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sabato 31 dicembre 2016


GLI ULTIMI EVENTI A RACALMUTO
– UNA INAUGURAZIONE STORICA –
,GLI ULTIMI EVENTI A RACALMUTO
– UNA INAUGURAZIONE STORICA –
GLI ULTIMI EVENTI A RACALMUTO

   UNA INAUGURAZIONE STORICA –

   UN’INTENSA GIORNATA DI STUDIO –

   IL 4 OTTOBRE 2003 A RACALMUTO.

 

 

Una santa messa, alle ore 9, del 4 ottobre 2003, in commemorazione del defunto padre Calogero Salvo di Racalmuto doveva aprire la giornata di manifestazioni culturali ma in forma discreta e riservata. La messa è stata celebrata nei locali dell’ex chiesa di S. Sebastiano – di cui la quasi totalità dei racalmutesi ignora l’esistenza – da uno smarrito padre Alessi (a pagamento) ma di fedeli oranti neppure l’ombra; se non fosse stato per la presenza di tre cattolicissimi (ma quanto credenti Dio solo sa) componenti della famiglia Taverna, neppure la pagina in volgare dell’odierno messale si sarebbe potuta leggere, come di dovere, da un assistente laico del celebrante.

 

Era l’inizio della concertazione del sabotaggio plurimo che a dire il vero ebbe pieno successo per l’insuccesso della manifestazione. Pensate che neppure le bizzochere, tanto aduse a messe e rosari in assidui abbracci mefitici con cose e uomini di chiesa, erano presenti. Insolita assenza! E neppure tantissimi sacrestani e sacrestane a pagamento quali LSU osarono affacciarsi sul sacrato di quel deturpato anche se dismesso luogo di culto. Anzi si erano adoperati a sabotare il tutto non installando microfoni e non provvedendo ad allestire pedane per il tavolo della presidenza. Crediamo che così facendo volessero fare dispetto a Calogero Taverna, loro esacerbato fustigatore. Errore. Tanto giova alla polemica del nomato fustigatore. Altra carne a cuocere per una pulizia di tanti sicofanti pettegoli ed inetti, a carico delle esauste casse comunali che balzelli impropri di iva e monnezza non riescono ad implementare.

 

Dopo, viene solo la guardia di finanza (ufficiali e marescialli superiori): sono in divisa; segno che vengono solo per assistere alle cerimonie. Qualche imbecille – il solito riddilio? – mette in giro che sono venuti perché era stata trafugata una tela dell’Asaro. Cosa da sorriderci beffardamente sopra. Ma la redazione del Giornale di Sicilia di Agrigento ha voglia (o interesse?) di prendere sul serio la facezia e tempesta di telefonate a destra e a manca, anche a tarda notte per tentare e ritentare di avere una qualche conferma di una notizia che non c’era. Turbativa della quiete pubblica? Inconscia istigazione? A richiesta di informazioni sull’occulto informatore (da parte del sottoscritto ma anche del sindaco) l’omertà più assoluta. Ma chi è costui? Di certo è autorevole se demotivati redattori periferici lo prendono sul serio. Dove vuole arrivare? Le pubbliche autorità inquirenti non hanno alcun interesse ad indagare? E se domani qualcuno penetra di notte nei locali della neo pinacoteca e si adopera in atti vandalici, di chi si dovrà dopo sospettare?

 

Grazie comunque alla efficiente Guardia di Finanza di Agrigento e Canicattì, oltre al locale comandante dei carabinieri di Racalmuto, che, invitata, viene ad assistere ad una manifestazione che oltre ad essere un momento qualificante della cultura nel paese di Sciascia, finisce con l’essere una insolita finestra sulla realtà economica, sociale e politica, sia pur tediosa e defatigante, che i vigilanti pubblici sono tenuti a tenere d’occhio.

 

E allora che dire dei tanti assenti? Dall’on. Errore, agli organi giudiziari agrigentini, a quelli amministrativi (prefetto e questore); dal presule ai pingui redattori dell’Amico del Popolo; dall’intero consiglio comunale all’intera giunta; dai signori ragionieri di Racalmare ai soliti critici girovaghi della contermine Grotte; dai preti ai sacrestani; dai colti e queruli malevoli, persino dai padri mensili di figlie femmine, dai peripatetici, insomma, lungo il marciapiede di Sciascia, dalla Citalena alla locale televisione. Erano stati regolarmente invitati. Hanno forse in gran dispitto i patrocinatori? Ma chi erano? Milioto o padre Puma, Restivo o Taverna?

 

Purtroppo l’on. Milioto, presente, tornò ad essere il solito e contravvenendo ad ogni regola di rispetto per gli organizzatori e per il livello culturale della manifestazione si sdilinquì nei suoi virulenti improperi di taglio personale contro un paio di presenti (anzi contro un solo presente). A buon rendere, onorevole!

 

Nel pomeriggio, ci si è messo anche un funerale. Mi toccava proprio nel centro dei miei affetti personali. Lo slittamento della manifestazione non valse a colmare i vuoti delle poche sedie, e dire che parlava il prof. Enrico Mazzarese Fardella e parlava a quel dio biondo. Nobile, coltissimo, aduso all’affubulazione d’alto lignaggio, spiegò, illustrò, convinse: Tutti gli idola dell’imbecillità storica racalmutese furono ridotti alla loro vituperosa ridicolaggine. Le cervellotiche congetture di taverniana memoria emersero dall’elegante dire del prof. Mazzarese Fardella in tutta la loro risibile ridicolaggine. A cominciare dal ‘famigerato ius primae noctis’.

 

A tempo debito pubblicheremo gli atti. Ci è dispiaciuto che il professore fosse alla fine ripiccato per il fatto che neppure un giovane era presente. Solo due, disse il professore che naturalmente escludeva mio nipote, un suo discepolo. Si dava il caso che anche gli altri due erano le sorelle di quell’unico discepolo presente. Quando i tanti studenti in legge racalmutesi andranno a sostenere gli esami di storia del diritto a Palermo, … beh! non vorrei trovarmi nei loro panni. Quando i signori del consorzio universitario agrigentino – e soprattutto il suo sedicente e rumoroso rappresentante locale – cercheranno appoggi ed aiuti presso l’egemone ateneo palermitano, non penso che troveranno accondiscendente quel decano rispettabilissimo e rispettatissimo professore. Questi sa che ad Agrigento l’università la si vuole non a fini culturali. Gli esponenti non hanno tempo per assistere neppure ad un illuminante e allettante squarcio di storia medievale siciliana, in ispecie agrigentina, in particolare racalmutese.

 

Unica eccezione per una qualificante presenza quella costituita dall’assessore provinciale dottore professore ingegnere Santino Lo Presti, a cui va il nostro sentito grazie e la nostra, crediamo non sterile, riconoscenza.

 

Con l’occasione un ringraziamento all’architetto Carmelo Antinoro di Favara che volle essere presente per l’intera giornata preferendo l’incontro culturale racalmutese alle emule iniziative favaresi. Ci dispensò una dotta trattazione di due ceppi familiari favaresi oriundi da Racalmuto, sia pure nella notte dei tempi. Quando potremo pubblicare gli atti, si potrà appurare e gustare l’eccezionalità dei rinvenimenti storici dell’Antinoro. Per chi abbia interesse, segnaliamo intanto le sue documentatissime pubblicazioni.

 

Il sindaco di Racalmuto avv. Luigi Restivo Pantalone, è stato davvero impareggiabile; assiduo dalla mattina alla sera (e anche lui poteva inventarsi qualche impegno per qualche michelino sbarcato a Palermo); elegante nel dire e nel fare, come sempre; signorile persino nel rintuzzare le aporie miliotesche. A Gigi Restivo va la nostra ammirata stima, il nostro sincero e grato grazie.

 

E qui la perla finale: si doveva onorare il sacerdote Salvo: non c’era in sala alcun uomo di chiesa; nessuna monaca del collegio anche se padre Salvo ne era stato il rinomato cappellano, nessun parente, nessun sacrestano. Persino il pettegolo diacono – pronto a sogghignare con padre Puma sull’insuccesso dell’iniziativa per latitanza di pubblico – si eclissava.

 

 

Il padre Pirrera – il grande amico di padre Salvo ed anche suo editore – l’avevo personalmente dissuaso dal venire per i suoi davvero gravi problemi cardiopatici e non potè fare l'agognata presentazione degli scritti, in corso di pubblicazione.  Credette di delegarmi. Ma io non sono prete né ho più il parametro circospetto del sinuoso dire ecclesiastico. Pensate che curia, amico del popolo, giovani direttori in veste talare di quella stampa della chiesa agrigentina hanno non solo negletto quella commemorazione ma l’hanno osteggiata per quello che dirò. Naturalmente Studio 98 ha altro da “studiare” alle cinque della sera.

 

Ed allora?

 

Ho esordito dicendo che se vi erano caste orecchie cattoliche, erano pregate ad abbandonare l’aula. Nessuno l’ha fatto. A dire il vero ce n’era una: non abbandonò l’aula. Per mia fortuna non capì il vero senso della mia sardonica, sincera, violenta invettiva.

 

Ecco il testo.

 

Calogero Salvo …padre Calogero Salvo  … noi l’abbiamo conosciuto il 10 ottobre del 1945.   Era allora rettore del seminario mons. Jacolino, un prete asciutto ed arcigno, più tedesco dei tedeschi … un uomo ascetico, probo, serio e giusto ….morì giovane ma in tempo per diventare vescovo.

 

 

Sfogliamo l’almanacco ecclesiastico della chiesa agrigentina del 1993, un libro pretenzioso con papa Woytjla ancora giovane, sorridente e dietro la cattedrale, non sai se araba o spagnola, medievale o borbonica, moderna o avveniristica … pensavamo di rinvenire in quell’almanacco – quando padre Salvo era maturo ma sano, esplosivo e fervente – un inno ed un osanna alla sua intelligenza, alla sua facondia, al suo acume, al suo essere originalmente prete e poeta, storico e filosofo, poeta e mistico .. ed invece deludentemente a pag. 196 solo Salvo Calogero nato a Racalmuto il 6.1.1926, ordinato il 29.6.1949, cappellano al collegio di Maria delle suore della sacra famiglia a Racalmuto, residenza eccetera, eccetera.  .. Semplice successore di padre Elia Lauricella dunque e noi che le visite pastorali dell’epoca le abbiamo lette tutte (anche se in latino) sappiamo bene che padre Elia  fu solo sessuofobo bigotto tutt’altro che colto, roba da monachelle insomma.

 

L’almanacco di mons. Vincenzo Gallo ha poco da almanaccare a gloria di padre salvo: essere invisi alla gerarchia ecclesiastica si risolve in cocenti umiliazioni, irridenti misconoscimenti, sardonici orpelli. Mi dico e in parte ricordo che padre Salvo talora veniva dichiarato primo talora secondo nelle graduatorie del seminario vescovile di Agrigento per profitto scolastico nelle passerelle del 7 marzo giorno di S. Tommaso. Lo tallonava. Qualche volta lo superava, poi si appaiava padre Stefano Pirrera l’altro intelligente ribelle della chiesa Agrigentina degli anni 50-80. Gli altri compagni di ordinazione, mediocri o di minori livello anche se oggi appaiono prediletti dei vescovi loro sovraordinati.

 

Ora diamo uno sguardo all’ultimo (anzi al postumo) libro di padre Salvo “ Più luce …” E’ stato il suo grande amico ed emulo padre Pirrera a volerlo, pochi mesi dopo la morte di padre Salvo. Vi si coagula l’epifania occidua di un titanico sacerdote, di un tormentato pensatore, di un poeta iracondo, e soprattutto di un grande eretico, perché padre Salvo, sì, fu un eretico del solfifero altipiano come fra Diego La Matina, secondo ovviamente la letteraria invenzione sciasciana, e non certo come Sciascia che muore a 68 anni, con un fratello suicida – agghiacciante analogia con Ovidio e Pasolini ed anche purtroppo con padre Salvo – così come pressoché alla stessa età muore Padre Salvo (solo un anno in più). Fu eretico perseguitato (come ora la chiesa sa fare, senza sangue, senza rogo, ma con vituperosa aggressività morale). E neppure i suoi parenti capirono o seppero. Fu eretico bandito dalle blandizie delle cariche e degli incarichi. Gli fu tolto anche l’appiglio per un intimo compiacimento di immeritato martirio. La crudeltà talare ha tocchi e rintocchi  di devastante perfidia. E si estingue con il male del secolo da cui credette per certo tempo di essere guarito per speciale grazia della sua fida Madonna del M onte: tragico autoinganno.

Corse allora composto alla morte, fidente ed orante come esangue anacoreta di vetusto tempo.

 

Il vescovo ebbe apprezzamenti solo per tale erioca disperata morte. Scriveva Sciascia: chi dice che la speranza è l’ultima a morire? E’ la morte l’ultima speranza. Ma il presule non ebbe destro d’accorgersene.

 

Di contro padre Salvo fu guglia gotica svettante oltre le nubi, non guatabile dai poveri di spirito o dagli imbecilli, li vuoi in veste tale (nera o rossa o in albis, che importa?)

 

Padre Salvo non potè vantarsi di un nutrito novero d’amici. Ma di nemici potenti ( or di questo o di quell’altro colore, ora in veste talare ora in clergyman    ora in tiara ed anche il semplice mozzetta), ed a dire il vero un po’ se li andava a cercare. Eppure a qualche grande amico poté aggrapparsi come padre Stefano Pirrera, l’emulo della giovinezza scolastica, il sostegno  nel tempo del dolore, il difensore grintoso e greve nell’ora tarda.

 

(leggere: prefazione di più luce, in memoria,)

 

Epitaffi sinceri, epitaffi d’occasione da parte di amici, da parte di gente modesta e grata. L’epitaffio del vescovo sorprende: gira al largo, timoroso e tiepido. Leggiamolo:

 

 

Troppo poco per noi, esimio arcivescovo: forse Ella venendo da lontano anche se sempre dalla Sicilia, dalla diversa S. Crore Camerina, non capì, certo non apprezzò, quanto geniale era l’irrisione di padre Salvo, quanta inflessibilità etica c’era nella sua irriverenza, come fosse sapiente padre Salvo, come fosse disumanamente schietto, perché alla fin fine era un contadino di Racalmuto – intemerato – un genio incoercibile della terra del sale e dello zolfo (ed era intelligente come Sciascia, più di Sciascia). E lo dilaniava non un tenace concetto – che equivale ad ottusa caparbietà – ma cultura e studio, intemperanza e cimento, voglia di vero giammai barattabile per un successo magari librario, letterario, per un accaparramento di pingui borse monetarie, ( e qui taciamo di mitre e baculi). Non poté vendere diritti cinematografici, padre Salvo; non ebbe onori, non ebbe affermazioni, non ebbe gloria: era tetragono nella sua inaccessibile torre eburnea, e per l’amore della libertà, della sua libertà, abdicò al grumo delle gioie dei mediocri.

Dissero di lui gli amici sinceri: (leggere tutto p. Pirrera, tutto padre de Gregorio, qualche brano di p. Puma … )

Ci colpisce tra costoro ancora padre Pirrera, il prete che noi riveriamo dal profondo del nostro umano e desolato sentire, un prete alieno dai compromessi – anche da quelli che anche i preti vorrebbero storici – un prete tetragono come il tetragono padre Salvo. E furono i dioscuri del Novecento ecclesiale agrigentino; i due preti senza orpelli, i due giganti che seppero essere colti anche se invisi, i due meritevoli sacerdoti non degnati neppure (che ci importa se qualcuno vi rinunciò? Non era peraltro troppo tardi?) di un canonicato minore. Non poterono andare neppure in viola.

 

       Padre Puma non c’era: pare se ne stesse a fare da guida alla neo pinacoteca Pietro d’Asaro (e dire che l’aveva un tempo tanto avversata). Quando un paio di giorni dopo gli lessi il testo che spero abbiate scorso mi invitò ad oscurarlo. Al mio diniego, ebbe accenti di rammarico profondo. “Non ho più ventiquattro anni, per difendermi”, mi disse. Francamente non ho capito, e come vedete disobbedisco, come ho sempre fatto con i potenti – grandi o piccini che fossero – ed in fin dei conti mi son sempre divertito. E dire che sono in contraddizione con me stesso. Non ripeto spesso e volentieri: “lascia che i morti seppelliscano i morti”?

 

 

  

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