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sabato 30 maggio 2015

Sindaco Messana, credi di traghettare immune sino alle glorie parlamentari TACENDO?

E no! Signori. Non parlate di abbandono o di altro. Sperpero criminale. Miliardi di lire buttate al vento da nostri colpevoli padroncini demo-social-comunisti. Soldi per nipoti folli, per generi fedifraghi, per regie oscene, per blocchi di Via Roma insensati.

Noi racalmutesi la sappiamo bene la storia. Ho chiesto perché  - visto che si ritengono padroni di un bene municipale - non pagano la monnezza (a dir poco)! Per una cattedrale nel deserto - ne scrisse a suo tempo persino un giornale di Berlusconi - tanti soldi;  per una lapide in memoria di neglettissimi "dispersi in guerra", figli del popolo genuinamente racalmutese,  manco un euro.

Si elesse Cavallaro bruciando il meritevole Totò Restivo. Aveva pubblicamente dichiarato l'eletto all'unanimità, minoranza compresa, che si sarebbe avvalso della collaborazione delle menti pensanti del paese e ne aveva fatto persino i nomi. Ne avete visto qualcosa?

Sindaco Messana perché non parli? Credi di traghettare immune sino alle glorie parlamentari TACENDO?

Rimembranze di colpevoli ignominie


Maria Pia Calapà di CRISTINA INSINGA.

 

"La “maestosa” Raffineria di Milazzo, situata nella piccola città della provincia di Messina, è una delle strutture più complesse d’Europa, capace di lavorare e raffinare diverse quantità di materiali, famosa per aver dato negli anni passati “lavoro” a tante famiglie milazzesi e anche per aver tolto a quest’ultime, la libertà di “respirare” aria pulita e di poter vivere in salute. Sono affermazioni queste, che fino a qualche anno fa, potevano essere messe in dubbio da chi non voleva vedere, da chi vedeva ma non diceva nulla, ma che oggi vengono a galla, a seguito anche del palese incidente del 27 settembre 2014 scorso, quando nella notte, un incendio sviluppatosi all’interno della raffineria è divampato con fiamme altissime, generando il panico tra i cittadini, tranquillizzati poi, dall’annuncio della FederPetroli che ha insistito nel dire che non era successo nulla e che la situazione era sotto controllo."

 

 

foto di Maria Pia Calapà.

MILAZZO BRUCIA. Perché il mondo sappia. DEPLORIAMO

Maria Pia Calapà di CRISTINA INSINGA.
 
"La “maestosa” Raffineria di Milazzo, situata nella piccola città della provincia di Messina, è una delle strutture più complesse d’Europa, capace di lavorare e raffinare diverse quantità di materiali, famosa per aver dato negli anni passati “lavoro” a tante famiglie milazzesi e anche per aver tolto a quest’ultime, la libertà di “respirare” aria pulita e di poter vivere in salute. Sono affermazioni queste, che fino a qualche anno fa, potevano essere messe in dubbio da chi non voleva vedere, da chi vedeva ma non diceva nulla, ma che oggi vengono a galla, a seguito anche del palese incidente del 27 settembre 2014 scorso, quando nella notte, un incendio sviluppatosi all’interno della raffineria è divampato con fiamme altissime, generando il panico tra i cittadini, tranquillizzati poi, dall’annuncio della FederPetroli che ha insistito nel dire che non era successo nulla e che la situazione era sotto controllo."
 
 
foto di Maria Pia Calapà.

ancora più forte: salviamo Milazzo

La nostra corrispondente da Milazzo, prof,ssa Maria Pia Calapà
 
 
 
 
angosciata da testimonianze come questa:
 
 
 
legata alla sua splendida città
 
 
 
 
Rilancia il suo accorato invito:
 
SALVIAMO MILAZZO.
 _____________
 
si richiama qui un precedente post:
 
"Un piccolo scorcio del Castello di Milazzo."

La bellezza di Milazzo

Un piccolo scorcio del Castello di Milazzo.

Lillo Taverna E poi continuiamo a inquinare con le mefitiche raffinerie (si chiamano ancora Mediterranee) spettacoli unici della natura. dell'uomo antico. nonché della storia e della preistoria cme questo. Che ci sta a fare la Regione?

Silvana Virgilio Bellissima quanto prima ....meta Sicilia
Maria Pia Calapà INQUINAMENTO A MILAZZO E CIRCONDARIO LA TERZA INDUSTRIA DELL'ELENCO DELLA COMUNITA' EUROPEA PER LE EMISSIONI INQUINANTI IN ATMOSFERA PRESENTI NELL'AREA DEL BACINO DEL MELA E' LA CENTRALE TERMICA DI S.FILIPPO DEL MELA, CHE PER QUANTITA' DI EMISSIONI  E' LA PRIMA CON I SUOI 3.300.000 (TREMILIONIETRECENTOMILATONNELLATE) TONNELLATE ANNUE DI PRODOTTI INQUINANTI SVERSATI IN ATMOSFERA,COSTITUITI PRINCIPALMENTE DA BIOSSIDO DI CARBONIO,OSSIDI DI AZOTO,OSSIDI DI ZOLFO,POLVERI SOTTILI PM10,NICKEL E.....ARSENICO,CHE UNITAMENTE ALLE ALTRE EMISSIONI SOMMANDO DANNO UN VALORE ANNUO DI CIRCA 5.000.000 DI TONNELLATE DI SOSTANZE INQUINANTI ALL'ANNO NEL GOLFO DI MILAZZO.....
..

La nostra suscettibile collaboratrice da Milzz ci invia qusto cordiale oomggio di succulnta fruttasiciliana e noi n facciamo pubblica diffusione

La nostra suscettibile collaboratrice da Milazzo ci invia questo cordiale omaggio di succulenta frutta siciliana e noi ne facciamo pubblica diffusione!

mistero autosdradale


Marcello Panzarella ha aggiunto 3 nuove foto.

 

 

 

QUASI UNA PROFEZIA

 Leggendo questa relazione di sintesi sulla geologia e geotecnica dell'autostrada PA-CT, scritta dal geologo di chiara fama prof. S. Motta, e pubblicata sul n. 2, giugno 1970, della rivista SiciliaTempo, risulta chiaro che chi la costruì aveva una documentazione attendibile della situazione dei suoli, li conosceva molto bene e mise in atto una progettazione adeguata, con un'esecuzione all'altezza dei problemi: le opere hanno resistito per 45 anni, praticamente prive di manutenzione.

 In questo passo della relazione - circa la metà del testo completo - c'è anche la chiara testimonianza che l'alta franosità dei versanti lungo il viadotto Imera era ben nota già da tempo. Un fatto che sarebbe dovuto constare obbligatoriamente a qualunque responsabile e funzionario, a qualunque livello, della Protezione Civile e dell'ANAS, come suo patrimonio di conoscenza e come suo compito d'ufficio. Un fatto che invece è stato lasciato a se stesso, nonostante le segnalazioni puntuali e ripetute nel tempo, fino al disastro. L'autore di questo testo, prof. Motta, descrive con molta precisione ciò che sarebbe potuto succedere e che, per incuria degli uomini, purtroppo, dopo 45 anni, è davvero successo.

 Il testo completo della relazione apparirà sul prossimo numero di E.JOURNAL/palermo architettura.

 Ringrazio la titolare dei diritti di riproduzione, signora G. Maugeri, per averne generosamente concesso la pubblicazione.

 Nota: il brano alla fine del testo è qui riportato in maiuscolo per sottolinearne il valore di avviso e "profezia".

 _________________________________________

 UN TRACCIATO ARDITO SU TERRENI IN FRANA

 Il parere del prof. Motta, geologo di chiara fama, sulla natura dei territori attraversati

 

 

Di solito, parlando di un tracciato stradale o ferroviario, si è soliti dire ch'esso è ardito quando, lungo il suo corso, raggiunge altezze eccezionali sul livello del mare e la mente corre subito a certe strade o strade ferrate delle nostre Alpi.

 Dovere attribuire l'epiteto di ardito al tracciato autostradale della Palermo-Catania, che scorre, si direbbe pigramente, in banalissimi fondi-valle, sembrerebbe perciò, a primo acchito, improprio o certamente eccessivo.

 Eppure quest'Autostrada merita una qualifica del genere se si considerano le caratteristiche così esasperantemente sfavorevoli dei terreni, su cui, con artifizi di ogni genere, essa è stata o sarà stesa.

 In tal senso i primi due tratti eseguiti, e ormai quasi da un lustro già in esercizio, Palermo-S. Nicola Arena, da una parte, e Catania-Stazione F.S. Motta S. Anastasia, dall'altra, avrebbero potuto ben trarre in inganno iI profano circa la facilità di portare a termine, un giorno, l'opera autostradale di cui ci stiamo occupando.

 Il primo di tali tratti è infatti steso sulle formazioni, stabili e indenni da frane, sabbioso-calcarenitiche del Pliocene-Quaternario, in cui è compreso il “piano" Siciliano, famoso per la sua straordinaria ricchezza di fossili, che dal golfo di Palermo si estende fino alla baia di Sòlanto.

 Il tratto invece da Catania a Staz. F. S. Motta S. Anastasia si svolge ai margini delle “terre forti", basse colline costituite in gran parte da con-glomerati sciolti, ottimi allo stesso tempo come area di sedime della strada e come terreno di riporto.

 Ma già le prime avvisaglie sulle difficoltà da affrontare si ebbero quando, ripresa la costruzione dell'Autostrada da S. Nicola Arena a Scillato, si trattò d'incidere il cosiddetto “ginolfo”, ubiquitario nella fascia di terreno che accompagna la costa settentrionale della Sicilia, da Bagheria a Termini Imerese ed oltre.

 È questo ginolfo un complesso prevalentemente argilloso, di età terziaria, spesso dall'aspetto varicolore, ma sempre e dovunque profondamente tettonizzato, ridotto a minute scagliette e pronto a scatenare collassi franosi ad ogni più piccola alterazione del labile naturale equilibrio del terreno.

 I nostri antenati, in tutta l'indicata fascia di terreno, hanno abilmente e pazientemente sistemato tale ginolfo a terrazzi, che, in virtù delle abbondanti acque qui disponibili, sono poi diventati preziosi “giardini” di aranci, mandarini, nespoli, ecc. Ma chi potrà sufficientemente illustrare le pene per trovare la giusta e, a volte, molto sofisticata soluzione per effettuare i necessari tagli in questi terreni così sensibili!

 E lo stesso quando si tratta di passarvi sopra ad una certa quota: gran parte dei rilevati, anche modesti, si sono dovuti trasformare in viadotti, spesso striscianti sul terreno, come nella discesa di Brocato, ad ovest di Termini, allo scopo di poter trasferire, con l'appoggio su pali, nelle profondità più salde del terreno, i carichi della sede autostradale, incompatibili con la parte più superficiale del terreno stesso.

 Ardito, in ogni senso, è poi il passaggio del Vallone S. Leonardo, tra sponde subverticali o anche strapiombanti di “calcare rupestre” che a luoghi aggetta dai fiancheggianti o sottostanti "scisti silicei”.

Enormi tagli hanno potuto qui mettere in piena luce, sia nella zona alta in destra che in sinistra di questo vallone, una magnifica serie continua di termini geologici, che vanno dalle dolomie de Mesozoico antico alle brecciole nummulitiche dell'Eocene, quale un geologo non potrebbe meglio augurarsi in una sua campagna d'indagini.

 Allontanandosi dalla costa e penetrando verso l'interno dell'isola, lungo l'alveo dell'Imera Settentrionale, l'Autostrada si può dire che non ha più alcun contatto diretto con termini mesozoici.

 Dopo un lungo tratto che si sviluppa al margine delle piane alluvionali di detto fiume, l'Autostrada incontra un robusto sperone di conglomerati ed arenarie rubefatte, tortoniani, che è stato necessario superare con una breve galleria. La strada scorre quindi ai piedi dell'abitato di Scillato, ove il solito ginolfo ha posto, anche qui, problemi non indifferenti, e penetra nella parte più montana dell'asta dell'lmera, passando tra due caratteristiche strutture geologiche ad abside, costituite in gran parte da terreni mesozoici: su una di esse è ubicato l'abitato di Caltavuturo, mentre l'altra, che culmina nel M. Fanusi, costituisce l'angolo più occidentale delle Madonie, ai cui piedi emergono le fresche acque della più famosa delle sorgenti che alimentano la metropoli palermitana.

 Ma, come già detto, l'Autostrada non viene a contatto con detti lembi di Mesozoico. Stando sul fondo valle del fiume essa deve procurarsi la sua sede strisciando cautamente sui terreni che affiancano il fondo valle stesso: TALI TERRENI SONO IN GRAN PARTE COSTITUITI DA ARGILLE SCAGLIOSE, NON MOLTO DISSIMILI DAL GINOLFO, MA QUI FRANOSISSIME.

 IN EFFETTI I VERSANTI DI QUESTA VALLE SONO PROFONDAMENTE AGGREDITI DA FRANE VERAMENTE APOCALITTICHE, CHE NON SOLO RENDONO DIFFICILE IL PIAZZAMENTO DELLA SEDE AUTOSTRADALE, MA CHE DESTANO PREOCCUPAZIONI CIRCA LA QUOTA A CUI SISTEMARLA, PERCHÉ MAI NON AVVENGA CHE, A SEGUITO DI UN RIATTIZZARSI DI DETTI MOVIMENTI, LA STRADA STESSA, IN TOTO, POSSA RIMANERE INGHIOTTITA.

 Comunque per superare queste frane e per affrancare da esse l'Autostrada, specialmente da quelle che scendono dal versante in destra, si sono dovute ideare strutture portanti originali, che hanno richiesto appoggi di grandi dimensioni, inseriti bensì nella massa dei terreni argillosi, ma ad una profondità tale, al di sotto dell'alveo, da escludere ogni loro possibilità di dissesto.

 È dunque con tecniche molto specializzate che viene risalito l'Imera Settentrionale, che prima di raggiungere la linea di spartiacque, a Tre Monzelli, cambia nome, per assumere quello di Vallone Fichera.

testimonianze che aspettano rassicuranti spiegazioni


Marcello Panzarella ha aggiunto 3 nuove foto.

 

 

 

QUASI UNA PROFEZIA

 Leggendo questa relazione di sintesi sulla geologia e geotecnica dell'autostrada PA-CT, scritta dal geologo di chiara fama prof. S. Motta, e pubblicata sul n. 2, giugno 1970, della rivista SiciliaTempo, risulta chiaro che chi la costruì aveva una documentazione attendibile della situazione dei suoli, li conosceva molto bene e mise in atto una progettazione adeguata, con un'esecuzione all'altezza dei problemi: le opere hanno resistito per 45 anni, praticamente prive di manutenzione.

 In questo passo della relazione - circa la metà del testo completo - c'è anche la chiara testimonianza che l'alta franosità dei versanti lungo il viadotto Imera era ben nota già da tempo. Un fatto che sarebbe dovuto constare obbligatoriamente a qualunque responsabile e funzionario, a qualunque livello, della Protezione Civile e dell'ANAS, come suo patrimonio di conoscenza e come suo compito d'ufficio. Un fatto che invece è stato lasciato a se stesso, nonostante le segnalazioni puntuali e ripetute nel tempo, fino al disastro. L'autore di questo testo, prof. Motta, descrive con molta precisione ciò che sarebbe potuto succedere e che, per incuria degli uomini, purtroppo, dopo 45 anni, è davvero successo.

 Il testo completo della relazione apparirà sul prossimo numero di E.JOURNAL/palermo architettura.

 Ringrazio la titolare dei diritti di riproduzione, signora G. Maugeri, per averne generosamente concesso la pubblicazione.

 Nota: il brano alla fine del testo è qui riportato in maiuscolo per sottolinearne il valore di avviso e "profezia".

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 UN TRACCIATO ARDITO SU TERRENI IN FRANA

 Il parere del prof. Motta, geologo di chiara fama, sulla natura dei territori attraversati

 

 

Di solito, parlando di un tracciato stradale o ferroviario, si è soliti dire ch'esso è ardito quando, lungo il suo corso, raggiunge altezze eccezionali sul livello del mare e la mente corre subito a certe strade o strade ferrate delle nostre Alpi.

 Dovere attribuire l'epiteto di ardito al tracciato autostradale della Palermo-Catania, che scorre, si direbbe pigramente, in banalissimi fondi-valle, sembrerebbe perciò, a primo acchito, improprio o certamente eccessivo.

 Eppure quest'Autostrada merita una qualifica del genere se si considerano le caratteristiche così esasperantemente sfavorevoli dei terreni, su cui, con artifizi di ogni genere, essa è stata o sarà stesa.

 In tal senso i primi due tratti eseguiti, e ormai quasi da un lustro già in esercizio, Palermo-S. Nicola Arena, da una parte, e Catania-Stazione F.S. Motta S. Anastasia, dall'altra, avrebbero potuto ben trarre in inganno iI profano circa la facilità di portare a termine, un giorno, l'opera autostradale di cui ci stiamo occupando.

 Il primo di tali tratti è infatti steso sulle formazioni, stabili e indenni da frane, sabbioso-calcarenitiche del Pliocene-Quaternario, in cui è compreso il “piano" Siciliano, famoso per la sua straordinaria ricchezza di fossili, che dal golfo di Palermo si estende fino alla baia di Sòlanto.

 Il tratto invece da Catania a Staz. F. S. Motta S. Anastasia si svolge ai margini delle “terre forti", basse colline costituite in gran parte da con-glomerati sciolti, ottimi allo stesso tempo come area di sedime della strada e come terreno di riporto.

 Ma già le prime avvisaglie sulle difficoltà da affrontare si ebbero quando, ripresa la costruzione dell'Autostrada da S. Nicola Arena a Scillato, si trattò d'incidere il cosiddetto “ginolfo”, ubiquitario nella fascia di terreno che accompagna la costa settentrionale della Sicilia, da Bagheria a Termini Imerese ed oltre.

 È questo ginolfo un complesso prevalentemente argilloso, di età terziaria, spesso dall'aspetto varicolore, ma sempre e dovunque profondamente tettonizzato, ridotto a minute scagliette e pronto a scatenare collassi franosi ad ogni più piccola alterazione del labile naturale equilibrio del terreno.

 I nostri antenati, in tutta l'indicata fascia di terreno, hanno abilmente e pazientemente sistemato tale ginolfo a terrazzi, che, in virtù delle abbondanti acque qui disponibili, sono poi diventati preziosi “giardini” di aranci, mandarini, nespoli, ecc. Ma chi potrà sufficientemente illustrare le pene per trovare la giusta e, a volte, molto sofisticata soluzione per effettuare i necessari tagli in questi terreni così sensibili!

 E lo stesso quando si tratta di passarvi sopra ad una certa quota: gran parte dei rilevati, anche modesti, si sono dovuti trasformare in viadotti, spesso striscianti sul terreno, come nella discesa di Brocato, ad ovest di Termini, allo scopo di poter trasferire, con l'appoggio su pali, nelle profondità più salde del terreno, i carichi della sede autostradale, incompatibili con la parte più superficiale del terreno stesso.

 Ardito, in ogni senso, è poi il passaggio del Vallone S. Leonardo, tra sponde subverticali o anche strapiombanti di “calcare rupestre” che a luoghi aggetta dai fiancheggianti o sottostanti "scisti silicei”.

Enormi tagli hanno potuto qui mettere in piena luce, sia nella zona alta in destra che in sinistra di questo vallone, una magnifica serie continua di termini geologici, che vanno dalle dolomie de Mesozoico antico alle brecciole nummulitiche dell'Eocene, quale un geologo non potrebbe meglio augurarsi in una sua campagna d'indagini.

 Allontanandosi dalla costa e penetrando verso l'interno dell'isola, lungo l'alveo dell'Imera Settentrionale, l'Autostrada si può dire che non ha più alcun contatto diretto con termini mesozoici.

 Dopo un lungo tratto che si sviluppa al margine delle piane alluvionali di detto fiume, l'Autostrada incontra un robusto sperone di conglomerati ed arenarie rubefatte, tortoniani, che è stato necessario superare con una breve galleria. La strada scorre quindi ai piedi dell'abitato di Scillato, ove il solito ginolfo ha posto, anche qui, problemi non indifferenti, e penetra nella parte più montana dell'asta dell'lmera, passando tra due caratteristiche strutture geologiche ad abside, costituite in gran parte da terreni mesozoici: su una di esse è ubicato l'abitato di Caltavuturo, mentre l'altra, che culmina nel M. Fanusi, costituisce l'angolo più occidentale delle Madonie, ai cui piedi emergono le fresche acque della più famosa delle sorgenti che alimentano la metropoli palermitana.

 Ma, come già detto, l'Autostrada non viene a contatto con detti lembi di Mesozoico. Stando sul fondo valle del fiume essa deve procurarsi la sua sede strisciando cautamente sui terreni che affiancano il fondo valle stesso: TALI TERRENI SONO IN GRAN PARTE COSTITUITI DA ARGILLE SCAGLIOSE, NON MOLTO DISSIMILI DAL GINOLFO, MA QUI FRANOSISSIME.

 IN EFFETTI I VERSANTI DI QUESTA VALLE SONO PROFONDAMENTE AGGREDITI DA FRANE VERAMENTE APOCALITTICHE, CHE NON SOLO RENDONO DIFFICILE IL PIAZZAMENTO DELLA SEDE AUTOSTRADALE, MA CHE DESTANO PREOCCUPAZIONI CIRCA LA QUOTA A CUI SISTEMARLA, PERCHÉ MAI NON AVVENGA CHE, A SEGUITO DI UN RIATTIZZARSI DI DETTI MOVIMENTI, LA STRADA STESSA, IN TOTO, POSSA RIMANERE INGHIOTTITA.

 Comunque per superare queste frane e per affrancare da esse l'Autostrada, specialmente da quelle che scendono dal versante in destra, si sono dovute ideare strutture portanti originali, che hanno richiesto appoggi di grandi dimensioni, inseriti bensì nella massa dei terreni argillosi, ma ad una profondità tale, al di sotto dell'alveo, da escludere ogni loro possibilità di dissesto.

 È dunque con tecniche molto specializzate che viene risalito l'Imera Settentrionale, che prima di raggiungere la linea di spartiacque, a Tre Monzelli, cambia nome, per assumere quello di Vallone Fichera.

Solo io leggo nell'oscura tavolozza dell'arcano pittore costruttivista Accursio Vinti


Accursio Vinti Personale Di Pittura a Palma Di Montechiaro Palazzo Ducale
(articolo letto 62 volte)

 
Gentili signore e signori, come prima cosa, a scanso di equivoci, voglio dirvi che non sono affatto un critico d’arte. Sono solamente un vecchio impertinente che occupa il suo tempo interessandosi di critica letteraria e questo per i rapporti intensi avuti con Leonardo Sciascia, Consolo, Bufalino, Matteo Collura e tantissimi altri che gli hanno inoculato il virus della letteratura.
vinti mostra
Frequentando la letteratura si spazia nel mondo della poesia, in quello artistico che sono sempre ambiti culturali attraverso cui si cerca di capire il mondo e l’Assoluto che certamente è irraggiungibile e non comprensibile appunto perché assoluto e quindi al di fuori della nostra conoscenza.
Detto questo dovremmo brevissimamente parlare dell’opera artistica dell’Architetto Accursio Vinti che, nella pittura, ha trovato il modo di realizzarsi e di esprimere il suo io.
Accursio  ha sposato la tecnica del dripping che vuol dire sgocciolatura che è stata inventata dall’americano Pollok che certamente è stato un genio e come tutti i geni un folle che beveva e fumava e che ha logorato la sua vita che è durata appena 44 anni quanto quello di Francesco d’Assisi e che si è schiantata in un incidente automobilistico causato dal suo disordine.
Questo tipo di pittura nasce in opposizione alla grande pittura figurativa europea. Forse, come afferma qualcuno, l’America voleva trovare una sua nuova via artistica e ha adottato l’espressionismo astratto in contrapposizione al realismo socialista che in Italia ebbe grande seguito dopo la seconda guerra mondiale con Guttuso, il nostro Giambecchina e tantissimi altri.
Per la nascita di tale forma pittorica in America c’erano le condizioni perché c’era la tradizione della pittura di sabbia dei nativi, faceva capolino la teoria del Kaos, si affermava la psicanalisi di Jung con i concetti del subconscio e dell’incoscio.
C’era l’esigenza dell’assoluta libertà di espressione.
L’artista con l’espressionismo astratto non deve ubbidire a una precisa tematica ma butta giù la tela, manda via cavalletti e pennelli e si sfoga a parlare liberamente con essa tela che governa da tutti i lati e che penetra in un atto di amore proprio in senso erotico come in una danza di un satiro danzante.
Ho visto il satiro Urso danzare attorno alla tela, in una danza di felicità in cui i colori assumono un ritmico sinfonico mozartiano.
E poi è da dire che siamo nel cosiddetto secolo ‘breve’ o secolo nero, come io amo definirlo: il secolo delle due guerre mondiali, del disordine cosmico, dei reticolati che cingevano i campi di concentramento e quelli di sterminio per cui l’affastellarsi di linee, di colori, l’apparente disordine forse vogliono rappresentare questa terribile realtà del mondo che andava in disfacimento quei reticolati che hanno segnato la vita di sei milioni di esseri umani morti nei lager.
Un quadro del pittore Meli di Aragona è formato da una grande confusione di linee e colori e in fondo si vede il Duomo di Agrigento.
Io vi ho visto il disordine edilizio di Agrigento e l’imminente scricchiolio della Cattedrale. Certamente ognuno questi quadri li interpreta come li sente perché l’opera, appena finita, non è più del pittore ma del pubblico che la fruisce.
Accursio Vinti appartiene a questo mondo ma a differenza di Pollok è un uomo saggio che, per fortuna, non è dedito né alla droga né all’alcool per cui nelle sue tele emerge un mondo più quieto, più bello, più rasserenante.
Certamente c’è il dramma e la complessità del vivere c’è la vischiosità di un sistema di vita che tiene l’uomo irretito in mille adempimenti, ma c’è la gioia di vivere, c’è l’esplosione della bellezza della natura, ci sono i colori come nei giochi pirotecnici che sanno incantare lo spettatore.
Il quadro che dipinge la scala dei turchi è un grandissimo inno alla natura e alla sua ammaliante bellezza che riporta l’uomo alla creazione e quindi all’assoluto.
C’è un quadro con un occhio che scruta il mondo oppure potrebbe essere un faro che illumina il nostro cammino nel mondo buio di questo enigmatico percorso senza senso.
C’è la libertà dell’artista di esprimersi liberamente e di non essere legato a nessuna tematica, c’è la spontaneità della musa che si manifesta in uno sfolgorio di colori.
Insomma in queste tele, in cui il colore sgocciola liberamente, ognuno di noi può trovare i propri sentimenti, i propri desideri, le proprie ansie.
E non si pensi che il quadro è frutto del caso e di uno “sgocciolamento” incontrollato perché se così fosse invece di quadri verrebbero fuori ammassi mostruosi e informi di colori che sarebbero un’offesa per i nostri occhi e non direbbero nulla.
Questa tecnica, a mio avviso, è molto difficile da usare perché occorre che l’artista sappia creare ordine nel disordine, armonia di colori nella disarmonia del caos. L’Architetto Vinti aggredisce la tela bianca o altro tipo di supporto quale può essere il legno e l’aggressione avviene con mezzi informali quali impronte, colate, oli, tempere, smalti, colle che attaccano al supporto materiali vari quali polistirolo, vetri, legno, cubetti di colore che possono essere frutto di improvvisazione dando vita a una unicità pittorica irraggiungibile, l’unicum irripetibile. Qualche volta si attacca al quadro una catena e un catenaccio per indicare la necessità di incatenare la mafia che affligge la nostra società e questo dà una dimensione sociologica alla pittura di Vinti il cui atto di dipingere è un rito magico che lo coinvolge interamente nel corpo e nello spirito per mandarci messaggi di bellezza.
Per definire Accursio Vinti mi potrei rifare al Dr. Calogero Taverna Che scrive di Vinti :; “Il pittore astratto che più abbarbicato al reale non si può, il pittore ribelle, il pittore mite, il pittore filosofo, il pittore disadorno, il pittore giocondo, il pittore frantumato nella sua più cupa tristezza, il pittore allegorico, il pittore costruttivista, il pittore senza sogni, il pittore nichilista, il pittore profanatore, il pittore dell’occulta bestemmia, il pittore senza gioia, il pittore privo di speranza, il pittore cieco, il pittore immerso nella  indipingibile luce dei divini cieli, il pittore del minimo, delle scisti, dell’inutile, della frantumazione umana. Eccoccelo quasi policromo, quasi giulivo, quasi esoterico, quasi raffigurativo, quasi elegiaco, quasi irridente, coinvolgente, iridescente. In cerca del Divino, dell’amore, dell’immensità…”
Io, più semplicemente, quando ammiro un quadro di Accursio Vinti provo una immensa  gioia, mi assale una grande voglia di vivere, ed è come sentire una sinfonia Betoveniana al chiaro di luna.
Provo le stesse sensazioni che mi suscita il Duomo di Monreale che è l’unico posto dove vedo l’Assoluto.
I colori così sfolgoranti, bene accoppiati in maniera organica mi suscitano sentimenti di bellezza e di gioia e siccome i quadri devono anche avere valore ornamentale, io metterei ben volentieri una tela di Accursio Vinti nelle pareti della mia casa per renderla più viva e più allegra.
Per le parentele di questa pittura con la moderna Architettura mi rimetto ad altri relatori che ne hanno competenza.
Comunque a tal proposito voglio dire che una volta si costruivano chiese bellissime che avevano del divino, palazzi nobiliari che sono veri e proprio monumenti, però la gente comune abitava nei tuguri. Oggi non si costruiscono più monumenti ma la gente comune abita negli appartamenti godendo di tutti i servizi. I tempi sono mutati e in meglio.
Voglio solo raccontare un fatto che fa capire il senso del mutamento.
Un giorno una mia amica, non molto addottorata, è andata per la prima volta a Roma dove ha potuto ammirare le straordinarie basiliche di quella città che sbalordiscono e parlano di Dio.
Al ritorno mi ha detto: Dio è venuto nel mondo, è stato a Roma, ha costruito quelle basiliche e poi è ritornato in cielo. Quel miracolo architettonico è assolutamente irrepetibile mentre il miracolo della pittura può continuare.

Agrigento, lì 15. 5.2015
Gaspare Agnello

Gaspare Agnello
Critico letterario, Giurato del Premio Sciascia Racalmare e blogger. (Leggi di più)

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confermo la essenzialità del mio giudizio sull'opera del complesso Accursio Vinti, capziosamente volto a rivestirsi di simplicitas estetica nel calpestare costruttivisticamente il suo onirico cimentarsi con forme e tecniche di sofisticatissime pollokiane valenze


Accursio Vinti Personale Di Pittura a Palma Di Montechiaro Palazzo Ducale
(articolo letto 62 volte)

 
Gentili signore e signori, come prima cosa, a scanso di equivoci, voglio dirvi che non sono affatto un critico d’arte. Sono solamente un vecchio impertinente che occupa il suo tempo interessandosi di critica letteraria e questo per i rapporti intensi avuti con Leonardo Sciascia, Consolo, Bufalino, Matteo Collura e tantissimi altri che gli hanno inoculato il virus della letteratura.
vinti mostra
Frequentando la letteratura si spazia nel mondo della poesia, in quello artistico che sono sempre ambiti culturali attraverso cui si cerca di capire il mondo e l’Assoluto che certamente è irraggiungibile e non comprensibile appunto perché assoluto e quindi al di fuori della nostra conoscenza.
Detto questo dovremmo brevissimamente parlare dell’opera artistica dell’Architetto Accursio Vinti che, nella pittura, ha trovato il modo di realizzarsi e di esprimere il suo io.
Accursio  ha sposato la tecnica del dripping che vuol dire sgocciolatura che è stata inventata dall’americano Pollok che certamente è stato un genio e come tutti i geni un folle che beveva e fumava e che ha logorato la sua vita che è durata appena 44 anni quanto quello di Francesco d’Assisi e che si è schiantata in un incidente automobilistico causato dal suo disordine.
Questo tipo di pittura nasce in opposizione alla grande pittura figurativa europea. Forse, come afferma qualcuno, l’America voleva trovare una sua nuova via artistica e ha adottato l’espressionismo astratto in contrapposizione al realismo socialista che in Italia ebbe grande seguito dopo la seconda guerra mondiale con Guttuso, il nostro Giambecchina e tantissimi altri.
Per la nascita di tale forma pittorica in America c’erano le condizioni perché c’era la tradizione della pittura di sabbia dei nativi, faceva capolino la teoria del Kaos, si affermava la psicanalisi di Jung con i concetti del subconscio e dell’incoscio.
C’era l’esigenza dell’assoluta libertà di espressione.
L’artista con l’espressionismo astratto non deve ubbidire a una precisa tematica ma butta giù la tela, manda via cavalletti e pennelli e si sfoga a parlare liberamente con essa tela che governa da tutti i lati e che penetra in un atto di amore proprio in senso erotico come in una danza di un satiro danzante.
Ho visto il satiro Urso danzare attorno alla tela, in una danza di felicità in cui i colori assumono un ritmico sinfonico mozartiano.
E poi è da dire che siamo nel cosiddetto secolo ‘breve’ o secolo nero, come io amo definirlo: il secolo delle due guerre mondiali, del disordine cosmico, dei reticolati che cingevano i campi di concentramento e quelli di sterminio per cui l’affastellarsi di linee, di colori, l’apparente disordine forse vogliono rappresentare questa terribile realtà del mondo che andava in disfacimento quei reticolati che hanno segnato la vita di sei milioni di esseri umani morti nei lager.
Un quadro del pittore Meli di Aragona è formato da una grande confusione di linee e colori e in fondo si vede il Duomo di Agrigento.
Io vi ho visto il disordine edilizio di Agrigento e l’imminente scricchiolio della Cattedrale. Certamente ognuno questi quadri li interpreta come li sente perché l’opera, appena finita, non è più del pittore ma del pubblico che la fruisce.
Accursio Vinti appartiene a questo mondo ma a differenza di Pollok è un uomo saggio che, per fortuna, non è dedito né alla droga né all’alcool per cui nelle sue tele emerge un mondo più quieto, più bello, più rasserenante.
Certamente c’è il dramma e la complessità del vivere c’è la vischiosità di un sistema di vita che tiene l’uomo irretito in mille adempimenti, ma c’è la gioia di vivere, c’è l’esplosione della bellezza della natura, ci sono i colori come nei giochi pirotecnici che sanno incantare lo spettatore.
Il quadro che dipinge la scala dei turchi è un grandissimo inno alla natura e alla sua ammaliante bellezza che riporta l’uomo alla creazione e quindi all’assoluto.
C’è un quadro con un occhio che scruta il mondo oppure potrebbe essere un faro che illumina il nostro cammino nel mondo buio di questo enigmatico percorso senza senso.
C’è la libertà dell’artista di esprimersi liberamente e di non essere legato a nessuna tematica, c’è la spontaneità della musa che si manifesta in uno sfolgorio di colori.
Insomma in queste tele, in cui il colore sgocciola liberamente, ognuno di noi può trovare i propri sentimenti, i propri desideri, le proprie ansie.
E non si pensi che il quadro è frutto del caso e di uno “sgocciolamento” incontrollato perché se così fosse invece di quadri verrebbero fuori ammassi mostruosi e informi di colori che sarebbero un’offesa per i nostri occhi e non direbbero nulla.
Questa tecnica, a mio avviso, è molto difficile da usare perché occorre che l’artista sappia creare ordine nel disordine, armonia di colori nella disarmonia del caos. L’Architetto Vinti aggredisce la tela bianca o altro tipo di supporto quale può essere il legno e l’aggressione avviene con mezzi informali quali impronte, colate, oli, tempere, smalti, colle che attaccano al supporto materiali vari quali polistirolo, vetri, legno, cubetti di colore che possono essere frutto di improvvisazione dando vita a una unicità pittorica irraggiungibile, l’unicum irripetibile. Qualche volta si attacca al quadro una catena e un catenaccio per indicare la necessità di incatenare la mafia che affligge la nostra società e questo dà una dimensione sociologica alla pittura di Vinti il cui atto di dipingere è un rito magico che lo coinvolge interamente nel corpo e nello spirito per mandarci messaggi di bellezza.
Per definire Accursio Vinti mi potrei rifare al Dr. Calogero Taverna Che scrive di Vinti :; “Il pittore astratto che più abbarbicato al reale non si può, il pittore ribelle, il pittore mite, il pittore filosofo, il pittore disadorno, il pittore giocondo, il pittore frantumato nella sua più cupa tristezza, il pittore allegorico, il pittore costruttivista, il pittore senza sogni, il pittore nichilista, il pittore profanatore, il pittore dell’occulta bestemmia, il pittore senza gioia, il pittore privo di speranza, il pittore cieco, il pittore immerso nella  indipingibile luce dei divini cieli, il pittore del minimo, delle scisti, dell’inutile, della frantumazione umana. Eccoccelo quasi policromo, quasi giulivo, quasi esoterico, quasi raffigurativo, quasi elegiaco, quasi irridente, coinvolgente, iridescente. In cerca del Divino, dell’amore, dell’immensità…”
Io, più semplicemente, quando ammiro un quadro di Accursio Vinti provo una immensa  gioia, mi assale una grande voglia di vivere, ed è come sentire una sinfonia Betoveniana al chiaro di luna.
Provo le stesse sensazioni che mi suscita il Duomo di Monreale che è l’unico posto dove vedo l’Assoluto.
I colori così sfolgoranti, bene accoppiati in maniera organica mi suscitano sentimenti di bellezza e di gioia e siccome i quadri devono anche avere valore ornamentale, io metterei ben volentieri una tela di Accursio Vinti nelle pareti della mia casa per renderla più viva e più allegra.
Per le parentele di questa pittura con la moderna Architettura mi rimetto ad altri relatori che ne hanno competenza.
Comunque a tal proposito voglio dire che una volta si costruivano chiese bellissime che avevano del divino, palazzi nobiliari che sono veri e proprio monumenti, però la gente comune abitava nei tuguri. Oggi non si costruiscono più monumenti ma la gente comune abita negli appartamenti godendo di tutti i servizi. I tempi sono mutati e in meglio.
Voglio solo raccontare un fatto che fa capire il senso del mutamento.
Un giorno una mia amica, non molto addottorata, è andata per la prima volta a Roma dove ha potuto ammirare le straordinarie basiliche di quella città che sbalordiscono e parlano di Dio.
Al ritorno mi ha detto: Dio è venuto nel mondo, è stato a Roma, ha costruito quelle basiliche e poi è ritornato in cielo. Quel miracolo architettonico è assolutamente irrepetibile mentre il miracolo della pittura può continuare.

Agrigento, lì 15. 5.2015
Gaspare Agnello

Gaspare Agnello
Critico letterario, Giurato del Premio Sciascia Racalmare e blogger. (Leggi di più)

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