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mercoledì 2 dicembre 2015

Nella permanenza ad Agrigento, l’On. Starace ebbe modo di incontrarsi con due uomini politici: l’on. Abisso e l’on. Cucco; del primo ne consolidò la fortuna, del secondo ne stabilì l’umiliante radiazione dai ranghi (almeno sino al 1939). La lotta alla mafia non c’entra affatto. Diversamente la sorte dei due politici siciliani doveva esse parallella, identica essendo la radice mafiosa.
L’on. Abisso fu tanto camerata dell’On. Starace da seguirlo in scandalose frequentazioni di donnine romane. Le spie di Mussolini riferivano. Ma senza effetto.


 


Abisso Angelo


E’ figura centrale dell’agone politico agrigentino, almeno dal 1913 sino al 1933 quando il nobile Gaetani diviene federale di Agrigento. Equilibrismi polticici, repentine conversioni, tradimenti, trasformismo determinano un effetto alone sul personaggio, che resta equicoco, indefinibile, moralmente opaco. Ciò trascende l’angusta economia di questa ricerca per il doveroso approfondimento.


Al nutrito partito di fiancheggiatori - sprezzantemente chiamati abissisiani - si contrappone quello dei denigratori ad oltranza. Nelle carte di archivio abbondano le denunzie, le calunnie, le insinuazioni. L’on. Abisso finisce nell’osservatorio della Segreteria particolare del Duce che apre a suo carico un folto fascicolo informativo. ([17]) Il potente amico Starace riesce, in ogni caso, a parare i fulmini mussoliniani. La stella politica di Abisso potè appannarsi alla fine, ma non si oscurò per tutta la durata del fascismo.


D’Andrea Calogero


Nato a Campobello di Licata (Ag) il 30 maggio 1877, si laureò in giurisprudenza. Fu avvocato ed insegnante. Partecipò alla guerra del 1915-18 col grado di capitano, poi maggiore di fanteria. Iscrittosi al fascio il 20 novembre 1922, fu preside dell’Istituto Tecnico di Agrigento. Rivestì anche la carica di Vice Preside dell’Amministrazione Provinciale di Agrigento. Non aderì alla R.S.I.


 


Basile Carlo Emanuele


 


nato a Milano il 21 ottobre 1885, morì a Stresa il 1° novembre 1972. Barone plurilaureato (giurisprudenza e lettere), giornalista e scrittore, era figlio di un prefetto. Fu nominato senatore. E’ autore di romazi e novelle. Aderì alla R.S.I. e fu quindi prefetto di Genova dal 25 ottobre 1943 al 26 giugno 1944. Ebbe l’incarico di sottosegretario alle FF.AA dal 27 giugno 1944. Venne ad Agrigento come commissario straordinario di questa federazione per consentire una svolta in termini di affrancamento dalla influenza dell’On. Abisso. Vi restò dal 14 gennaio 1931 fino al 17 aprile 1931. Passò le consegne alla scialba figura di Vincenzo Morello di cui sappiamo che fu fascista fin dal 1920. L’11 giugno 1932 viene sostituito da Corrado Puccetti: da questo momento la vicenda della federazione agrigentina esula dai limiti della presente investigazione storica.


 


Quale giudizio può formularsi sul primo quindicennio del fascismo agrigentino (1921-1926)? Ci pare illuminante, pur nel suo settarismo e nella passionalità per il ribollire delle passioni del tempo, la sguente anonima delazione che si rinviene nella carte ministeriali romane ([18]):


«La storia politica della provincia di Girgenti, [Girgenti cambia denominazione in Agrigento durante il fascismo, nel 1927, con il r.d. 16 giugno 1927, n.° 1143, n.d.r.] specie nell’ultimo quindicennio, rappresenta quanto di più deplorevole possa esservi nella vita pubblica italiana. Sparitò l’on. Nicolò Gallo, che dal 1884 ne fu quasi ininterrottamente il dominatore, il suo posto venne assunto dall’on. Domenico De Michele. Costui, ch’era stato del Gallo il luogotenente fedele non aveva di lui né l’ingegno né la dottrina né l’ascendente, ma seppe mantenersi al potere col favore di S.E. Giolitti, del quale fu seguace fedelissimo, e creando attorno a sé una rete di interessi e di interessati. Contro questa oligarchia, bollata col nome di cosca, insorsero le forze nuove della Provincia ch’ebbero come principale loro esponente Giovanni Guarino Amella. Sono ancora ricordate le polemiche, spesso virulente, dell’organo dell’opposizione “IL MOSCONE”, nel quale al De Michele ed ai suoi seguaci si fecero le accuse più atroci e più infamanti.


 


«In tali consizioni di cose venne l’allargamento del suffragio e vennero le elezioni del 1913, nelle quali le forze dell’opposizione riuscirono vittoriose e furono eletti deputati Giovanni Grarino Amella, Antonino Parlapiano Vella e Angelo Abisso. Costui, fino a pochi mesi prima semplice segratario al Ministero dei LL. PP., aveva compreso l’enorme capovolgimento che il suffragio universale avrebbe prodotto nelle imminenti elezioni e , dimessosi, si era lanciato a capofitto nella lotta, aggregandosi alle file dell’opposizione, ma proclamandosi “individualista e simpatizzante per i socialisti (discorso politico del 1913 a casa Gerardi)”


 


«Ma l’opposizione, divenuta maggioranza ed impadronitasi del potere politico ed amministrativo in provincia, non credette di meglio che di .... seguire i metodi dei precedenti padroni, anzi di perfezionare e incrementare tali metodi. Il nepotismo più sfacciato, il favoritismo più aperto furono regola di vita per essa, e poichédopo pochissimo tempo scoppiava la guerra, se ne trasse motivo per inaugurare in provincia il più sconfinato dispotismo. Messo da parte l’on. Antonino Parlapiano, che per temperamento e per tradizione non era adatto a seguire in tutto e per tutto i metodi della nuova cricca, questa s’imperniò sul binomio Guarino-Abisso, i quali durante la guerra furono i dominatori incontrastati di tutti gli organi amministrativi, statali e parastatali della provincia. Non solo l’amministrazione provinciale propriamente detta e quella dei varii comuni passò nelle loro mani ed in quelle delle loro creature; non solo per avere più incontrastato dominiol’on. Abisso ad es. Tenne a Sciacca, malgrado il Consiglio comunale - pu da lui eletto - non fosse sciolto, un Commissario prefettizio di sua scelta per ben 5 anni; ma Consorzio granario, Commissione esoneri, Consiglio d’amministrazione del Banco di Sicilia etc. etc. Commissioni militari di requisizione furono accentrati nelle loro mani direttamente o a mezzo di persone parenti od amiche. Quello che fu fatto al Consorzio granario, gli scandali delle varie Commissioni di requisizione, nelle quali era magna pars il comm. Lo Dico odierno alter ego dell’on. Abisso in quel di Girgenti, non hanno bisogno di illustrazione, perché ancora se ne occupano le cronache dei tribunali con i varii processi, ancora non chiusi, di truffe, falsi e malversazioni a carico dello Stato, commesse tutte sotto le grandi ali dei due grandi patroni della provincia. E mentre i due facevano a Roma professione d’interventismo, e l’on. Abisso indossava la divisa di tenente del genio ma, sebbene appena trentenne, non andava al fronte pur facendosi bello dell’amicizia di Valentino Coda (dove mai l’ebbe a conoscere resta sempre un mistero!); a Girgenti e Palermo si cooperavani per imboscare il maggior numero di gente, fratelli, cognati e cugini; per esonerare come agricoltori barbieri e murifabbri, e per difendere avanti ai tribunali militari il maggior numero di disertori o di falsificatori di esoneri. La cronaca del tribunale militare di Palermo informi. Si cominciava così da parte dell’on. Abisso a creare quella leggenda d’irresistibile avvocato penalista, che, stabilitosi pieno ed intero il suo dominio politico, gli doveva assicurare il monopolio delle Assisie di Sciacca e Girgenti e la fama di “detentore delle chiavi del carcere”.


 


Appartiene a questo periodo la persecuzione inflitta dall’on. Abisso, attraverso a tre inchieste tutte quante negative, ad un capitano - Gravina - reo di aver preso in contravvenzione lo zio di lui Friscia per vendita illecita di grano requisito; contravvenzione sfumata per il tempestivo intervento del Commissario dei Consumi che svincolava “a posteriori” il grano venduto. Ed appartengono a questo periodo i contorcimenti politici dell’Abisso e la smargiassata della “messa in stato di accusa dell’on. Giolitti per altro tradimento” da lui chiesta a S.E. Salandra e da questi qualificata come una semplice “sciocchezza” del deputato di Sciacca. Ciò che però non impediva, all’on. Abisso, al feroce interventista del ‘15, di divenire, appena Giolitti tornò al potere, di divenire un giolittiano ferventissimo, anzi il luogotenente generale dell’uomo di Dronero in quelle famigerate elezioni del 1921, e di chiedere e di ottenere da lui, alla vigilia dell’elezioni istesse, la nomina a commendatore motu proprio, affissa poi  subito alle cantonate di Sciacca e provincia col relativo telegramma di S.E. Giolitti.


 


«Venne il dopoguerra e venne di moda il bolscevismo. Ed allora Guarino ed Abisso, ma questi più del primo, entrambi però sempre in combutta tra di loro, provvidero a dare alla provincia di Girgenti il saggio migliore e maggiore del’opera bolscevica.  Le occupazioni delle terre di Ribera e Menfi, ma sopratutto quelle di Ribera, col tentato sequestro del Duca di Bivona e con i vandalismi conseguenziali, furono opera diretta, ispirata, suggerita e talvolta predisposta dall’on. Abisso. Il quale arrivò persino ad ottenere che l’autorità politica impedisse l’esecuzione delle sentenze del magistrato (come per il rilascio del feudo Scifitelli disposto con sentenza della Corte di appello, ed impedito dal Prefetto di Girgenti!). Né si dica che ciò egli abbia fatto per venire in soccorso ai combattenti, perché di tali occupazioni poco o nulla si sono giovati gli autentici combattenti e le terre, quando non sono state retrocesse ai proprietari per inadempienza delle pseude cooperative da lui create, sono andate a finire in mano a gente che la guerra non vide neanche da lontano. Esempio la lottizzazione dell’ex feudo Nadore in quel di Sciacca, dell’ex feudo Fiore e Bertolino di Menfi; e, uno per tutti, l’esperienza disastrosa della celebre Cesare Battisti di Ribera.


 


Intanto alla Camera il binomio, per sorreggersi, seguiva una linea di condotta veramente meravigliosa. Data l’instabilità dei governi, i due, per trovarsi a cavallo, non votavano assieme se non quando l’esito della votazione era sicuro; ma quando si trattava di votazione incerta i due demo-sociali (giacché Abisso aveva finito per rinunciare al suo individualismo e seguire l’amico Guarino anche nel partito di S.E. Di Cesarò) o si dividevano votando uno contra ed uno a favore, oppure, mentre l’uno si squagliava, l’altro votava a favore. Così i due poterono rimanere ministeriali con tutti i ministeri ed essere fautori e sostenitori di quei Governi imbelli del passato, contro di cui così spesso e volentieri, con riconoscenza ammirevole, ora si scaglia ogni tanto il fascista on. Abisso. Il quale una sola volta dovette passare per oppositore, quando cioè l’on. Nitti, accortosi ch’egli erasi prudentemente squagliato in una votazione non volle accettare le congratulazioni che s’era affrettato a fargli dopo conosciuto l’esito favorevole del voto! E ministeriali furono persino col ministero Fatta [Facta, n.d.r.] del quale uno dei due avrebbe volentieri fatto parte se i popolari non si fossero opposti facendo a loro preferire il La Loggia.


 


«Intanto il movimento fascista andava montando, e lo Abisso, sempre tempista e previdente, disponeva che nei varii comuni della provincia sorgessero delle sezioni fasciste composte da persone a sé fide, ma di seconda mano; gente di scarto e sfiduciata al doppio scopo d’impedire che la gente per bene potesse accostarsi e far proprio il movimento e di poterlo sconfessare, e buttare a mare gli esponenti stessi senza sua compromissione, ove il movimento fosse fallito. Né appena avvenuta la marcia su Roma egli permise che quelle sezioni s’ingrossassero  sia con elementi proprii, sia permettendo l’ingresso di altri elementi estranei alla cricca, non essendo sicuro che il regime potesse consolidarsi. Ma quando capì che esso ormai durava, allora fece il gran passo, si separò dal Guarino ed entrò nel fascismo con tutti i suoi adepti.


 


«Da quel giorno è stata sua cura costante non solo di sfruttare nel modo migliore, a vantaggio proprio dei parenti e dei gregari, la sua posizione dominante; ma sopratutto quella di allontanare dal fascismo tutti coloro che gli potessero dare ombra costringendo l’elemento migliore della provincia o a fare del dissidentismo o a starsene a casa o a passare addirittura all’antifascismo. Del resto non potrebbe essere diversamente. Infatti in provincia il fascismo non esiste, come del resto non esiste antifascismo: non c’è che dell’abissinismo e dell’antiabissinismo. Anche coloro che odiano il fascio possono esservi ammessi purché passino sotto le forche caudine dell’omaggio e dedizione ad Abisso ed ai suoi luogotenenti. Di esempii se ne possono citare a migliaia, ma noi citeremo i più gravi ed importanti.


 


«Sciolto il Consiglio comunale di S. Stefano Quisquina, poiché i veri fascisti di colà non erano da lui benvisti, egli volle che il Fascio fosse rappresentato dai sigg. Vincenzo Ippolito e Con osservanza., cioè dagli autentici maffiosi del luogo. E costoro ebbero l’amministrazione comunale e furono i padroni del paese finché, passati sinceramente o no poco importa, al fascismo i socialisti del luogo e denunciato in alto loco i precedenti degli amministratori scelti dallo Abisso, costui fu costretto di abbandonarli al loro destino.


 


 


«Così in Alessandria della Rocca non ha esitato a silurare i vecchi fascisti del luogo, rei di poca arrendevolezza a lui, per accogliere e mettere al loro posto un suo ex-compagno demo-sociale reduce dal comitato aventiniano-matteottiano di Girgenti.


 


«Né basta. Abbattuto il La Loggia egli non ha esitato a fare rivolgere invito ai partigiani di quello perché passassero nelle sue file, e bastò che il dott. Traina di S. Margherita, anifascista nell’anima, si ponesse a sua personale discrezione, perché egli senz’altro gli lasciasse il dominio del paese abbandonando i suoi vecchi compagni, che rappresentano il minor numero.


 


«Quello però che dimostra viemmeglio quale sia lo spirito che anima lo Abisso, è dimostrato dal suo accordo col’ora defunto on. De Michele. Costui, dopo la caduta, era passato nelle file del La Loggia di cui fu fino ad ieri il seguace più ostinato, anche perché i Baiamonte suoi oppositori nel paese natìo di Burgio erano passati al fascismo.


 


«Caduto il La Loggia, il De Michele fece degli approcci per passare al fascismo, e poiché i Baiamonte avevano mostrato di avere delle preferenze per il prof. Noto Sardegna, inviso allo Abisso perché a lui superiore per intelligenza, cultura e ... tutt’altro, questi non esitò a dimenticare il passato e ad ammettere il De Michele nel direttorio provinciale dietro promessa di appoggiare, contro Noto, certo Ciaccio un vero Carneade di Sambuca, come possibile candidato del Collegio di Bivona. Ed i Baiamonte furono cacciati in galera!


 


«Del resto che lo Abisso faccia del fascismo a suo uso e consumo lo dimostra un fatto per quanto piccolo e materiale: a Sciacca, sua cittadella, si sono spese dal Comune fior di quattrini per creare un lussuoso circolo ANGELO ABISSO, che tutti i fascisti, sopratutto se impiegati, debbono frequentare; mentre per la Sezione del Fascio esiste una stanzetta angusta che sta quasi sempre serrata.


 


«Non parliamo poi dei criteri amministrativi seguiti al Comune di Sciacca. Due Consigli comunali, sebbene da lui eletti e composti tutti suoi gregari, si sono dovuti dimettere rei soltanto di aver voluto qualche volta ribellarsi agli ordini dello zio Salvatore Friscia, un ex-rappresentante che ha monopolizzato, durante la guerra attraverso al monopolio dei permessi d’esportazione, ed oggi attraverso altri sistemi, il commercio locale, e che crede il Comune essere cosa sua personale. Ed oggi si propone come podestà un impiegato di prefettura, mentre non mancano nel partito gente idonea alla carica, per il timore, confessato, che queste possano avere, dopo nominate, delle velleità d’indipendenza agli ordini delll Abisso e del suo luogotenente!


 


«Del resto lo stesso sistema si segue negli altri comuni. A Menfi alter ego dell’Abisso, è certo Volpe, un contadino semi analfabeta, ma esecutore fedelissimo degli ordini ch’egli gli dà e suo rappresentante ... anche negli affari professionali; a Girgenti domina incontrastato in suo nome il Comm. Lo Dico, reduce dei fasti delle Commissioni di requisizione, e che pur essendo un semplice procuratore legale NON laureato, divide con lo Abisso i maggiori trionfi in Corte d’Assisie.


 


«Perché poi la piaga maggiore che il dominio di quest’uomo ha portato in provincia, è la difesa assunta della peggiore delinquenza, l’esautoramento completo della giustizia. [...] [Anonimo del 14.10.1926, n.d.r.]»


 


 


Lo spaccato è senza dubbio tutto in negativo e va accettato per quel che vale: ma qualche luce la riverbera sul quel periodo. Uno dei suoi limiti più vistosi è quello di limitare lo sguardo critico alla sola parte occidentale di Agrigento. Per la restante parte disponiamo di altre carte riservate, anonime ma informate, che ben si prestano a fornirci altri spunti critici.


L’anonimo proviene da Naro ed è datato: 15 settembre 1931.  Qui viene presa di mira la fazione dell’On. Riolo.


 


«Eccellenza - esordisce ([19]) - In nome di sedicimila coscienze, ancora non vendute né aggiogate al carro del banditismo locale, si ha l’onore di farVi conoscere quanto segue:


 


«La Sezione del P.N.F. venne istituita in Naro nel Novembre del 1922 da pochi giovani animosi, di pura fede nostra, i quali per riuscire SOLAMENTE AD ACCAMPARSI tra le rive di questa mefitica palude politica dovettero sfidare tutte le ire e scavalcare tutti gli ostacoli, opposti al loro sano e santo entusiasmo dagli altri Partiti locali, in modo specialissimo da quella vera associazione a delinquere che fu il così detto partito della democrazia social massonica.


 


«L’avvento del Fascismo al potere avrebbe dovuto segnare la scomparsa di quella più vera e maggiore piaga di Egitto, ma le prepotenze, le intimidazioni, le corruzioni, l’intrigo fecero sì che la “COSCA” provinciale (facente capo allora all’on. Abisso, capo riconosciuto di tutta la mala vita urbana e rurale) si mantenesse a galla e così nella prima elezione politica fascista (1924) l’avv. Salvatore Riolo Specchi venne compreso, tra lo stupore e la indignazione di tutti, nella lista Nazionale.


 


«Conseguenze dirette della candidatura e quindi della elezione di questo oscuro satellite abissino furono:


1°) = L’ingresso di tutti i demo social massonici nella sezione del Partito Fascista di Naro;


2°) = La caduta del direttorio locale e la sostituzione di tutti i membri di questo, per imposizione del Deputato, con elementi di pura marca Riolana;


3°) = L’automatico allontanamento dalle cariche e anche dalle fila del Partito dei fascisti della prima ora.


 


«Da quel giorno sino ad oggi tutto l’immenso ritmo fecondo di idee e di opere del regime è stato costretto a vivacchiare, in servitù sterile e semi-boccaccesca, tra una parete e l’altra dell’allegra dimora della signora TITA RINALDI RIOLO la quale ha voluto dividere col marito, assiduamente, l’onere e l’onore di governare le sorti e la storia nuove del paese, ad esclusivo beneficio della sua famiglia naturale e politica. Da allora sino ad oggi, senza uno scarto, senza rossori, con la medesima flemma vuota e sorniona, tutte le cariche del Partito, distribuite patriotticamente in famiglia sono sate occupate nel modo seguente:


AVV. COMM. SALVATORE RIOLO SPECCHI - Classe 1876


Deputato alla Camera. Capo, di nome se non di fatto del P. Fascista locale. Ex imboscato e protettore di imboscati ed autolesionisti. Presidente del Consorzio granario durante la guerra, a Girgenti. Capo della massoneria paesana e gran fratello di quella provinciale. Attualmente, si dice, è dormiente. Venne incluso nella lista Nazionale con questa esilarante menzogna: “PER ESSERSI COSTANTEMENTE OCCUPATO DEI PROBLEMI DELL’AGRICOLTURA” = mentre qui è notorio che egli di agricoltura non conosce neppure l’ortica. Tipo vano e vuoto ma ambiziosissimo sarebbe capace, pur di conservare la medaglietta, di accodarsi anche a Don Sturzo, com’ebbe un giorno cinicamente a dichiarare nella farmacia Bellomo: per sincerarsi chiedere informazioni a costui e ad un reverendo Polizzi, se questi due individui sono disposti a servire la verità. Espertissimo nell’intrigo e nelle pastette sa conciliare le opposte tendenze e le sfrenate ingordigie di parenti, di amici e di protetti, da sette anni tutti patriotticamente a posto con stipendi da generalissimi chi in Naro chi nel Capoluogo.


 


«Nel breve giro di tre anni fece regalare a questo povero Municipio la bellezza di VENTIDUE Commissari.


 


«Nel 1919, 20 e 21, imperversando il terrore rosso non mise mai il naso fuori né permise che l’avessero messo fuori i trenta satelliti della sua fortuna, lietissimi di poterlo imitare in questa bisogna col medesimo entusiasmo col quale lo avevano imitato e talvolta superato in viltà durante la guerra.


 


«Nel 1922 tradì e strozzo l’amministrazione comunale dei combattenti dei quali, fin dal 1925, perseguita con ogni mezzo, compresa la maldicenza in pubblico, la locale sezione.


 


«Dal 1925 sino al dicembre 1930 assassinò politicamente, moralmente, finanziariamente il Podestà Cammilleri Sillitti prima e costrinse dopo a dimettersi da Commissario Prefettizio, successo ad un povero Re Travicello, il proprio cugino Comm. Totò Riolo Tomasi, reo dinanzi al pubblico d’essere un povero idiota, sebbene onesto e fattivo come il Cammilleri Sillitti. Lui che sa appena leggere e scrivere, ha anche l’incarico di Sovrintendente ai Monumenti di Naro, ma i rari illustri visitatori che capitano qui sono costretti a chiedersi esterrefatti  se Naro è in Italia o non, tali e tante sono le prove materiali delle rapine, delle manomissioni, della incuria che hanno sofferto e continuano a soffrire tutti i monumenti e le reliquie del nostro splendore antico.


 


«E fianlmente, tanto per conchiudere alla svelta si fa noto che non sapendo fare altro, da sette anni ha sfruttato tutto il suo genio nel far conferire croci e commende ad individui i quali rappresentano in Naro o fuori il fiore della feccia, della incapacità, dell’strionismo, dell’antipatriottismo e segnatamente dell’ANTIFASCISMO, come si verrà mano a mano dimostrando. [Si butta quindi fango sulle seguenti persone: Avv. Ignazio Riolo, classe 1887; avv. Giuseppe Riolo, classe 189; avv. Carlo Riolo, classe 1892; Comm. Salvatore Riolo Tomasi; Girolamo Rinaldi, classe 1889; Ciro Rinaldi, classe 1887; Luigi Rinaldi, classe 1885; Rosario Specchi-Rinaldi; Cav. Uff. Antonio Castelli, classe 1874; Cav. Antonio Castelli; Antonio Gueli Alletti, classe 1873; Alfonso Borsellino, classe 1884; Antonino Costa di anni 37;  Cav. Onofrio Nicolaci, commissario di P.S.- Il corrosivo astio e la vigliaccheria dell’anonimato rendono quelle note ributtanti e - ai nostri fini - per nulla significative. Ci asteniamo pertanto dal riportarle, n.d.r.]  [...]


 


« Eccellenza  - Sono due anni giusti che noi meditiamo se valeva proprio la pena di stendere le paginette di questa deplorevole storia locale, tutt’altro che completa specialemnte nei riguardi dei maggiori esponenti del P.N.F. di qui i quali, se hanno la tessera e tutti gli onori del Partito, assolutamente non ne possiedono lo spirito e meno ne incarnano il dovere e la pericolosa e miracolosa missione.


 


«A Naro, Eccellenza, il Fascismo è un mito e il feudo è tutto. La conseguenza, disastrosa, è la seguente:


contro una banda di senzapatria, composta tra ladroni e lacchè, da un centinaio d’individui c’è tutta intera una cittadinanza la quale vuole da sette anni e spera indarno che la luce di verità, la febbre di bene, la protezione augusta del regime, divengano una realtà viva e feconda anche per essa; oggi, nel momento in cui scriviamo, è il collasso generale con brevissime parentesi d’insurrezione spirituale sorda e furiosa, di cui qualche cosa devono pur sapere nel capoluogo. Arriveranno queste povere pagine fino al Tribunale dell’E.V.? E se arriveranno avrete Voi il tempo e la bontà di degnarle di uno sguardo?


 


«Ecco degli interrogativi che spezzano l’anima e, perché no?, anche l’entusiasmo.


 


«Ma se Voi non potete e non volete leggere la storia del falso Fascismo riolano di naro, degnateVi almeno dedicare cinque soli minuti a queste ultime pagine il cui contenuto dedichiamo alla Vostra serena Giustizia.


1


«A Naro esiste una banca dal pomposo titolo “BANCA COMMERCIALE INDUSTRIALE AGRICOLA”. Ne è Presidente il Comm. Benedetto Gaetani, COGNATO DELL’ON. RIOLO, ex massone, falso fascista anch’egli, falso patriotta e nullità assoluta sotto qualsiasi punto di vista. Gran parte dei debitori di quella Banca sono tutti della banda Riolo parecchi dei quali sono anche debitori morosi da anni. Da circa 20 anni questa Banca non fa bilancio e non dà conto a nessuno dei suoi numerosi azionisti.


 


«Di questi non parla e non ricorre nessuno perché sta sempre pronta per chi osa la  minaccia delle manette e del confino.


2


 


«A Naro esiste una Congregazione della Carità. Anche questo Istituto, per quanto concerne la sua attività, sino al 30 maggio 1928, è un groviglio di infamie irregolarità e di ladrerie. L’ex cassiere, un certo Costa Gaetano, padre del perito Comunale Antonino Costa (del quale ci occuperemo all’ultimo) deve dare una grossa somma CIRCA LIRE SEDICIMILA e non vuole sentirne. Per informazioni sottoporre ad inchiesta l’attuale Presidente dott. Salvatore Aronica e se questi non vuole parlare metterlo a confronto per esempio con qualche magistrato locale, con un Sac, Polizzi, con un farmacista Ferracani ecc.


3


 


«A Camastra (ora frazione di Naro) tre anni addietro veniva costruita la strada interna principale. Questa è costata centinaia di migliaia di lire ma è divenuta praticamente impraticabile come la famosa pedonale di Naro. C’è stata in questi ultimi tempi e proprio per la strada una sollevazione dei cittadini di quella sventuratissima borgata, ben presto domata con minacce di deportazione e di altro contro i più cospicui capi di quel movimento, volutamente presentato come antifascista (il solito argomento dei tirannelli che vogliono godere in pace il frutto delle pubbliche rapine).


 


«Autore e direttore tecnico di quell’opera è stato precisamente il perito comunale di Naro ing. Antonino Costa, Il collaudo è avvenuto di sera e dopo il ritorno qui del deputato Riolo, tra motti e sarcasmi del pubblico che assisteva, Quest’anno le autorità provinciali tanto per offrire una offa di soddisfazione alla opinione pubblica nervosissima, hanno fatto eseguire sul posto una inchiesta la quale ha avuto la fine di tutte le inchieste della provincia feudo dei deputati Abisso, Riolo e Con osservanza.


 


«Il pubblico di Naro e di Camastra non ha più fiducia né ad uomini né a promesse. E questo è forse il suo torto e il suo debole, del quale profittano sfacciatamente gli altri, i cosidetti padroni per continuare ...


4


 


«Il deputato Riolo dice di avere la protezione di eminenti Gerarchi del Partito, vanta l’appoggio incondizionato del sig. Prefetto Miglio, si dichiara invulnerabile da parte del Segretario Provinciale Cav. Morello. TUTTO CIO’ IN PUBBLICO E SENZA RETICENZE.


5


 


«A Naro il gagliardetto è nome e cosa sconosciutissima. Non si vede in nessuna ricorrenza. Così per volere espresso di questo Segretario Politico il quale si scusa dicendo che non ha fascisti ai quali affidarlo.


6


 


«A Naro il cav. Borsellino Alfonso, individuo privo sin’anche di licenza elementare, veniva proposto  ripetute volte alle Gerarchie  provinciali, sino a 15 giorni addietro, come podestà di Naro dal Deputato Riolo.


 


«Ultima fresca, gloriosa azione di lui è stato lo stupro d’una povera servetta, costretta dalla miseria a lasciarsi tacitare con poche centinaia di lire. La servetta è minorenne.


 


«Il pubblico sa e  pensa, mastica e dice innominabili cose contro l’eroe e i compagni che lo salvarono. Chi ci guadagna non è certo il Fascismo.


7


 


«A Naro, dopo l’ecatombe di podestà e di commissari voluta dal deputato Riolo, nel corso di quest’anno è venuto con funzioni di Commissario Prefettizio il Cav. Steno Pelatti di Bologna, austera figura di fascista e di amministratore. Così, per lui da quel mese abbiamo finalmente visto, conosciuto e toccato la febbre, la forza, l’idea del regime. Ma abbiamo ragione di ritenere che il Commissario Prefettizio non sia stato mai e oggi meno di prima di gradimento dell’onesto deputato, che egli cominci ad essere stufo e nauseato della persecuzione lenta, tenace, ipocrita di questo becchino di Funzionari patriotti e puliti e che quanto prima se va via lui (Pelatti) si debba annegare nella solita fradicia baraonda tanto cara a fruttifera alla truppa del nostro illuminato onorevole.


 


«Soggiungeremo che il Pelatti in pochi mesi di permanenza al Municipio è riuscito a cattivarsi talmente la stima e la simpatia del pubblico (riuscendo così anche a mettere nella voluta luce il viso legale e romano del Fascismo) che un grosso milionario, famoso per la sua tirchieria, gli ha spontaneamente messo a disposizione una forte somma acciocché ne faccia uso a suo gradimento senza darne conto a chicchessia!


8


 


«Da anni era stata raccolta una ingentissima somma in America e qui per la erezione di un Monumento ai Caduti.


 


«La funzione di cassiere venne assunta, manco a dirlo, dal solito


Cav. Dott. Antonio Gueli Alletti - V. Segretario Politico.


 


«Il Monumento è lì che aspetta d’essere inaugurato, tanta è stata la patriottica sollecitudine in merito del generalissimo Riolo e consorti, Mai denari, nelle mani nette e pure di questo caro oculista di vili, si sono come sempre patriotticamente squagliati e non è possibile ottenere i conti. Lo stesso generalissimo Riolo convenne talvolta in pubblico dicendo che effettivamente il costo di quell’opera e delle altre sussidiarie risulta enorme. Noi diciamo che per molto meno parecchia gente  di qui e di altrove è andata a gustare la muffa e l’onta delle patrie galere.


 


«Pertanto denunziamo il cav. Antonio Gueli Alletti, cugino del deputato Riolo, per furto continuato di fondi pubblici in danno del Comitato Pro-Monumento e forse per disubbidienza agli ordini superiori di presentare conti di gestione puliti e leggibili. Così facendo riteniamo di aver messo  posto la nostra coscienza di cittadini e di fascisti, e sentiamo di avere servito la giusta esigenza di un pubblico che ha dato quasi 200 mila lire e da anni non può sapere come queste siano andate a finire.


 


«Soggiungiamo che su questo terreno non scenderà mai il desideratissimo oblìo, unico scampo liberatore cui crede di affidare la propria vita e l’nore questo fortunato frutto di carabiniere.


 


«Quindicimila cittadini vaglieranno sempre sino a tanto che il ladro camuffato fascista renda ai nostri morti l’oro versato con sangue e lacrime di tutti. Insistiamo: tutto qui sarà possibile, ma giammai permetteremo che vampiri sfrontati come il Gueli Alletti e C/i, attacchino le loro immondissime labbra anche sui ricordi dei nostri DUECENTOQUARANTA EROI CADUTI PER LA PATRIA.


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«Il 13 Settembre u.s. Domenica, in seguito ad accordi presi tra tutte le Autorità a proposito della Festa dell’Uva, tutta la cittadinanza volle manifestare apertamente la sua simpatia e la gioia verso il regime incarnato nel Cav. Pelatti (Commissario Prefettizio) distribuendo ed affissando manifesti di colore inneggianti al Duce al Prefetto, al Cav. Morello, al Commissario Pelatti, al Fascismo. Per questa manifestazione, descritta come un delitto presso la Prefettura di Agrigento, parecchi fascisti della prima ora, rei di avervi preso parte col solito entusiasmo, furono diffidati dalla Questura di Agrigento. Vi preghiamo in modo specialissimo di fare indagare su questo fatto.


 


«Naro, 15 Settembre dell’anno IX° E.F.


I Cittadini»


 

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