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lunedì 7 novembre 2016

Mi rincresce davvero dover qui dissentire da quanto scrive lo scrittore nostro compaesano sulla sua origine racalmutese.
I registri parrocchiali - che il grande scrittore invero disdegnò di consultare approfonditamente - forniscono dati sulla genealogia di Leonardo Sciascia che vanno ben al di là del “nonno di suo nonno” (cfr. Occhio di Capra, ed. 1990 pag. 12).
 [Proiettare i fogli dell’albero genealogico di Leonardo Sciascia]



 
1690 circa
SCIASCIA
LEONARDOM.°
sposatosi alla fine del Seicento ad Agrigento nella Parrocchia di S. Pietro con
QUAGLIATO
VINCENZA
 
1726
29.9.1726
SCIASCIA
GIOVANNI M.°
del fu m. Leonardo e Vincenza Quagliato vivente olim jugati Civitatis Agrigenti et Parochiae S. Petri
SCIBETTA
ANNA
di m.° Stefano et q. Rosa Anna Rizzo di Racalmuto
1754
7.1.1754
SCIASCIA
LEONARDO M.°
di m.° Giovanni ed Anna Scibetta
ALFANO
INNOCENZA
di m.° Bartolomeo e Caterina olim jugati
1766
28.3.1766
SCIASCIA (XIASCIA)
GIOVANNI M.°
vir Annae Scibetta di anni 68
Morti 1760-1767 - n. 184
jugatus h.[uius] T.[errae] [ quindi racalmutese nato attorno al 1698] refectus obiit eiusdem cadaver sepultum fuit in Fovea S. Francisci.
1801
31.8.1801
SCIASCIA
LEONARDO
vir Innocentiae - anni 78 circiter in fovea Sacramenti
Morti 1797-1811 - pag. 1235
 
1802
24.2.1802
SCIASCIA
CALOGERO
fu m.° Leonardo e la vivente Nucentia Alfano
SCIBETTA
FRANCESCA
f. di m.° Pasquele  e Calogera Nalbone
1810
26.8.1810
SCIASCIA
PASCALIS
di m.° Calogero Sciascia e Francesca Scibetta jug.
Ego Sacerdos Nicolaus Savatteri ex lic. Parochi baptizavi infantem natum heri
dal registro dei battesimi 1810-1815 n. 14
1879
12.9.1879
SCIASCIA
PASCALIS MAGISTER
fu Calogero e fu Francesca Scibetta vir Angelae Alferi obiit - anni 68
Morti 1875-1889 - Matrice Racalmuto
1884
25.10.1884
SCIASCIA
LEONARDO
fu Pasquale
e Angela Alfieri
SCIASCIA
ANNA
1887
27.1.1887
SCIASCIA
PASQUALE (PASCALIS)
DI LEONARDO SCIASCIA
e Maria Anna Sciascia
 
1920
8.3.1920
SCIASCIA
PASQUALE
figlio di Leonardo e  fu Marianna Sciascia di anni 33 dom. a Racalmuto
MARTORELLI
GENOVEFFA GIUSEPPINA
di Giuseppe e Rosalia Fantauzzo di anni 22 - di Racalmuto [Promessa Sposa] 
1920
27.3.1920
SCIASCIA
PASQUALE
figlio di Leonardo e  fu Marianna Sciascia
MARTORELLI
GENOVEFFA GIUSEPPINA
1921
8.1.1921
SCIASCIA
LEONARDO
di Pasquale
e Martorelli
Genoveffa Giuseppina
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
1.  1690 circa       SCIASCIA LEONARDO M.°
2.  29.9.1726        SCIASCIA  GIOVANNI M.°
3.  7.1.1754          SCIASCIA  LEONARDO M.°
4.  24.2.1802        SCIASCIA  CALOGERO
5.  26.8.1810        SCIASCIA  PASCALIS
6.  25.10.1884      SCIASCIA   LEONARDO
7.  27.3.1920        SCIASCIA  PASQUALE
8.  8.1.1921          SCIASCIA   LEONARDO



Sciascia è racalmutese per lo meno a partire dalla fine del Seicento e non dai “primi dell’Ottocento” come amò credere sulla scia di una sua metafora irridente all’irridente avversione locale verso i “nadurisi” (Occhio di Capra, pag. 95). Là Sciascia ama inventarsi un bisnonno appunto “nadurisi”. Per i racalmutesi: «Venire dal Naduri - cito Sciascia - era come venire da una sperduta contrada di campagna: essere dunque zotici e sprovveduti. Quasi peggio dei milocchesi. Dal Naduri è venuto a Racalmuto il nonno di mio nonno, Leonardo Sciascia: da contadino che era stato, a Racalmuto intraprese il mestiere di conciatore di pelli, pure commerciandole”.
Non so dove abbia appreso  queste notizie il grande scrittore: so solo, però, che i libri parrocchiali lo smentiscono su tutta la linea. Da lì vien fuori un albero genealogico di Leonardo Sciascia ben diverso da quello che tratteggiò lo stesso Sciascia.
L’invocato “nonno del nonno” era un apprezzato mastro locale, fedele appartenente alla “maestranza” ancora esistente all’Itria. Di nome Calogero (e non Leonardo), apparteneva ad una famiglia di mastri che in linea diretta ci conduce sino ad un capostipite del Seicento di nome Leonardo, sposatosi con l’agrigentina Vincenza Quagliato.
“Lapsus della memoria” vorrebbe la famiglia - da me consultata. Può darsi: ma non può neppure affermarsi - come è stato fatto - che il grande scrittore volesse riferirsi al “nonno di sua nonna”, che in effetti si chiamava Leonardo Sciascia.  Invero, anche costui era racalmutese, figlio di racalmutese, fratello di quell’Antonino Sciascia, professore universitario, di cui parla il Tinebra ed a cui  lo stesso Leonardo Sciascia teneva particolarmente.
Mi si perdoni questo mio insistere sulle origini racalmutesi dello scrittore.
Il «'lapsus' della memoria» mostra, a mio modesto avviso, un atto trasfigurante occorso - o cui il grande scrittore ha indulto - per esigenze dell'intelligenza ai fini di uno dei suoi raffinati aforismi. Se voi - se noi - racalmutesi avete in uggia i 'nadurisi', ebbene allora io sono 'nadurisi'. E con ciò? Il dramma o la farsa di essere «un'isola» o «un'isola nell'isola» o «un'isola nell'isola dell'isola..» etc. permane non so se tragicamente o esistenzialisticamente.
 
Racalmuto non ha una storia esemplare. E' una storia paesana, qualche volta violenta, tal altra generosa, ma sempre entro le righe, in un pentagramma di invariabile moderazione. L'unica sua gloria è Sciascia. Svetta e se ne distacca. Radicarlo nella terra del sale, è un mio orgoglio ed una mia ambizione. 'Occhio di Capra' sembrava smentirmi: le carte della Matrice mi rasserenano e suffragano la mia convinzione.
Non pretendo certo di scandagliare il mondo dei sentimenti verso Racalmuto del grande Sciascia: viceversa, ho tentato di risalire la corrente pluricentenaria di quella 'blasfema ironia' che Sciascia ritaglia per Racalmuto (Kermesse, pag. 54 ), convinto che da quelle antiche propaggini si diparte l'insondabile gene atto a far sbocciare il genio inquieto ed irriverente dello Scrittore racalmutese.
 
Un monito discende da questo discorso: chi vuol scrivere di storia locale non può esimersi dal macerante consultare il rosario di libri e rolli della nostra Matrice di Racalmuto. Diversamente diviene ineludibile incappare in smentite cocenti.
 
CARTEGGIO DEL 1577
 
Quando con il prof. Nalbone si scriveva il presente volume sulla Racalmuto del Cinquecento, non si era ancora scoperta l’eccezionale importanza del carteggio del 1577 rinvenuto di recente nel Fondo Palogonia di Palermo. Esso viene pubblicato in seconda appendice al nostro libro con qualche scarna nota di commento.
Ma è materiale che va bene studiato e soppesato, essendo fondamentale per la storia civile e politica di Racalmuto all’epoca di Filippo II.
Non so se in atto il prof. Massimo Ganci è dell’avviso palesato quando ebbe a commentare gli studi del Titone sui Riveli. Allora, nel 1962, il prof. Ganci sottolineava la parte del Titone che intravedeva “sperequazioni” nella “ripartizione dei pesi del donativo” risultando “maggiormente gravate le università demaniali di quelle feudali” e dovendosi ritenere che “sperequazioni più gravi si avessero all’interno delle università” (cito dalla recensione del libro del Titone in STUDI STORICI 1962 anno III n. 3 pag. 606).
Altra tesi lambita è quella che sarebbe non provata l’accusa di fiscalismo rivolta alla Spagna del tempo (pag. 611) dato che “gran parte del denaro esatto dalla Spagna rimaneva in Sicilia”. E se anche questo fosse stato vero, ciò poco però importava ai racalmutesi del tempo che venivano pelati  - e come! - dalle Tande ed il denaro spillato a tutti indistintamente i nostri compaesani se non andava in Ispagna a Racalmuto certo non rimaneva.
Il carteggio che qui richiamo illumina sull’esoso fiscalismo spagnolo ai danni dell’università feudale ed ha tratti inquietanti circa la disumanità viceregia.
Nel 1576 si era abbattuto su Racalmuto quella immane pestilenza che colpì l’Italia intera.
Del pari sconvolgente dovette essere lo scenario racalmutese: leggiamo nel carteggio che «per lo contaggio del morbo che in quella s’ha ritrovato che sono stati morti da tre mila persone [a Racalmuto]  restano solamente ... due mila e quattrocento delli quali la maggior parte sono fuggiti assentati e rovinati ...».
Nel precedente Rivelo del 1570  Racalmuto in effetti contava 5279 abitanti; ma in quello del 1583 scenderà ad appena 3823: una flessione che sinora nessuno era riuscito a spiegarsi e che Sciascia scarica sui Del Carretto e sulle  sue tasse enfiteutiche del terraggio e del terraggiolo [Morte dell’Inquisitore, pag. 181].
Confesso che anch’io ero scettico su questo crollo demografico di Racalmuto prima della consultazione dei documenti del Fondo Palagonia. Ancor oggi non è che creda in pieno in questo tracollo: ci fu un’opportunità per sgravi fiscali e si cercò di scontare la tragedia della peste racalmutese del 1576 con qualche beneficio tributario. Il terremoto di Messina e la sciagura del Belice sono al riguardo ben significativi.
Tuttavia, la flessione vi fu e forte. I nostri antichi progenitori parlano di un dimezzamento della popolazione nel vano intento di intenerire gli agenti delle tasse palermitani; ma per bocca del viceré don Carlo d’Aragona e della sua corte Sucadello, De Bullis ed Aurello, costoro non se ne diedero per intesi. Le “tande” o più graziosamente “donativi” andavano pagati sino all’ultimo grano a Sua Maestà Cattolica il re di Spagna. Ed andavano pagate anche le tasse arretrate, senza ulteriori indugi.
V’è agli atti una secca e perentoria negativa alla seguente perorazione dei Giurati racalmutesi:
«Ill.mo et Ecc.mo Signore, li Giurati della terra di Racalmuto exponino à vostra Eccellenza, dovendosi per l’Università di quella Terra molta quantità e somma di denari alla Regia Corte cossì per donativi ordinarij, et extraordinarij et altri orationi [per oblationi ?] fatti per il Regno à Sua Maestà,  come per le tande della Macina, non havendo quelli possuto satisfare per lo contaggio del morbo che in quella s’hanno ritrovato  ... ,  à vostra Eccellenza l’esponenti hanno supplicato che se li concedesse à pagare quel tanto che detta università deve alcuna dilattione competente [e che ] à detta Università fossero devenute [condonate] li tandi maxime quella della macina che si doveva pagare ..»
La burocratica risposta palermitana è spietata: la decisione (provista) di Sua Eccellenza si compendia in un “non convenit” “non conviene”. La tragedia racalmutese agli occhi palermitani si traduce in una gretta questione di convenienza: come oggi, anche allora, come per Berlusconi o Bossi anche per don Carlo d’Aragona, lo stato sociale o quel che si reputa assistenzialismo deve cedere il passo alla rigida logica del debito pubblico: l’abbuono di tasse non è ammesso, non conviene alle esigenze del bilancio dello stato. Una storia dunque che si ripete; un localismo, il nostro, quello di Racalmuto,  che ha valenza oltre il tempo, oltre la landa municipale. Altro che isola nell’isola ..
Remissivamente i giurati di Racalmuto nel 1577 accettano il loro fato e fatalisticamente annotano:
[Ma tale petizione non ha avuto esito] “ per lo chi attendo [attesa] la diminutione delle persone morti è stato per vostra Eccellenza provisto quod non convenit quo ad dilactionem [ f. 228] e poiche l’esponenti per li Commissarij che alla giornata si destinano contro loro, e detta città per l’officio del spettabile percettore s’assentano, e non ponno ritrovare modo alcuno di satisfare à detta Regia Corte e se li causano eccessivi danni, et interessi supplicano Vostra Eccellenza resta servita concederli potestà di poter fare eligere persona facultosa, poiche pochi vi sono in detta Terra di poter vendere augumentare, e raddoppiare alcune delle gabelle di detta università, e fare quel tanto che per consiglio si concluderà, acciò potersi sodisfare nullo preiudicio generato ad essa università circa detta diminuttione, e difalcatione che hanno supplicato doversi fare à detta Terra per detta mortalità, e mancamento di persone, e resti servita Vostra Eccellenza  sia quello mezzo che si concluderà quello che di sopra si è detto per detto conseglio concederli dilattione almeno di mesi due, altrimente stando assentati non potriano effettuare cosa alcuna e detta Regia Corte non verria ad esser sodisfatta ne tenendo detta università modo alcuno di sodisfare, ne tener altro patrimonio ut Altissimus. ..”»
La messa in mora  della locale amministrazione per ritardo nel versamento delle tande sulla macina scatena dunque la cupidigia di commissari palermitani squinzagliati nel malcapitato paese moroso ad esigere, oltre alle imposte, pingui “giornate” (le attuali diarie per missioni) e ad aggravare le esauste finanze locali  «con eccessivi danni ed interessi».
Si accordino - si chiede da Racalmuto - due mesi di dilazione per trovare un sistema di reperimento dei fondi ed assolvere il cumulo tributario.
Questa seconda istanza viene accolta. Ma l’invadente autorità viceregia detta una serie di disposizioni sui modi, tempi e luogo delle procedure per uno nuovo sovraccarico fiscale sulla cittadinanza racalmutese.
Il carteggio qui va attentamente studiato raffigurando istituti, costumi, organizzazioni pubbliche e territoriali del primo secolo dell’epoca moderna. Hanno una originalità che non mi pare sia stata debitamente messa in luce dalla cultura storica degli accademici.
Viene fuori uno spaccato dell’organizzazione statuale che non può ridursi al mero dato tributario (la gabella per assolvere gli oneri fiscali) ma che fa trasparire una vocazione democratica impensata. Per sopperire alle necessità tributarie, Racalmuto assurge al ruolo di Comune libero, democraticamente organato, con una sua assise plebiscitaria, avente poteri decisionali.
L’ordine, certo, arriva da Palermo, dall’autorità centrale, ma è ordine volto ad attivare le istituzioni democratiche comunali. Con aperture sociali che gli attuali consigli comunali sono ben lungi dall’avere, è il popolo che viene chiamato a raccolta, è il popolo che decide sui propri ineludibili gravami tributari, ovviamente sotto la guida e la direzione di quella che oggi chiameremmo la giunta comunale: la giurazia.
Leggo con vero gusto questi passaggi delle carte palermitane:
vi diciamo, et ordiniamo che debbiate in giorno di festa é sono di campana come è di costume congregare il vostro solito consiglio sopra le cose contenute nel preinserto memoriale, e quello che per detto conseglio seù maggior parte di quello sarà concluso, et accordato, e sigillato lo trasmitterete nel Tribunale del real Patrimonio acciò di quello fattone relatione possiamo provedere come conviene. - data Panormi 11. Martij 5^ ind. 1577. Don Carlo d’ Aragona - Petrus Augustinus Sucadellus  ... conservatore [f. 229] Marianus Magister Rationalis, de Bullis Magister Rationalis, Franciscus de Aurello Magister Notarius, ..»
 
Il Consiglio comunale si svolge nella chiesa dell’Annunziata - che anche allora, molto prima che nascesse don Santo d’Agrò, era bene operante a Racalmuto -  ed abbiamo anche il verbale consiliare che mi pare opportuno rileggere, almeno nelle sue parti essenziali:
Racalmuti die 25. Aprilis 5^ Ind. 1577.
Die festivo Supradicti Martij in Ecclesia Sanctae Mariae Annuntiatae dictae Civitatis existens in platia publica.=
 
[Consilium detentum die predicto in Ecclesia predicta ad sonum campanae more solito in quod magnificos Juratos iuxta formam literarum Secretarum Eccellentiae Suae et Tribunalis Regij Patrimonij eis  directarum datarum Panormi die 11. Martij prox: pret: 5^ ind. instantis 1577. iuxta formam propositionum, et hoc ad informandum predictam Eccellentiam Suam et Tribunal predictum Regij Patrimonij super infrascriptis. ]
 
Perche ritrovandosi l’università di questa Terra di Racalmuto debitrice in molta somma cossì alla Regia Corte
 
 per donativi ordinarij, et altri oblationi fatti per il Regno à Sua Maestà, et alcuni tandi imposti sopra la Macina, come ancora per alcuni debiti correnti non havendo passuto in tutto satisfare per la tanta mortalità successa in quella del contagio, e tanta diminutione di persone,
 
è stato supplicato da parte di detta Università per li Giurati di quella à Sua Eccellenza che per li detti debiti se li concedesse dilatione competente per potersi ritrovare il modo di quelle sodisfare, et in quanto à quelli della macina poiche avendosi fatto offerta à Sua Maestà, et ordinatosi quella dovere pagare per poche di persone di tutte città, e terre del Regno à raggione di denari novi per ogni tummino [f. 230] che per il ripartimento e numero di persone che allora vi erano in detta terra tocca à detta Università pagare in due tande once 24.5.11.2.
 
che allora concesse Sua Eccellenza potestà alli Giurati, che volendo et apportandosi per consiglio li cittadini pagare tali tande di Macina alli Minuti del sopradetto modo à raggione di denari novi per tummino, o veramente per tali pagamenti volessero imponere alcune gabelle dummodo che quelli se imponessero sopra cose comestibili, e potabili stasse in loro arbitrio, e volontà, e per tale causa sono imposte per la sodisfatione di dette tande di macina alcune gabelle, li quali per la diminutione, e mortalità di persone sono mancanti in tal modo che non possono assuplire, ma in poche parti alla sodisfatione predetta che restasse Sua Eccellenza servita difalcare detta Università per tale diminutione non si potendo per tali tandi di Macina tassare ne ritrovare il modo di pagarsi, fù provisto quod non convenit quo ad dilationem, e tuttavia alla giornata si causano à detta Università mille danni di spese, et interesse di giornate di Commissarij, che nel spesso si destinano, et in tal forma che appena si può esigere quello che per giornate di Commissarij si paga,
 
e vedendosi che tuttavia detta Università non si vederà libera à tal debito supplicano detti Giurati un’altra volta à Sua Eccellenza che resti servita concederli potestà di poter eligere persone facultose, ò vendere et augumentare, e raddoppiare alcune delli gabelle di detta Università, e fare quel tanto che si potesse per consiglio concludere acciò si potesse detta Università liberare di tal debito et interesse nullo prejudicio generato à detta Università sopra la diminutione, e difalcatione che se li deve fare per detta Regia Corte stante le raggioni predette come si contiene per memoriale alli quali s’abbia in tutto relatione [f. 231] et essendo stato provisto per la prefata Eccellenza Sua e Tribunale del Real Patrimonio che si congregasse sopra le cose contente in detto memoriale consiglio, e quello si trasmettesse per poter provvedere come convenisse, per ciò s’ha devenuto alla congregatione del presente consiglio come intesa la presente proposta habbiano sopra le cose prenominate ogn’uno possi liberamente dire il suo voto, e parere.
Il Magnifico Vincenzo d’Randazzo uno delli Magnifici Giurati di detta Terra, e locotenente del Magnifico Capitano di quella, è di voto, e parere che s’aggiongano onze quaranta di rendita da pagarsi quolibet anno come meglio e per manco interesse di detta Università si potrà accordare con quelle persone che vorranno attendere à tal compra di rendita,
 [e per l’altri pagamenti cosi di donativi ordinarij, et extraordinarij come per quelli detti debiti correnti per ritrovarsi li genti che sono remasti in detta Terra tutti quasi rovinati che s’habbiano di raddoppiare tutte le infrascritte gabelle accioche per futuro il provento di quelle vengono à convertirsi in sodisfattione di quello che annualmente si deve à detta Regia Corte, li quali denari che si perciperanno di detta suggiogatione s’habbiano à convertere in sodisfattione di quello si deve per detta Università a detta Regia Corte o per li debiti correnti ut supra alli quali suggiugatarij che compriranno detta rendita se l’haveranno d’hypotecare expresse quello che avanzerà d’augumento, et accriscimento che si raddopierà et imponerà danno sopra le infrascritte gabelle, lo quale novo imposto habbia da servire per corpo e capitale di tal rendita, della quale vendittione s’haverà à fare atto publico con obligarsi li Giurati nomine Universitatis, et Juratorio nomine modo con quelle debite clausole justi cauteli, e patti che sopra ciò si [f. 232]  ricercano, e come meglio si potrà accordare con li compratori, con questo che detta rendita s’habbia à pagare in tre terzi, cioè lo primo, al primo di Gennaro, il Secondo al primo di maggio, e l’Ultimo al’ultimo del mese d’Agosto ogn’anno con la rata del tempo che vi entrerà nel giorno che si farà tal atto di vendittione, e per facilitare l’effetto di tal negotio per liberare detta Università di tal debito et interesse che alla giornata che ci causano, quanto prima s’habbia da mandare à persona seria, à suplicare à Sua Eccellenza, e Real Patrimonio sopra le cose preservate, e principalmente sopra la difalcazione che si deve fare à detta Università, cossi delle tande della Macina come di quelli altri donativi ordinarij et extraordinarij, e novi pagamenti per la tanta Mortalità e mancamento di persone come ancora per quel tanto che occorse farsi intorno conversione che si ha da fare della venditione di detta rendita, et altro che succedesse tentarsi in beneficio di detta Università
 
E pertanto
 
le gabelle ... averanno da raddoppiare, et accrescere
 
sopra le quali s’haverà d’imponere il novo imposto il quale sarà per il corpo, e capitale della detta rendita
 
che s’haverà d’obligare et hypotecare expresse alli suggiugatarij e s’intenderà per superato, e segregato dalle gabelle obligate alla Regia Corte in parte per le predette tande saranno le unfrascritte.
 
E prima sopra la gabella del vino
 
siccome il passato s’ha pagato à raggione di tarì uno per botte di Musto, e vino, da pagarsi per li venditori et al minuto à raggione di tarì uno per botte s’intende de futuro à detta gabella novamente imposta altro tarì uno per botte, et al minuto altro tarì uno per botte.
 
[f. 233] Sopra la gabella dello Pani, fogli, fiori, e frutti virdi, e sicchi,
 
sicome pagava sopra quelle delli Pani à raggione di tarì uno, e grana dieci per onza, s’intende de futuro di novo imposto sopra quella, altro tarì uno, e sicome quella delli fogli, fiori, e frutti si pagava à raggione di tarì uno per onza s’intendono sopra quelle de futuro imposti di nuovo altri tarì uno e grana dieci per onza alla quale gabella, s’intendda sottoposta la venditione di qualsivoglia sorte di legumi che si vendirà à minuto da pagarsi per lo venditore à raggione di tarì tre per salma, e tarì tre per ogni salma d’orgio si vendirà a minuto.
 
Sopra la gabella delli panni, arbascie, cannavazzi, e cordi
 
si come prima si pagava à raggione di tarì uno per onza s’intendano sopra quella de futuro  di nuova imposta altri tarì due per ogn’onza da pagarsi per li venditori.
Sopra la gabella dello pilo di qualsivoglia animale sicome prima si pagava à raggione di grani dieci per onza, cioè prima cinque per lo venditore, e grana cinque per lo compratore, e permutazione d’animali grossi si paga à raggione di tarì uno per ogn’uno delli permutanti, e per l’animali sumerini à raggione di grana dieci per ogn’uno similmente di detti permutanti de futuro s’intendano sopra detta gabella novamente imposta altri tarì uno per uno nella permutazione si debbia pagare de futuro tarì due da qualsivoglia che permuterà animali grossi, et sumerini à raggione di tarì uno per ogn’uno che similmente permuterà.
 
Sopra la gabella dello linu cànnavu (canapo), ferro, e ramo rustico, e lavorato, e legname d’ogni sorte rustica, e lavorata
 
che viene di fora, e legnami di cittadini, ò qualsivoglia persona siccome prima si pagava di tt. uno per onza s’intenda de futuro sopra quella di nuovo imposta [f. 234] e si debba di nuovo pagare à raggione d’altro tarì uno per onza da pagarsi per li venditori.
 
Sopra la gabella delli Pisci, e Salsizzi,
 
siccome prima si pagava à raggione di tarì sei per ogni carico di pisci de futuro si debbiano pagare à tarì novi per ogni carici, e siccome si pagava per ogni porco che si macellava per farsi salsizzi alla raggione di tarì tre per ogni porco, de cetero s’intenda altro tarì uno di novo imposto per ogni porco.
 
Sopra la gabella delli Pani, formaggi, cascavalli, Meli, e cera
 
 si come prima si pagava à raggione di tarì uno per onza s’intenda de futuro sopra quella devono imposta altro tarì uno per onza, e cosi in tutto à raggione di tarì due per onza d’esigersi in vendita del venditore, e la metà del compratore.
 
Per le quali gabelle, e loro pagamenti s’haveranno da fare li capitoli per li Magnifici Jurati, e con l’impositione delle pene solite come sono l’altri capitoli.
Il Magnifico Jacobo Piamontese Giurato è del sopra parere.
Il Magnifico Jacobo Sciurtino ut supra.
Il Magnifico Signor Giovanni Artale Tudisco ut supra.
Il Magnifico Giuseppe d’Ugo ut supra.
Petro Barberi ut supra.
Martino Rizzo ut supra.
Magistro Antonio Vulpi ut supra.
Il Mastro Notaro Giovan Vito d’Amella è di parere come di sopra, et si, et quatenus lo raddoppiamento raccrescimento che si farà alli gabelli predette non bastassero per la sodisfatione di quello che si deve alla Regia Corte quolibet anno, e per la soggiugatione che si farà quod utique dette gabelle s’habbiano da aggumentare, e raddoppiare, et accrescere, tante volte, quante sarà f. 235] di bisogno  in modo che si complisca il pagamento predetto, e che s’habbiano d’imporre altre gabelle essendo di bisogno in modo che detta Università non venghi a pagare pagare al minuto, e per tassa, e che si debbia fare thesaureri persona sicura, d’eligersi per li giurati quolibet anno  per li pagamenti predetti e suoi spisi, con salario d’onze vinti l’anno il quale s’habbia d’obligare nomine proprio et à fare li pagamenti predetti con li debiti cauteli per atto publico come à detti Giurati parerà.
 
[proiettare i seguenti nomi]



 




1.   Giovanni Curto ut supra.
2.   Martino Curto ut supra.
3.   Mastro Valerio Faccipinta ut supra.
4.   Petro Murriali ut supra.
5.   Angelo La Ficarra ut supra.
6.   Antonio Mulé di Palermo ut supra.
7.   Simone di Geraci ut supra.
8.   Mastro Antonio Malifera ut supra.
9.   Giovanni Romano ut supra.
10.Mastro Petro Lo Nobili ut supra.
11.Cola Capobianco ut supra.
12.Antonuccio Rizzo ut supra.
13.Antonio La Porta ut supra.
14.Vincenzo Romano ut supra.
15.Jacobo di Lintini ut supra
16.Mastro Francesco Erbicella ut supra.
17.Mastro Lisi Macaluso ut supra.
18.Vincenzo di Spina ut supra.
19.Cola di Migliuri ut supra.
20.Francesco La Serra ut supra.
21.Geronimo La Scalia ut supra.
22.Jacobo La Licata ut supra.
23.Petro La Sthorana ut supra.
24.Santo La Matina ut supra.
25.Giuseppi Juliana ut supra.
26.Geronimo Castronovo ut supra.
27.Francesco Martorana ut supra.
28.Carlo Sicili ut supra.
29.Giovanne di Randazzo ut supra.
30.Mastro Gioseppe Cacciatore ut supra.
31.Antonino Ferlazza ut supra.
32.Petro Lo Jodici ut supra.
33.Petro di Regula ut supra.
34.Gerlando La Licata ut supra.
35.[f.236] Marco d’Alaymo ut supra.
36.Philippo di Poma ut supra
37.Notaio Gaspare Monteleone ut supra
38.Jacobo Macaluso [di Palermo?] ut supra
39.Mastro Giacomo di Milia ut supra
40.Francesco Giaccuni ut supra
41.Jacobo Picuni ut supra
42.Geronimo d’Alaymo ut supra
43.Antonino Gagliano ut supra
44.Petro d’Antonio Curto ut supra
45.Mastro Giulio di Racusa  [rectius: di Ragusa, n.d.r.] ut supra
46.Orlando Borsellino ut supra
47.Antonino Murriali ut supra
48.Vincenzo Collura ut supra
49.Fabio di Palermo ut supra
50.Mastro Petro Facciponti ut supra
51.Notaro Bartolomeo Curto ut supra
52.Mariano di Palermo ut supra
53.Jacobo La Matina ut supra
54.Francesco Macaluso ut supra
55.Philippo l’Avarello ut supra
56.Gerlando d’Averna ut supra
57.Giuliano Picuni ut supra
58.Antoni d’Amella ut supra
59.Antoni l’Amorella ut supra
60.Jacobo Macaluso ut supra
61.Jacobo di Benedetto ut supra
62.Francesco di Montura (?)ut supra
63.Battista Palumbo ut supra
64.Giovanni Fiderico ut supra
65.Enrico di Marco ut supra
66.Vito Lo Sardo ut supra
67.Geronimo Sciandra ut supra
68.Paulo di Gueli ut supra
69.Gerardo Predilicaro ut supra
70.Mundo Taibbi ut supra
71.Alfio di Giraci ut supra
72.Cola Curto ut supra
73.Leonardo La Matina ut supra
74.Antonino Sfirlazza ut supra
75.Petro La Matina ut supra
76.Mastro Antonino d’Alaymo ut supra
77.Antonino Nalbuna ut supra
78.Roggerio di Jassio (?)ut supra.





Per inciso, richiamiamo l’attenzione sul menzionato giurato racalmutese del 1577 Vincenzo Randazzo che sembra farla da presidente della giurazia. Viene indicato con il titolo di Magnifico, ma è plebeo, forse appartenente alla piccola borghesia agricola, un “burgisi” come si direbbe oggi. La madre di Diego La Matina era una Randazzo, famiglia questa genuinamente racalmutese. Il padre di Diego La Matina, Vincenzo era invece figlio di un oriundo da Pietraperzia.



 



[proiettare il seguente foglio]




 



Vin.o f. delli q.dam Gasparo et Geronima La matina della T.ra di PETRAPERTIA con Francesca f.a del q.am Jac.o et Letitia di Randazzo servatis servandis contrassero matrim. pp.ce in facie ecc.e foro benedetti per .....



 



                                                



223 29 9 1651 LA MATINA        GIOSEPPE M.RO di VICENZO Q.AM e di FRANCISCA SORO 
con
SURRUSCA DI CANDICATTI'    ANNA di ANTONINO e di ANTONIA:
si  fecero le denunciationi e la fede  per tt. 3. 10.
 
 
Trattasi del fratello di frate Diego LA MATINA. [n.d.r.]
 



 




Tralascio qui, per ragioni di tempo e di luogo, l’irrisolta questione della vera identità di fra Diego La Matina. Quello di cui parla Sciascia è nato nel 1621 e non nel 1622. Il 1622 è una svista paleografica dello scrittore come attestano addirittura due fonti della  Matrice. Non è per nulla poi certo che il Diego La Matina battezzato da don Paolino d’Asaro il 15 marzo 1621 in base a quest’atto che va correttamente letto:



[proiettare il seguente foglio]



 




Eodem [nello stesso giorno del 15 marzo 1621quarta indizione] DIECHO f.[figlio] di Vinc.° [Vincenzo] et Fran.ca [Francesca] La matina di Gasparo giug. [giugali o coniugati] fui ba—tto [battezzato] per il sud.^ [suddetto e cioè don Paolino d’Asaro] p./ni [patrini] iac.° [ illeggibile secondo Sciascia, ma in effetti Jacopo o Giacomo] Sferrazza et Giov.a [Giovanna] di Ger.do  [Gerlando] di Gueli.



 




Sovverte ogni consolidata credenza sul frate dal tenace concetto la presenza a Racalmuto nel 1664 (anno a cui risale la seconda delle numerazioni delle anime della parrocchia della Matrice che ci sono state tramandate)  - e cioè a sei anni di distanza dell’esecuzione dell’agostiniano fra Diego -  di tal clerico Diego La Matina che ha tutta l’aria di essere lo stesso che era stato battezzato nel 1621.



[proiettare il seguente foglio]




CENSIMENTO DEL 1664



 



974
LA MATINA
DIEGO
 
C.
1
 
1
CL(ERICO)
975
PIAMONTISI
ANTONI
 
C.
1
 
1
 
976
BORZELLINO
GIUSEPPE DI FILIPPO
C.
4
1
5
 
 
 
DOMINICA
M.
C.
 
 
 
 
 
 
FRANCESCO
 
 
 
 
 
 
 
 
ANTONINO
 
C.
 
 
 
 
 
 
FILIPPO
F.
 
 
 
 
 
977
ALAIMO (D')
ERASMO
 
C.
1
1
2
 
 
 
PAULA
M.
C.
 
 
 
 
978
VINCIGUERRA
LEONARDO
 
C.
2
4
6
 



 




*  *  *



Ritornando al nostro tema del carteggio del 1577, resta evidente che vi si trova uno spaccato della vita pubblica comunale, dal taglio democratico, con istituzioni pubbliche che ci richiamano alla mente né il diritto feudale, né quello romano, né quello del sorgere dello stato moderno ma la tipica organizzazione greca della Polis, con la sua Ecclesìa, e con il ricorso al voto cittadino espresso in una solenne adunanza tenuta nell’Ecclesiastérion.



[se possibile proiettare l’ex voto del Monte]



Al suono della campana della Ecclesia dell’Annunziata, sita nel centro della grande piazza di Racalmuto che dal vecchio Santissimo si allargava nello spiazzo ove ora sorgono le torri campanarie della Matrice e si riversava nell’attuale Piazza Castello per risalire nel largo ove ora sorgono i palazzotti degli invadenti Matrona [la vaniddruzza di Matrona].



Nel confrontare l’attuale assetto urbanistico con  quello che l’ex voto del Monte ci fa intravedere, divento irrazionalmente conservatore ed esecro la mania piccolo borghese degli arricchiti di Racalmuto dello scorso secolo di piazzarsi con i loro casamenti sopraelevati sulle case terrane (o al massimo solerate) nel bel mezzo della storica piazza dell’Università di Racalmuto. E dire che riuscirono a farsi credere anche dalle menti più elette del nostro paese  come dei benemeriti filantropi!



Sono andato troppo al di là dei limiti assegnatimi e quindi trascuro gli altri importanti aspetti del carteggio. Vi emerge il ruolo marginale dei Del Carretto in questa vicenda fiscale. Vi è un documento rivelatore di quello che allora era il ricorso pubblico al prestito, quello cioè che oggi avviene tra i Comuni e la Cassa Depositi e Prestiti. Solo che allora per Racalmuto siffatta Cassa DD.PP. era nient’altro che uno strozzino di Agrigento, tal Caputo, superriverito ed adulato dal pubblico notaio. Materia questa tale da accendere le ire di un vetero comunista quale si reputa chi vi parla.



Intendo concludere precisando che il grafico della popolazione di Racalmuto - quale reiteratamente viene tentato nel libro - va ulteriormente corretto alla luce dei dati del carteggio del 1577.



La curva dell’andamento demografico della Racalmuto del ‘500 si avvalla vistosamente, come è ovvio, nell’anno della peste del 1576, e così si dispiega:



[proiettare il grafico]







 




Il crollo demografico del 1576, come si vede, sembra irreversibile (anche se fu dovuto                                                             più alla fuga che alla morte dei racalmutesi: i superstiti quindi ebbero poi modo di ritornare nelle loro case di paese, lasciando - riteniamo - quelle di campagna). Occorrerà aspettare il 1658 (un secolo) per risalire a quota 5.165 e solo nel 1660 la popolazione supererà quella del 1570 assestandosi a quota 5488.



[proiettare i fogli delle finanze di Racalmuto]




 



« [f. n.° 807] Praesentant  Ragalmuti die XI Julij V ind. 1593 [...]
Rivelo Ragalmuto .. presentato allo spettabile Natalitio Buscello in virtù di bando promulgato d’ordine di detto spettabile delegato.
 
Stabili                                                                                                                        
 
In primis la gabella dello pane et foglie: lo pilo, vino, formaggio, panno, la ligname,  pesci e sono affittate questo anno onze quattrocento sesanta che a ragione de dieci per cento sono onze quattromilia e seicento........................................................................................................................................-/ 4.600
stabili onze quattromilia sei cento .............................................................................................. -/ 4.600
 
Gravezze
 
Nota: Paga ognie anno alli Sindicaturi onze quindici; il capitale sono onze centocinquanta: a dieci per cento.......................................................................................................................................... -/     150
Paga ognie anno per salario dello orloggio, oglio  et conci onze dodici:
 il capitale sono centovinte......................................................................................................... -/     120
                                                                                                                                                                   e anno per salario dello mastro notaro et carta per le ocurentie onze dieci: il capitale son onze cento  ......................................................................................................................................... -/    100
 
Paga ognie anno per spese de bagaglie de cumpagnia onze trenta:
 il capitale son onze tricento.........................................................................................................-/    300
 
Paga ognie anno per salario di procuratori per occorentia apresso la Corte onze dudici:
il capitale sono cento vinte ......................................................................................................... -/    120
 
Paga ognie anno alla Regia Corte onze tricentosettantaquattro, tarì tridici e grana quattro a dieci per cento sono onze tremila setticento quaranta quattro .................................................................... -/ 3.744
 
Paga ognie anno onze sei per lo pagamento della Regia Corte in tre tande onze sei; il capitale sono onze sesanta ........................................................................................................................................ -/     60
 
Paga ognie anno a don Loise  Mastro-Antonio di Palermo onze vinteotto e tarì dicidotto a ragione de dieci per cento: il capitale sono onze duecentoottantasei ............................................................. -/    286
 
GRAVEZZE QUATTROMILIA OTTO CENTO OTTANTA ................................................... -/   4.880
 
INTROITO ONZE QUATTROCENTO SESANTA .................................................................. -/     460
 
ESITO ONZE QUATTROCENTO OTTANTA OTTO TARI' UNO E GRANA QUATTRO... -/   488.1.4
 
RESTA DI GRAVEZZE OGNIE ANNO ONZE VINTE OTTO TARI' UNO E GRANA QUATTRO.... ................................................................................................................................................-/   280.1.4
 
che a dieci per cento dette onze vinte otto tarì uno e grana quattro a dieci per cento sono il
capitale onze duecento ottanta tarì undici ............................................................................. -/  280.11.0
                                                                                                                                        ------------ 
 
                                                                                                                                      
+ cola macaluso. J[uratus]
+ joseppi cachaturi. [Juratus]
+ antonino vilardo J:[uratus]
+ notar giseppi sauro e grillo __ J[uratus].



 




Quanto alle finanze locali, la crisi del 1577 fu in qualche modo tamponata e nelle carte che commentiamo nel presente libro, il bilancio comunale ha un disavanzo di appena 28 onze, un tarì e quattro grani (460 onze  d’introito ed onze 488, tarì 1 e grana quattro d’esito). La forte pressione fiscale - tutta basata sulle imposte indirette - portarono ad una asfissiante strozzatura dei consumi da parte dei poveri. I proventi dalle rinomate salsicce racalmutesi furono pressoché nulli: pane, foglie, pilo, vino, formaggio, legname, pesci e qualche altra voce danno un gettito tributario che si volatizza essenzialmente per le spese militari e per oltre la metà per ciò che è dovuto alla regia Corte a titolo imprecisato. Per di più  si pagano sei onze annue per “tande”. Ai moderni assertori delle riforme fiscali incentrate sul ripristino delle imposte indirette ( e mi riferisco al libro bianco dell’ex ministro Tremonti) bisognerebbe dar da studiare queste carte cinquecentesche su Racalmuto. Un paese che rifugge dal ruolo di isola nell’isola ma che anzi, ancor oggi, ha da erudire persino i presunti geni del Nord, più o meno leghista. A noi racalmutesi  il compito di rievocare, ma con fedeltà, le nostre esemplari memorie storiche. Agli autori del libro siano perdonate le tante sviste in nome dell’attaccamento profondo alla loro terra, a questa nostra Università di Racalmuto. Grazie.

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