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venerdì 30 dicembre 2016


A Racalmuto operava un ospedale “sotto la giurisprudenza dei Padri fatebenefratelli giusta li loro privilegi”. Non vi erano ancora monti di pegno.
In compenso operavano due confraternite e cinque “compagnie”.
1.       Confraternità di S. Maria di Giesù, li Rettori sono Pietro Casucci, Pietro d’Agrò, Vincenzo Missana e Giovanne Farrauto; si fanno ogn’anno nella Prima domenica di gennaro;
2.       Confraternità di S. Giuliano, li Rettori sono Giovanne d’Alaymo, Ippolito Fucà, Giuseppe Savarino e Vito Mantione, il loro governo dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
3.       Compagnia del SS. Sacramento, Governatore il Mo R.do D. Filippo Algozini, congionti Mo Giacinto Scibetta e Mo Giuseppe Di Rosa, il loro governo dura tre mesi, incominciando dalla domenica infra “octavam Corporis”;
4.       Compagnia del Thaù fondata nella Chiesa di S. Anna, Governatore D. Calogero Sferrazza, congionti Sigismondo Borsellino e Diego Emmanuele; dura il loro officio tre mesi, incominciando dalla Domenica più prossima all’otto che ch’incide del mese, li presenti furono fatti all’8 Giugno 1731;
5.       Compagnia dell’Anime del Purgatorio fondata nella Chiesa di S. Micheli Arcangelo, Governatore Raimondo Borcellino minore, congionti Rev.do Sac. D. Santo Farrauto e Santo La Matina Calello; il loro officio dura quattro mesi incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
6.       Compagnia di S. Maria del Monte, Governatore Clerico Coniugato Agostino Carlino, congionti R.do Sac. D. Pietro Signorino ed Onofrio Busuito; il loro officio dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di Settembre;
7.       Compagnia di S. Giuseppe, Governatore Dr D. Giuseppe Grillo, congionti Notaro Pumo ed Ignazio Mantione; il loro officio dura quattro mesi incominciando dalla seconda domenica di Gennaro.
Ci viene fornito un dato anagrafico di notevolissima importanza: sapendo quanto precisi erano gli uomini della Chiesa, possiamo essere certi che davvero a Racalmuto, nel giugno del 1731, c’erano 1200 famiglie con 5.134 anime o abitanti che dir si voglia (in media 4,28 componenti per ogni nucleo familiare). Nutritissima la compagine ecclesiastica: 28 sacerdoti: un sacerdote ogni 42 famiglie oppure ogni 183 abitanti. Ecco l’elenco:


1.       Il Mo Rev. Archipresbiter Dr D. Filippo Algozini;
2.       Il Mo Rev. D. Salvatore Lo Brutto Vicario Foraneo;
3.       Sac. D. Filippo Cino;
4.       Sac. D. Francesco Pistone;
5.       Sac. D. MichalAngelo La Mendola;
6.       Sac. D. MichalAngelo Rao;
7.        Sac. D. Ignazio Laudito;
8.       Sac. D. Paulo Spagnolo;
9.       Sac. D. Gerlando Carlino;
10.     Sac. D. Antonino Macaluso;
11.     Sac. D. Francesco Torretta;
12.     Sac. D. Gaspare Casucci;
13.     Sac. D. Vincenzo Casucci;
14.     Sac. D. Leonardo La Matina;
15.     Sac. D. Calogero Pumo;
16.     Sac. D. Giovan Battista Pumo;
17.     Sac. D. Antonino Mantione;
18.     Sac. D. MichalAngelo Savatteri;
19.     Sac. D. Isidoro Amella;
20.     Sac. D. Vincenzo Avararello;
21.     Sac. D. Francesco De Maria;
22.     Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano;
23.     Sac. D. Baldassare Biondi;
24.     Sac. D. Pietro Signorino;
25.    Sac. D. Orazio Bartolotta;
26.     Sac. D. Antonino d’Amico minore;
27.     Sac. D. Ignazio Pumo;
28.      Sac. D. Santo Farrauto.


 
 
Ma le vocazioni non mancavano; erano già diaconi: Melchiore Grillo ed il nostro Servo di Dio padre Elia Lauricella. Baldassare d’Agrò aveva ricevuto l’ordine minore del suddiaconato; c’erano 7 accoliti: Francesco Grillo; Vito Gagliano; Vincenzo Amendola; Antonino Busuito; Giuseppe Alferi; Ludovico Amico; Diego Martorana; semplici esorcisti: Gaetano Raspini e Grispino Tirone; giovani lettori: Emmanuele Cavallaro; Vincenzo Alfano; Santo di Naro; Calogero Vinci; Leonardo Castrogiovanne; un solo ostiario: chierico Ignazio Picone; i chierici tonsurati erano Orazio Sferrazza, Francesco Savatteri e Nicolò Milano. Tutti gli ottimati racalmutesi, o almeno quelli che cominciavano ad esserlo nel secolo dei lumi ma anche dell'irrompere di una nuova classe, quella borghese, vi sono rappresentati. Le famiglie escluse, non sono ancora di riguardo. Tra queste i Tulumello che poi domineranno. I Matrona mancano perché ancora non scesi a Racalmuto.
Alcuni signori amano essere chierici “coniugati”, forse per i benefici del Santo Offizio: D. Domenico Grillo; D. Calogero Sferrazza; D. Paulo Baeri. Ad un livello inferiore troviamo i chierici “coniugati” Agostino Carlino, Francesco Farrauto e Giuseppe Chiovo.
 La pletora dei sacerdoti era però eccessiva e non tutti i ministri di Dio erano modelli di santità o almeno disponevano di un pur ristretto bagaglio di nozioni teologiche e morali da potere essere autorizzati al sacramento della confessione: solo cinque, oltre all’arciprete, erano facoltizzati: il vicario Lo Brutto, uno solo dei Casucci: Gaspare, don Francesco Torretta, don Baldassare Biondi e don Leonardo La Matina.
E passiamo ora ai conventi. Iniziamo dai Carmelitani.
Il priore era un racalmutese DOC: il sacerdote padre Carlo Maria Casucci, assistito dal sac. D. Pietro Paolo Roccella. Il padre lettore, il sac. Antonio Monticcioli era in trasferta a Trapani. Stavano al Carmine, a beneficiare delle laute rendite i fratelli – i “fratacchiuna” – fra Elia Salemi, Fra Angelo La Rosa e fra Gerlando Montagna.
 
I francescani conventuali erano quelli del convento di S. Francesco; dovevano essere in quel momento in crisi: un solo sacerdote, padre Giuseppe Cimino – che giureremmo essere di Grotte, e fra Paulo Surci (semplice “fratello”).
 
Non così invece a S. Maria di Gesù: quattro sacerdoti, venuti tutti da lontana via a godersi le tante rendite (P. Michelangelo da Lentini, P. Ludovico da Licata, P. Giovan Battista da Mussomeli e P. Bonaventura da Canicattì) e quattro “fratacchiuna” (fra Pasquale da Racalmuto, fra Gaetano da Cammarata, fra Giiovanni Battista da Racalmuto e fra Geronimo da Racalmuto). Stavano al convento attiguo alla chiesa; appartenevano all’ordine francescano dei Minori Osservanti; coltivavano le feraci terre ove ora c’è il cimitero e sino al 1866 riuscivano a cavarne del buon vino, sia pure con alterna fortuna.
 
A S. Giovanni di Dio, adibito soprattutto ad ospedale, non c’erano sacerdoti ma solo due “fratelli”: fra Bernardo Sassi e fra Vincenzo Mercante, decisamente forestieri. Le lamentele fatte al Papa da parte del vescovo Ramirez non erano poi infondate.
 
Il convento di S. Giuliano doveva essere chiuso da almeno mezzo secolo ed invece eccolo vivo e vitale – sia pure ora inquadrato nell’ordine di S. Agostino della Congregazione di Sicilia. Quanto sia ricco lo si vede da una dichiarazione dei redditi, con annesso stato patrimoniale, del 1754. Qui dimorano tre sacerdoti (P. Agostino da Racalmuto, P. Ignazio da Geraci e P. Anselmo da Adriano) e tre “fratelli” (fra Giuseppe da Racalmuto, fra Agostino da Racalmuto e fra Giuseppe da Caltanissetta). I fratelli laici dovevano sguinzagliarsi per le campagne per la “ricerca” delle elemosine in natura, ad onta delle cospicue rendite.
 
Ed ora è il turno del convento delle monache di S. Chiara. Vi pullulano ben 22 recluse, in uno spazio che per quanto ampio costituiva una specie di carcere per donne di diversa estrazione, di diversa età e persino di diversa cultura. Venivano sepolte nella graziosa chiesa della Batia. Ora, il pavimento della vecchia chiesa è ridotto a sala di conferenza. I loro resti umani vengono calpestati senza rispetto alcuno, senza un ricorso, senza un fiore. Almeno quelle derelitte del 1731 ricordiamole qui, con come e cognome.
L’abbadessa era suor Domenica Rizzo ed è dubbio che fosse di Racalmuto. Le fungeva da vicaria suor Rosa Renda. Provenivano da famiglie di spicco: suor Gesua Maria Lo Brutto, suor Maria Stella Sferrazza, suor Maria Lanciata Di Benedetto, suor Maria Grazia Casucci, suor Maria Crocifissa Signorino, suor Claradia Amella, suor Maria Gioacchina Brutto, suor Angelica Maria Signorino, suor Francesca Maria Biondi, suor Maria Scolastica Signorino; da forestieri o da famiglie non altolocate che riuscivano a sistemare le figlie superflue tra le cosiddette clarisse, ove il pane quotidiano era almeno assicurato: Suor Giuseppa Maria Caramella, suor Pietra Margherita Zambito, suor Maria Serafica Zambito, suor Carla Maria Provenzano, suor Antonia Maria Raspini.
E con loro, le novizie Vita Vinci e Orsola Guadagnino. Tre “converse” – all’ultimo gradino di quella opprimente gerarchica monastica – erano tutte del luogo: soro Geronima Martorana, soro Elisabetta La Licata e soro Angela Rizzo. Un tratto di penna dell’Algozini e poi più nulla per queste vite umane, per queste vittime di una condizione femminile settecentesca, echeggiata appena dalla Maraini quando ebbe a raccontare la lunga vita di Marianna Ucria. Ma qui non c’è neppure il benessere del dominio aristocratico.
 
I benefizi ecclesiastici sono appena quattro: uno è in possesso dell’arciprete e gli altri sono semplici: quello di S. Antonio viene goduto da d. Gaspare Casucci; l’altro di S. Maria dell’Itria da don Pietro Signorino, quello che lascerà tanto alla chiesa del Monte; ed infine quello di S. Nicolò di Bari assegnato a don Gaspare d’Agrò.
 
I mansionari, i preti salmodianti a pagamento in Matrice, sono ancora dodici, come aveva voluto il fondatore, l’arciprete Lo Brutto e, a scorrere la lista, ci si sorprende che autorizzati a ricevere le confessioni sono solo d. Salvatore Lo Brutto, d. Gaspare Casucci e d. Francesco Torretta; gli altri (don Filippo Cino, don Francesco Pistone, don Vincenzo Casucci, don Giambattista Pumo, don Isidoro Amella, don Gerlando Carlino, don santo Farrauto, don Antonino d’Amico e Matina e don Antonino d’Amico e Morreale) sono bravi a cantare le ore canoniche ma non sono ritenuti all’altezza delle confessioni, specie delle donne. Per converso don Baldassare Biondi e don Leonardo La Matina vengono ritenuti idonei ad impartire l’assoluzione dai peccati, ma sono per il momento tenuti lontano dai benefici economici che il cantare Vespro e Compieta fa conseguire. Don Nardu Matina non sarà mai beneficiale venendo a decedere nel 1733 (LIBER, n° 216); Baldassare Biondi (+ 29 ottobre 1771) farà carriera, diverrà vicario foraneo e raggiungerà la ragguardevole età di 82 anni (LIBER, n° 284).
 
Racalmuto non ospita eretici o scomunicati; è tutto sommato morigerato e rispettoso della religione e dei precetti della chiesa. L’Algozini può così rispondere all’apposito paragrafo del questionario:
1.       Non vi sono scomunicati, , né sospesi, interdetti o che non abbiano adempito la communione paschale, o non osservato le feste, né publici usurarij, concubinarij, adulteri, solamente Lorenzo Scibetta è diviso da sua moglie che ostinatamente abita in Aragona, Diego di Giglia da Maria sua moglie che pure ostinatamente non lo vuole, siccome Giuseppe Lo Brutto di Gaetana d’Anna sua moglie; né pure vi sono giocatori scandalosi  né inimici;
2.       Vi sono due maestri di scuola, rev.do sac. D. Calogero Pumo ed il Diacono D. Melchiorre Grillo;
3.       Quattro medici fisici dr. D. Giuseppe Grillo, dr. D. Giuseppe Amelli, rev. Sac. D. Ignazio Pumo, ed il clerico coniugato D. Calogero Sferrazza;
4.       Chirurghi dui il clerico coniugato D. Giuseppe Sferrazza e D. Antonino Amelle;
5.       Due levatrici, Angela Rini e Maria Schillaci, ambi di buoni costumi e sanno la forma del Battesimo.
 
 
IL CLERO RACALMUTESE NEL SETTECENTO.
 
 
Parlare delle cose di chiesa non è poi cosa diversa dal palare del vivere civile in tempi – come ancora è il Settecento – ove il sacro ed il profano non ha linee di demarcazione ben distinte. Il cosiddetto spirito laico è prodotto di colture recentissime. Certo in Francia fu storia diversa. Facile citare il Voltaire. Ma noi siamo a Racalmuto e quello che di laico vi poteva essere non andava al di là di qualche espressione blasfema, cui il popolino pare indulgesse, nonostante le pene che la curia vescovile s’industriava di infliggere. Ancora, alla fine del secolo, il noto canonico Mantione, quando ancora era arciprete, segnalava al Caracciolo coloro che si astenevano dal precetto pasquale. Ed il laicissimo Viceré, che ancora rappresentava il re quale titolare dell’Apostolica Legazia sanciva richiami, più o meno convinti.
Parlare dunque di preti a Racalmuto nel settecento è in definitiva parlare della componente più vistosa e più intricante della classe dirigente locale. E a ben vedere anche di quella economica.
Ecco perché ci avvaliamo di una rubrica stretta ed alta che l’arciprete Puma conserva ancora gelosamente in Matrice per seguire l’elenco degli ecclesiastici che finirono i loro giorni nel Settecento. «LIBER in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum, nec non Diaconorum et Subdiaconorum et Clericorum huius terrae Racalmuti, jam ex hac vita discessorum a pluribus ab hinc annis fere immerorabilibus, opere R.di Sac. D. Paulini Falletta hon anno 1636 pro quarum animarum suffragio semel in mense in feria secundae hebdomadae ad cantandam missam omnes Sac.es, Diaconi, Subdiaconi et Clerici se obbligaverunt convenire,  ut in actis Notari Panfilis Sferrazza Racalmuti sub die 26 Martii 1638» reca come intestazione il registro, che non si ferma al 1636 ma prosegue sino al sac. Don Gaetano Chiarelli, di cui ha steso convinte note biografiche l’attuale arciprete, p. Puma.
Nel Settecento furono 161 gli ecclesiastici racalmutesi che qui cessarono di vivere. Per la maggior parte, solo data di nascita e di morte, per qualcuno solo la data di morte e l’indicazione degli anni; per taluni – i privilegiati – note biografiche più dense. Il secco annotare si stempera un po’ con D. Pietro Signorino (n° 139), con il chierico Giuseppe Nalbone ( n° 279), con D. Antonino Picone Chiodo per essere esplicito – ma non troppo – con p. D. Giuseppe Elia Lauricella e divenire persino prolisso con D. Nicolò Figliola e D. Stefano Campanella: le ragioni economiche fanno aggio su quelle della santità.
 
Altrove  forniamo una lunga sfilza di sacerdoti, ecclesiastici e suore di Racalmuto nel Settecento. Sono ricavabili n° 118 famiglie che vantano un religioso nel proprio casato; per ordine alfabetico abbiamo:


ALAIMO
ALESSI
ALFANO
ALFIERI
ALGOZINI
AMATO
AMELLA
AMICO
AMICO E MATINA
AMICO E MORREALE
ARNONE
ARRIGO
AVARELLO
BAERI
BARONE
BARTOLOTTA
BELLAVIA
BIONDI
BIUNDO
BORZELLINO
BRUTTO
BUSUITO
CACCIATORE
CAMPANELLA
CARAMELLA
CARINI
CARLINO
CARRETTI
CASTROGIOVANNI
CASUCCI
CAVALLARO
CHIODO
CIMINO
CINO
CONTI
CRINO'
CURRETTI
CURTO
DE MARIA
DI BENEDETTO
DI CARO
DI MARIA
DI NARO
FARRAUTO
FIGLIOLA
FRANCO
FUCA'
GAGLIANO
GAMBUTO
GATTUSO
GIUDICE
GRILLO
GRILLO E BRUTTO
GUADAGNINO
LA LICATA
LA LOMIA CALCERANO
LA LUMIA
LA MATINA
LA MENDOLA
LA ROSA
LAUDICO
LAURICELLA
LO BRUTTO
MACALUSO
MAIDA
MANTIA
MANTIONE
MARRANCA
MARTORANA
MATRONA
MATTINA E MARIA
MATTINA ED AGRO'
MERCANTE
MILANO
MONTAGNA
MONTICCIOLI
MORREALE
MULE'
NALBONE
PANTALONE
PERRIERA
PETRUZZELLA
PICATAGGI
PICONE
PIRRERA
PISTONE
POMO
PROVENZANO
PUMA PAGLIARELLO
PUMO
RAO
RASPINI
RENDA
RESTIVO PANTALONE
RIZZO
ROCCELLA
SALEMI
SALVO
SALVO SINTINELLA
SASSI
SAVATTERI
SAVATTERI E BRUTTO
SCIBETTA
SCIBETTA ALFANO
SCIBETTA E FRANCO
SCIBETTA E MENDOLA
SCIME'
SFERRAZZA
SIGNORINO
SPAGNOLO
SPINOLA
SURCI
TIRONE
TORRETTA
TROISI
TULUMELLO
VINCI


 

 

L’elenco del LIBER (come d’ora in poi chiameremo quel registro con la lunga intestazione in latino sopra riportata) esordisce con d. Vincenzo Casucci (n° 154) Collegiale. Obiit 4 Augusti 1701 di anni 41. Il 18 dicembre è la volta di d. Calogero Pumo di 90 anni. L’autore del LIBER muore il 21 agosto 1705 all’età di 75 anni. Don Vincenzo Castrogiovanni (+ 28 agosto 1706) era “predicatore e Collegiale). Collegiale era pure Davide Corso (+ 3 luglio 1707): anzi, insieme con don Vincenzo Castrogiovanni, era stato tra i primi mansionari all’atto della costituzione della communia il 13 gennaio 1690. Don Michelangelo Romano (24 ottobre 1711) fu beneficiale di S. Nicolò. Altro collegiale fu d. Gaetano Cirami (+ 2 febbraio 1712). Don Giambattista Baera (+ 15 ottobre 1714) e d. Francesco Savatteri (8 settembre 1712) risultano entrambi “collegiali”.

Don Pietro Casucci (+ 7 dicembre 1713), collegiale della prima ora, trova sepoltura in Matrice “ex obbligazione” ad onta dell’interdetto. Aveva solo 55 anni. D. Santo d’Acquista (+ 15 ottobre 1714), il primo dei 12 mansionari del 1690, viene tumulato come il Casucci, in Matrice “ex obligatione” facendosi eccezione all’interdetto del Ramirez. D. Francesco La Mattina  era stato canonico della cattedrale. D. Giuseppe Provinzano (+ 21 settembre 1729) abbate predicatore, Vicario e collegiale. Don Lorenzo Farrauto (+ 7 novembre 1729) cappellano, collegiale.

Il dr. Don Fabrizio Signorino (+ 15 settembre 1729) era stato arciprete e collegiale. A quanto pare non si era molto curato dell’interdetto. Suo Vicario: dr. Don Giuseppe Lo Brutto (+ 10 dicembre 1728) che ovviamente era stato anche collegiale, insieme con d. Calogero Cavallaro (+12 gennaio 1730) e con d. Antonino d’Amico (+ 5 giugno 1732). Non solo collegiale ma anche fidecommissario della chiesa di S. Michele era stato d. Francesco Pistone (+ 26 dicembre 1733).

L’arciprete dr. Don Filippo Algozini di Prizzi muore a Racalmuto il 20 ottobre 1735 all’età di 50 anni. Suo un rapporto dettagliatissimo sulla Matrice, datato 1731. L’economo vicario d. Francesco Torretta decede il 7 settembre 1744. Per don Pietro Signorino (+ 11 aprile 1747) il LIBER annota: “Beneficiale dell’Itria – Fondatore della chiesa del Monte”. Aveva 70 anni .

Veniamo a sapere che d. Girolamo Grillo (+ 23 febbraio 1745) era “commissario del S. Officio”. Muore a soli 27 anni. D. Francesco Sferrazza (+ 10 ottobre 1753) fu arciprete di Castrofilippo. In risalto d. Francesco Di Maria (+ 9 marzo 1754), in quanto “fondatore della chiesa di S. Pasquale”. A 66 anni muore d. Orazio Bartolotta (+ 13 luglio 1745) Il dr. Diego di Franco (+ 30 ottobre 1755) aveva avuto un canonicato nella Cattedrale di Agrigento. Don Gaspare Casucci (+ 26 gennaio 1757) era stato collegiale, beneficiale di S. Antonio. Muore il 27 gennaio 1757 l’arciprete dr. D. Antonio Scaglione. Beneficiale era stato anche d. Vincenzo Casucci (+ novembre 1757). Anche don Melchiorre Grillo (+ 30 dicembre 1759) era stato commissario del S. Officio; in più “economo fidecommisso della chiesa del Monte e collegiale”. Altro commissario del S. Officio: d. Orazio Bartolotta (+ 11 luglio 1761): “era di Montedoro”. Muore il vicario foraneo dr. D. Giuseppe Grillo (+ 17 dicembre 1764). Il chierico Giuseppe Narbone (+ 30 marzo 1766) viene “ritrovato morto in un palmento dello Zaccanello” Aveva 19 anni. Beneficiale di S. Nicolò era stato d. Giuseppe d’Agrò (+ 29 agosto 1768). D. Antonino Picone Chiodo (+ 19 maggio 1771) “morì ammazzato con un colpo di fucile”; aveva 42 anni.P. d. Angelo Maria Baera, morì d’apoplessia il 28 novembre del 1778. Ed è ora la volta di Padre Elia.

N° 283. P. D. Giuseppe Elia Lauricella -  «Collegiale, Maestro di Spirito nel Seminario di Girgenti, Missionario, Predicatore e confessore di diversi monasteri e Collegi di Maria, promotore zelante per la recita del SS. Rosario in ogni 21 ora nelle piazze e nelle strade, a tutti caro, e stimato per lo spirito di Dio, e pochi mesi pria di morire, curò la fondazione di questo Collegio di Maria, fu Curato di Comitini, ed altri paesi della Diocesi, morì in fama di santità in Canicattì con pianto universale, e nella Chiesa degli Agonizzanti sta sepolto il di lui cadavere e fu nel giorno 8 Novembre 1780 – d’anni 73» P.S. Traslato al santuario di racalmuto il 16.1.1966. A.Puma.

All’età di 85 anni muore il detentore dei libri della matrice D. Antonino Mantione (+ 21 novembre 1781), aveva 85 anni. All’età di 74 anni muore d. Benedetto Nalbone (+ 16 marzo 1783). Quanto a d. Nicolò Figliola, ne scriviamo altrove, come per l’arciprete D. Stefano Campanella. Risulta vicario foraneo e “uomo di governo” D. Alberto Avarello (+ 28 ottobre 1787). Il collegiale d. Pasquale Fucà muore a 73 anni il 24 agosto 1797. E’ l’ultimo della lista, per quanto riguarda il secolo XVIII.

 

Considerazioni conclusive sul Settecento Racalmutese.

 

 

Il Settecento si chiude con quattro protagonisti, tutti sacerdoti, dotati di una personalità spiccata; costoro furono sicuramente fra loro confliggenti e lasciarono solchi indelebili nel corso della locale vita paesana. Essi sono : don Nicolò Tulumello,  don Francesco Busuito, don Giuseppe Savatteri e Brutto, nonché l’arciprete – non ancora canonico  - don  Gaetano Mantione.

Su don Nicolò Tulumello, con le sue poco pie voglie di acquisire indebiti titoli nobiliari, abbiamo già detto. Su don Giuseppe Savatteri, altrettanto e non vanno neppure obliate le stilettate inferte da Leonardo Sciascia. Don Francesco Busuito – veniamo a sapere dal LIBER – fu “consultore del Sant’Ufficio”, fino a quando non venne soppresso. C’era materia per dileggi sciasciani, ma il sacerdote la passò liscia, per non conoscenza dei fatti, pensiamo.

Era imparentato con don Benedetto Nalbone ed insieme i due sacerdoti rilanciarono un ramo di quella famiglia. Sulla vertenza Savatteri-Busuito abbiamo detto. Nel LIBER, mentre al Savatteri è riservata una secchissima annotazione di morte, al Busuito l’anonimo estensore, che non poteva che essere o subire l’influenza dell’arciprete Mantione, viene dedicato quasi un epitaffio. «D. Francesco Busuito – vi si legge – Collegiale, Missionario, Predicatore Quarisimalista, Consultore del Sant’Ufficio, Parroco di Comitini, Maestro di Spirito sotto Monsignor Gioeni alla casa degli Oblati e sotto Mons. Lucchesi successivamente. – Maestro di Lettere, di Teologia Morale, Prefetto di studii, Direttore, Rettore del Seminario di Girgenti, Vicario Foraneo, beneficiale del SS. Crocefisso, Economo – obiit 29 Januarii 1802 – d’anni 74.» Non sappiamo se tutti questi elogi siano dovuti al rispetto che ancora incuteva il defunto o non era una scelta di campo dell’arciprete Mantione, tutto a favore del Busuito e tutto avverso al Savatteri, anche dopo la morte.

L’eco di quegli intrighi si hanno persino nel 1870 in una memoria difensiva del sacerdote don Calogero Matrona. Anche in quella sede è detto che nel 1767 il vescovo Lucchesi Palli si ritrova vacanti alcuni beni dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso e con bolla dell’8 luglio 1767 li assegna al sac. D. Francesco Busuito. La ricostruzione del citato sac. Don Calogero Matrona, divenuto beneficiario di quei beni per vie traverse,  è particolarmente vivace ed intrigante.

«Con Bolla di erezione in titolo dell’8 luglio 1767 - scrive fra l’altro il Matrona  - da Monsignor Lucchesi fu eretto nella Cappella del SS.mo Crocifisso dentro la Chiesa Madre di Racalmuto un beneficio semplice in adjutorium   Parochi di libera collazione da conferirsi a concorso ai naturali di Racalmuto con le obbligazioni di coadiuvare il Parroco nell’esercizio della sua cura, di celebrare in diverse solennità dell’anno nell’anzidetta Cappella numero trenta Messe, costituendosi in dote del beneficio taluni beni, che esistevano nella Chiesa senza alcuna destinazione, dandosene anche l’amministrazione allo stesso Beneficiale. Riserbavasi però il Vescovo fondatore il diritto di conferire la prima volta il beneficio, di cui si tratta, senza la legge e forma del concorso in persona di un soggetto a di lui piacimento.

«In seguito di che con bolla di elezione del 10 luglio 1767 dallo stesso Monsignor Lucchesi fu eletto per primo Beneficiale il Sac. Don Francesco Busuito di Racalmuto, allora Rettore del Seminario di Girgenti dispensandolo dall’obbligo del concorso, e dalla residenza, e facoltandolo ad un tempo a sostituire a di lui arbitrio un Ecclesiastico, per adempire in di lui vece le obbligazioni e pesi tutti al beneficio inerenti.

«Appena verificatasi tale elezione, come risulta da un avviso dato dal Parroco locale di quel tempo, dal Sac. Don Giuseppe Savatteri qual uno degli eredi e successori di D. Giaimo Lo Brutto di Racalmuto impugnavasi la fondazione e ricorrendo al Tribunale della Reggia Gran Corte Civile, otteneva lettere citatoriali contro il detto Reverendo Busuito, affine di rivendicare i fondi constituiti come sopra in dote al beneficio come appartenenti al suddetto Lo Brutto. Sostenevasi dal Savatteri che la Confraternita del SS.mo Crocifisso dentro la suaccennata Chiesa Madre percepiva onze cinque annue per ragion di canone enfiteutico sopra quattro salme di terre esistenti nello Stato di Racalmuto contrada Menta dotate alla moglie del suddetto D. Giaimo Lo Brutto dalla di lei zia D. Vittoria del Carretto, annuo canone destinato per legato di maritaggio di un orfana. Nel 1659 i Rettori della cennata Confraternita per attrarsi di pagamento del canone anzidetto e per deterioramenti avvenuti nei suddivisati fondi, unitamente all’Arciprete e Deputati dei Luoghi Pii senza figura di giudizio e senza le debite formalità giudiziarie s’impossessavano di quei fondi e melioramenti in essi fatti dal predetto Lo Brutto. Si credettero autorizzati a far ciò senza ricorrere alle procedure giudiziarie da un patto enfiteuco solito apporsi in simili contratti, in cui espressavasi, che venendo meno il pagamento o deteriorandosi il fondo fosse lecito all’Enfiteuta di propria autorità ripigliarsi il fondo enfiteuco, come tutto rilevasi dagli atti di possesso presso Notar Michelangelo Morreale di Racalmuto sotto il 3 settembre 13 Ind. 1659. Così postasi la Chiesa in possesso dei fondi, conosciutosi che pagate le onze cinque per legato di maritaggio ed i pesi efficienti, il resto delle fruttificazioni rimaneva senza destinazione, pensavasi dal Vescovo Monsignor Lucchesi per di esse fondare il beneficio anzidetto, che indi conferivasi al sopra indicato Sac. Busuito. Impugnavasi questo fatto dal sac. Savatteri e facevalo come sopra citare a fin di chiarirsi nulla la suddivisata fondazione. Ma il beneficiale frapposti buoni amici persuase il Savatteri a rimettere tutto al saggio arbitrio di S.E. Rev.ma Monsignor Vescovo di Girgenti, il quale tutto riponendo sotto lo esame dell’Assessore Canonico d. Nicolò A. Longe, fattesi varie sessioni inanzi a lui con l’intervento dell’arciprete di Racalmuto per parte del Beneficiale e di altra persona per parte del contendente Savatteri, dichiaravasi dall’Assessore nullo l’impossessamento dei fondi e riconosciuta evidentemente la usurpazione dei fondi fatta dalla Chiesa. Ma protrattosi a lungo l’affare, pria di definirsi pubblicavasi la prammatica della prescrizione del 22 settembre 1798, quindi il Beneficiale avvalendosi di tal legge non volle più fare ulteriori trattamenti della causa, né arrendersi alle pretensioni del Savatteri.

«Morto però il Beneficiale, il cennato Savatteri fece ricorso al Re e dalla Segreteria Reale abbassavasi biglietto alla Giunta dei Presidenti e Consultori per informare. Moriva intanto il Savatteri ed il di costui erede Don Pietro Cavallaro e Savatteri agendo con più di moderazione pensava di mettere l’affare in mano del Vescovo Monsignor Granata, e desiderandosi dal ricorrente che il beneficio rimanesse, si contentava soltanto che divenisse patrimoniale e proprio della di lui famiglia e suoi discendenti.

«Il Vescovo conosciuta la validità delle ragioni e la pienezza del diritto del ricorrente, perché fondato il beneficio sopra beni proprii di D. Giaimo Lo Brutto di lui autore, a vista della patente usurpazione fattasi dalla Chiesa, della non ecclesiasticità del beneficio, perché fondato senza la volontà del padrone dei fondi, pensò accordarne la prelazione ai discendenti della famiglia Brutto. Quindi perché conobbe la verità delle cose per coscienzioso temperamento pensò conferire anche in minore età quel beneficio ad un chierico erede dei beni, che è l’attuale investito Cavallaro. Ed infatti il conferì con decisione del 16 giugno 1804. [...] Ottenne per ciò pria dispensa della Santa Sede, perché al detto chierico avesse potuto conferire il beneficio nella minore età di anni 14, lo dispensò dalla legge del concorso e dell’obbligo della coadiuvazione del Parroco nello adempimento degli offici parrocchiali sino all’età del sacerdozio e gli diede l’amministrazione dei beni dotalizii [...]»

Al beneficiale don Ignazio Cavallaro succede il nipote (figlio della sorella) don Calogero Matrona, con bolla di Monsignor Domenico Turano del 1° marzo 1875. Ma non fu una successione pacifica. Vi si rivoltò contro Giuseppe Savatteri, unitamente alla moglie donna Concetta Matrona, con cause, ricorsi, appelli che durarono decenni. Eugenio Messana, nello scrivere le sue memorie su Racalmuto, risente ancora di quel clima infuocato che in proposito si respirava ancora nella sua famiglia.

Il beneficio del Crocifisso è quindi oggetto di una bolla di collazione nel 1902 (cfr. reg. Vescovi 1902 pag. 703). Viene poi assegnato al padre Farrauto, per passare nelle mani di padre Arrigo. Attualmente è accentrato presso la Curia vescovile di Agrigento.

 

IL CANONICO MANTIONE


 

 

Il canonico Mantione è personaggio tuttora popolare: ci viene tramandato come uomo coltissimo ma sbadato, grande mangiatore di olive come il padre Pirrone del Gattopardo. Personalmente ci indispettisce per la faccenda della chiesa di Santa Rosalia. V’è tutta una documentazione all’archivio vescovile di Agrigento ove si parla della chiesa in questione. È fatiscente; si chiede e si ottiene l’autorizzazione a venderla come “paglialora”. La comprano i voraci sacerdoti Grillo; a venderla è proprio il Mantione. In cambio null’altro che un altare – quale ancora sussiste – alla Matrice. E’ questa – a nostro avviso – una imperdonabile colpa del canonico Mantione. Per mera grettezza economica ha lasciato che una gloriosissima testimonianza religiosa di Racalmuto andasse irrimediabilmente perduta. Santa Rosalia di Racalmuto non sarà stata la «prima chiesa in honor di lei nel mezo della terra, che hoggi è servita dai Confrati del Santissimo Sacramento (cfr. Cascini  op. cit. pag. 15)», ma aveva un rilievo ed una sacralità  superiori allo stesso interesse locale e se veramente il Mantione era uomo di cultura non doveva permettere quello scempio. Era  da quattro anni arciprete di Racalmuto, con prebende, quindi, cospicue. I mezzi occorrenti per sistemare un tetto o rafforzare un muro erano disponibilissimi. E’ un comportamento – quello dell’arciprete del tempo – che mi appare incomprensibile. Un  pozzo di scienza, viene ritenuto. Ma la dimostrata insensibilità culturale (se non religiosa)  verso la chiesetta di S. Rosalia o Rosaliella gli riverbera una  poco esaltante ombra.

A voler sintetizzare, quella era un’antichissima chiesetta risalente, a seconda delle varie versioni,  al 1200 (Vetrano, Acquisto) o al 1208 (Salerno) o al 1320-30 (Cascini, Asparacio, Morreale) o al 1400 (Pirri). Forse realisticamente quella chiesa non esisteva prima del 1540 (epoca delle visite pastorali agrigentine). Nel 1628, ad opera della Confraternita delle Anime del Purgatorio venne riadatatta, o edificata (o riedificata); resistette sino al  3 giugno 1793 quando fu ceduta, appunto, al sac. Salvadore Grillo; e ciò per un baratto: un altare con statua alla Matrice per una chiesa da ridurre a stalla.



Santa Rosalia non ha più casa a Racalmuto: è proprio la fine del Settecento. Nell’epoca del romanticismo, i racalmutesi opteranno per Maria Santissima del Monte di cui credono di avere una statua marmorea “miracolosissima”. Una saga era stata inventata a metà del Settecento per la penna di un seminarista, don Francesco Vinci, ritornato allo stato laicale ove l’attendeva un ruolo egemone nell’amministrazione della cosa pubblica. Nel 1848, anche le autorità ecclesiastiche derubricano come patrona S. Rosalia ed il suo posto è preso dalla più romantica “imago Virginis Deiparae”, tutta di marmo, splendidamente eretta sul Monte. Ai piedi l’erta scalinata per le “prumisioni” a dorso di muli recalcitranti oppure racchiuse in pesanti sacchi, portati su a fatica sulla testa di donne smunte o obese, a piedi scalzi, per devozione, triste ed ancestrale. Immagini romantiche appunto, o – direbbe Sciascia – soffuse di un’ «aura romantica ed un tantino melodrammatica».

L’INTERDETTO


 

L’eredità arcipretale del Lo Brutto tocca a Fabrizio Signorino: su di lui cade la tegola dell’interdetto. Senza ricorrere al Mongitore, sappiamo dai libri della matrice che:

 

eodem die 2 settembre 1713 VII ind. die 3 settembre 1713 VII Ind.Vigilia Sanctae Rosaliae hora vigesima fuit affixum interdictum generale locale in hac terra Racalmuti.

Si dovette affiggere la bolla episcopale di interdetto generale il 3 settembre 1713, nel giorno di Santa Rosalia: forse fu anche per questo che dopo meno di un secolo decadde a Racalmuto il culto di Santa Rosalia, prima egemone ed a carico della universitas. L’ordine è quello di approfittare della notte (hora vigesima), per aggirare e raggirare le autorità civili.

Le sepolture, dal giorno dopo, non possono farsi in chiesa, ma in un luogo a ciò “deputato” dal signor arciprete. Il primo a farne le spese è un chierico coniugato a nome Santo Bordonaro:

 

4/9/1713 - Sancto f. cl. coniug. Stefani et Ninfa Bordonaro e mesi in loco deputato a rev.do arch.

L’esordio è duro e sembra che non si guardi in faccia a nessuno. Dopo, data la legge, trovato l’inganno: basta una bolla a pagamento di sovvenzione delle crociate per avere cristiana sepoltura in chiesa.

Certo, scatta ora il dramma della regolare somministrazione dell’estrema unzione: quest’atto ne lascia traccia:

5/9/1713 - Agostina f. di m° Stefani et Catarinae Rizzo di anni 11; sepolta in una ex foveis deputata a rev. arch. in via s. gregorii  - gratis pro deo -  roborata ante officium interdecti.

 

La fanciulletta, undicenne, figlia di mastro Stefano e Caterina Rizzo, viene tumulata - con quale strazio, è facile intuire - nelle fosse comuni prescelte (e benedette) dall’arciprete Signorino, degradanti nella scoscese contrada di S. Gregorio (S. Grigoli). E’ povera ed il funerale è avvenuto gratis pro Deo; era stata “roborata” - confortata e temprata alla morte - secondo i sacri canoni, alcuni giorni prima, quando non era scattato l’ Officium interdecti.

Ma ora muore un notabile, un Romano: non può certo venire esposto all’inclemenza del clima e di altro:

7/9/1713 - Salvatore Romano vir Josephae Romano di anni, 43, sepolto in matrice, per privilegium bullae sanc. cruciate e pure gratis pro deo.

 

Le note dell’atto funerario svelano parecchi aspetti religiosi ma anche sociali ed economici della Racalmuto del tempo. Il Romano muore a 45 anni, ad un’età che pur supera di molto l’età media della mortalità del secolo dei lumi in quel di Racalmuto. Appartiene ad una delle più prestigiose famiglie del luogo, ma è caduto in miseria e per i suoi funerali non può corrispondere i diritti ecclesiastici dei c.d. festuarii. Supplisce la carità dei preti, che il funerale lo fanno lo stesso, gratis pro Deo. Il settecento fu a Racalmuto, come altrove in Sicilia, misero, in crisi economica profonda, con punte di grande fame per tutti. A fine secolo, i sacerdoti racalmutesi ottengono l’autorizzazione dell’Ordinario ad impegnare gli arredi sacri per approvvigionare l’Universitas di grano per la pubblica fornitura del pane quotidiano. Lo studio del Valenti (cfr. Calogero Valenti - Ricchezza e povertà in Sicilia nel secondo settecento) può estendersi anche al primo settecento e le considerazione sulla povertà di Grotte si attagliano appieno pure a Racalmuto.

Ciò nonostante il buon Romano ha sepoltura nella Matrice: aveva la bolla della santa crociata: un privilegio che scavalca il rigore dell’interdetto del Ramirez, comminato per la difesa dei beni materiali del ricco vescovo di Catania.

Desta pietà la fine di questa neonata racalmutese: muore a soli quindici giorni: una “gloria”; potrebbe trovarsi un cantuccio nelle carnaie delle chiese; ma è povera ed è illegittima: finisce - sia pure gratis pro Deo - nel nuovo pauroso cimitero all’aperto, che l’arciprete ha degnato dell’acqua benedetta:

11/9/1713 -Antonina f. Juliae Virtulino Inzione patre ignoto 15 giorni - in fovea non benedicta deputata a rev.do arch. in via s. Gregorii ob interdictum - gratis pro deo.

 

Frattanto la miseria genera violenza: mastro Stefano Savatteri viene folgorato dalla lupara all’età di 44 anni. E’ povero ed i funerali avvengono gratis pro Deo. Ma è anche mastro: appartiene alla confraternita del Tau. La sua sepoltura deve avvenire nell’oratorio della confraternita - interdetto o non interdetto:

16/9/1713 - STEFANUS MAG. VIR PAULAE SAVATTERI - 44 - IN ORATORIO TAU ET SOLUM FUIT ROBBORATUS SACRO OLIO UNCTIONIS OB MORTEM VIOLENTAM GRATIS PRO DEO.

 

Quando a morire è un “galantuomo”, l’imbarazzo del cappellano detentore dei libri della Matrice è evidente; il suo latino si ingarbuglia, comunque la sepoltura avviene in chiesa, nonostante l’interdetto:

5/10/1713 - FRANCISCUS DON VIR MARIAE PUMO - 45                               IN ECCLESIA S. JOSEPH PER PRIVILEGIUM BULLAE SS.ME CRUCIATAE OB INTERDICTUM

 

Le annotazioni sparse qua e là nel libro dei morti contengono queste altre notizie:

a 28 agosto 1713 - l'interdetto imposto dell'ill.mo e rev.mo signor fra d. Francesco Ramirez arcivescovo e vescovo di Girgenti - con il consenso della s. sede nella chiesa cattedrale di Girgenti, et in tutta la sua diocese _fu' rimosso; e prosciolto domenica - 27 agosto 1719 ad horam 22 - dal rev.mo signor dr. don Giuseppe Pancucci ca. tes., e vic. generale apostolico con l'actorita' della s. sede per via della sac: congregatione dell'immunita' 

 

Li bro dei morti 1714-1724

a 28 agosto 1713 - l'interditto fu imposto dell'ill.mo e rev.mo signor d. Francesco Ramirenz arcivescovo e vescovo di Girgenti con il consenso della s. sede nella chiesa cattedrale di Girgenti, et in tutta la sua diocese

 

L’interdetto durò poco meno di sei anni e - forse anzi tempo - fu revocato il 27 agosto 1719, stando alle precisazioni dei libri parrocchiali.

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