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giovedì 26 gennaio 2017


Di fronte a Sciascia scrittore, noi restiamo ammaliati; la sua prosa è musica, la sua visionarietà è sublime, il suo moralismo sconcertante, la sua ironia corrosiva, il suo periodare pieno d’inventiva inusitata ed avvolgente. Non era tenuto alla verità storica ed infatti non l’amò. A noi  - che molto più sommessamente - andiamo in cerca del vero storico del locale arrovellarsi umano, resta l’intralcio di un grande scrittore che ha voglia di stravolgere il banale avvenimento, il prosaico ruolo degli ottimati racalmutesi, l’affaccendarsi ingenuo, ma non perverso, di preti e frati del minuscolo proscenio nostrano. Nella prefazione al libro del Tinebra, Sciascia si lascia andare a tutta una serie di giudizi storici su figure ed avvenimenti della Racalmuto dell’Ottocento: ebbene quelle valutazioni ci paiono decisamente cervellotiche. Dice Sciascia: «La richiesta e la ricerca del libro [del Tinebra] divenne tanto intensa quanto vana. E non la spense la pubblicazione  .. della storia del paese di E.N. Messana, voluminosa, fitta di notizie.» [pag. 8]; ma dopo, alla fine [pag. 15], «limitato è il numero delle notizie che su Racalmuto si possono estrarre da libri e da manoscritti, moltissime e di sottili e lunghi tentacoli sono quelle che si possono estrarre dalla memoria. Dalla galassia della memoria.» Ci pare uno Sciascia o in vena di contraddizioni o di sardoniche, eppure sotterranee, stroncature degli insaccati cronachistici del Messana. In ogni caso della “galassia della memoria” sciasciana, da punto di vista storico, c’è molto da diffidare. I Matrona non possono davvero essere definiti: «una famiglia che per amministrare il comune disamministrava il proprio patrimonio o, più esattamente, andava travasando nel patrimonio pubblico.» Abbiamo visto invece come quei matrona tendessero a farsi assegnare medaglie d’oro ultracostose e come tendessero a dar dare soldi pubblici ai propri famigli bagarioti, e come facessero finanziare strade comode che comodamente collegassero il paese ai loro poderi, alla Noce, a pro’ di loro e dei soliti “amici della Noce”, allora come adesso. Certo, se non si trattasse di Sciascia, sarebbe da sghignazzo un’elucubrazione così ingenua come la seguente: «Naturalmente, - vedi pag. 12 - i Matrona dei nemici: ma si scoprirono più tardi, aggregandosi alla famiglia Tulumello. Intanto, nel 1875-76, si limitavano a denuncie [sic] anonime: e la commissione d’inchiesta (si chiamava propriamente giunta), ne riceve tre: contro l’amministrazione comunale, contro il sindaco Gaspare Matrona. Ma si infrangevano contro l’evidenza di quel comune  amministrato con tanta dedizione, coraggio e generosità che il colonnello propone a modello non solo della Sicilia ma dell’Italia intera. E si capisce che nel giro di mezzo secolo i Matrona furono poveri, sicché fu facile ai loro avversari batterli: col conseguente effetto di un ritorno al malandrinaggio, della mafia, delle usurpazioni e prevaricazioni. [Corsivo ns.]» Spropositi del genere vanno solo negletti. A dire il vero i Tulumello non abbatterono don Gasparino Matrona. Questi cedé la sindacatura al suo correligionario don Gioacchino Savatteri, nel 1875 per le vicende che abbiamo adombrato. Don Gioacchino Savatteri dovette abbandonare la sindacatura per un sospetto peculato di L. 7.535. Le carte dell’archivio di stato di Agrigento del 1890 insolentiscono quella nefanda gestione: «Nel comune di Racalmuto - sbraitano - l’inchiesta a carico della precedente amministrazione non è ancora compiuta e già abbe a risultare un’appropriazione indebita di L. 7.535 a carico dell’ex sindaco Savatteri che fu denunziato all’autorità giudiziaria.» Sciascia aveva ataviche subalternità verso i Matrona. Confessa [pag. 13] «tutto sommato, devo ai Matrona questo mio rifugio in campagna: perché mio nonno loro fedelissimo elettore, volle anche lui, da capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra nella stessa contrada, edificandovi una casetta: ora è un secolo).» Noi non abbiamo di siffatte gratitudini: anzi ribolle la rivolta ancestrale dei miei poveri antenati zolfatai, sfruttati da tali arroganti “civili”, galantuomini, ottimati, signorotti o come diavolo si chiamano; sfruttati anche per «non sapere scrivere né sottoscrivere per non averlo mai appreso.»[1] E gli zolfatai non sapevano leggere e scrivere perché facevano comodo da “carusi” andare nelle miniere dei Matrona (e di altri ottimati), come arrogantemente don Gasparino dichiara ai membri della Giunta. E si è visto come don Gasparino risparmiasse sull’istruzione dei figli del popolo, avendo più a cuore gli spettacoli lirici, propoziatrici di tresce con attrici, cantanti e ballerine. Eh! Sciascia, Sciascia! Lascia perdere i Matrona tutti presi a far [pag. 11] «scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle rionali, teatro.» Ed in men di cinque anni (la sindatura di don Gasparino dura secondo il Messana , appendice 29a, dal 1872 al 1876): non ci crede neppure il prof. Salvatore restivo che pu sappiamo quanto sia devoto alla memoria di Sciascia. Giustamente annota, ad esempio, che il teatro di Racalmuto fu inaugurato il 9.11.1880, come dire quattro anni dopo la defenestrazione dei matrona per un duello mancato. L’avversato Messana comprova che nel 1874, in pieno regime di don Gasparino, 32 erano i racalmutesi “aderenti alla mafia” secondo la segnalazione del delagato di P.S. Annibale Macaluso (cfr. appendice XVII, pag. 493). Il sottotenente comandante la sezione dei carabinieri di Racalmuto, G. Bianchi, ha un concetto tutto personale, ottocentesco, della legge se scrive: «l’attuale sindaco di quel paese sig. Matrona Cav. Gaspare è l’unico cittadino capace di mantenere obbedienti alle Leggi dello Stato una massa di uomini oltremodo ignorante e proclivi a qualunque reato». [2] Oggi - molto più civilmente - quel sindaco finirebbe nelle grinfie dell’Antimafia, proprio quella che Sciascia non amò tanto.

 

 

Archivio  Centrale di Stato  - Roma - "Commissione Parlamentare d'inchiesta - 1875-76"

 

«Vi è una lettera di Nalbone Francesco di Racalmuto - rimessa al Prefetto di Girgenti e quindi non figutante agli atti - contro il Sindaco di Racalmuto - cfr. Fascicolo 5 - sf. 3 lettera N - n. 1»

 

«Fascicolo 11 sott. 8 -

[V. acclusa fotocopia]

[Cfr. Fascicolo 66 per la trascrizione del resoconto stenografico]

 

 

 

 

[Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia 1875, SCATOLA 7 FASCICOLO 5 - sf. 2 LETTERA  "A" n. 15]

 

da Racalmuto, 20 dicembre 1875 (anonimo)

«Illustrissimi Signori Onorevoli

Componenti la Commissione

d'inchiesta parlamentare

Canicattì

 

«Illustrissimi Signori,

«Racalmuto, che in questi ultimi tempi dà lo spettacolo di un anormale stato, stava ansante appettando una visita delle Signorie loro ill.mi per dare una forma  di esistenza che fosse conforme a giustizia, alla riparazione ed alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal nostro Augusto Sovrano .

«E però l'allarme si rincrudelisce nel venire a conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando Racalmuto. S'addolora dippiù sentendo che ga chiamato una Commissione scelta dal seno d'un partito che vuole a forza imporsi con violenze, con prepotenze e con illegalità e ch'è in urto alle ispirazioni pubbliche. L'ultima cronaca del paese è bastante delineata dalla stampa, che per ultimo risultato pose al silenzio i nemici pubblici.

«Dei reclami si sono presentati alle Autorità superiori della Provincia, senza risultati. Signori Onorevoli! Racalmuto per più versi non è paese che merita essere abbandonato! ...E' perciò pubblica anzia [sic] di far sentire i proprii lamenti alla Commissione d'inchiesta Dalle Signorie loro bene rappresentata; e si è sicuri che si convincerebbero che sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose per Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare.

«Si chiede quindi che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno  fratelli Matrona, Cammillo Picataggi, Alfonso Farrauto, Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele Mantia, Arciprete, Michiele Alaimo, Gioachino Savatteri, ed impiegati tutti comunali, i quali hanno saputo collidersi e colludersi in più o in meno; e formano i gaudenti dell'azienda Comunale.

«Con ogni sicurezza allora le SS.LL.II. si potrebbero fare giusta es adequata [sic] immagine delle condizioni attuali lacrimevoli del paese, per promuoversi gli opportuni e giusti provvedimenti.

«Si spera giustizia.

«Racalmuto 20 Dicembre 1875»

 

Nella "Rubricella" contenuta nella Scatola 7[Renato GRISPO- L'Archivio della Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia - Inventario - Cappelli Editore 1969 porta [5] - L'archivio usa questo testo per inventario, ma la numerazione non corrisponde alle scatole] e che riguarda le "petizioni", alla lettera  N risulta la seguente annotazione che ci porta se non all'autore, almeno all'ispiratore delle precedenti lettere non firmate:

«                                                                N.ro ordine

«Nalbone Francesco                       1             "al prefetto di Girgenti"

 

e nell' «Elenco dei Reclami e petizioni» [Stessa scatola 7, stesso fascicolo 5, ma sottofascicolo 3, elenco ben diverso dalla Rubrucella p.c.] vine meglio precisato come così di seguito:

1 Nalbone Francesco di Racalmuto      «Reclamo contro il Sindaco di Racalmuto»

 

 

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Archivio di Stato di Agrigento

Da Inventario n. 32

 

Conto di Racalmuto del 1878 presentato da Nalbone Luigi.

 

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 Fascicolo n. 403 (Inventario n. 32)

 - Conti Racalmuto 1869-1887

«Conto entrata ed uscita per l'esercizio 1886.

reso dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.»

 

- Anno 1885

 

reso dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.) - Busta 80 sf. C 1]

Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)  1925 - Busta 80 sf. C 1]

Espresso del 30 luglio 1925.

«il 15 andante circa 120 operai della miniera di zolfo Terrana di racalmuto e Grotte si astennero dal lavoro pretendendo l'aumento del salario in seguito dell'avvenuto aumento del prezzo dello zolfo. Alle ore 9,30 dello stesso giorno operai predetti recaronsi quello scalo ferroviario assistere passaggio On. Farinacci, che fermatosi pochi minuti promise suo intervento favore operai stessi. Però giorno 20 successivo tutti zolfatai bacino minerario Racalmuto e Grotte, segno solidarietà e per analogo scopo si astennero pure lavoro. Di seguito laboriose trattative .... fu raggiunto accordo sulla base  ... dell'aumento del 10 % sui salari attuali a decorrere dal 1° Agosto p.v. ..»

Testo accordo:

«L'anno 1925 addì 28 luglio nell'Ufficio di P.S. di racalmuto alle ore 12.

 «Sono presenti i sigg: Comm. Angelo Nalbone esercente miniera Cozzotondo, Cav. Rosario Falzone esercente miniera Giona G. e P. Galleria, Mattina Salvatore di Gaetano in rappresentanza degli esercenti della miniera Giona-Salinella N.°3-6; il cav. Baldassare Terrana esercente della miniera Dammuso, il Cav. Vassallo Ernesto esercente miniera Quattrofinaiti  Vassallo, il sig. Ricottone Giuseppe fu Giuseppe in rappresentanza  per la  sua parte della miniera Gubellina  ... e dall'altra parte il sig. Lo Sardo Giuseppe fu Nicolònella qualità di presidente del locale Sindacato Fascista Zolfatai, Piazza Salvatore di Salvatore nella qualità di Vice Presidente, il sig. La Mastra Giuseppe di Nicolò nella qualità di Segretario, i sigg. Guastella Vincenzo fu Antonino, Taibi Salvatore fu Giovanni, Mattina Giuseppe di Nicolò, Bartolotta Michelangelo fu Raffaele, Arturo Gioacchino fu Gioacchino nella qualità di consiglieri di detto Sindacato, i quali per non prolungare uno stato di cose nocivo ai reciproci interessi e anche alla Economia Nazionale sono di pieno accordo addivenenti mercè l'opera del locale funzionario di P.S. con l'ausilio dell'Avv. Burruano Salvatore membro del Direttorio Provinciale fascista alle seguenti convenzioni da avere vigore in tutte le forme di legge a datare dal 1° Agosto 1925.

«Gli esercenti tenuto conto presente l'ultimo listino del Consorzio zolfifero siciliano n. 118 ove è segnato un aumento del prezzo di vendita in ragione di L. 5 a quintale, concedono alle maestranze, che accettano, un aumento del 10% sul prezzo base pagato sin oggi.

«Tale aumento unito ai precedenti aumenti dell'8 e del 6 per centosommano un totale del 24% sul prezzo base.

«[.......]

«I rappresentanti delle maestranze si impegnano a fare riprendere il lavoro a cominciare da domani 29 andante.»

 

 

Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)  1932 - Busta 41 sf. C 1]

 

 

30.6.1932

«29 corrente Racalmuto - Nalbone Luigi proprietario esercente miniera Cozzotondo - per nota crisi industria zolfifera - ha sospeso estrazione minerale lasciando disoccupati 74 operai Racalmuto - Comandante Tenenza Ten. Lo Monaco.»

 

 

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Da una lista a stampa dell'Archivio di Stato di Agrigento

«Lista della sezione elettorale di Racalmuto.

«N.ro d'ordine  - Elettori Cognomi e nomi - PATERNITA' - data nascita - titolo o qualità che gli

lista   lista                                                                                                                        conferisce il diritto  

com  politica                                                                                                                  elettorale commer-

mer   comuna                                                                                                                le

ciia    le

le    

--------------

181     316       - Nalbone Giuseppe      di Luigi     - 28 marzo 1857 - negoziante di zolfo.

182     317       - Nalbone Angelo          di Luigi      - 2 giugno 1863

 

F.M. EMANUELI e GAETANI - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore

 

 

[Copia anastatica dell'edizione Palermo 1759] - RAGALMUTO - [pag. 199 e ss. Parte II Libro IV]

 

Il nome di RAGALMUTO vuol dire in lingua Araba, cioè DISTRUTTO(i) MASSA - Sic. in Prospett. p. 2 C.E. f.282 -; e questo fa credere essere stata fabbricata dai Saraceni su le rovine di qualche estinta Città. Ella è Baronale con mero e misto imperio, luogo ottenendo tralle mediterranee della Valle di Mazara [a) - ARETII, Liber de situ Sic. ex Bibliot., CARUSII t I f. 22 c. 2], ed ivi fra le piu' belle che abbondino di grano, e di ogni sorte di biade. Fu di ragione di Ruberto MALCOVANAT Signore di Busacchino, il cui figlio Guglielmo adorno videsi dell'eccelsa carica di Maestro Giustiziere del Regno sotto il Conte Ruggieri, come notò Pirri nella sua Cron. de' Rè, f. 38, e nella SIC.Sac. not. Montisreg. fog. 460 c. 2. e 461 c. 1., e la tenne pur anche la Famiglia ABGRIGNANO, se diam fede a MINUTOLO - Mem. Prior. lib. 8, f. 273. Credesi indi concessa dal Rè Ruggieri Normanno figlio del liberatore testé accennato ad ABBO BARRESE in consuso con quelle Terre, che sotto l'aggettivo di pleraque oppida per conto di esso Barrese numera FALZELLO nella sua Stor. di Sic. dec. 2. lib. 9. cap. 9 f. 184 avvegnachè sullo spirare del secolo decimoterzo stava ella in potere di Giovanni BARRESE, il quale al riferire del Padre APRILE Cron. Sic. f. 144 c. 1 fu il primo tra i Baroni del nostro Regno, che nelle guerre fatte dall'armi dei Collegati Angioini in quest'Isola passasse al loro partito col suo vassallaggio consistente nelle Terre di PIETRAPERZIA, NASO, RAGALMUTO, CAPO D'ORLANDO, E MONTEMAURO, terra oggi disfatta, situata in quel monte, che si alza fra la Città di Piazza e 'l MAZZARINO presso il fiume Braeme. Sicché dichiarato fellone esso Giovanni, cadde Tal Baronia nelle mani del Reg. Fisco, da cui l'ottennero i CHIARAMONTESI,  possedendola primieramente Giovanni B. del Comiso, il quale per essa prestò servigio militare sotto il Rè Federigo II, così costando dalla seguente nota della Sic. Nob. di MUSCIA f. 23  D. Joannes de Claramonte pro Casali Comachi, quod emit a Beringario de LUBERA, PETRAMUSUNICHI, MUSARO, RACHALIANATO, S. JOANNIS, ET FABARIA

Quindi acquistandola successivamente FEDERIGO secondo di quedto nome, terzo genito di Federigo primo Chiaramonte, e di Marchisia Prefolio, e fratello di Manfredo Conte di Modica, e del chiarissimo Giovanni il Vecchio, l'accrebbe egli con la fabbrica di una forte Rocca, o sia Castello, che quivi sin oggi si vede in piedi, siccome ce 'l conferma Fazello dec. 1. lib. 10. cap. 3. fog. 468. Inveges nella sua Cartagine Siciliana  lib. 2 cap. 6. f. 230. e Pirri Sic. Sac. not. Agrig. fog. 758 c. 1 colle  seguenti parole; Propè  Gruttas ad duo  hinc p. m. RAYHALMUTUM Sarracenicum oppidum occurrit: ub arx est a Federico Claramontano olim eius Domino erecta. Fu sua mugliera Giovanna, siccome si legge nel testamento di esso Barone Federigo, che vien citato quì sotto: Item eligo meos fidecommissarios Dominum Bertoldum de Labro Episcopum Agrigentinum, Dominam Joannam consortem meam  etc. ma di qual famiglia si fosse, a noi non palese. Da questa Dama nacque Costanza unica di lor figliola, che nel 1307, nobilmente si sposò ad Antonio del Carretto Marchese di Savona, e del Finale [p.201] provieniente dalla Real Famiglia del Carretto derivata da Aleramo figliolo di Vitichindo Secondo Duca di Sassonia, e madre feconda di Pontefici di Porporati (a) [Ciacconio Vite de'Papi, e Cardinali ediz. Vaticana del 1630 t.2. f. 1376.], e Principi Sovrani, come notò Crescenzi par. 1. narraz. 20. cap. I f. 568, Barone nel suo Anfit.  Sic. Nob. lib. Proc. f. 5., e Sansovini Case Illustr. d'Italia  ediz. di Venezia del 1670 f. 317 e 319, celebrandosi tal maritaggio nella Città di Girgenti per gli atti di Notar Bonsignor Tomasio Terrana di Girgenti a dì 11 settembre  1307, ratificato in Finale l'istesso anno, come riferisce Barone ragionando di quella Casa Carretto nel suo libro De Maiest. Panorm. lib. 3. c. 11. lit. C., l'istesso anche confermando il testamento testè cennato di esso Barone Federigo fatto  nel 1311. a 27. di Dicembre 10 Ind., e poscia pubblicato a 22. di Gennajo del 1313. negli atti di Notar Pietro di Patti  con tali parole: Item instituo, facio, et ordino haeredem meam universalem in omnibus bonis meis Contantiam fialiam meam, consortem nobilis Domini Antonini Marchionis Saonae, et Domini Finari. Cui Dominae Contantiae haeredi meae, eius filios, et filias in ipsa haereditae substituo; ita tamen, quod si forte, [quod absit] dicta Domina Constantia absque liberis statim annos impleverit; quod ipsa haereditas ad Dominum Manfridum Comitem Mohac, et Joannem de Claromonte milites fratres meos, legitimè, et integrè revertatur. Venne essa Constanza per la morte di Federigo suo padre ad esser Signora, e Padrona dell'opulenta di lui eredità; e dal suo matrimonio nascendo Antonio del CARRETTO primogenito, fece a lui libera, e graziosa donazione del retaggio di questa Terra, come appare negli atti di Notar Ruggieri d'Anselmo in Finari a 30 . Agosto 12 Ind. 1344. Rimase però Ella fra breve spazio d'anni Vedova del suo consorte Antonino, morto nella Città  del Finale, e per ritrovarsi bella, nel fiore della sua gioventù , e ricca, passò quivi alle seconde  nozze con Branca, altrimenti detto Brancalione d'Auria (b) [Ansalone, de sua Fam. digress. ult. f. 256] [PICONE lo confonde con un personaggio di DANTE - Inferno canto XXXIII] cioè DORIA, Famiglia nobilissima di Genova, che nell'anno 1335. fu Governatore della Sardegna. Riuscì cotal matrimonio fecondo di prole, generando essa 1. Manfredo, da cui  discese Mazziotta,  2. Matteo, 3. Isabella moglie di Bonifacio figlio di Federigo ALOGNA; da cui nacquero Ciancone, e Vinciguerra ALAGONA.  Se ne morì finalmente in Girgenti , avendo prima fatto il suo testamento, pubblicato negli atti di Not. Giorlando di Domenico a 28.  Marzo 5  Ind. 1350 [ma il 1350 è 3 e non 5 Ind. - Notizia che sembra tratta da Inveges, v. Picone p. 480 nota 3], transuntato dopo in Catania ad istanza di Manfredo d'Auria  di lui primogenito negli atti di Not. Filippo Santasofia a 24. di Novembre 1. Indiz. 1361., nominando in quello molti esecutori di sua volontà, e fidecommissari, cioè il Vescovo di girgenti, allora Ottaviano di LABRO  Palermitano [p. 202] il suddetto Manfredo d'Auria suo primogenito, ed il Priore del Convento di S. Domenico della Città di Girgenti. E quì finalmente sepolta, essa venne nella Cappella di Federigo Chiaramonte suo genitore, fabbricata nel convento testè cennato di S. Domenico. Fece molti e pii legati, ordinando che si spedisse la fabbrica del suddetto Convento da suo padre cominciata, come anche nella Chiesa del Monasterio delle monache di S, Spirito di Girgenti, che si fabricasse una cappella, e sepoltura per la sua madre Giovanna (a) [Inveges, Cartag. Sic. lib. 2 cap. 6 f. 228  e segg.]. Ammogliossi il riferito Antonio del CARRETTO e CHIARAMONTE figlio primogenito di essa Costanza, come sopra accennai, con SALVASIA, di cui non si fa il cognome per l'antichità dei secoli, e con essa diede i natali a GERARDO, il quale servito avendo il Rè MARTINO nel 1398. contro i Baroni di lui ribelli in questo Regno, come dice SURITA Ann. Arag. par. 2 lib. 10 cap. 67 f. 429. c. 1 volle ritornare in Genova a godere gli antichi suoi vassallaggi degl'incliti suoi predecessori, e gli antichi domini della Città di Savona, e del Finale; sicché per far questo, quasi obbligato videsi a far rinunzia del presente Stato di RAGALMUTO a MATTEO DEL CARRETTO suo fratello germano, accompagnato co' Feudi di Sigliana, o sia Siculiana, Garriolo, e Concietto, ricevendo da lui a titolo di prezzo fiorini 3250 negli atti di Notar Antonio de ROSATA  in Agosto 1399, come dice INVEGES nel suo Palermo Nob. Famiglia del Carretto fog. 55 c. 1 e SAVASTA Caso di Sciacca tratt. 2 cap. 14 fog. 42. Ciò non ostante voglio credere essere stato fatto tale atto tra essi due fratelli in vim actus di divisione de' beni loro paterni, e materni, e di atto finale di accordo piuttosto, che di vendizione, avvegnaché esso MATTEO ottenuto avea prima l'invest. dello Stato di RAGALMUTO per privilegio di Rè MARTINO data in Palermo a dì 4. Giugno 4. Ind. 1392 (b) [R. CANCELL. lib. an. 1391. fog. 71], e per regie lettere di esso a 5. Frebbraro di detto anno, nelle queli viene egli chiamato da esso Sovrano col titolo di B. di RAGALMUTO, e con il trattamento, che più importa, di Marchese di Savona (c) [PROT. an. 1392. Sign. lit. E. f. 95]. Ed in quest'anno appare altresì aver liberato esso stesso C. MATTEO la Città di Palermo dalla tirannide de i CHIARAMONTANI, restituendola al real Demanio coll'opera insieme di Francesco VALGUARNERA giuniore B. del Godrano, e di Raimondo de Aptilia Pretore di essa città, come dice BARONE nel suo lib. De Majest. Panorm. lib. 3 cap. 11. Fam. Valguarnera, e del Carretto. Quindi è, che in considerazione di tali servigi fu a lui data da esso Sovrano l'eccelsa carica di Vicario Generale del regno, col'altra insieme di Camerlengo, e Maestro Razionale, notandosi da Pirri CHRON. REGUM f. 81. tra i personaggi piu' grandi della Città di Palermo, benemeriti di esso Rè Martino. Fu egli Signore delle Terre di Siculiana, e Calatabia[203]no, come si legge in BARONE loc. cit., ed in tutti i predetti Stati ebbe successore il figlio GIOVANNI, che di essi investissi jure haereditario nel 1401, sotto li 5. Agosto 9. Indiz. per privilegio del summontovato  rè Martino (a) [R. CANCELL. an. 1399. f. 177. - MINUTOLO, Mem. Prior. lib. 9. f. 294 - BARONE, loc. cit.], scorgendosi per essi ancora arruolato nel s ervizio militare de' Feudatari del regno, così presso MUSCIA, Sic. Nob. f. 69. «D. Joannes de CARRETTO pro Casali RAGALMUTI, et Feudis Columbuden, et mediate Sigliane ..7...Aggiunge egli al retaggio paterno i Feudi di Cabacia, Rjava, e Salamone, come appare sulla nota del detto real servizio f. 114 «D. Joannes de Carretto tenet feudum Cabariae, annui redditus unciarum XXXX. Feuda Rayavae, et Salamuni unciarum LXX». E da esso finalmente respirò vita il Barone FEDERIGO che investissi di questo Stato nell'anno 1453 (b) [R. CANC. an. 1453. f. 565. - MINUTOLO loc. cit.], genitore rendendosi di GIOVANNI giuniore, da cui venne ERCOLE (c) [Vien rammentato da Don VINCENZO DI GIOVANNI nel suo PALERMO RISTOR. lib. 4. f. 229. retr. nel famoso caso occorso tra i BONROSI con Paolo del Carretto fratello del Summenzionato Ercole][v.pagg.296-297] e da questo altro GIOVANNI, che col nome di terzo nei Baroni di RAGALMUTO prese sua investitura per essa Baronia nel dì 31 Gennaro 7. Indiz. 1519 (d) [R. CANC. an. 1518. 7. Ind. f. 462 - MINUTOLO, loc, cit.]. Di questo Cavaliere, scrive BARONE lib. cit, Fam. del Carretto, essere stato egli  onorato dall'Imperadore Carlo quinto quando fu un Palermo nel 1535. Con atti di distintissima estimazione  «hunc Carolus V Imperator, dice egli, cum Panormum  accessit miris affecit honoribus, ut pote qui tum propria, tum avita nobilitate dignus, qui susciperetur, quique inter Dynastas omnes precipuo honore habetur». Di esso fu nobile prole GIROLAMO , che fu lo stipite della presente investitura, come diremo appresso, e le due femmine MARIA e PORZIA; la prima delle quali si vede sepolta nella Chiesa del Monastero di Santa Caterina di Palermo dentro un tumolo marmoreo adorno della seguente iscrizione:

 

MARIAE de CARRETTO Joannis Domini RAHALMUTI filiae antiquissina, et

praeclarissima SAXONIAE Ducum stirpe, et quadam animi probitate

excellenti foeminae, quae annum aetatis agens septimum se ad Divae

Catharinae Coenobium religiosissimum aggregavit vixitqie singu-

lari probitatis exemplo itaque anno 1566 Coenobii Antistita dele-

cta familiam meliore vitae ratione informandam curavit, eiusdem

deinde Coenobii Templo, quod condere inceperat absoluto, vitam omni

laude cumulatam explevit D. PORTIA de CARRETO uxor D. Gasparis

de Barresio illustris vir carissimae sorori hoc amoris, et doloris

monumentum posuit. Vixit annos 70. Antistita annos 30. Obiit

anno 1598.

 

Scorgendosi la seconda cioè PORZIA testè avvisata dentro un altro tumolo, eretto nella Cappella di Nostra Signora della Grazia della Chiesa de' Padri di S. Cita di Palermo col seguente epitaffio:

 

 

Conditur hoc tumulo BARRESIS PORTIA, paris

CARRETTI illustris, candida progenies.

Vivit nobilitas, vivit post funera virtus.

Sic moriens Coeli gaudia laeta subit.

Obiit anno 1607 mense Julii die 25.

Accanto di questo tumolo se ne vede un altro appartanente ad essa casa CARRETTO, ove si legge:

 

CARRECTI genere et claro jacet orta Beatrix

virtutum ardenti lumine splendior.

Vixit cara viro moriens, coeloque recepta est,

Inde Beatricis nomen, et homen habet.

D. ARDENTIA ARCAN D. Betricis CARRETTOS PHILADELPHI olim Baro-

nissae matri suae suavissemae tumulum propriis expolitum la-

crymis moestissima

 

Succedono quindi

GIROLAMO nel retaggio di questo Stato dopo la morte di Giovanni suo genitore, lo ridusse egli all'onor di Contea per provilegio del serenissimo  Rè Filippo Secondo, dato nell'Escuriale di S. Lorenzo a dì 27.Giugno 1576 (a) [Pirri, Sic. Sacr. Agrig. f. 758, c. 1], esecutoriato in Palermo a 28 Giugno 1577 (b) [R. Cancell. ann. 1577. f. 476]. Fu pretore di Palermo nell'anno 1559 (a) [DI GIOVANNI, Palermo Ristor. lib. 4. f. 242 retr.], e Don Vincenzo Di Giovanni nel suo PALERMO RISTORATO lib. 2 f. 138. giustamente l'annovera fra 'l chiaro stuolo de' Padri della Patria mercé il lodevolissimo governo, ch'egli fece, procacciato avendone gloria, ed ornamento. Presedette altresì la Compagnia della Carità di essa Città di Palermo nel 1549., e adorno videsi di distintissimi elogi fattigli da Rodolfo Imperatore con le sue Imperiali lettere al Rè Filippo II. negli anni 1580 e 1598., rapportate per extensum da BARONE loc. cit. lib. 3. c. 11 De Majest. Panormit. - Da esso fu dato al mondo [p. 205] GIOVANNI del CARRETTO, quarto di questo nome. il quale fu il secondo C. di RAGALMUTO, e Pretore di Palermo nel 1600. (a) [Lapidi Senatorie che si veggono a porta di VICARI, e porta di MACQUEDA] di non minor merito di quello del genitore come vuole il citato DI GIOVANNI nell'istesso luogo notato di sopra, avvegnachè fu egli dotato d tanta prudenza, valore, ed abilità, che nella onorevol carriera di reggere gli affari pubblici avanzò tutti gli altri cavalieri suoi pari, e magnati suoi contemporanei. Quindi prevalse appo il detto di Macqueda  Vicerè di Sicilia, a segno tale che lo fece strategoto di Messina, qual ufficio però non potè egli esercitare, per essere stato provveduto contro la forma de' Privilegi de' Messinesi, che ammetteano  solamente colui, il quale ne avea la real patente. Trascelto videsi Governatore della Compagnia de' Bianchi di Palermo negli anni 1597., 1601. e 1605., e fu Diputato del Regno nel 1600. Festeggiò suo sposalizio con Margherita d'Aragona Tagliavia e Marinis figlio di Giovanni D'Aragona, e di Maria Marinis della Favara, e D. di Terranova jugali (b) [PIRRI Chron. Regum f. 22]; parto della quale fu C.

GIROLAMO del CARRETTO ed Aragona, chiamato il giuniore (c) [BARONE, loc. cit.], da cui vide la prima luce

GIOVANNI quinto, che fu il primo P. di VENTIMIGLIA (d) [Notisi, che il succennato GIOVANNI del CARRETTO non  fu Pretor di Palermo, e Diputato del Regno nel 1600, come si disse per errore par. I lib. 1. f. 24. tom. 1, ma bensì lo fu il lui avolo, cioè il quarto GIOVANNI secondo C. di Ragalmuto, come sopra ho notato; percò tal luogo deve correggersi], come narrai nel capitolo di detto Principato par. 2 lib. I. f. 74], ove si vede il rimanente della genealogia di detti principi del CARRETTO e Conti di REGALMUTO, sin tanto che estinti essi in PALERMO colla morte dell'ultimo Principe GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA, passando detta contea nelle mani della di lui vedova BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI, che jure crediti, delle sue doti aggiudicossela investendosene a 10. Luglio 1716, se ne vede oggi investita sin dal 1747. del dì 16.Marzo la vivente Principessa di Palagonia GRAVINA Maria Gioachina GAETANI e BUGLIO, e C. di Ragalmuto, la di cui invest. per detto Stato cadde a 7. Agosto 1735., e del titolo di essa a 12. Aprile 1736.

 

 

 

 

PARTE II. libro I - DELLA SICILIA NOBILE [VILLA BIANCA]

 

VENTIMIGLIA - TERRA BARONALE

 

[pag. 74] e vedesi nella Valle di Mazara col mero, e misto Impero, che le fu concesso pe 'l suo governo a dì 3. Novembre 1632.

 

BEATRICE VENTIMIGLIA figlia di Giovanni Principe di Castelbuono. Prima P. ottenne il titolo dal Serenissimo Rè Filippo IV, con suo real Privilegio dato a 7. Maggio 1627. esecutoriato a 31. Agosto di detto anno. Si maritò Ella   a  GIOVANNI del CARRETTO C. di Racalmuto, di già eletto Diputato del Regno, e Pretore di palermo nel 1600, da cui trasse in figlio:

GIROLAMO del CARRETTO e VENTIMIGLIA (e) [MONG. Bibliot. Sicul. tom. I f. 210] che successe in questo Stato pe 'l diritto della Principessa sua madre. Questi fu l'infelice Conte di Racalmuto, che negli ANNALI di SICILIA del secolo 1649, lasciò di sé mesta memoria (a) [CARUSO, STORIA SICIL. par. 3 Vol. 2. lib. 5. f. 132]. I di lui sposalizi celebraronsi con  Beatrice BRANCIFORTE figlia di Giovanni figlio di Fabrizio P. di Butera, e da essa ebbe

 

GIROLAMO del CARRETTO e BRANCIFORTE, investito a 15. Agosto 1656, Fu questi Maestro del Campo nella guerra di Messina (b) [CARUSO, Stor. Sic. par. 3 Vol. 2  l. 5. f. 179] e sostenendo tale carica prese il Casal di Soccorso, avendo difeso coraggiosamente SAMMICI da' Colli di Valdina, ed impedì lo sbarco de' Franzesi presso Melazzo (c) [AURIA Cron. f. 211], onde poi insieme fu eletto Vicario Generale nella Città di Noto, di Girgenti, Licata e Caltagirone (d) [TALAMANCA Enrico f. 171. Mongit. Biblioteca Sic. Tom. I f. 210]. Fu Pretore di Palermo nel 1682, Diputato di questo Regno, e gentiluomo di camera del Ser.mo Rè Carlo II. pubblicato a 10. Agosto 1688 (e) [AURIA Cron. f. 211]. Sposo nelle prime sue nozze MELCHIORRA LANZA e MONCADA figlia di LORENZO C. di Sommatino, e poscia ebbe in moglie COSTANZA di AMATO ed AGLIATA, figlia di ANTONIO P. di GALATI. Dal primo suo letto coniugale venne alla luce

 

GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA. Videsi questo nell'onorato impiego di Capitano di Palermo nel 1698, e premorendo al padre senza figli fece estinguere nella sua persona la Famiglia illustrissima del CARRETTO de' Signori di SAVONA, che prendendo origine Reale, stimavasi una delle più cospicue Prosapie di questo Regno (f) [Caso di Sciacca del SAVASTA cap. 15. f. 43]. Fu sua moglie BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la quale per il credito della sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla R. G. Corte nel 1711. pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716. Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI maritata a Giacomo  P. Lanza, il di cui figlio

 

ANTONINO LANZA e SCHITTINI se ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia, P. Lanza, B. dello Stato di Calamigna, etc.

 

 

 

 

 

Leonardo SCIASCIA Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L.

 

 

[pag. 15] Nella Chiesa del Carmine c'è un massiccio sarcofago di granito, due pantere rincagnate che lo sostengono. Vi riposa «l'Ill.mo don Girolamo del Carretto, conte di questa terra di Regalpetra, che morì ucciso da un servo a casa sua, il 6 maggio 1622».   [...] Girolamo, secondo di questo nome nella famiglia dei conti di Regalpetra, è vestito alla spagnola: mantelletto di broccato di seta, giubbetto verde a rabeschi d'argento, calzoni sbuffati al ginocchio; senza calze, senza scarpe; alto quanto un eroe del West, il volto quadrato in cui il naso piccolo e le labbra spiacevolmente sottili mettono una nota di gelida perfidia, le mani fini leggermente artigliate, le unghie perfette. L'imbalsamatore sapeva il suo mestiere. Vicino alla mano sinistra ha un teschio della grandezza di un'arancia, di un bambino di pochi mesi; tra le gambe un altro teschio poco più grande, di un suo bambino che le [16] le cronache dicono morì incornato da una capra, alla quale per giuoco si era avvicinato. Evidentemente, nel corso di tre secoli, c'è stato qualche parroco che ha avuto un'idea di più immediato profitto sull'Ill.mo don Girolamo del Carretto. Un ricercatore di memorie locali ci certifica di uno spadino con impugnatura d'oro, di bottoni rivacati da pesanti monete d'oro, pure d'oro l'astuccio che racchiudeva una pergamena. Non ci costa sforzo immaginare la scena  [...]  il prete a lavorar di coltello per far saltare i bottoni, a sfilare lo spadino, a togliere le scarpe a quel morto [...] Il conte stava affacciato al balcone alto fra le due torri guardando le povere case ammucchiate ai piedi del castello, quando il servo Antonio di Vita «facendoglisi da presso, l'assassinò con un colpo d'arma da fuoco». [...] Donna Beatrice , vedova del conte, perdonò al servo di Vita. [...] Della voracità di don Girolamo del Carretto una anonima memoria testimoia - «Oltre alle numerose  tasse e donativi e imposizioni feudali, che gravavano sui poveri vassalli di regalpetra, i suoi signori erano soliti esigere, sin dal secolo XV, due tasse dette del terraggio e del terraggiolo dagli abitanti delle campagne e dai borgesi. Questi balzelli i [17] del Carretto solevano esigere non solo da coloro che seminavano terre nel loro stato, benhè le possedessero come enfiteuti, e ne pagassero l'annuale censo, ma anche da coloro che coltivassero terre non appartenenti alla contea, ma che avessero loro abitazioni in Regalpetra. Ne avveniva dunque, che questi ultimi ne dovevano pagare il censo, il terraggio e il terraggiolo a quel signore a cui s'appartenevano le terre, ed inoltre il terraggio e il terraggiolo ai signori del nostro comune... Già i borgesi di Regalpetra, forti nei loro diritti, avevano intentata una lite contro quel signore feudale per ottenere l'abolizione delle tasse arbitrarie. Il conte si adoperò presso alcuni di essi, e finalmente si venne all'accordo, che i vassalli di regalpetra dovevano pagargli scudi trentaquattromila, e sarebbero stati in perpetuo liberi da quei balzelli. Per autorizzazione del regio Tribunale, si riunirono allora in consiglio i borgesi di regalpetra, con facoltà di imporre al paese tutte le tasse necessarie alla prelevazione  di quella ingente somma. Le tasse furono imposte, e ogni cosa andava per la buona via. Ma, allorché i regalpetresi credevano redenta, pretio sanguinis, la loro libertà, ecco don Girolamo del Carretto getta nella bilancia la spada di Brenno  ... e trasgredendo ogni accordo, calpestando ogni promessa e giuramento, continua ad esigere il terraggio e il  terraggiolo, e s'impadronisce inoltre di quelle nuove tasse». [v. TINEBRA, p. 125- 126]

 

Ammazzato, da due sicari del barone di Sommatino, morì anche il padre di Girolamo, uomo anch'esso vendicativo ed avido. Il primo Girolamo fu invece, ad opinione del Di Giovanni, uomo di grandi meriti. Per lui Filippo II datava dall'Escuriale di San Lorenzo, il 27 giugno del 1756, un privilegio che elevava Regalpetra a contea. Ma sui meriti di Girolamo primo non sappiamo molto: fu pretore di Palermo, e non credo dovuta a «bizzarra opinione seu presuntione», come invece afferma il Paruta,[TINEBRA p. 118] la sollevazione dei palermitani contro la sua autorità. Né mi pare sia da ascrivere a sua gloria il fatto che per suo ordine, il giorno sedici del mese di marzo dell'anno milleseicento, trentasette facchini abbiano sibita la pena della frusta: notizia che senza commento offre il già ricordato erudito regalpetrese.[TINEBRA, p. 118]

[...] [19] Nel 1645 della peste restava un ricordo di castigo e di redenzione: Regalpetra contava case milleduecentotrentasei  ed abitanti cinquemilacentosei. [RACALMUTO in T. p. 200]  Il terzo Girolamo, che era andato a cacciarsi in una congiura contro la sovranità di don Filippo IV, grazie ad un servo di nome Mercurio e al gesuita padre Spucces cui il servi svelava la trama, moriva giustiziato a Palermo, in buona compagnia di nobili e di giureconsulti; il figlio, quarto dello stesso nome, veniva investito della signoria di Regalpetra il 15 agosto 1654; fu maestro di campo in guerra e gentiluomo di camera di Carlo II. Con lui si estingueva la famiglia, l'investitura passava ai marchesi di S. Elia, ancor oggi i borgesi di regalpetra pagano il censo agli Eredi dei Sant'Elia: ma certo che fu grande riforma quella che i Sant'Elia fecero centocinquantanni addietro, divisero il feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque, litigiosa e feroce; una lite per confini o trazzzere fa presto a passare dal perito catastale a quello balistico, i borgesi hanno fame di terra come di pane, ciascuno tenta [20] di mangiare la terra del vicino, come una talpa  [...]       

 

 

 

 

Da LA MORTE DELL'INQUISITORE [Pubblicato assieme alle Parrocchie di Regalpetra, prima citato - p. 180]

 

 

Era signore di Racalmuto Girolomo II del Carretto, uomo spietato ed avido: ed appena due mesi dopo, il 6 di maggio, un suo servo, certo Antonio di Vita, lo avrebbe mandato agli inferi con una scoppettata. Pare che ad incaricare il di Vita fosse stato il priore del convento degli agostiniani riformati, in rivalsa di una somma di denaro che il conte era riuscito a sottrargli. Secondo la tradizione locale il priore era riuscito a raccogliere un bel mucchio di quattrini: e con la pia intenzione di ampliare il convento e di abbellire l'annessa chiesa di S. Giuliano. Ma il del Carretto riuscì a farsi consegnare il denaro. Come prova delle intenzioni del priore e del rapace intervento del conte, il popolo indica le colonne che a lato del vecchio convento cominciavano a sorgere, la fornace di calce poco lontana.

Che un fondo di verità sia in questa tradizione, riteniamo confermato dall'epilogo stesso del racconto popolare, che dice il servo di Vita averla fatta franca grazie a donna Beatrice, ventitreenne vedova del conte: la quale non solo perdonò al di Vita, fermamente dicendo a chi voleva fare vendetta che la morte del servo non ritorna in vita il padrone, ma lo liberò e nascose. Ora chiaramente traluce e arride, in questo epilogo, l'allusione a un conte del Carretto cornuto e scoppettato: ma questa viene ad essere una specie di causa secondaria della sua fine, principale restando quella dell'odio del pretore. Insomma: se non ci fossero stati elementi reali a indicare il priore degli agostiniani come mandante, volentieri il popolo avrebbe mosso il racconto dalle corna del conte.

Il priore non era certo uno stinco di santo: ma quel colpo di scoppetta il conte lo riceveva consacrato da un paese intero. Una memoria della fine del '600 (oggi introvabile, ma trascritta in riassunto da Nicolò Tinebra Martorana, autore di una buona storia del paese) dice della vessatoria pressione fiscale esercitata dai del Carretto, e da don Girolamo II in modo particolarmente crudele e brigantesco. Il terraggio e il terraggiolo, che erano canoni e tasse enfiteutiche, venivano applicati con pesantezza ed arbitrio: e non solo si esigevano da coloro che erano effettivamente enfiteuti nella contea di racalmuto, ma anche da coloro che soltanto avevano domicilio  nella contea e avevano enfiteusi fuori del territorio; e non dovevano essere pochi in questa condizione. Per cui la fuga di contadini dai dominî dei del Carretto fu per secoli continua, e in certi periodi addirittura massiccia: e i ripopolamenti coatto o di franchigia non riuscivano a colmare dei tutto i vuoti lasciati dai fuggitivi.

Il documento riassunto dal Tinebra dice che appunto durante la signoria di Girolamo II i borgesi di racalmuto, che già avevano mosso ricorso per l'abolizione delle tasse arbitrarie, subirono gravissimo inganno: ché il conte simulò condiscendenza, si disse disposto ad abolire quei balzelli per sempre; ma dietro versamento di una grossa somma, esattamente trentaquattromila scudi. L'entità della somma, però, a noi fa pensare che non si trattase di un riscatto da certe tasse, ma del definitivo riscatto del comune dal dominio baronale; del passaggio da terra baronale a terra demaniale, reale.

Per mettere insieme una tal somma, il Regio Tribunale autorizzò una straordinaria autoimposizione di tasse: ma appena le nuove e straordinarie tasse furono applicate, don Girolamo del Carretto dichiarò che le considerava ordinarie e non in funzione del riscatto. I borgesi, naturalmente, ricorsero: ma la dolorosa questione fu in un certo modo risolta a loro favore solo nel 1784, durante il viceregno del Caracciolo.

Il priore degli agostiniani e il loro servo di Vita fecero dunque vendetta per tutto un paese, quale che sia stato il pasticciaccio di cui, insieme al defunto e a donna Beatrice, furono protagonisti. (Curiosa è la dicitura di una pergamena posta, quasi certamente un anno dopo, nel sarcofago di granito in cui fu trasferita la salma del conte: dà l'età di donna Beatrice, ventiquattro anni, e tace su quella del conte. Vero è che non disponiamo dell'originale, ma di una copia del 1705; ma non abbiamo ragione di dubitare della fedeltà della trascrizione, dovuta al priore dei carmelitani Giuseppe Poma: e l'originale era stata stilata dal suo predecessore Giovanni Ricci, che forse si permise di tramandare allusivamente una piccola malignità.) [...]

 

Dall'anno 1622, in cui fra Diego nacque, al 1658, in cui salì al rogo, i conti del Carretto passarono in rapida successione: Girolamo II, Giovanni, V, Girolamo III, Girolamo IV. I del Carretto non avevano vita lunga. E se il secondo Girolamo era morto per mano di un sicario (come del resto anche il padre), il terzo moriva per mano del boia: colpevole di una congiura che tendeva all'indipendenza della Sicilia. E non è da credere che si fosse invischiato nella congiura per ragioni ideali: cognato del conte di Mazzarino per averne sposato la sorella (anche questa di nome Beatrice), vagheggiava di avere in famiglia il re di Sicilia. Ma l'Inquisizione vegliava, vegliavano i gesuiti; e, a congiura scoperta, il conte ebbe l'ingenuità di restarsene in Sicilia, fidando forse in amicizie e protezioni a corte e nel Regno. Una congiura contro la corona di Spagna era però cosa ben più grave dei delittuosi puntigli, delle inflessibili vendette cui i del carretto erano dediti. Giovanni IV, per esempio, aveva fatto ammazzare un certo Gaspare La Cannita che, appunto, temendo del conte, era venuto da Napoli a Palermo sulla parola del duca d'Alba, viceré, che gli dava guarentigia. E' facile immaginare l'ira del viceré contro il del Carretto: ma si infranse contro la protezione che il Sant'Uffizio accordò al conte, suo familiare. (Questo stesso Giovanni IV troviamo nella cronaca dello scoppio della polveriera del Castello a mare, 19 agosto 1593: stava a colazione con l'inquisitore Paramo, ché allora il Sant'Uffizio aveva sede nel Castello a mare, quando avvenne lo scoppio. Ne uscirono salvi, anche se il Paramo [Ludovico Paramo o de Paramo è l'autore di quel libro che Voltaire infilza, alla voce Inquisizione, nel Dizionario filosofico. «Luigi [Ludovico] di Paramo, uno dei più rispettabili scrittori e dei più vivi splendori del Sant'Uffizio... Questo Paramo era un uomo semplice, esattissimo nelle date, che non ometteva nessun fatto interessante, e calcolava col massimo scrupolo, il numero delle vittime umane che il Sant'Uffizio aveva immolato in tutti i paesi.»] gravemento offeso. Vi perirono invece Antonio Veneziano e Argisto Giuffredi, due dei più grandi ingegni del cinquecento siciliano, che si trovavano in prigione.)

Della familiarità dei del Carreto col Sant'Uffizio abbiamo altri esempi. Ma qui ci basta notare che a Racalmuto, contro l'eretica pravità e a strumento dei potenti, l'Inquisizione non doveva essere inattiva.  [...] Appunto da documenti pubblicati dal garufi sappiamo che a Racalmuto c'erano, nel 1575, otto familiari e un commissario del Sant'Uffizio; e due anni dopo dieci familiari, un commissario e un mastro notaro: su una popolazione di circa cinquemila (il Maggiore-Perno dà 5.279 abitanti nel 1570, 3.825 nel 1583: per quanto queste cifre siano da accettare con cautela, si può senz'altro ritenere attendibile la flessione). Vale a dire che il solo Sant'Uffizio aveva una forza quale oggi, con una popolazione doppia, non tengono i carabinieri. Se poi aggiungiamo gli sbirri della corte laicale e quelli della corte vicariale, e le spie, ad immaginare la vita di questo nostro povero paese alla fine del secolo XVI lo sgomento ci prende. [190] Di chiese e conventi a Racalmuto ce n'erano in abbondanza: e a Pietro d'Asaro non mancava il da fare, in esecuzione di devote promissioni di borgesi e di legati testamentarî di preti e usurai. Lasciando da parte le chiese, ecco un sommario elenco dei conventi: dei benedettini, dei carmelitani, dei minori osservanti, dei francescani conventuali, delle clarisse, dei riformati di sant'Agostino. In quest'ultimo, esattamente denominato degli agostiniani di sant'Adriano o della riforma centuripina, entrò (giovanissimo, è da presumere) Diego La Matina: non sappiamo se per circostanze familiari o per calcolo o per vocazione.

L'ordine degli agostiniani di sant'Adriano fu fondato nel 1579 da Andrea Guasto da Castrogiovanni: il quale, stabilita coi primi compagni la professione della regola nella chiesa catanese di Sant'Agostino, si trasferì in Centuripe, in luogo quasi allora deserto, e fabbricate anguste celle, pose i rudimenti di vita eremitica, e propagolla in progresso per la Sicilia: notizia che dobbiamo a Vito Amico [Dizionario topografico della Sicilia di VITO AMICO, a cura di G. Di Marzo, Palermo 1859.], e non trova riscontro nelle enciclopedie cattoliche ed ecclesiastiche che abbiamo consultato. Lo stesso Vito Amico dice che il convento di Racalmuto fu dal pio monaco Evodio Poliziense promosso e dal conte Girolamo del Carretto dotato nel 1628. Evidente errore: ché nel 1628 il conte Girolamo era morto da sei anni. Più esatto è il Pirro: S. Iuliani Agustiniani Reformati de S. Adriano ab. an. 1614, rem promovente Hieronymo Comite, opera F. Fuodij Polistensis [R. Pirro, Sicilia Sacra, libro terzo, Palermo 1641].

In quanto al pio monaco Evodio Poliziense o Fuodio Polistense, si tratta senza dubbio alcuno di quel priore cui dalla leggenda popolare è attribuito il mandato per l'assassinio del conte Girolamo. Infatti il Tinebra Martorana, che non si era preoccupato di consultare in proposito i testi del pirro e dell'Amico, cade in equivoco quando dice che al priore di questo convento la tradizione serba il nome di frate Odio, riferendosi con ogni probabilità all'azione da lui commessa. Era semplicemente il nome, piuttosto peregrino, di evodio o Fuodio che nel corso del tempo si era mutato in Odio.



[1] ) da un atto del notaio Grillo Borgese del 1860, rog.to un Racalmuto 18 ottobre 1860 li. 1 col. 19 f  98 n.° 1794 c.a 5, ricevuti grana venti - D. 20. - Il ricevitore : P. Alfano.
[2]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 492.

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