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sabato 19 settembre 2015

Mi richiedono l'amicizia e poi mi sommergono con minchiate. Io reagisco.

Io non amo la magistratura ma neppure quei giornalisti che le sparan grosse- A me nessun mai mi ha accusato di congtigiuità mafiosa e dire che sono persino parente di uno che dicevano essere il capomafia versione culi chiatti. Difendo ad oltranza un triplice ergastolano ostativo. Sono stato acena con banchieri non illibati. La magistratura sarà gonza ma ha troppe inforìmazion i per prendere abbagli. E per pluridecorarsi non ja che l'imbarazzo della scelta (e intendo mafuiosi veri molti dei quali la fanno franca e non mi costa che qualche innocente l'abbia pagata). Quel giornalista faccia i nomi e forse mi potrebbe convincere o forse potrei io convincerlo che sbaglia.

intrusione nell'austero diario del regista Beppe Cino da Racalmuto


Per un senso di civile educazione me ne dovrei astenere ma la tentazione è forte e intervengo. I numeri hanno senso se concertati ed esplicitati. Dire che il nostro export ha avutio in un anno un balzo tale da scavalcare paesi più forti di noi econoimicamente può essere un inganno. Va precisata la base, quel cento insomma. Dopo un declino nella nostra bilancia commerciale la rastremazione della base può essere così forte da inficiare il conclamato incremento. Chi si contenta gode. Ma ovvio c'è subito Giovanni Marotta che non si contenta. -. Allora prendiamo i bollettini del Servizio Studi della Banca d'Italia e capiremmo da noi come veramente sono andate le cose. Altrimenti superficialità populista. Ho persoinalmente qualche convinzione? Certo, per nevecessità virtù. Ma dovrei dilungarmi- Mi pare di poter dire solo che le cose non vanno come vorrebbero farci credere gli ottimisti ma non sono così tragiche quali amano descriverle i pessimisti. Restiamo ancora la settima potenza del mondo. Non abbiamo più gli assilli delle barriere da opporre alla grande speculazione valutaria mondiale. Le nostre statistiche sono inficiate dal "lavoro nero" e dalle ipocrisie dei capitali accumulati ma estero vestiti. Un piccolo esempio. A Racalmuto stando ai dati dell'Istat il reddito medio pro-capite non supera i mille euro annuoi, ma una indagine statistica molto seria anche se non ufficiale mi dice che nel paese di Sciascia il reddito medio pro capite è di 13 mila e cinquecento euro. Chi ha ragione?

ENRICHETTO DI PUMA PITTURA LIRICA AMORE RECONDITO E POESIA

marzo 2015

Enrichetto Lillo DI PUMA, pittore soave di Racalmuto








 

 

 


 
L’umano pellegrinaggio, spesso scorata stasi, ispira ad Enrico di Puma ineffabili moti dell’anima che vanno a camuffarsi in superficie cromatiche, pudiche quanto accattivanti.


Non è menzogna quella di un olio o di un acquarello di Enrico ma non è neppure decifrabile confessione: Enrico nel suo vivere ha interne, desolate censure; può solo permettersi un riposo, una stasi appunto, per un gioco di colori, per un guardare ilare un fiore, un cespuglio, un arbusto, un segno, insomma un vago simbolo di quello che tutti dicono gioia creativa di un dio abitatore di nuvole, lontanissimo, non umano, in sintesi fattore della bella ed impalpabile natura, secondo il pretenzioso topos dei saccenti di ogni tempo.



Nacque furente la pittura di Enrico: le frustrate rabbie del vivere, quelle umiliate nella giovanile competizione, nelle inani intraprese del primo eros, esplosero davvero irruenti nel brandire spatole pittoriche; si frantumarono misterici equini, gallinacei pennuti e sbuffanti, immagini mostruose, ittiche allusioni, ferinità improbabili. Fu pittura somma. Peccato che si sia esaurita.



Fu esordio di falsi preannunci; Van Gogh avresti detto; Ligabue, avresti contraddetto. Ma di Puma non era né l’uno né l’altro: solo arcane coincidenze come capita agli artisti indotti; e se v’è un pennello, un cavalletto, una tela, una tavolozza ed il genio pittorico erompe, eccoti il miracolo dei colori ora in arditi accostamenti, ora in contrasti loquaci, oppure in armonie suadenti, o in improperi esistenziali, ed eccoti l’arte, il bello, senza regole, ingenuo; naif diresti e sbagli.



Enrico patì sconquassi dell’animo, del cuore, dell’eros ma subito li seppellì e la sua pittura cambiò: divenne lirica, soave, serafica; non è però leziosa, gli sarebbe impraticabile, gli è negata da un dolore sommerso, da un deludersi senza speme.



Pateticamente, con ingenuità sconcertanti, oggi il Nostro ama il melodramma, ma il melodramma più italico, il più lirico, il meno tedesco: suoi idoli, adorati con giulivo candore, sono un Caruso pregno della raucedine della primordiale arte discografica, un Gigli rutilante di note a commento di un incomprensibile gergo librettistico, il compaesano tenore Infantino, giammai sommo, pingue quanto sdolcinato. Non ama l’altro paesano, quel Puma tenore di robusta ascendenza contadina, maschio, aggressivo che pure eccelle in talune opere di Mascagni o di Giordano.

Orripilanti «tu il mertasti» o simili ripugnanti invettive del più decadente melodramma italico, quelle profanazioni linguistiche causticamente infilzate da un Savinio passano inosservate all’incantato Enrico e forse per questo il Pavarotti dalla limpida dizione non rientra nell’empireo dei suoi dei canori.



Il contraltare, un dipingere ormai dissennatamente floreale, con cromatismi tenui, occidui, non più confliggenti, davvero iridati. Se vuoi, puoi anche dilettare l’occhio, acquietare l’anima, sognare o almeno contemplare, seraficamente, senza gli eccitamenti dei sensi, senza eros. Ma stai attento: ciò è soltanto superficie, forse anche maniera: devi però addentrarti e scorgerai il sottosulo dello spirito, esulcerato, avvilito, persino stanco, ora irrimediabilmente disperato. C’è tutto l’inganno dell’arte.



L’uomo piccolo, schiacciato, annichilito che pur si veste elegante, ricercato e, se fotografato con vescovi o con i sommi del momento letterario, si rimpicciolisce ancor più, timidamente, in estasi contemplativa, in sottomissione allusiva, si è ormai rassegnato e dipinge per il tuo diletto e per il suo dissolvente rinnegare la vita, bozzetti del topos del bello degli umani, nature né vive né morte, floreali perché così piacciono ai "grandi" o in veste talare rossa o con l’immancabile sigaretta della letteraria blasfema ironia.



Non lasciarti ingannare: Enrico di Puma non è manieristico, non è floreale, non è idilliaco, non è neppure melodrammatico. Guardalo in faccia, guarda soprattutto dentro la sua pittura: è un grande dell’arte; è un poeta d’intensa intima sofferenza dannato al sorriso giulivo, serafico, francescano. «L’uomo son io che ride; ei quel che spegne», ci va di citare a memoria, irriguardosamente per ogni melodrammatico rigoletto verdiano.



Una pausa eppure Enrico se l’è permessa: ha riguardato il suo paese; Racalmuto viene visto da una prospettiva innaturale ed ecco il casale, agglomerato informe di casupole pur ravvivate dalla mediterranea tavolozza a rombi, a triangoli, a geometriche inframmettenze, rovinare dal Castelluccio in giù, allusivamente in equivoca diversità, contro natura appunto. Ora la roccia della salvezza sciasciana non è più quella del Monte della Vergine Maria; è là ad oriente, collima con il cocuzzolo coronato da un castello diruto, negletto, corroborato dai nostri atavici negrieri chiaramontani, posto in terra detta dagli arabi-normanni Al Minsciar, dai berberi Gibillini e lasciata senza nome dai bizantini che se ne servirono come «frourion».



La vicenda storica è insensa per di Puma: l’emblema topografico invece è pregnante ed ispira accenti di lirica contemplazione del "dolore" di un Racalmuto senza tempo "abbarbicato alla vita … come erba alla roccia", direbbe Sciascia. E questa fortuita coincidenza tra il dire ed il pensare dell’unico scrittore che il paese vanta e questo indotto eppure soave pittore dei fiori sorprende e sgomenta.



Finito con il tramontato millennio il maestro racalmutese della penna, approdato ancor operoso e creativo a questo nuovo millennio il nostro ingenuo pittore, le due identiche testimonianze del vero conformarsi della più schietta dimora racalmutese dispiegano intera la immutabilità che pur muta di pelle, ma giammai d’animo, un animo da odiare perché spesso infido, supponente, ingeneroso, mediocre.


Noi che quell’animo tutto ce l’abbiamo dentro, restiamo legittimati ad esecrarlo, a bestemmiarlo, a rimuoverlo almeno: un poeta ed un pittore di questa terra a luci spente tutto redimono, tutti ci redimono.


Calogero Taverna



 

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PROPOSTE AL VENTO /MA NON SO PIU' CITTADINO RACALMUTESE)


Chiedo ai signori consiglieri: può essere accordato un ridotto diritto di parola, o ha ragione il commissario ad esigere che con lui non sono consentite parole meno che sussiegosamente pitocche. Ho dovuto sbattere la porta ed andarmene denegando l’invito a rientrare ad un mio superiore sodale politico. Il quale, con mio disappunto ed in mia assenza, ha voluto scusarmi.

Mi si dice che un so che finanziamento di due milioni di euro è stato dirottato per un progetto che il nostro ufficio tecnico penserebbe di fare strutturare ad un architetto alieno.

 

Non val la pena, allora, di pensare a proposte che ebbi a divulgare tempo fa con l’evanescente GILER?

Di che si tratta? Se avete pazienza eccovi l’ordito.

 

Il sogno “taverniano”

 

 

È presto detto: il recupero, la ristrutturazione, l’abbellimento del sotto Barona.

 

 

Sotto la Barona si dipana una grande radura tripartibile:

-      la zona più alta potrebbe ospitare il paese cinquecentesco dell’ex voto del Monte;

-      la cavea terminale in basso si dovrebbe adattare a teatro greco;

-      la parte a valle, oggi con acque fetide a cielo aperto, si attaglia ad orto botanico con laghetto pluriuso.

 

 

I locali politici sono interessati all’iniziativa?

 

 

Ecco un bozzetto per chi avesse voglia di meglio afferrare il concetto

 

(Calogero Taverna)

 

Zona A


 

Nella parte alta dell’area di risulta del sotto Barona, utilizzando i terrazzamenti costruiti di recente, dovrebbe sorgere la simulazione del villaggio di Racalmuto come appare al Monte nell’ex voto di destra.

Ne abbiamo scritto tanto. Val la pena però ripeterci.

 

 
 
 
Rassegna Storiografica
 
Chiese e chiese e chiese e conventi e conventi ... Si pensa a chissà chi, ed invece tutto si deve ai rimorsi di Giovanni del Carretto, quello che dominò Racalmuto dal 1520 al 1560 ed alle tante confraternite, nate all'ombra dell'ancora barone, per una grossa speculazione sui morti. Ne morivano tanti a Racalmuto e bisognava seppellirli e seppellirli in chiesa.. Naturalmente a pagamento . Che pacchia per quelle confraternite. Una mafia dei cimiteri ante litteram .. Niente di nuovo sotto il sole.
Pensate che la venuta della Madonna del Monte nient'altro è che una commissione a Palermo da parte della confraternita della già esistente chiesa di Maria di lu Munti di una statua di marmo "una statua di marmaru di nostra signura" dicono le carte. Nessun miracolo. E si era dopo il 1520 (altro che 1503 ed altro che conte o barone Ercole del Carretto. Questo il primo agiografo - padre Cantalamessa - non lo dice).
I colti attuali di Racalmuto - anche quelli atei e marxisti - questa banale verità non sanno accettarla o non vogliono. Chissà quanti voti perderebbero, diversamente. Povera verità!
Frattanto a studiare bene il Trasselli che ebbe a scrivere sui genovesi in Sicilia, è facile arguire che la marmorea statua – tozza, bruttarella ed inespressiva – non è, né può essere, della scuola gaginesca (andatevi a vedere la madonna di Gibilrossa per convenirne) ma del noto scultore genovese Massa, venuto a Palermo con un coltivatore di cave marmoree carraresi, agli ordini dei genovesi, ed i del Carretto erano di sicura origine genovese. Non erano comunque di Finale Ligure – essendo d’uopo sghignazzare sul fallace gemellaggio milionario – ma a tutto concedere, i signori Del Carretto di Racalmuto cominciarono a bleffare vantando un improbabile marchesato su Savona.
 
Immaginarie scene di famigli che picchiano i pacifici buoi a levare le ancore da Racalmuto .. Vani sforzi cominciò a dire nel 1764 il padre Cantalamessa ... in versi siciliani. Almeno quelli erano piacevoli. Ora ci ammanniscono vocianti cicalecci di improbabili recitanti .. ma i soldi se ne vanno a fiumi e non restano neppure a Racalmuto.
 
 
 
Ecco era il palazzotto degli Ugo e della Morreale ... Una donna dei nuovi tempi si direbbe.. Sposò giovanissima un La Licata di Favara ... restò presto vedova e senza figli, giacché quel La Licata favarese era già molto vecchio e subito andò nel suo regno dei cieli. Consumò il matrimonio?  Pensiamo di no.
E la ragazzina Morreale forse rimase vergine. Sicuramente inappagata. Prese una schiava negra. Aveva mammelle portentose. La sbirciavano e le sbirciavano i racalmutesi. Non restò loro altro che dare il nome di minni di sclava a certe voluttuose specie nere di fichi. .. Il vecchio marito, corroso da tanta gelosia, cercò di privarla dei beni con un testamento tutto a favore di santa romana  chiesa. Ma la scaltra vedovella fece finta di niente ed assegnò beni e terreni ai suoi nipoti, compreso un monaco di cognome Salvo. Tardivamente il Santo Uffizio se ne accorse; scattarono i suoi rimedi. Nella sacrestia della Matrice le si intentò un processo. Presidente del santo tribunale un bonario arciprete. La protesse e se non l'assolse le inflisse penalità sopportabilissime. Qualcosa in tasca sicuramente gliene venne. Ecco la nostra storia di Racalmuto. Sta scritta - in latino - nei rolli della confraternita di S. Maria di Giesù che ancora padre Puma conserva. Ma fino a quando?
(Calogero Taverna)
 
 
S. Giuseppe, Castello Fontana .. ecco come erano (almeno a metà del '700). Ed ora come sono? Uomini locali, soprintendenti provinciali, preti e nobilotti hanno ridotto in squallidi edifici questo squarcio architettonico della Racalmuto verace. Che Dio li maledica. Ecco uno squarcio della Venuta di La Bedda madre di lu Munti ....é immagine tarda ... risale alla seconda metà del '700.
Il padre Cantalamessa - agostiniano centuripino di S. Giuliano - cantava quella vinuta in versi siciliani non spregevoli. Poi il Caruselli credette di dovere italianizzare il tutto e fu un disastro. Della candida, nostrana saga rimase ben poco. La data fu stabilita:. fine maggio del 1503. Oggi tutti vi credono. Beati loro. Sono riusciti a convincere persino vescovi e monsignori. Di certo i canonici minori, quelli in viola per intenderci. E poi tanti sacrestani, e soprattutto le sacrestane, specie le repentite.
Noi non ci crediamo, andremo all'inferno. Intanto fiumi di soldi per festeggiare, anche con pretenziosi convegni, quella vinuta. Che la Madonna ci perdoni tutti. Era un tempio del Signore; ne avete fatto una spelonca di ladri... e qui la spelonca è un monte, a dire il vero un monticello, vezzoso ma fallace come quei preti che si sono messi a duplicare, triplicare e moltiplicare quella buffa statua di marmo che sol perché si erge in quel barocco altare di legno appare bella .. anzi bellissima. Dalla cintola in sù, con qualche innegabile vezzo. Dalla cintola in giù .. tozza più delle antiche contadinotte di Santa Nicola o della Funtana.
(Calogero Taverna)
 
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I casamenti veri o con materiali moderni, dotati dei dovuti ausili igienici, potrebbero ospitare (ma a giusto prezzo) i mercanti del sabato.

 

Un Hotel de la Ville – alla francese – del Comune potrebbe accogliere le schiere di visitatori pronti magari a fare del turismo a margherita.

 

Vi dovrebbe sorgere la chiesa di Santa Rosalia l’ancor vera ed unica “padrona” di Racalmuto.

 

Zona B

 

Un gran teatro greco all’aperto potrebbe avere ineguagliabile collocazione nell’ultima ansa del sotto Barona, come abbia già prospettato con un fotomontaggio.

 

 


 

Zona C

 

Là dove scorrono acque putride, tutto sommato in mezzo all’abitato, con pericoli incommensurabili per la popolazione, un piccolo depuratore e quindi un laghetto, consentirebbe l’impianto di un singolare orto botaniche con piante ed erbe autoctone.

Guardate questa foto:

 


 

Ecco il suo vero nome:

 

Sternbergia lutea (falso zafferano)

 

L’avevo scambiato per crocus ed invece è pianta medicinale, come piante medicinali sono le seguenti:

 

 

N.B. Noi non siamo botanici. Ci siamo quindi rivolti al Linneo racalmutese che questa specifica ci aveva dato. Pare che ora, dicembre 2011, abbia cambiato idea. Da modesti navigatori abbiamo fatto i debiti riscontri e siamo arrivati alla convinzione che anche allora era tutto esatto. Persistiamo dunque nell’errore!


 

 

 

 

 

I vecchi vitigni poi si potrebbero recuperare per un  vino locale quale lo bevevano i nostri più antichi antenati (e se non ebbero mai fame lo si deve a quell’ubriacante liquore).

 

Il convento prefrancescano di Colle Mazzuto nel Cicolano

 
Il convento prefrancescano di Colle Mazzuto nel Cicolano

Il solito immenso Bernardo RICCIARDI mi riporta nei suoi luoghi, quelli che mira scruta ama e socializza, nei quattro borghi che sornionamente dicono del Vtican...o: S. Elpidio, Alzano Castagneta e Petrignano.
Vista la Torre diruta (criminalmente) di Torre del Taglio, su per mulattiere e quindi sul pianoro della Chiesetta degli Alpini in Colle Mazzuto.
Sotto Torre di Taglio ma di fronte da S. Elpidiuo ad Alzano a Castagneta e quindi un po' di fianco Petrignano-
Bellissimo altipiano con montagnole su alcune delle quali i quattro borghi ove - non vi dubbio - si estendeva la romana SUNA.
Di fronte si nasconde tra fitte boscaglie la celebre Grotta del Cavaliere che Silvi erede dei gran signori di Alzano ha reso celebre.
Non vi è dubbio: da lì passava una grande via romana come le carreggiate un tempo più vistose ma ora ancora residue dimostrano.
Passava da qui la via Caecilia di Persichetti? Comunque da lì si inotrava un capolavoro viario romano che tagliava le coline. Lambisce una collinetta che dall'altra parte appare solcata da un'altra strada - Per Bernardo non vi sono dubbi: una grande strada che da sotto convergeva con un "girone" su per la strada del Cavaliere.
Ma la sorpresa più grande Bernardo me la mostra subito dopo facendomi inerpicare per transiti sdrucciolevoli ed erbosi. Su un'altra montagnola ecco i resti del grandioso convento dell'anno Mille di cui parla il Lugini. Abbandonato negletto, con alberi di alto fusto che stanno smantellando, diroccando lesionando squarciando le pur massicce mura che quei monaci avevano eretto per difendersi dai freddi montani e forse dai ladri in schiere agguerrite. Avevano, ovvio, un oratorio cimiteriale per i loro abbati. Nell'incuria assoluta delle pubbliche autorità, scalcinati tombaroli stanno profanando quegli scarni avelli. Cercheremo di interessare il sindaco di Pescorocchiano per salvare almeno il salvabile di questa maestosa testimonianza del monachesimo prefrancescano nel Cicolano.


e lassù sulla montagnba di Suna con Bernardo Ricciardi archeologo

Il solito immenso Bernardo RICCIARDI mi riporta nei suoi luoghi, quelli che mira scruta ama e socializza, nei quattro borghi che sornionamente dicono del Vtican...o: S. Elpidio, Alzano Castagneta e Petrignano.
Vista la Torre diruta (criminalmente) di Torre del Taglio, su per mulattiere e quindi sul pianoro della Chiesetta degli Alpini in Colle Mazzuto.
Sotto Torre di Taglio ma di fronte da S. Elpidiuo ad Alzano a Castagneta e quindi un po' di fianco Petrignano-
Bellissimo altipiano con montagnole su alcune delle quali i quattro borghi ove - non vi dubbio - si estendeva la romana SUNA.
Di fronte si nasconde tra fitte boscaglie la celebre Grotta del Cavaliere che Silvi erede dei gran signori di Alzano ha reso celebre.
Non vi è dubbio: da lì passava una grande via romana come le carreggiate un tempo più vistose ma ora ancora residue dimostrano.
Passava da qui la via Caecilia di Persichetti? Comunque da lì si inotrava un capolavoro viario romano che tagliava le coline. Lambisce una collinetta che dall'altra parte appare solcata da un'altra strada - Per Bernardo non vi sono dubbi: una grande strada che da sotto convergeva con un "girone" su per la strada del Cavaliere.
Ma la sorpresa più grande Bernardo me la mostra subito dopo facendomi inerpicare per transiti sdrucciolevoli ed erbosi. Su un'altra montagnola ecco i resti del grandioso convento dell'anno Mille di cui parla il Lugini. Abbandonato negletto, con alberi di alto fusto che stanno smantellando, diroccando lesionando squarciando le pur massicce mura che quei monaci avevano eretto per difendersi dai freddi montani e forse dai ladri in schiere agguerrite. Avevano, ovvio, un oratorio cimiteriale per i loro abbati. Nell'incuria assoluta delle pubbliche autorità, scalcinati tombaroli stanno profanando quegli scarni avelli. Cercheremo di interessare il sindaco di Pescorocchiano per salvare almeno il salvabile di questa maestosa testimonianza del monachesimo prefrancescano nel Cicolano.





 






in sulla civitas Sunae (Cicolano)

in ascesa sulla civitas Sunae (Cicolano)
Il solito immenso Bernardo RICCIARDI mi riporta nei suoi luoghi, quelli che mira scruta ama e socializza, nei quattro borghi che sornionamente dicono del Vtican...o: S. Elpidio, Alzano Castagneta e Petrignano.
Vista la Torre diruta (criminalmente) di Torre del Taglio, su per mulattiere e quindi sul pianoro della Chiesetta degli Alpini in Colle Mazzuto.
Sotto Torre di Taglio ma di fronte da S. Elpidiuo ad Alzano a Castagneta e quindi un po' di fianco Petrignano-
Bellissimo altipiano con montagnole su alcune delle quali i quattro borghi ove - non vi dubbio - si estendeva la romana SUNA.
Di fronte si nasconde tra fitte boscaglie la celebre Grotta del Cavaliere che Silvi erede dei gran signori di Alzano ha reso celebre.
Non vi è dubbio: da lì passava una grande via romana come le carreggiate un tempo più vistose ma ora ancora residue dimostrano.
Passava da qui la via Caecilia di Persichetti? Comunque da lì si inotrava un capolavoro viario romano che tagliava le coline. Lambisce una collinetta che dall'altra parte appare solcata da un'altra strada - Per Bernardo non vi sono dubbi: una grande strada che da sotto convergeva con un "girone" su per la strada del Cavaliere.
Ma la sorpresa più grande Bernardo me la mostra subito dopo facendomi inerpicare per transiti sdrucciolevoli ed erbosi. Su un'altra montagnola ecco i resti del grandioso convento dell'anno Mille di cui parla il Lugini. Abbandonato negletto, con alberi di alto fusto che stanno smantellando, diroccando lesionando squarciando le pur massicce mura che quei monaci avevano eretto per difendersi dai freddi montani e forse dai ladri in schiere agguerrite. Avevano, ovvio, un oratorio cimiteriale per i loro abbati. Nell'incuria assoluta delle pubbliche autorità, scalcinati tombaroli stanno profanando quegli scarni avelli. Cercheremo di interessare il sindaco di Pescorocchiano per salvare almeno il salvabile di questa maestosa testimonianza del monachesimo prefrancescano nel Cicolano.







Convento dell'anno Mille di Colle Mazzuto - SUNA


 
 
Il solito immenso Bernardo RICCIARDI mi riporta nei suoi luoghi, quelli che mira scruta ama e socializza, nei quattro borghi che sornionamente dicono del Vtican...o: S. Elpidio, Alzano Castagneta e Petrignano.
Vista la Torre diruta (criminalmente) di Torre del Taglio, su per mulattiere e quindi sul pianoro della Chiesetta degli Alpini in Colle Mazzuto.
Sotto Torre di Taglio ma di fronte da S. Elpidiuo ad Alzano a Castagneta e quindi un po' di fianco Petrignano-
Bellissimo altipiano con montagnole su alcune delle quali i quattro borghi ove - non vi dubbio - si estendeva la romana SUNA.
Di fronte si nasconde tra fitte boscaglie la celebre Grotta del Cavaliere che Silvi erede dei gran signori di Alzano ha reso celebre.
Non vi è dubbio: da lì passava una grande via romana come le carreggiate un tempo più vistose ma ora ancora residue dimostrano.
Passava da qui la via Caecilia di Persichetti? Comunque da lì si inotrava un capolavoro viario romano che tagliava le coline. Lambisce una collinetta che dall'altra parte appare solcata da un'altra strada - Per Bernardo non vi sono dubbi: una grande strada che da sotto convergeva con un "girone" su per la strada del Cavaliere.
Ma la sorpresa più grande Bernardo me la mostra subito dopo facendomi inerpicare per transiti sdrucciolevoli ed erbosi. Su un'altra montagnola ecco i resti del grandioso convento dell'anno Mille di cui parla il Lugini. Abbandonato negletto, con alberi di alto fusto che stanno smantellando, diroccando lesionando squarciando le pur massicce mura che quei monaci avevano eretto per difendersi dai freddi montani e forse dai ladri in schiere agguerrite. Avevano, ovvio, un oratorio cimiteriale per i loro abbati. Nell'incuria assoluta delle pubbliche autorità, scalcinati tombaroli stanno profanando quegli scarni avelli. Cercheremo di interessare il sindaco di Pescorocchiano per salvare almeno il salvabile di questa maestosa testimonianza del monachesimo prefrancescano nel Cicolano.
Altro...
S. ELPIDIO-VAL DI TAGLIO-CASTAGNETA, la SUNA dei ROMANI
Domenico Lugini, medico filantropo, archeologo letterato colto ed eruditissimo, nato a Santa Lucia (Fiamignano) e spirato poco dopo il terremoto del 1915. non cessa mai di stupirmi. Ora so che "nel lato settentrionale della chiesa parrocchiale di S. Elpidio " vi era un'altra epigrafe di grossa rilevanza per la storia romana in questa terra che dicono degli Equi o Equicoli o di Cicoli o Cicolana.
L'altro giorno guidato d...al grande Bernardo Ricciardi la lapide che dice il Luginii non l'ho vista. E forse non c'è più, né qui né in alcun museo competente.
Per Lugini, S. Elpidio e dintorni ospitava SUNA, insediamento romano citato da Diogini di Alicarnasso. che ne rimarcava l'importanza per un tempio importante dedicato a Marte.

Silvi ed escursionisti han voglia di deprimere il Lugini per loro beghe europeistiche, per lucrare su una pretesa strada medievale lunga migliaia di chilometri e quindi esaltare una pretesa Grotta del Cavaliere di cui hanno snaturato persino la nomenclatura cara a studiosi francesi dei primi decenni dell'Ottocento.
Fuori i Pelasgi e le mura pelasgiane e giù a parlare scrivere fotografare ragguagliare su mura anodine cui si appioppa una insignificante denominazione geometrica ed abbiamo persino zibaldoneschi quaderni, molto ben finanziati, ove le foto livellano muretti recenti con le maestose mura pelasgiche, il tutto detto come mura poligonali.
Il Lugini parla pure della epigrafe esaltante l?edile alla sua quinta investitura L. Carcurinus di cui abbiamo detto abbondantemente altrove.
Questa epigrafe stava in un tempietto sotto la chiesa di S. Elpidio. Ora la testimonianza epigrafica si può leggere alquanto agevolmente sulla parete di fondo a destra dell'entrata principale della rifatta chiesa, che fu distrutta dal noto terremoto del '15. Ma sparse qui e là ecco colonne abachi lastre di quel tempietto che sarebbe bene ricostruire in un ANTIQUARIUM come ho chiesto di recente al sindaco di Pescorocchiano a nome della mia associazione no-profit ARB (Associazione per il risorgimento di Baccarecce)-
Intanto pubblico qui alla rinfusa foto prese sotto la guida e la regia del validissimo sig. Bernardo Ricciardi, di cui tutti si avvalgono ma a cui nessun tributa il debito riconoscimento.
[per la documentazione fotografica v. il mio blog [CONTRA OMNIA RACALMUTO] piace






   Co

Cercheremo di interessare il sindaco di Pescorocchiano per salvare almeno il salvabile di questa maestosa testimonianza del monachesimo prefrancescano nel Cicolano

 
 
 
 
 
 
 
Il solito immenso Bernardo RICCIARDI mi riporta nei suoi luoghi, quelli che mira scruta ama e socializza, nei quattro borghi che sornionamente dicono del Vticano: S. Elpidio, Alzano Castagneta e Petrignano.
 
Vista la Torre diruta (criminalmente) di Torre del Taglio, su per mulattiere e quindi sul pianoro  della Chiesetta degli Alpini in Colle Mazzuto.
Sotto Torre di Taglio ma di fronte da S. Elpidiuo ad Alzano a Castagneta  e quindi un po' di fianco Petrignano-
Bellissimo altipiano con  montagnole su alcune delle quali i quattro borghi ove - non vi  dubbio -  si estendeva la romana SUNA.
 
Di fronte si nasconde tra fitte boscaglie la celebre Grotta del Cavaliere che Silvi erede dei gran signori di Alzano ha reso celebre.
Non vi è dubbio: da lì passava una grande via romana come le carreggiate un tempo più vistose ma ora ancora residue dimostrano.
Passava da qui la via Caecilia di Persichetti? Comunque da lì si inoltrava un capolavoro viario romano che tagliava le coline. Lambisce una collinetta che dall'altra parte appare solcata da un'altra strada - Per Bernardo non  vi sono dubbi: una grande strada che da sotto convergeva con un "girone" su per la strada del Cavaliere.
 
Ma la sorpresa più grande Bernardo me la mostra subito dopo facendomi inerpicare per transiti sdrucciolevoli ed erbosi. Su un'altra montagnola ecco i resti del grandioso convento dell'anno Mille di cui parla il Lugini. Abbandonato negletto, con alberi di alto fusto che stanno smantellando, diroccando lesionando squarciando le pur massicce mura che quei monaci avevano eretto per difendersi dai freddi montani e forse dai ladri in schiere agguerrite. Avevano, ovvio, un oratorio cimiteriale per i loro abbati. Nell'incuria assoluta delle pubbliche autorità, scalcinati tombaroli  stanno profanando quegli scarni avelli. Cercheremo di interessare il sindaco di Pescorocchiano per salvare almeno il salvabile di questa maestosa testimonianza del monachesimo prefrancescano nel Cicolano.