soleva partirsi dal Vescovato solo in detta chiesa, facendosi dar le chiavi, con timore delli confrati, per cavare quella moneta, contra la pragmatica ch’all’hora v’era, con grande scandalo.


 


41. -


Cupido.


Soleva anco andare allo steri con donne vili et far cavare, volendo trovare il thesoro delli Chiaramonti credendo pure à sonni. Et quando si dicevano gl’offitiali divini, ch’esso non poteva andare, per non essere visto mandava il suo confessore fra Gio: et doppò finiti gl’officij, per essere la chiesa fuori di conversatione, andava esso et non era visto eccetto da duoi cittadini et forestieri, onde li suoi creati facevano molti peccati con certe donne. Et si diceva per la città: «Il Vescovo fà cavare una moneta nel steri et per questo ne pervenne morte». Havendo  andato una donna à veder questo li fù imputata che Christoforo, suo nigromante, che hebbe conservatione carnale. Et lo diceva la predicatora ad alcune donne. Lo seppe lo marito et la mandò fuori di questa vita, come appare in quella Città di Girgenti notizia di tutti.


 


 


42. -


Cupido.


Il suo nigromante Christofaro andò à cavare per sonni di questa donnamaga, chiamata la predicatora, sopra la Favara et trovò li signali che disse essa. Esso Vescovo cavalcò, andò via, con grandissimo scandalo, dando credito à sonni.


 


 


43. -


Scandaloso


Si diceva che il suo nigromante faceva fare il lapis philosophorum per i sogni che si vedevano scandalosi, onde lo ingannò: si prese molti denari et se ne fuggì, lasciandoci appresso il popolo malo nome di Prelato, attendendo alla pecunia et con mala coscienza con quelli pratticava.


 


44. -


Cupido - Archimista.


Fece venire un distillatore che distillava notte et giorno. Ci voleva far far acque à proposito per fare oro et argento: voleva far fare quinti essenze quali Dio non volse farvi recusare. Restò burlato  et ne vennero molti scandali, mali inconvenienti et murmuri delli popoli.


 


45. -


Cupido - Archimista.


Si prese un argentero per far plattas et aniglios à sua persona, onde mai potero forgiare et finire una borstta. Si dice per la città che faceva l’archimia, non convenendo à prelato.


 


46. -


Scandaloso


Il detto è stato murmurato, essendo prelato et non convenendo alla  sua decenza ch’inanti il suo letto dormisse un paggio sbarbato per guardia.


 


47. - Il detto Monsignore fece il suo vescovato macello publicamente. Si faccia vacche, bovi, iuvenchi et vitelle contra il ben commune, che v’è prammatica Regia non si poter sfare vitelli acciò il Regno augumentasse li bestiami et si potesse seminare con facilità. Et esso publicamente quelli sfaccia molte il giorno facendo perdere al prossimo la gabella delle carni alli gabellotti Regij et quelli lamentandosi di questo li voleva carcerare, ricorsero à S.E. . Vennero lettere  riprensive  che non doveva far questo stante che l’officio del prelato non essere bucceri et cupido di dennari onde  non ne fece più in sua casa et li faceva sfare in  [...]


del suo diavolo per non essere soggetto à nissuno, nè vennero pur lettere et si quietò.


 


48. - Teneva à questo effetto un huomo di pessima vita chiamato Mattheo Tauro che in Xacca se ne predica. Et huomo così malo non s’hà saputo et quando questo non arrobbava diciva che hò dar guadagno con mangiare la sua casa di carne franca ce lo pneva carcerato. Et questo diciva molte volte inanti li Canonici dicendo: «se vuole che arrobbi che voi che faccia.» Fù accusato à S.E. ; vennero lettere che l’havessero per le mani et il detto Vescovo lo fece fuggire et non si sà s’è vivoo morto per non si sapere quanti furti fece, trovando robbati molti bistiami in Xacca. Ebbe molte scopettate alla Sambuca, molte ferite mortali et guarì facendolo delegato. Ebbe questo et per passare charitativamente inanti, stette molt’anni carcerato con haver tratti di corda, tre anni con ferri à piedi. Homo molto di poca conscienza che per un tarì  haveria ammazzato cui voleva esso. Diceva il detto vescovo «costui  è hombres mirables che fugge gl’huomini da bene.»


 


49. -  Questo se verifica che fuggì al Sr Decano, huomo molto di santa vita, come sua fama sia per tutto il mondo, con il sig.r D. Raymondo Canonico Theologo et predicatore, huomo di molti beni, essendo sua vita esperimentata à servire Iddio. Et anco il sig. D. Vito Belguardo canonico, huomo da bene, intiero alla s.ta Chiesa et da bene alle cose dello spirito et molti altri canonici  che seguitano. Cotesto SS.ri s’ha ributtatp et non li vuole vedere come son fatti. Per dirci la verità et ammonendolo di alcune cose che non convengono à prelato, l’ha voluto male. Si serve d’huomini di pessima vita facendo il suo diavolo fiscale acciò sapesse tutte cose di tutto. Si diletta ininfamar il prossimo, natare fra peccati et sapere la conscienza di questo et di quello di d. Thomaso di Leto, il quale doppò ch’è sacerdote et canonico  è stato et stà con figli mascoli et femine, maritandole publicamente in sua casa et quella inanti di tanti parlava con consarci la gulera del collo come se fosse stata moglie vivendo da parete greco. Non dice mai messa, eccetto le feste mobili. Gl’altri li tace meno acciò, quando à Dio piacerà trovassero cose stupende; che in Ginevra non si fanno tal cose. Questi abbraccia et di questi si serve con il suo Vicario Generale, facendoci entrare gran dennari arrobbati.


 


50. - Costui dona credito à sonni et cose d’incantesimo che essendoci detto che in S. Nicola c’era un thesoro et per apriresi l’incanto ci voleva il Vescovo vestito  à modo come diceva messa et doppò bisognava ragliare à modo d’un asino et così s’apriva l’incanto et si pigliava lo thesoro et così havevano l’intento. Dicevano che vedevano nell’aria certe sperone d’oro con [oro e soldi?].  Gli fù adivertito d’un huomo da bene et così si stette.


 


 

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