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sabato 6 febbraio 2016


CAPITOLO 1

 

 

GLI IMPIEGHI BANCARI E IL RISCHIO DI CREDITO

 

 

1.1. LE RECEBTI EVOLUZIONI DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO

 

Durante gli anni Novanta il sistema bancario ha subito profonde trasformazioni. In quegli anni si è assistito a cambiamenti alimentati dalla deregolamentazione dell’attività creditizia, dal progresso nel campo delle telecomunicazioni (che ha consentito alle banche di servire clienti localizzati in aree geografiche prima difficilmente raggiungibili)[1], dall’integrazione dei mercati finanziari, dal processo di unificazione monetaria[2] (l’eliminazione del rischio di cambio favorisce, nell’area dell’euro, l’espansione dell’attività delle banche in mercati diversi da quello di origine, rimuovendo barriere alla concorrenza tra i sistemi bancari nazionali) e dalla privatizzazione delle banche, che ha reso pienamente contendibile la proprietà delle banche, infatti, gli intermediari creditizi si confrontano attualmente su mercati aperti alla concorrenza, interna ed estera.

Sul piano legislativo, l’azione di riforma del sistema bancario italiano ha preso avvio a partire dal 1990 con l’approvazione della legge n. 218 (c.d. legge Amato) che mira: a favorire la ricapitalizzazione delle banche; a conferire agilità e trasparenza alla loro azione; a permettere una precisa individuazione dei doveri e delle responsabilità degli organi cui è affidata la gestione; a sottolineare il carattere di attività d’impresa dell’attività bancaria; a facilitare i processi di ristrutturazione aziendale e di concentrazione delle banche, favorendo quindi la crescita dimensionale delle stesse. Il punto focale della riforma risulta comunque essere la trasformazione degli istituti bancari pubblici esistenti nel territorio nazionale in s.p.a. o in società coopertive per azioni o a responsabilità limitata; l’adozione della forma societaria avrebbe comportato un miglioramento dei livelli di efficienza gestionale. Alla luce delle valutazioni effettuate in questi ultimi anni bisogna riconoscere che l’intervento del legislatore del 1990 è stato meritorio.

Alla legge Amato hanno fatto seguito due tappe fondamentali che hanno segnato il processo di trasformazione del sistema creditizio in Italia: l’approvazione del D. Lgs. n. 481/1992, con cui è stata recepita la II Direttiva di coordinamento bancario e l’emanazione del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D. Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 entrato in vigore il 1° gennaio 1994).

L’innovazione principe scaturita dall’approvazione del D. Lgs. 14 dicembre 1992, n° 481 è indubbiamente la possibilità, fornita alle banche italiane, di ispirarsi a modelli operativi simili a quelli adottati dalle loro maggiori concorrenti europee. La Direttiva, infatti, definiva i contenuti dell’attività degli enti creditizi che possono liberamente stabilirsi in tutti i paesi della Comunità e operare in essi in base al principio del «mutuo riconoscimento» (ossia, il riconoscimento, da parte di ciascuno Stato membro, della regolamentazione dei mercati creditizi adottata negli altri Stati della Comunità). Grazie a tale normativa si assiste in Italia alla nascita di un nuovo modello di banca.

I principi cardine del TULB possono invece essere così sintetizzati:

·                      L’attività bancaria è definita come quella costituita dalla raccolta del risparmio tra il pubblico e dall’esercizio del credito (in cui per raccolta di risparmio si intende l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso sia sotto forma di depositi sia in altra forma).

·                      Viene sancito in modo formale e definitivo il principio della despecializzazione del sistema bancario sotto il profilo: istituzionale (tutte le categorie di banche devono assumere la forma di società), temporale (superamento della distinzione fondata sulla scadenza del credito) ed operativo (possibilità di operare su una gamma di strumenti e servizi finanziari più ampia in modo da competere con le banche estere).

  Con l’introduzione del principio della despecializzazione istituzionale e temporale dell’attività bancaria è caduta la distinzione tra banche di credito ordinario e istituti di credito speciale. A tutte le banche è stata accordata un’ampia libertà di scelta per quanto concerne la loro operatività e adesso l’attività si svolge senza alcun vincolo temporale, ma con alcune limitazioni quantitative e particolari controlli disposti dalle autorità che vigilano sulla stabilità del sistema relativamente all’operatività a medio-lungo termine, onde contenere la rischiosità aziendale.

Ulteriori innovazioni in campo creditizio sono state dettate dalla legge n. 474 del 1994, mediante la quale è stato avviato il processo di privatizzazione nel settore bancario.

La banca, scaturita dal processo riformatore degli anni Novanta è dunque una banca–impresa e in quanto tale è protesa a riconvertirsi da mero soggetto mutuante denaro (con tutti gli oneri gestionali connessi) a soggetto erogatore di servizi di consulenza, di pianificazione e di controllo del portafoglio clienti; i nuovi margini di utile si configurano, quindi, come commissioni per un’attività a rischio ridotto (rispetto alle operazioni di puro impiego) e a costi in economie di scala.

La rimozione dei vincoli amministrativi all’esercizio dell’attività bancaria e il riconoscimento della natura imprenditoriale (scaturiti dalla nuova normativa) hanno accresciuto il peso del comportamento bancario nell’allocazione territoriale dei prestiti. La «liberalizzazione degli sportelli» e la trasformazione delle banche da istituti di credito di diritto pubblico a società per azioni hanno fatto dipendere sia le scelte di localizzazione degli sportelli che le condizioni per la concessione dei prestiti dai comportamenti massimizzanti delle imprese bancarie (e non da vincoli esogeni posti in essere dalle Autorità monetarie).

Nella seconda metà degli anni Novanta si è assistito ad una diffusione capillare degli sportelli sul territorio nazionale che ha migliorato la disponibilità di servizi bancari sia al Centro-Nord che nel Mezzogiorno. 

In definitiva, i mutamenti normativi hanno eroso la demarcazione tra i comparti tradizionali dell’industria finanziaria (bancario, finanziario e assicurativo), inducendo le banche a modificare la propria attività. Queste hanno ampliato la gamma dei servizi offerti nei settori con migliori prospettive di sviluppo e redditività (ad esempio, la gestione del risparmio, la prestazione di servizi finanziari alle imprese) e ridotto il peso di comparti con basso valore aggiunto (ad esempio la custodia titoli, in misura crescente effettuata da operatori specializzati).

 

 

1.2. LA COMPOSIZIONE DEGLI IMPIEGHI BANCARI

 

Le principali fasi dell’attività bancaria rimangono comunque quella della raccolta e quella degli impieghi dei mezzi finanziari. Poiché l’obiettivo delle banche è quello di raggiungere elevati volumi di impieghi in prestiti e vista l’importanza che gli impieghi rivestono quale principale voce dell’attivo si vuole qui soffermare l’attenzione proprio su questi.

Le risorse finanziarie raccolte vengono impiegate dalle banche, secondo svariate modalità, seguendo un’oculata politica d’impiego al fine di trarre i maggiori vantaggi possibili.

Nella gestione bancaria i prestiti vengono solitamente suddivisi in due macroclassi: i crediti commerciali e i crediti al consumo.

I primi sono in larga parte destinati ad usi produttivi, in quanto vengono concessi ad imprese che li utilizzano per sostenere le proprie attività e sono, a loro volta, distinti in crediti per cassa e crediti per firma. I prestiti per cassa si contraddistinguono per il fatto che il loro utilizzo da parte del cliente implica per la banca almeno un’uscita monetaria e almeno un’entrata monetaria, quest’ultima connessa al rimborso che normalmente segue, a distanza di tempo, la concessione e l’utilizzo del prestito.

I crediti di firma si differenziano da quelli per cassa perché con essi la banca si impegna ad assumere o a garantire l’obbligazione di un terzo soggetto. In particolare, se la banca autorizza il terzo a spiccare o fare spiccare tratte su se stessa e si impegna ad accettarle, concede un credito di accettazione; se invece la banca garantisce l’obbligazione del terzo concede un credito di avallo oppure un credito di fideiussione (se la garanzia è data in altra forma). I crediti di firma assumono notevole importanza in quanto possono facilitare alle imprese l’ottenimento di mezzi finanziari necessari per soddisfare i fabbisogni finanziari di breve o medio-lungo termine.

A fianco ai crediti per cassa e a quelli per firma nella prassi bancaria esiste un’altra categoria di prestiti destinati a sostenere il consumo: il credito al consumo e le carte di debito e di credito. Questi ultimi hanno avuto larga espansione negli ultimi anni, quando si è assistito a un generale ripensamento delle opzioni di erogazione del credito, in funzione di tre obiettivi: la massima frammentazione possibile del rischio di insolvenza (perciò la sua polverizzazione in una molteplicità di operazioni a valenza ridotta); l’individuazione di nuovi mercati, che offrano più significativi margini di utile; la fidelizzazione del cliente ottimale. Tale ricerca ha condotto le aziende di credito a una scelta innovativa: incrementare il volume di risorse disponibili per il credito al consumo e investire ingenti mezzi per una riconversione delle proprie strutture interne.

Una problematica che assume particolare attenzione nella gestione bancaria risulta essere, dunque, la politica dei prestiti; ossia, il complesso di scelte in materia di ammontare assoluto e relativo dei mezzi finanziari da impiegare in prestiti, di composizione qualitativa di questi ultimi e di criteri che stanno alla base della valutazione e della selezione dei crediti a essi connessi.

Lo sviluppo del volume degli impieghi in prestiti dipende sia da fattori esogeni (di ambiente e di mercato) che da fattori endogeni alla banca, tenendo conto degli eventuali vincoli pubblici derivanti dalle misure di politica monetaria e dalle norme di vigilanza prudenziale.

I principali fattori esterni che incidono sul volume dei prestiti sono collegati alle variabili che determinano l’andamento della domanda di credito. Infatti, sul piano delle grandezze aggregate, la dinamica dei prestiti dipende dal processo di formazione e di distribuzione del prodotto lordo (il quale riflette le decisioni di spesa corrente e di investimento delle imprese, della pubblica amministrazione e delle famiglie). Da un’analisi del mercato del credito bancario negli anni immediatamente successivi alla crisi valutaria del 1992 si evince che l’attività di impiego è stata interessata da un’ampia ridistribuzione delle quote di mercato, su cui ha inciso la composizione della clientela delle banche. Un secondo fattore esterno esplicativo della dinamica degli impieghi bancari è rappresentato dalla struttura e dal funzionamento del sistema finanziario che condizionano le possibili forme di copertura del fabbisogno esterno degli operatori. Tali fattori – decisioni di spesa e scelte di copertura – determinano la crescita potenziale dei prestiti. Ulteriori fattori che incidono sulla dinamica potenziale degli impieghi del sistema bancario vanno ricercati tra gli elementi che toccano più da vicino le situazioni aziendali, quali la struttura delle attività economiche presenti nell’area dell’intervento della banca. Infine il volume degli impieghi bancari dipende dalla struttura del mercato bancario e dalle relazioni concorrenziali che la qualificano.

I principali fattori interni da cui dipende il volune dei prestiti possono essere ricondotti agli obiettivi del soggetto economico, alle caratteristiche dei mezzi amministrati, alla struttura della banca e all’organizzazione della stessa.

 

1.2.1 L’andamento degli impieghi dopo l’introduzione del D. Lgs. 385/93.

 

Poiché gli impieghi, se analizzati a livello di sistema, possono essere intesi come indicatore del tasso di sviluppo di una nazione, si avverte l’esigenza di osservarne l’evoluzione in Italia, in un contesto ricco di trasformazioni, quale quello in cui è stato coinvolto il sistema bancario nell’ultimo decennio.

In adesione a quanto esposto in merito alla disciplina legislativa sul sistema bancario, il 1994 e, ancor più, gli anni ad esso immediatamente successivi possono essere considerati degli anni estremamente interessanti da analizzare al fine di verificare i risvolti immediati apportati dall’introduzione del Testo Unico. Per quanto riguarda gli impieghi la stessa Banca d’Italia fornisce dati molto interessanti. Dalla relazione annuale emerge, infatti, che nel corso del 1994 gli impieghi delle banche residenti sono aumentati dello 0,9%. L’andamento crescente degli impieghi delle banche permane anche negli anni a seguire. Nonostante ciò, nel 1996 la dinamica degli impieghi si mantiene piuttosto bassa. Le principali cause di tale bassa dinamica vanno individuate nel rallentamento dell’attività produttiva e di investimento, nella riduzione dell’indebitamento delle società pubbliche di partecipazione, nell’elevata capacità di autofinanziamento delle imprese e nell’ampliarsi del divario fra i tassi sui prestiti e quelli sulle attività finanziarie. Ma già nel corso del 1997 l’accelerazione dell’attività produttiva e l’aumento degli investimenti in scorte hanno favorito la ripresa dei prestiti bancari, che sono tornati a crescere. Nel 1998 la crescita degli impieghi si configura come una delle condizioni favorevoli allo sviluppo dell’intermediazione creditizia dovute al completamento del processo di convergenza dell’economia verso la moneta unica. L’andamento crescente degli impieghi erogati dalle banche italiane ha interessato dunque tutti gli anni Novanta, come è facilmente desumibile dal grafico (costruito su dati mensili) qui riportato:

 

Graf. 1 – Andamento degli impieghi nella seconda metà degli anni Novanta.

(valori espressi in miliardi di lire)

 

Fonte: Appendici alla Relazione Annuale della Banca d’Italia – anni 1994/1999. Dati mensili.

 

Nel 1994 le banche hanno seguito politiche volte a modificare la composizione dei prestiti per forma tecnica, a vantaggio delle operazioni a medio e a lungo termine: tali operazioni sono aumentate del 7,3% (che si andava ad aggiungere all’11,2% registrato l’anno precedente). Questo rallentamento, nella tendenza crescente, è quasi interamente spiegato dall’andamento dei crediti alle amministrazioni pubbliche, il cui tasso di crescita si è più che dimezzato nel 1994.

 La crescita degli impieghi appena evidenziata si è rivolta, nell’intero periodo di osservazione, soprattutto alle imprese, alle famiglie produttrici nonché a quelle consumatrici, che hanno maggiormente beneficiato della ripresa ciclica. Da tale ripresa però sono rimasti esclusi i comparti nei quali l’attività produttiva ha mostrato segni di debolezza; quali il settore dei servizi e quello dell’edilizia, in cui si è assistito addirittura ad una riduzione rispetto agli anni precedenti. Una contrazione ben più ampia si è registrata negli impieghi verso società finanziare (contrazione dovuta ad una più attenta gestione degli affidamenti, in un settore in cui sono rapidamente aumentate le insolvenze). Va tuttavia sottolineato che per i prestiti concessi alle società finanziarie e assicurative si assiste ad un’inversione di tendenza a partire dal 1996, quando l’indebitamento bancario è tornato a crescere dopo tre anni di rimborsi netti, e già nel 1997 tale settore riporta un aumento di quasi il 20%. Questo rialzo è attribuibile alla forte ripresa dell’attività delle società di credito al consumo e di factoring, per le quali il credito bancario costituisce la fonte principale di finanziamento.

Nel 1999 si denota una tendenza inversa per quanto riguarda i prestiti alle imprese, che hanno fatto registrare un rallentamento. Tale decelerazione ha riguardato essenzialmente i finanziamenti al settore dell’industria. Una leggerissima crescita si è notata, invece, nel settore dei servizi. L’accelerazione della domanda dei prestiti da parte delle famiglie creditrici è stata utilizzata per l’indebitamento a più lunga scadenza.

La forte espansione degli impieghi è stata finanziata dalle banche con interventi volti ad aumentare l’indebitamento netto sull’estero (al fine di evitare un rialzo generalizzato dei tassi sulla raccolta interna) e a ridurre drasticamente il portafoglio titoli, in presenza di tassi di interesse nominali e reali molto contenuti rispetto al passato.

 Una precisazione importante da fare è inerente alle divergenze allocative a livello territoriale: l’andamento crescente degli impieghi è, infatti, stato più sostenuto nelle regioni del Nord rispetto al Centro e il divario si fa ancora più forte rispetto alle regioni meridionali.

La tendenza positiva è proseguita anche nei primi anni del terzo millennio; difatti già nel 2000 l’espansione dell’attività economica in Italia ha alimentato la domanda di prestiti e ha contribuito a ridurre le perdite su crediti. La domanda di prestiti è pervenuta agli enti creditizi soprattutto da parte delle imprese di maggiori dimensioni, al fine di finanziare l’espansione degli investimenti e i processi di ristrutturazione aziendale, e da parte delle famiglie per l’acquisto di immobili e beni durevoli.

Tale accelerazione del credito ha però riguardato solo la componente a breve termine, quella a medio e a lungo termine ha subito un rallentamento dopo gli aumenti registrati alla fine degli anni Novanta. Sotto un profilo settoriale si evidenzia che la crescita dei prestiti è stata rivolta soprattutto alle imprese industriali, tra cui, quelle che ne hanno maggiormente beneficiato sono le imprese del settore energetico. Non va affatto sottovalutata la crescita nel settore dei servizi, pari al 20,0%, alimentata innanzitutto dai finanziamenti alle società di telecomunicazioni e da un numero ristretto di operazioni di importo elevato in altri comparti. Nel 2000 si registra un rallentamento del credito al consumo concesso da banche e società finanziarie; tale decremento è ascrivibile essenzialmente alla decelerazione dei finanziamenti concessi mediante carte di credito, dovuta ad alcune ingenti operazioni di cartolarizzazione.

Nel 2001 le ripercussioni negative della sfavorevole congiuntura economica e finanziaria in Italia e nelle altre maggiori economie si sono rivolte anche al settore creditizio, in cui si è osservata una decelerazione dell’attività di prestito che ha riguardato tutte le categorie di clientela, ovviamente con peso diverso a seconda dei settori. Difatti, il rallentamento è stato più accentuato per le grandi imprese e per le società finanziarie. I prestiti concessi da banche italiane a clienti residenti in Italia sono aumentati del 7,4% (a fronte del 13,1% del 2000). Tale decelerazione ha interessato principalmente le imprese e le società finanziarie e assicurative. In misura molto contenuta sono cresciuti i prestiti all’industria manifatturiera, sia perché il settore ha risentito delle difficoltà congiunturali che hanno colpito lo stesso e anche per la ristrutturazione finanziaria di alcuni gruppi che hanno ridotto l’indebitamento bancario utilizzando i fondi raccolti attraverso aumenti di capitale ed emissioni di obbligazioni. Mentre, il rallentamento dei finanziamenti al settore dei servizi è in larga misura riconducibile alla diminuzione dei prestiti alle imprese delle telecomunicazioni. I prestiti alle famiglie, anche se in discesa rispetto al 2000, continuano a crescere ad un ritmo sostenuto; tali prestiti sono utilizzati sia per l’acquisto di immobili che per il credito al consumo.

Anche in questi ultimi anni permane la divergenza territoriale dell’andamento degli impieghi, tale attività è stata più sostenuta nelle regioni centro-settentrionali che in quelle meridionali.

Nel 2002 si assiste ad un rallentamento dei prestiti nei primi mesi dell’anno, per poi accrescersi nei mesi successivi. In quest’ultimo anno occorre annoverare due inversioni di tendenza: la crescita degli impieghi, pari al 6,3 per cento[3], ha superato quella del PIL in termini nominali e l’espansione è stata più sostenuta per le imprese con sede nel Mezzogiorno. La decelerazione dei prestiti, iniziata nel 2001 e accentuatasi durante il 2002, ha interessato soprattutto i finanziamenti alle imprese, con particolare riguardo al settore manifatturiero e a quello dei servizi; mentre sono aumentati i finanziamenti alle società di costruzione e quelli concessi alle finanziarie di partecipazione a capo di gruppi con un’ampia presenza nel settore immobiliare. Per quanto riguarda, invece, i prestiti alle famiglie si è registrato un aumento rispetto al 2001 e tale crescita è in larga misura riconducibile ai finanziamenti concessi per l’acquisto di abitazioni; rilevante è stato anche l’incremento del credito al consumo e dei finanziamenti a fronte dell’utilizzo di carte di credito.    

Il grafico qui riportato dà un’idea di come si sono mossi gli impieghi negli anni più recenti:

 

Graf. 2 – Andamento degli impieghi per gli anni 2000-2002.

(valori espressi in milioni di euro)



Fonte: Appendici alla Relazione della Banca d’Italia – anni 2000/2002. Dati mensili

 

    

1.3. IL RISCHIO E LA CENTRALE DEI RISCHI

 

Nonostante gli sviluppi positivi che arreca l’attività di prestito occorre ricordare che questa è un’attività altamente rischiosa e che l’andamento del portafoglio prestiti condiziona in modo determinante la performance di un’azienda bancaria e la sua stabilità; perciò le autorità di vigilanza bancaria invitano, con sempre maggiore insistenza, gli istituti creditizi a munirsi di strumenti e metodi volti a prevedere e anticipare le dinamiche della clientela, al fine di intervenire tempestivamente e ridurre, ove possibile, i rischi di perdita.

La natura del rischio in campo economico–finanziario è legata alla possibilità che il risultato di una particolare operazione, misurato ex post, sia diverso da quello previsto e atteso ex ante. Pertanto, il concetto di rischio configura una situazione di incertezza nella quale non si conosce l’esito finale di un determinato evento (il rischio è tanto maggiore quanto più numerosi e differenti sono gli esiti possibili).

Nella gestione bancaria si individuano allora diverse categorie di rischi e lo stesso schema dello stato patrimoniale è strutturato in maniera tale da porre in risalto le principali famiglie di rischio creditizio assunto dalle banche. Il maggiore rischio cui incorre la banca è legato all’evenienza che il debitore non sia in grado di rimborsare integralmente il suo debito alle scadenze convenute, ossia non assolve, in tutto o in parte, agli obblighi di rimborso del capitale e pagamento degli interessi. Ciò è dovuto alla divergenza temporale esistente tra la concessione del prestito e il rimborso dello stesso; può infatti accadere che le condizioni di affidabilità del cliente che supportavano la concessione si deteriorino durante la vita del prestito e che impediscano la sua regolare conclusione. Tale rischio comporta quindi la possibilità di perdite definitive sui crediti in essere per la banca gravando in modo più o meno pesante sulla sua situazione economica, finanziaria e patrimoniale. Il rischio legato alla faillite del soggetto finanziato, che assume le vesti di controparte della banca, di cui si è fin qui parlato, è denominato rischio di credito o di insolvenza.

Una sottospecie del rischio di credito è il rischio di liquidità. Questo viene considerato un caso particolare del rischio di credito perché contempla l’ipotesi in cui il cliente assolve ai propri obblighi monetari, ma in tempi diversi e successivi rispetto a quelli prestabiliti, obbligando la banca a sopportare un onere, non previsto, dovuto all’esigenza di copertura che viene soddisfatta con ricorso al mercato interbancario o con forme di raccolta a breve termine.

Il concetto di rischio, insito nella concessione dei prestiti bancari, può essere scisso in: rischio economico, che riguarda la redditività aziendale ed è strettamente connesso al rischio di credito, ossia l’eventuale insolvenza definitiva dell’impresa affidata, che comporti una perdita certa per il capitale non rimborsato e/o per gli interessi non corrisposti e rischio finanziario, che riguarda la liquidità aziendale e si manifesta come diretta conseguenza dell’insolvenza definitiva dell’impresa affidata. Tale rischio può anche essere riferito all’eventualità che il rapporto, pur non comportando immediatamente una perdita certa, si trasformi tuttavia in un immobilizzo finanziario.
Pertanto, poiché il rischio rappresenta un tema di centrale interesse per l’intero sistema economico, in quanto un debitore inadempiente non rimborsa né le banche, né le aziende industriali o commerciali creditrici, si avverte l’esigenza di quantificare il rischio stesso per minimizzarlo e rendere, quanto più possibile, ottima l’attività bancaria. A tal fine in Italia è stata istituita nel 1962, dal CICR e affidata alla Banca d’Italia, la Centrale dei Rischi, più precisamente definita come Servizio per la centralizzazione dei rischi bancari. Tale istituto obbliga tutte le banche a comunicare mensilmente alla Banca d’Italia i crediti accordati alla clientela superiori a importi prefissati (nonché i relativi utilizzi) e le posizioni a sofferenza senza alcun limite di importo, e impegna la Banca d’Italia a segnalare alle banche, per ogni nominativo per il quale abbiano comunicato la concessione di fido, la situazione riassuntiva dei crediti censiti al nome dello stesso, con l’indicazione, per ciascuna categoria di crediti, dell’importo globale accordato, di quello utilizzato (senza indicazione del nome delle banche concedenti) e degli eventuali elementi di patologia esistenti nelle relazioni di credito che la clientela intrattiene con altri intermediari creditizi (sofferenze, passaggi a perdita, sconfinamenti, crediti scaduti, garanzie escusse senza esito). Tale servizio concerne le posizioni di coloro che sono già affidati al sistema bancario e permette alle banche che hanno effettuato questi affidamenti di conoscere la posizione di rischio globale dell’affidato verso l’


[1] L’utilizzo delle nuove tecnologie può accrescere in misura considerevole l’efficienza sia nella fase di produzione (selezione della clientela, gestione del rischio, back office), sia in quella della distribuzione di servizi all’ingrosso (intermediazione mobiliare) e al dettaglio (gestione del risparmio, vendita di carte di credito).
[2] Il processo di unificazione monetaria ha avuto dei risvolti soprattutto per quanto riguarda i provvedimenti di politica monetaria. Infatti la responsabilità della politica monetaria unica è stata assunta dal Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE), composto dai Governatori delle Banche centrali nazionali (BCN) e dai membri del Comitato esecutivo e l’obiettivo prioritario di tale politica, dettato dal Trattato di Maastricht, è la stabilità dei prezzi dell’area nel suo complesso.
[3] In diminuzione rispetto all’anno precedente in cui il tasso di crescita dei prestiti era del 7,2%.

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