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giovedì 15 settembre 2016


Confesso la mia piacevole sorpresa nel vedere visitato a frotte ed in poche ore il mio post provocatorio (per celia) diretto all’amico Piero Carbone. Mi dico non vestirti delle penne del pavone, il richiamo promana da Piero. Cristo Santo ma Piero è così popolare?. Certo certissimo. Fascino intellettuale a parte e incidenza letteraria di prjm’ordine hanno prodotto il miracolo dell’affollato ascolto delle note del Taverna.

Purtuttavia, qualche merito debbo averlo. Credo che si tratti dell’additata prospettiva di valorizzare questa ormai cattedrale nel deserto che è la Fondazione. A leggere i primissimi articoli dello statuto, l’esorbitante spreco di soldi pubblici, la regalia dello stabile residuo della incipiente indutrializzazione di Racalmuto (iniziata nel fascismo e seppellita nel dopoguerra), la dotazione di accorgimenti informatici dell’ultima ora, pretesa dalla famiglia per dare quello che doveva dare (e dopo manco tutto diede) dovevano far di Racalmuto una fucina letteraria, culturale, esegetica intorno all’opera (magistrale) del grande Sciascia. Altrimenti perché si sarebbero spesi tanti soldi? Per nulla? Per le rimembranze di coloro (forestieri) che godettero dei “ricchi silenzi” di Sciascia nel chiuso di un “grumo d’affetti e d’intelligenze”?  Non ce l’ho con il prof. Antonio di Grado, che anzi  a seguirlo su FB mi convince e mi erudisce sempre più. Solo vorrei che tirasse fuori i suoi zebedei per imporre saggezza, dignità, iniziativa, slancio statutario a chi vi bivacca per un lauto pranzo o per un esagerato rimborso spese, credendo che per sé e la degnissima consorte gli alberghi non sono degni se non oltre le cinque stelle.

Non nego che cose buone siano state fatte, che niente è stato banale – salvo qualche indulgenza ad aspiranti storici o filosofi  o a qualche poeta vulgo sciocco – ma molto e molto di più era doveroso fare. Intanto, mi risulta che il fascicolo “Sindona” non sta in Fondazione, che le carte vescovili di Mons. Ficarra    latitano (e non credo per scrupoli ecclesiali), che i ritegni testamentari valgono salvo interesse contrario. Ma lasciamo perdere, non sapremmo ora con chi prendercela; prima si poteva, prima si doveva. Tutti quelli che si sono assisi nello strapuntino della cattedra sciasciana hanno colpe da cui si dovevano emendare e non l’hanno fatto. Ora, risvegliamoci; riprendiamoci quello che ci spetta; trasformiamo un inutile e pretenzioso maniero al vertice d un paese parsimonioso e dignitoso, ricco di case a misura d’uomo che non dimentica le sue recenti dimensioni contadine.

Non sono né letterato né moralista, mi pare però che ad ottant’anni e dopo mezzo secolo di letture sciasciane scoprire che il “rondismo di Sciascia” è ancora un lato oscuro di questa sublime esperienza letteraria di un ex sartore divenuto il maestro della lingua colta di fine novecento; dovere ammettere che l’alterco (cortese ma agguerrito) tra Sciascia e Pasolini sullo scrivere, sulla buona tecnica scrittoria, sul diverso approccio tra il conosciuto ed il conoscibile non fu una questione di puntiglio tra sommi, tanto ed ancora tanto resta nell'ignoto e non è tollerabile. Non posso farmi anchilosare dal francese Claude Ambroise che si crede originale negligendo l’istinto tutto gallico nel dire cose chiare e distinte ed aggrovigliarmi in vacui endiadi del tipo : “scrittura della verità o verità della scrittura: in uno scrittore , il problema della verità è, per forza, reperibile nella pratica della scrittura”. Davvero Sciascia fu ossessionato dalla verità? forse non apprezzò Bulgakov che nel Maestro e Margherita scopre che Cristo alla richiesta di Pilato su che cosa fosse la verità, tronca il discorso e si consegna alla crocifissione? Non aveva letto sorbito Pirandello, già? Cosi è se vi pare. In uno scritto minimo, presentando le memorie di Tinebra, il Nostro si lascia andare ad una umanissima confidenza: “voglio confessare che anch’io non mi sono privato del piacere di riportare  un documento pur conoscendone la falsità”. E lo fece spesso: ricordarsi dell’appunto di Spagnoletti sulla documentazione di cui si avvale Sciascia nell’osannare il poeta morto bruciato per incendio nelle carceri dirette da don Luis de Pàramo, Antonio Veneziano. Ha poi un bell’esibire Russi Sciuti carte secentesche che smontano fame, miseria, violenza e muffoli di fra’ Diego. Divertente: Felice Cavallaro ragguaglia con fedeltà su questa irruzione della “verità” nel palazzotto in cima al colle della Fondazione, il sunto pubblicato viene talmente emendato da fare apparire persino conferma la contestazione Russi Sciuti.

Non soffriamo di pedanteria, per noi tutto è cultura, tutto è umano, specie nel suonare le varie corde, in particolare quando si pizzica la corda “pazza”.

Ma pizzicare per pizzicare, che grande concerto per sola chitarra potrebbe congegnarsi in questa nostra Fondazione, che studi concentrici su Sciascia che si irradiino però sino all’infinito (umano)! Che occasione di lavoro proficuo, intellettuale, degno di questa intelligenza sconfinata racalmutese che purtroppo quasi sempre  si disperde nell’accidia soffocante!  Questa la chiusa del mio post che tanto riscontro d’ascolto ha avuto. Qui ho voluto ribadire.

In seguito cercherò di sfruttare  questa insperata attenzione per reiterare su cose già dette nei vari blog: occupazione indotta da iniziative industriali e culturali quali lo sfruttamento delle nostre risorse naturali, alabastro, il giallo dello zafferano di Strabone (ne parla in greco infatti questo geografo dell’era augustea); attuazione delle disposizioni testamentarie a partire da quelle di Ferdinando Martini per day hospital con riguardo al'alleviamento dei mali psichici diffusi nelle malattie mentali (idea già sviluppata nel mio progetto del parco letterario, progetto sabotato per la speciosa argomentazione che vi era oltraggio alla memoria di Sciascia); scuole professionali di addestramento del personale impiegatizio comunale, lasciato spesso in balia di se stesso e quindi indotto ad assurdità amministrative e legali come occorsomi per la vecchia ici; iniziative imprenditoriali in joint venture tra ente locale e forze giovanili in settori quali il turismo, le culture specializzate, la salvaguardia ambientale; ricerca di collaborazione di capitali esteri (oggi vorrebbero investire i cinesi per alleggerire il loro dissennato finanziamento del debito pubblico americano; trovano ostacoli burocratici per sotterranee pressioni d’oltreoceano); e così il nostro dormiente progetto aeroportuale con scali merci e non di passeggieri cessa di essere solo un sogno nel cassetto.

Quel che occorre è una nuova amministrazione comunale, con idee, con coraggio, un po’ ma non troppo spregiudicata, colta e idonea al colloquio con forze industriali di questo nuovo diverso millennio.

Buona volontà senza cultura, ed anche conoscenze professionali  rapprese nel prticolarismo paesano  finiscono nel mattataio di un blog localistico. Vedo che Piero Carbone ha ascolto, ha persino seguito personale, è ”homo politicus” oltre che letterato molto raffinato. Si inizi a costituire un tiaso di intelletti  non immondi (e a Racalmuto vi stanno e in abbondanza) e ci si prepari a subentrare il più presto possibile a questi signori venuti da lontano per osteggiare inventate infiltrazioni mafiose  (tanto inesistenti da costringere un giudice a condannare alle spese il ministero retto dalla nostra commissariante Ministra Cancellieri, socia onoraria del Circolo Unione).

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