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sabato 13 agosto 2016


RACALMUTO – Differenziata, lista Borsellino:”Il racalmutese venga messo nelle condizioni di poterla fare”
Postato in 11 agosto 2016. Tags: lista Borsellino, Racalmuto, raccolta differenziata
Tutti a fare i moralisti e a dispensare consigli e suggerimenti ai racalmutesi su come fare la differenziata! E’ questa la nota che il portavoce della Lista Borsellino ha pubblicato sul loro profilo facebook....
Riteniamo ormai di essere al limite del ridicolo!
Patetico questo atteggiamento da persuasori!
Smettetela…il racalmutese non è stupido…anzi sono proprio i cittadini che da anni ormai chiedono di far partire questo servizio, indispensabile ad una società moderna e civile, e imprescindile per un’effettiva riduzione dell’inquinamento e del costo dello smaltimento dei rifiuti, a Racalmuto tra i più alti d’Italia! Preoccupatevi piuttosto che il racalmutese venga messo nelle condizioni di fare la differenziata e che venga garantito un effettivo risparmio al singolo cittadino!
‪#‎listaborsellino‬#noi#sempredallapartedeiracalmutesi#

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Lillo Taverna Il sindaco rintuzza con termini contumeliosi e affidandosi al "tempo galantuomo". Già! vorrò vedere codesto tempo in cui esso a Racalmuto sarà galantuomo con la locale monnezza. Dissociatosi incomprensibilmente Racalmuto da Grotte e Castrofilippo e avendo soppresso a Grotte i cassonetti monnezzari, ecco i parsimoniosi grettesi scaricare a Racalmuto la loro indiscriminata monnezza nella tolleranza di codesti tanto provvidi nostri impiegati comunali che dovrebbero almeno vigilare. Quest'anno dunque pagheremo anche la monnezza rifiutata dai nostri vicini oltre confina. Un buon auspicio per l'inciucio. E dal milione e mezzo di euro a quanto passeremo? Nel prossimo riparto monnezzaro comunale il tempo sarà già galantuomo per noi più o meno stanziali nel paese del sale dello zolfo e del caciummo? A me pare che almeno qui Sciascia abbia ragione: paese di asserviti, marioli e soprattutto dissennati. Popò ce l'ha scolpito in marmo nel vecchio calvario di fronte alla Fondazione. Calogero Taverna

mercoledì 25 giugno 2014

a Racalmuto, inventato l'esproprio consensuale

Ho letto e riletto questa lettera e mi sono domandato, imbarazzatissimo: ma se ad essere sindaco ero io o assessore come credo di averne titolo, come risolvevo una così complessa questione? Mi dispiace per il direttore Terrana, ma non vi sono soluzioni tecniche. E neppure giuridiche e neppure di equità. Le cennate ordinanze mi paiono decadute oltre che illegittime. In questione qui vi è un edificio a doppio vincolo: orbita nel centro storico e soprattutto è indubitabilmente un palazzo storico, che non  si può certo abbattere con una sapiente carica di tritolo, In via normale bisognerebbe fare ricorso alla famosa norma dello scuci e cuci. Ve l'immaginate voi i costi! E chi in grado di sostenerli.? Forse solo un'entità pubblica quale un Comune o una Provincia. Con quali fondi? Forse anche qui potrebbe essere praticabile la via - che mi fa però storcere il muso - per l'acquisizione e il rifacimento che si è seguita per il Castello Chiaramontane, sempre che si possa ripetere quello strano istituto inventato lì per lì dai nostri ingegnosi amministratori dell' esproprio consensuale (sic!), E l'interesse pubblico? Via, perché non pensare ad una casa di accoglienza dei nostri fratelli del terzo mondo: Invece di sperperare fondi pubblici e euro CE per i furbastri di Grotte o per faraonici progetti di inverosimili monumenti al camposanto per i caduti in mare, qui l'opera sarebbe meritoria, sempreché naturalmente si evitino i  solititi sperperi valutativi e progettuali. Troppe complicazioni comunque per una soluzione davvero ardua. Non vedo borgomastri con le palle che non si lascino intimidire dalle difficoltà o dai rischi (invero tenui) per la straordinaria amministrazione; abbiamo solo fiorellin del prato pronti a fuggire da ogni incombenza appena rischiosa; come dire persone amabili  inidonee a scelte appena complesse quali il governo di un Comune sforna a iosa quotidianamente.


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    Lillo Taverna Lillo Taverna Questo libro da pag. 37 a pag. 140 l'ho scritto io nell'autunno del 1979. Ho corso il rischio di venire incriminato per violazione dei segreti di stato e di stati. Ma Imposimato nei sotterranei dell'EUR fece finta di ignorare. Calogero Taverna

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    1Fausto Di Bartolomeo

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    Lillo Taverna Spifferavo a pag. 142: "Nel setembre del 1979 il quotidiano 'Lotta Continua' pubblica il fitto elenco di enti pubblici che hanno depositato soldi presso lo sportello di Via Veneto della Banca Privata Finanziaria, già sede del Credicomin, l'azienda di credito in liquidazione coatta di cui era presidente il principe nero Iunio Valerio Borghese".

    Ne avevo sussurrato a don Peppino D'Alema, il padre di Masimo D'Alema, allora Presidente ella commissione Finanza e Tesoro. Don Peppino, spirito salace e libertario .si era conservata la castagna e quando venni convocato a San Macuto per l'inchiesta parlamentare sul caso Sindona me la sparò per sapere l'inosabile. Ma fui subito bloccato dal Vicepresidente dell'Inchiesta, il compagno allora feroce Emmanuele Macaluso. Fui intimato a mantenere il massimo segreto. Non si andò avanti. Perché mi chiedo ancora? Per salvare l'onore di Franco Evangelisti cui il compagno Emmanuele teneva tanto? Ma che c'entrava con Iunio Valerio Borghese?

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    Lillo Taverna

    Lillo Taverna La risposta mi va affiorando adesso proteso alla ricerca della verità sul caso Ettore Messana. Iunio Valerio Borghese ebbe tante responsabilità - e diciamolo chiaro: criminali - nell'eccidio di Portella delle Ginestre. Si addossò la colpa a Giuliano, magari coinvolgendo Scelba e Messana. Invero oggi le carte dell'OSS americano Nicola Tranfaglia pare le abbia rintracciato e si tratta di carte altamente rivelatrici e sovvertitrici di tanti luoghi comuni su certi ancora scottanti segreti di stato. Ma se ne disfece subito passandole all'incandescente Casarrubea. Senonché non si privò del piacere di scrivere a pag. 7 della sua introduzione al libro del Casarrubea 'Storia segreta della Sicilia' del 2007: vi fu "in tutta l'Italia meridionale l'appoggio ai fascisti che si riorganizzarono e in particolare agli uomini della Decima Mas di Junio Valerio Borghese, il principe pontificio salvato dagli americani e arruolato con molti suoi ufficiali direttamente dall'OSS di James Jenis Angleton, per azioni coperte contro gli esponenti del partito comunista italiano." E il sospetto corre subito a Portella delle Ginestre. Nel luglio del 1947 si ebbe il rutilante comizio parlamentare di Girolamo Li Causi. La vittoria recente del 20 aprile del 1947 lo aveva reso irrefrenabile. La sconfitta del 18 aprile del 1948 spinse Togliatti ad esautorarlo con il 'di vino' Bufalini coadiuvato da un esuberante nisseno sindacalista: Emmanuele Macaluso.

    Quale passò da un compromesso all'altro in Sicilia sino a divenire alfiere dell'agrario Milazzo. Si dà il caso che Valerio Borghese Junio invece di venire processato e condannato ritorna a Roma e viene remunerato persino con una licenza bancaria a Via Veneto come abbiamo visto.

    Senonché si mise o lo misero a finanziare il falso colpo di stato del colonnello della Forestale di Cittaducale (si fa per dire) e finì in LIQUIDAZIONE COATTA per atto provvidenziale di Carli in definitiva avallante il passaggio del mistero bancario di Via Veneto nelle più accorte documentazioni della sindonana Banca Privata Finanziaria cui mi vanto di avere dato l'estrema unzione nel settembre del 1974.

    Con D'Alema padre potevo contribuire a san Macuto al disvelamento di quest'altro rancido mistero di Stato. Macaluso ce lo impedì. Gli sovvenivano sue indulgenze milazziane degli anni 'Cinquanta e s'indusse a quell'ira funesta vicepresidenziale, dormiente De Martino, che mi risuona ancora alle orecchie, per non fare emergere il passato siciliano dei tempi del bandito Giuliano e soprattutto dell'OSS americano?


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    Lillo Taverna Spifferavo a pag. 142: "Nel setembre del 1979 il quotidiano 'Lotta Continua' pubblica il fitto elenco di enti pubblici che hanno depositato soldi presso lo sportello di Via Veneto della Banca Privata Finanziaria, già sede del Credicomin, l'azienda di credito in liquidazione coatta di cui era presidente il principe nero Iunio Valerio Borghese".

    Ne avevo sussurrato a don Peppino D'Alema, il padre di Masimo D'Alema, allora Presidente ella commissione Finanza e Tesoro. Don Peppino, spirito salace e libertario .si era conservata la castagna e quando venni convocato a San Macuto per l'inchiesta parlamentare sul caso Sindona me la sparò per sapere l'inosabile. Ma fui subito bloccato dal Vicepresidente dell'Inchiesta, il compagno allora feroce Emmanuele Macaluso. Fui intimato a mantenere il massimo segreto. Non si andò avanti. Perché mi chiedo ancora? Per salvare l'onore di Franco Evangelisti cui il compagno Emmanuele teneva tanto? Ma che c'entrava con Iunio Valerio Borghese?

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    Quale passò da un compromesso all'altro in Sicilia sino a divenire alfiere dell'agrario Milazzo. Si dà il caso che Valerio Borghese Junio invece di venire processato e condannato ritorna a Roma e viene remunerato persino con una licenza bancaria a Via Veneto come abbiamo visto.

    Senonché si mise o lo misero a finanziare il falso colpo di stato del colonnello della Forestale di Cittaducale (si fa per dire) e finì in LIQUIDAZIONE COATTA per atto provvidenziale di Carli in definitiva avallante il passaggio del mistero bancario di Via Veneto nelle più accorte documentazioni della sindonana Banca Privata Finaziaria cui mi vanto di avere dato l'estrema unzione nel settembre del 1974.

    Con D'Alema padre potevo contribuire a san Macuto al disvelamento di quest'altro rancido mistero di Stato. Macaluso ce lo impedì. Gli sovvenivano sue indulgenze milazziane degli anni 'Cinquanta e s'indusse a quell'ira funesta vicepresidenziale, dormiente De Martino, che mi risuona ancora alle orecchie, per non fare emergere il passato siciliano dei tempi del bandito Giuliano e soprattutto dell'OSS americano?

    Calogero Taverna


Non è con le risibili ciarle in vernacolo che si fa la microstoria di Racalmuto
[e neppure con le cervellotiche congetture]




Ecco come ricostruirei io Racalmuto sotto la Barona, in quello splendido scenario, attorno all'anfiteatro naturale fulcro della futura rievocazione storica e teatrale della veridica nostra cittadina, cacciati via al più presto codesti pretoriani di una ormai Ministra in Gonnella, fatta evaporare da un movimento che prima asordante con frinnico stridore oggi non può più esimersi di essere il nuovo che avanza, migliore e radioso.
Sotto la fondazione i dirupi fermati per le apriche abitazioni degli uomini che hanno fatto grande Racalmuto da quel paio di centinaia di casupole "copertae palearum" che inventariò nel XIV secolo l'arcidiacono Du Mazel, incaricato dal papa di ritorno a Roma dopo l'avventura di Avignone, per una tassazione  volta ad un perdono ecclesiale con ricatto di ottenere da Dio la salvezza dalla esiziale "mala ephitimia".






Ma andiamo a ritroso. Un cewnno alla Racalmuto Medievale:
BORGO ARABO AL TEMPO DEI NORMANNI

di Calogero Taverna

 

Del tutto singolare è l’assoluta assenza di una qualsiasi località chiamata Racalmuto nelle più antiche carte capitolari del vescovato di Agrigento per il periodo che va dal 1092  al 1282. Si suol dire che il silenzio nella storia equivale al nulla. In questo caso, però, si deve ammettere che per un paio di secoli Racalmuto non fu tributario in modo esplicito della potente curia agrigentina, nè ebbe a pagare censi, canoni e livelli agli ingordi canonici del capitolo della asfissiante cattedrale di San Gerlando. Basta scorrerle, quelle carte per rendersi conto di quanto fiscali fossero il prelato e la sua corte agrigentina sin dal tempo in cui Ruggero il Normanno istituì - o si pensò che avesse istituito - quella diocesi affindandola al santo, o santificato, consinguineo di Bretagna: Gregorio, uomo di bell’aspetto e di copiosa dottrina, secondo quel vogliono le cronache.

Non sono tutti originali i documenti più antichi: alcuni sono rifacimenti posteriori al Vescovo Urso (1191-1239), un prelato finito prima prigioniero dei saraceni in una loro storica rivolta, e poi riuscito ad affrancarsi insieme ad una parte dei privilegi, che ci sono stati nel complesso fedelmente conservati. Tra questi spiccano i diplomi che nel diligente studio di Paolo Collura  (P. Collura: Le più antiche carte dell’Archivio Capitolare di Agrigento - Palermo 1961) recano i nn.i 8, 9 e 27 sui quali fu imbastita in tempi imprecisati un’impostura su Racalmuto e sulla sua chiesa di Santa Maria. Lo studio del 1961 dimostra intanto che trattavasi di posti collocabili presso Santa Margherita Belice. Una confusione davvero rimarchevole. E sebbene ciò, i canonici agrigentini, sin da prima del XV secolo, hanno tratto da quel falso un titolo giuridico per una loro pingue prebenda d’origine racalmutese. L’hanno legata alla pretesa fondazione ecclesiale di Santa Margherita, che fu invero una chiesuola sorta molto più tardi, “contigua e comunicante” «colleteralis et coniuncta», con la Chiesa di Santa Maria (stando almeno ai dati della visita di Mons. V. Bonincontro, Vescovo di Agrigento, effettuata  il 20 giugno 1608 [v. Curia Vescovile Agrigento: REGISTRO VISITE 1608-1609 f. 247 e ss.]).

L’incolpevole Pirri, nel 1641,  attribuisce il diploma n. 8 a Racalmuto: ma si sa che si avveleva di notizie di seconda mano perché il netino, data la sua età, non potè che affidarsi a corrispondenti locali e cioè a canonici che avevano libero accesso a quei documenti capitolari tenuti gelosamente custoditi (come del resto avviene tuttora). Sula scia dell’abate di Noto, il nostro Tinebra Martorana giovanilmente riproduce il falso a pag. 57 del testo ripubblicato nel 1982 dando suggello  alla secolare impostura secondo la quale «fu Roberto Malconvenant ad erigere sul nostro territorio la prima chiesa cristiana». Ed aggiunge, falso nel falso:  «la chiesa di S. Margherita vergine corrisponde alla nostra S. Maria di Gesù.»

 I racalmutesi a questa tradizione tengono come si evince dai cartelli pubblicitari che tuttora si ostendono. Si continui pure nelle credenze, purché  in definitiva si sappia che la chiesa di Santa Maria sorse in un periodo almeno di due secoli posteriore alla  pretesa data della sua fondazione: forse si può risalire al 1308 se accreditiamo in tal senso un documento vaticano delle decime avignonesi.

Che il Pirri si riferisse ai documenti contrassegnati dal Collura con i nn. 8 e 9 è fuor di dubbio e che quindi per il contesto di entrambi i diplomi siamo in località che nulla hanno a che vedere con il nostro paese è del tutto incontrovertibile: il falso, però, un elemento di chiarificazione per la storia di Racalmuto ce lo fornisce. Vi è come il paradigma di come sorgevano borghi arabi sotto i normanni nel perimetro della diocesi agrigentina. E Racalmuto - nullo o pressoché inesistente sotto Ruggero il Normanno, tanto che non vi si appuntarono in un primo momento gli appetiti tassaioli dei canonici agrigentini, - potè sorgere, attorno alla metà del XII secolo, sotto la spinta di un signorotto transalpino del tipo dei Malconvenant o per spinta di monaci dell’ordine dei benedettini, come siamo più propensi a credere. Villani o schiavi risultarono certi arabi, più o meno importati; padroni erano invece stranieri non residenti o abbazie distanti.









E’ una Racalmuto che va vista con occhi critici e razionali. Non può certo avvalorarsi la saga della venuta della Madonna del Monte del 1503,  così come, in buona fede, non può affermarsi che vi siano state tasse  per uzzolo dei Del Carretto con buona pace del “terraggio e terraggiolo” secondo la parabola del pur sommo Leonardo Sciascia. Noi valutiamo piuttosto positivamente la presenza del Del Carretto a Racalmuto. Reputiamo fucina di cultura clero locale, organizzazione parrocchiale, atteggiamenti della fede nel sorgere e nell’abbellimento di chiese, negli insediamenti di conventi, nel diffondersi di confraternite.
Il documento del 1108 che si vuole a base di Santa Maria è abbastanza complesso. Vi si ricava che il Malconvenant ebbe a donare ad un suo consanguineo delle terre con degli schiavi saraceni. Quel parente, un militare in disarmo,  vi costruisce una chiesa. Viene dal vescovo fatto chierico per amministrarla. Le terre di pertinenza sono vaste. Ad accudirle penseranno cinque saraceni i cui nomi astrusi sono:        ALIBITHUMEN, HBEN EL CHASSAR, SELLEM EBLIS, MIRRIARAPIP ABDELCAI, MAIMON BIN CUIDUEN. Scomunica per chi vi attenta; benedizioni per chi ne accresce la ricchezza: ' Si quis - aggiunge il vescovo - vero ecclesiam Sancte Margarite  Agrigentine Ecclesie omnino subiectam circa possessiones eius in aliquo defraudaverit, anathema sit; qui vero eam aut de rebus mobilibus aut immobilibus augmentaverit, gaudia eterne vite cum sanctis peremniter percipiat'
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Questo libro da pag. 37 a pag. 140 l'ho scritto io nell'autunno del 1979. Ho corso il rischio di venire incriminato per violazione dei segreti di stato e di stati. Ma Imposimato nei sotterranei dell'EUR fece finta di ignorare. Calogero Taverna
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Lillo Taverna Spifferavo a pag. 142: "Nel setembre del 1979 il quotidiano 'Lotta Continua' pubblica il fitto elenco di enti pubblici che hanno depositato soldi presso lo sportello di Via Veneto della Banca Privata Finanziaria, già sede del Credicomin, l'azienda di credito in liquidazione coatta di cui era presidente il principe nero Iunio Valerio Borghese". Ne avevo sussurrato a don Peppino D'Alema il padre di Masimo D'Alema, allora Presidente ella commissione Finanza e Tesoro. Don Peppino, spirito salace e libertario .si era conservata la castagna e quando venni convovato a San Macuto per l'inchiesta parlamentare sul caso Sindona me la sparò per sapere l'inosabile. Ma fui subito bloccato dal Vicepresidente dell'Inchesta, il compagno allora feroce Emmanuele Macaluso. Fui intimato a mantenere il massimo segreto. Non si andò avanti. Perché mi chiedo ancora- Per salvare l'onore di Fanco Evangelisti cui il compagno Emmanuele teneva tanto? Ma che c'entrava con Iunio Valerio Bofrghese?
Lillo Taverna La risposta mi va affiorando adesso proteso alla ricerca della verità sul caso Ettore Messana. Iunio Valerio Borghese ebbe tante responsabilità - e diciamolo chiaro: criminali - nell'eccidio di Portella delle Ginestre. Si addossò la colpa a Giuliano, magari coinvolgendo Scelba e Messana. invero oggi le carte dell'OSS americano Nicola Tranfaglia pare le abbia rintracciato e si tratta di carte altamente rivelatrici e sovvertitrici di tanti luoghi comuni su certi ancora scottanti segreti di stato. Ma se ne disfece subito passandole all'incandescente Casarrubea. Senonché non s privo del piacere di scrivere a pag. 7 della sua intruduzione al libro del Casarrubea 'Storia segreta della Sicilia' del 2007: vi fu "in tutta l'Italia meridionale l'apoggio ai fascisti che si riorganizzarono e in particolare agli uomini della Decima Mas di Junio Valerio Borghese, il principe pontificio salvato dagli americani e arruolato con molti suoi ufficiali direttamente dall'OSS di JamesJenis Angleton, per azioni coperte contro gli esponenti del partito comunista italiano." E il sospetto corre subito a Portella delle Ginestre. Nel luglio del 1947 si ebbe il rutilante comizio parlamentare di Girolamo Li Causi. La vittoria recente del 20 aprile del 1947 lo aveva reso irrefrenabile. La sconfitta del 18 aprile del 148 spinse Togliatti ad esautoraro con il di vino Bufalini coadiuvato da un esuberante nisseno sindacalista: Emmanuele Macaluso. Quale passò da un compromeso all'altro in Sicilia sino a divenire alfiere dell'agrario Milazzo. Si dà il caso che Valerio Borghese Junio invece di venire procesato e condannato ritorna a Roma e viene remunerato persino con una licenza bancaria a Via Veneto come abbiamo visto. Senonché si mise o lo misero a finanziare il falso colpo di stato del colonnello dellla Forestale di Cittaducae (si fa per ire) e finì in LIQUIDAZIONE COATTA per atto provvidenziale di Carli in definitiva avalante il passaggio del mistero bancario di Via Veneto nelle più accorte documentazioni della sindonana Banca Privata Finaziaria cui mi vanto di avere dato l'esrema unzione nel settembre del 1974. Con D'Alema padre potevo contribuire a san Macuto al disvelamento di quest'altro rancido mistero di Stato. Macaluso ce lo impedì. Gli sovvenivano sue indulgenze milazziane degli anni 'Ciquanta e s'indusse a quell'ira funesta vicepresidenzale, dormiente De Martino, che mi risuona ancora alle orecchie?

giovedì 7 marzo 2013

PAX TIBI DAVID

Alle 22 circa di stasera 6 marzo le agenzie battono la notizia della morte del capo area comunicazione di MPS. Non lo conoscevo neppure per averne sentito dire da qualcuno, eppure mi si è aggiacciato il sangue. Non credo al suicidio; un bigliettino anodino buttato nel cestino dice poco e per me nulla. Allora il solito omicidio camuffato da suicidio? Nella mia esperienza ne ho incrociati un paio di suicidati nel mondo bancario. So bene che questa faccenda MPS è perfida. Si dice che i responsabili non pagano mai e forse è vero.Ma è soprattutto vero che poi pagano gli irresponsabii, quelli cioè che non hanno responsabilità. Comodo dire che tizio o caio vittima di omicidi di stato o meglio di stati esteri o sono giustiziati da una comoda mafia o si suicidano con veleni non in commercio (solo in dotazione ad oscuri servizi segreti) o si buttano dalla finenstra alla Pinelli (insomma). Un suicidio in via Nazionale gli inquirenti lo giudicano ancora tale? Ma sono gli inquirenti istituzionali o per il semplice fatto che il de cuius ha qualche orpello diplomatico le indagini vengono acquisite in esclusiva da ministeri che dovrebbero occuparsi solo di diplomazia?
Per il signor David Rossi, vorrei rivolgere al cielo una preghiera propiziatrice. Ma io non prego, non credo: si abbia allora un fiore ideale  come oggi si dice "virtuale". PAX


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