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giovedì 11 febbraio 2016

Il sindaco “garibaldino” don Gaetano Savatteri viene in malo modo invitato a dimettersi: l’ondata epurativa del ’62 lo coglie e lo travolge in pieno. Ma più che altro, il Savatteri resta annientato dalla morte della moglie. Una lapide a Santa Maria recitava:
Qui Dorme


nella pace del Signore


Donna Maria Grillo in Savatteri fù Francesco Paolo nata a Racalmuto e quivi morì di anni 52 l’alba del 20 Marzo 1862, col maledetto aneurisma.


Pietosa, caritatevole, devota assai prudente.


Obbediente figlia, consorte fedele, amorosa madre.


Della famiglia l’angelo, la pace l’allegria


Chè sua scomparsa eternamente cancellò:


allo sposo ai figli.


Deh! Adorabile madre accogliete questo duraturo monumento che vostro figlio Calogero vi eregge di lagrime bagnato.


In segno di sentita devozione


Beneditelo.


 


Si dice che il Savatteri, preso da sconforto esistenziale, finì in uno stato di misticismo misantropo: si ritirò nel convento di Santa Maria per stare vico alla consorte ivi sepolta, e lì visse come fratello laico, alla stregua di un monaco.


Tra i diversi figli andavano emergendo don Calogero Savatteri, il notaio, e don Gioacchino il futuro sindaco.


Don Calogero Savatteri ebbe sempre manie mazziniane: quando, nel 1873 - verso maggio - il neo Mutuo Soccorso si rivoltava contro i fondatori, i Matrona, per subire l’ascendenza dei Tulumello, il Savatteri - ormai in rotta con il fratello e con la consorteria del fratello che faceva capo agli stessi Matrona - si butta a capofitto nella vita di quel circolo e periodicamente vi legge sue dissertazioni che oggi destano semplicemente un moto d’ironico compatimento. Ai malcapitati zolfatai toccava sorbirsi tutto quell’eloquio pretenzioso ed incomprensibile. Quando il discorso scendeva a terra, era davvero un’orgia d’ovvietà: «Non siate timidi e pigri - dovevano sentirsi dire gli “egregi operai” [22] - a lavarvi spesso tutto il coprpo. L’acqua è gran preservativo e tante volte impedisce che malattie di pelle o diversamente invadino il corpo, specialmente il corpo dell’operaio che deve sostenere il lavoro, bisogna tenerlo netto e pulito più di ogni altro.» Già, perché «oggi è invece bello il vedere camminare l’Uomo e la donna ritti, colla testa alta e con sobrietà.» «A tenere il corpo robusto, sano ed anche agili e gagliarde le membra, influisce molto la nettezza e pulitezza del corpo, lavandolo di tanto in tanto.» Ma a pag. 57 aveva raggiunte vette speculative affermando: «l’istinto della propria conservazione fa sentire all’uomo il bisogno, l’obbligo ed il dovere di cambiare spesso le mutande.» Ed il Savatteri era davvero originale ribadendo l’opinione di Melchiorre Gioia sull’igiene, giacché «tenendo nette e pulite le mutande, oltre ad arrecare sollevamento all’anima dell’uomo, si concorre a dare vigore, forza e salute al corpo e s’impedisce la spontanea generazione d’insetti nocivi alla salute, togliendo il puzzo ed il fetore spiacevoli che tramandano gli abiti e le mutande quando sono sporchi.»


C’è un punto del suo che ci aveva fatto pensare ad una fede socialista del giovane virgulto della grande famiglia dei Savatteri: ed è quando si sofferma sull’eguaglianza. Ma a pag. 66, alla fine, fuga ogni malinteso: «L’eguaglianza politica e civile non dovete credere, egregi Operai, che consista nella ripartizione eguale dei terreni, delle case e del denaro, per come predicano certi utopisti dottrinarii sovvertitori dell’ordine sociale, e nemici del progresso, che si vogliono dare il tuono d’innovatori; no affatto: sono sicuro che simili fandonie e falsità non allignano nelle vostre menti.» Gratta gratta, l’uguaglianza era un problema di ... vestiario. «Oggi nessuna legge vi obbliga - si legge a pag. 58 - a conservare ancora che il civile deve vestire diverso dal mastro, il mastro differente dallo zolfataio, e questo diverso dal contadino. Continuando in tal guisa, malgrado i nostri sforzi   ed i vostri lavori di emancipazione, e di rialzamento, mantenete sempre vivo il germe della divisione delle classe e la disuguaglianza tra gli uomini. ... Persuadetevi, egregi operai, che la foggia del vestire influisce assai ad essere l’uomo avvicinato e rispettato. ... vi esorto di abbandonare il taglio degli abiti a costume  che l’odierna civiltà a [sic] sfatato e che ancora si conserva nei nostri comuni... Incominciate per Dio! Forse v’incresce o avete paura al pensare che i signoroni rideranno alle vostre spalle? Lasciateli ridere e verrà tempo che vi seguiranno. » Mutande e scazzetta erano questi i corni del dilemma savatteriano nelle affabulazioni al Mutuo Soccorso.


Quest’anno (1998) i padroni di quel sodalizio hanno ritenuto di affiggere una lapide funerea nella sala d’aspetto. Disponiamo di questi riferimenti giornalistici:


Trafiletto del Giornale di Sicilia   del gennaio 1998. Firmato Sapi cioè Salvatore Petrotto - l’attuale sindaco di Racalmuto.


 


Racalmuto, “Mutuo Soccorso” festeggia i suoi primi 25 (sic) anni.


 


RACALMUTO. (sapi) Il sei gennaio nei locali del circolo “Mutuo soccorso” di Racalmuto è stata inaugurata una lapide in ricordo dei 125 anni dalla nascita della società. Dopo il saluto del vice sindaco Pippo Di Falco  e del presidente Stefano Matteliano, è intervenuto Gigi Restivo, che ha letto alcuni passi dello statuto ed ha illustrato la storia del circolo fondato da Giuseppe Romano, Vincenzo Tinebra, Natale Viola, Federico Campanella, Calogero Savatteri e Lorenzo Viviani nel 1873.


 


Niente di più falso. Avevamo cercato di mettere sull’avviso con questo fax:


Racalmuto 5 gennaio 1998


Alla Presidenza del Mutuo soccorso di Racalmuto


Nella nostra qualità, rispettivamente, di ex presidente del sodalizio e socio esperto in microstoria del circolo, diffidiamo codesta Presidenza dall’affiggere la fantasiosa lapide commemorativa nelle sale del Mutuo Soccorso di Racalmuto, in quanto lesiva della verità storica già sunteggiata nella conferenza del dott. Calogero Taverna del 5 luglio 1993 (pag. 1 e segg.) agli atti della società, nonché dispregiativa dei nomi, fatti ed eventi di cui alla copiosa documentazione dell’Archivio di Stato di Agrigento che l’allora presidente sig. Carmelo Gueli ebbe cura di acquisire e debitamente conservare.


Ci si riferisce in particolare all’inventario n.° 18, fascicolo n.° 42 della prefettura di Girgenti del 16 giugno 1873 ed alla nota n.° 419 Gabinetto del 13 giugno 1876, ove emergono tra l’altro le figure di


)  Scibetta Salvatore;


) Rossello Giovanni;


) Marchese Giuseppe Primo;


) Lumia Gaetano;


) Grillo Giuseppe;


) Farrauto Angelo;


) Giardina Pietro;


)  Bellavia Elia;


) Licata Nicolò;


10°) Scimé Salvatore;


11°) Ferrauto Vincenzo;


12°) Giancani Luigi;


13°) Palumbo Angelo;


14°) Palumbo Antonino.


 


Con invito alla debita informazione ai soci.


 ..................................


( Carmelo Gueli, ex presidente)


...................................


(Calogero Taverna, socio del Mutuo Soccorso)


 


 


Ovviamente abbiamo ricevuto una beffarda disattenzione. In cambio, anche di un sussidio straordinario, la presidenza del Mutuo Soccorso poteva vantare un’encomiastica celebrazione su Malgrado Tutto. Ma la storia vera della fondazione del Mutuo Soccorso resta incagliata nell’astioso rapporto di S.P. (Pubblica Sicurezza), che abbiamo prima riportato e così rubricato: [23]


 


DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N.  157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 13 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al reclamo della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto. - Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti. Racalmuto addì 14 giugno 1876.


 


La faccenda partiva da lontano, da un esposto del Mutuo Soccorso che metteva in ambasce la prefettura:


 


R. PREFETTURA DI GIRGENTI


n. 419 sub 1\6\75


Esposto dei soci del Mutuo Soccorso di Racalmuto, del 31 maggio 1875


 


Al Signor Prefetto della Provincia di


Girgenti


 


Signore


 


I sottoscritti componenti il Consiglio direttivo della Società del Mutuo Soccorso degli Operai di Racalmuto, rassegnano alla S.V. Ill.ma quanto siegue.


La detta Società tende ad affratellare la classe lavoratrice pel miglioramento  morale e materiale della classe stessa; fondata sin dal Gennaro 1873 con l'ausilio dei Signori fratelli Gaspare e Napoleone Matrona, il primo attualmente Sindaco di questa Comune, ed il secondo fu quegli che il giorno dell'impianto della società pubblicò gli articolati dello statuto per approvarsi, e diresse il tutto.


La Società, dopo un poco elasso di tempo, eleggeva a socii onorari i predetti Signori Matrona, i quali ne significarono con lettera la loro accettazione. Le relazioni tra il Signor Sindaco e la Società divennero or mai più strette, tanto vero, che in tutte le feste Nazionali e religiose, ove assisteva il Municipio, la Società era sempre invitata per assistere parimenti a quelle solennità.


Lo mentre la Società era ligia ai voleri del Sindaco e volentieri obbediva a tutti gli inviti dello stesso; la Società era progressista e tendente all'ordine; onesti e liberali erano tutti coloro che la componevano; se ne encomiava la condotta; si plaudivano tutte le sue operazioni, tutto era armonia e serenità.. Quando, giorni sono, l'inaspettato scoppio di un fulmine in ciel sereno, venne a spezzare le relazioni tra il Sindaco e la Società, a disturbare l'armonia che li univa e ad abbuiare lo splendore che rischiarava il tanto bene che si operava dalla stessa. La si fu l'arrivo di un numero del Giornale intitolato Don Bucefalo, che conteneva un articolo a carico del ridetto Sindaco, che la Società dietro di aver udito la lettura in pubblica assemblea ( per come suole usarsi di tutti i giornali diretti alla Società) l'assemblea medesima non sen incaricò e passò a trattare delle faccende proprie.


Il Sindaco non si acquetò a codesto diportamento indifferente della Società, volea tirare bracia alla sua pasta con le mani attrici, e fece sentire a certi socii a lui dipendenti, che proponessero ed invogliassero la Società a rispondere in contrario a quanto diceva il giornale. I Socii che si ebbero questo incarico fecero noto all'assemblea, che era piacere del Sindaco, che la Società si incaricasse dell'articolo in di lui carico e che si accingesse a smentirlo; al che la Società peritosa sul da fare, adottò la norma che la stessa siegue tutte le volte che un socio viene accusato nella condotta; e cioè d'invitare il Socio accusato per legitimarsi in faccia della Società infra un termine, sotto pena di venire cancellato, e così fece. Deliberò che il Sig.r Gaspare Matrona come socio venisse a legitimarsi infra sessanta giorni del carico che l'articolo gli addebita.= Cotesto deliberato fece montare nelle furie il detto Signor Matrona, e concepì in cuor suo il disegno di vendicarsi a qualunque costo e di fare sciogliere la Società. Ed in effetti non indugiò tanto a far vedere i preludii; la sera del 28 spirante Maggio, quando il consiglio era riunito, il Signor Napoleone Matrona si portò nell'ufficio della Società, ed appena giunto si fece lecito bistrattare con ingiuriose parole pronunziate con indicibile acrimonia contra gli assembrati, tanto che quei buoni operai riuniti rimasero di sasso; chiese conto dell'operato alla Società in riguardo all'articolo di cui è parola, e letto una proposta fatta da un socio in proposito, che invitava l'assemblea a prendere in considerazione quell'articolo a carico del Socio Gaspare Matrona, disse altre obbrobriose parole per la società, ed invitando il consiglio a cancellarlo di socio unitamente al di lui fratello Sig.r Gaspare, si appartò.= Poco dopo di questa scena, si videro presentare il Delegato di sicurezza pubblica accompagnato da due reali carabinieri, chiedendo la consegna del pezzo di carta ove era scritta la predetta proposta. Gli assembrati gliela esibirono immantinenti, ed il delegato se la portò con se.


Le diatribe e garralità che si sparsero, l'indomani, contro la Società, sono indicibili Onorevole Sig.r Prefetto. Essa viene dipinta come una associazione d'internazionalisti, come una banda di briganti; composta da gente di galera e simili, tanto che han messo in allarme le famiglie dei socii; ognuno crede arrivata l'ora di venire arrestato; di essere mandato in esilio o a domicilio coatto; insomma si crede essere in quei tempi del medio evo, che fece esclamare dal divino Alighieri.


O fortunati! E ciascuna era certa


della sua sepoltura.


Ecco Signor Prefetto, perché i supplicanti si rivolgono alla di Lei giustizia, onde non dare credito a tutto quanto Le potranno esporre avverso detta Società; mentre il fatto genuino è quanto si espone, e potrà informarsi da onesti cittadini del Paese.


Racalmuto lì 31 maggio 1875.


Falletta Calogero - Romano Calogero


Salvatore Scimè - Lumia Gaetano


Agrò Rosario - Rossello Giovanni


Giuseppe Romano.


 


E’ facile vedervi la prosa tra l’aulico e l’incespicare del giovane barone Tulumello. Il prefetto aveva il suo bel da fare (o da dire) per riportare entro limiti di normalità il contesto accusatorio. Da Roma si esigevano spiegazioni ed era il ministro dell’interno a reclamare informazioni e chiarimenti. C’era di mezzo nientemeno Garibaldi.

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