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domenica 5 febbraio 2017

22 giugno 1947. Una strage per eliminare i comunisti


Stern pranza dai Giuliano 8 maggio 1947
Stern pranza dai Giuliano 8 maggio 1947 (Archivio Casarrubea)
I- Estratti dalla sentenza di Appello per la strage di Portella della Ginestra e per le stragi del successivo 22 giugno – Roma, 1956
Riferimenti a Pasquale ‘Pino’ Sciortino, il cognato di Giuliano
Parte prima
[…] il 9 luglio 1947, in esecuzione di mandati di cattura, emanati rispettivamente in data 12 marzo, 7 e 19 maggio 1947 dalla Sezione Istruttoria di Palermo per correità in sequestri di persona e rapine, tra cui – come si è visto (v. n. 5, b) – il sequestro e la rapina in danno del possidente Di Lorenzo Giuseppe da S. Giuseppe Jato, venne tratto in arresto Di Lorenzo Giuseppe fu Antonino, bracciante, da Montelepre, inteso “Peppe di Flavia”, il quale interrogato in data 16 luglio 1947 dai m.lli Lo Bianco e Calandra, pur negando ogni sua partecipazione ai fatti di Portella della Ginestra, confessò di aver preso parte all’attentato contro la sede del Partito comunista di Carini.
Egli dichiarò (L, 142 e segg.) che, dimesso il 18 febbraio 1947 dalle carceri di Palermo dove trovavasi da circa un anno essendo stato arrestato, per i noti fatti dell’EVIS, quale gregario della banda Giuliano si era trasferito, per allontanarsi dall’ambiente, a Guardistalla di Pisa, presso il cugino Giacopelli Salvatore che conduceva in affitto il podere “Casal Testa” e l’aveva assunto quale bovaro; sennonché, affetto da ulcera gastrica, non aveva retto alla fatica, e dopo il 1° maggio 1947 aveva fatto ritorno a Montelepre col programma di attivare un commercio di olio di oliva tra la Sicilia ed il continente. Ma avendo appreso che pendeva contro di lui un mandato di cattura, aveva creduto prudente rimanersene rifugiato a Montelepre. Così, la sera del 20 Giugno 1947, verso le 21,30, mentre stava in casa della suocera, aveva ricevuto la visita dei banditi Cucinella Giuseppe, inteso “Porrazzolo”, e Sciortino Pasquale, inteso “Pino”, che lo avevano invitato ad intervenire ad una riunione che si sarebbe tenuta subito dopo a “Belvedere – Testa di Corsa”, località appena fuori dell’abitato. Vi era andato anche per curiosare e vi aveva trovato i seguenti banditi che conosceva come i più fedeli gregari di Giuliano: Passatempo Salvatore, Passatempo Giuseppe, Candela Rosario inteso “Cacagrosso”, Pisciotta Francesco inteso “Mpompo”, Taormina Angelo inteso “Vito u pagliusu”, Mannino Frank inteso “Lampo”, Cucinella Antonino, Terranova Antonino inteso “Cacaova”; nonché i seguenti altri giovani che riteneva incensurati: Pianello Giuseppe, Pianello Filippo (Fedele), Mazzola Federico cognato del Terranova, certo Totò inteso “Rizzo”.
Poco dopo erano venuti Sciortino Pasquale e Cucinella Giuseppe, il quale ultimo aveva annunziato l’arrivo di Vincenzino, figlio di “Filippeddu”, e di Ciccio Sapienza, figlio dello “Zu Jachino”. Difatti altri giovani erano sopraggiunti che egli non aveva riconosciuti; quindi, lo Sciortino aveva preso la parola per invitarli a continuare la lotta contro il comunismo intrapresa dal cognato Giuliano (il 24 aprile lo Sciortino aveva sposato Giuliano Marianna) perché, se i comunisti avessero avuto il sopravvento, sarebbero stati tutti rovinati, specialmente essi monteleprini: i comunisti avevano lacerato a Palermo la bandiera separatista; occorreva distruggere tutte le sedi del loro partito nella zona d’influenza della banda per indurre gli avversari del comunismo a fare altrettanto nelle altre province. Dette queste parole aveva sciolto la riunione, avvertendo che al momento opportuno ognuno avrebbe ricevuto gli ordini e le armi per agire.
In quel luogo stesso era stato avvicinato da Terranova Antonino che l’aveva invitato a trovarsi la sera della domenica successiva, 22 giugno, alle ore 21, a “Piano Gallina”. Temendo le rappresaglie del Giuliano, che sapeva inesorabile in simili casi, non aveva avuto il coraggio di rifiutare, neanche adducendo la sua malattia, ed aveva ac¬cettato. All’appuntamento aveva trovato Terranova Antonino “Cacaova” e Passatempo Giuseppe, entrambi armati di mitra; dopo di lui erano giunti Mannino Frank., Taormina Angelo, Candela Rosario, armati il primo di moschetto mod. 91, gli altri di pistola. Il Taormina aveva dato anche a lui una pistola a tamburo e tutti insieme, guidati dal Terranova e dal Passatempo, attraverso le campagne, erano giunti verso le ore 22,30 alla periferia di Carini, in un vigneto, dove erano ad attenderli due amici del luogo a lui sconosciuti, che con Terranova Antonino, Passatempo Giuseppe e Mannino Frank avevano proseguito verso l’abitato. Il Candela, il Taormina e lui erano rimasti ad attenderli nel vigneto e poco dopo avevano udito esplosioni di bomba a mano e raffiche di mitra. Esaurita l’azione, il Terranova, il Passatempo ed il Mannino avevano fatto sollecito ritorno e tutti insieme avevano ripreso la via di Montelepre. Lungo la strada, parlando della rappresaglia compiuta, il Terranova ed il Passatempo avevano detto che la porta della sezione del Partito comunista era chiusa e ne avevano provocato l’incendio cospargendola di benzina, procurata loro dai due carinesi, ed appiccandovi il fuoco mediante esplosione di una bomba a mano; quindi, allontanandosi avevano lanciato dei manifestini a firma del Giuliano. A queste parole il Mannino traendo alcuni manifestini dalle tasche della giacca, aveva espresso il rammarico di non aver fatto in tempo a lanciarli anche lui.
Disse pure il Di Lorenzo di non aver avuto alcun compenso per tale suo concorso criminoso ed aggiunse che conosceva bene sia Cucinella Giuseppe, che Sciortino Pasquale per aver partecipato con loro ai moti dell’EVIS.
Va notato che gli investigatori mostrarono anche al Di Lorenzo alcune fotografie, precisamente: la fotografia di Salvatore Giuliano ritratto a cavallo e quelle di Sciortino Pasquale, di Candela Rosario, di Cucinella Antonino, di Cucinella Giuseppe, di Mannino Frank, di Pisciotta Francesco, di Terranova Antonino, di Passatempo Salvatore e di Passatempo Giuseppe, apposte nelle rispettive carte di identità, ed egli, osservatele, riconobbe in esse, perfet-tamente, le persone nominate.
[…]
I. Musso Gioacchino interrogato dai carabinieri il 22 agosto (L, 115 122), confessò subito la sua partecipazione ai fatti di Portella della Ginestra ed all’attacco contro la sede della sezione comunista di S. Giuseppe Jato.
Invero egli dichiarò: a) che una sera, verso la fine di aprile, in Montelepre, il suo conoscente Terranova Antonino di Salvatore, “u figghiu du miricanu”, l’aveva avvicinato in via Castrense Di Bella per dirgli che l’indomani il Giuliano li attendeva a Cippi dove aveva indetto una riunione; non volendo compromettersi, aveva cercato di declinare l’invito ma, alle insistenze del Terranova, il quale chiaramente gli disse che per salvare la vita avrebbe dovuto obbedire, nel timore di sicure rappresaglie, aveva accettato; così la mattina dopo, verso le 8, il Terranova era andato a rilevarlo a casa ed insieme si erano diretti a Cippi una collina sita a circa due km. dal cimitero del paese; b) che sulla sommità del colle erano riuniti diversi individui, molti dei quali armati di mitra e moschetti, altri apparentemente inermi; egli non ne conosceva alcuno, avendo risieduto sempre con la famiglia a Partinico e trovandosi solo da poco tempo a Montelepre in casa della nonna materna Lino Rosalia; ma il Terranova glieli aveva indicati uno per uno ed aveva saputo che essi erano: Giuliano Salvatore, Mannino Frank, Pisciotta Francesco, Taormina Angelo, Pisciotta Gaspare, Terranova Antonino “Cacaova”, Cucinella Giuseppe, Cucinella Antonino, Passatempo Salvatore, Passatempo Giuseppe, Genovese Giovanni, Genovese Giuseppe, Badalamenti Francresco Pretti Domenico, Sapienza Giusepe, Sapienza Vincenzo, Passatempo Francesco, Tinervia Francesco, Tinervia Giuseppe, Russo Giovanni, Cristiano Giuseppe, Badalamenti Nunzio, Gaglio Francesco “Reversino”, Buffa Antonino, Buffa Vincenzo; costoro non erano tutti presenti al loro arrivo, alcuni erano venuti dopo e non sapeva dire chi vi fosse già e chi vi fosse giunto successivamente, come non poteva affatto escludere la presenza anche di altri; c) che nella mattinata Taormina Angelo, inteso “Pagliusu’’, aveva portato varie armi a dorso di una mula di manto morello; e verso mezzogiorno, per ordine del Giuliano, Genovese Giuseppe era andato a prendere nella vicina mandria una brocca d’acqua, dieci grossi pani ed una forma di cacio, distribuendone a tutti dopo aver tagliato a fette il pane ed il formaggio; sull’imbrunire Giuliano Salvatore li aveva riuniti, aveva detto loro che dovevano recarsi a Portella Ginestra e sparare contro i comunisti che si sarebbero riuniti colà il mattino seguente; quindi aveva distribuito i moschetti e le cartucce a chi non aveva armi: a Badalamenti Francesco aveva dato da portare a spalla un fucile mitragliatore ed a lui una cassettina contenente le munizioni per detto fucile; d) che verso le 21 il Giuliano aveva dato l’ordine di partire a piccoli gruppi: egli insieme con Badalamenti Francesco era nel gruppo di testa formato dal Giuliano, da Genovese Giovanni e da Pisciotta Gaspare; gli altri gruppi seguivano a debita distanza; percorrendo montagne che non conosceva erano giunti nella località designata mentre albeggiava; sistemato il fucile mitragliatore su di una roccia e fattavi collocare la cassetta delle munizioni accanto, il Giuliano si era allontanato lasciando Badalamenti Francesco a guardia del fucile ed ordinando a lui di sedersi dietro una roccia, a circa 100 metri di distanza, posizione dalla quale non vedeva il pianoro sottostante; e) che trascorso un quarto d’ora egli aveva veduto il Giuliano tornare e collocarsi vicino il fucile mitragliatore; quindi dopo un’attesa di circa tre ore aveva inteso sparare raffiche di fucile mitragliatore e di mitra, seguite da diversi colpi di moschetto, ed aveva udito grida di soccorso da parte di uomini e di donne; f) che, cessato il fuoco, la cui durata era stata di pochi minuti, il Giuliano aveva dato ordine di ripiegare in direzione della stessa strada dalla quale erano venuti: Badalamenti Francesco col fucile mitragliatore sulle spalle ed egli con la cassetta contenete i caricatori vuoti si erano messi in cammino; percorsi circa due km. il capo bandito, fattagli deporre la cassetta a terra, gli aveva rivolto le seguenti parole: “vattene a casa e se ti incontra qualcuno non dire che sei stato a Portella della Ginestra, diversamente verrò a trovarti fino a casa tua e ti sparerò per come sparai a tuo zio Spica Giovanni che non volle fornirmi la farina per me e per i miei uomini” (v. n. 5/a); terrorizzato dal ricordo di questo fatto si era allontanato di corsa e dopo circa mezz’ora o poco più, poiché per lo spavento correva e tremava, aveva raggiunto Ponte Sagana e di lì nelle prime ore del pomeriggio Montelepre; a casa aveva raccontato l’accaduto alla nonna, e costei, imprecando contro il Giuliano aveva detto: gran disgraziato non gli bastò che rovinò la prima volta la nostra casa”; g) che, la sera in cui si celebrava in paese la festa di S. Antonio, Mannino Frank, fermatolo per via, gli aveva ordinato di seguirlo; per timore di rappresaglie, aveva obbedito ed il Mannino l’aveva condotto in località “Sassana”, nei pressi di “Testa di Corsa”, dentro una stalla dove già si trovavano Terranova Antonino “U figghiu du miricanu” e i fratelli Buffa Vincenzo e Antonino; il Mannino si era allontanato e poco dopo erano venuti Pisciotta Francesco, Pisciotta Gaspare ed un giovane che gli altri chiamavano “Pinuzzo Sciortino”; riteneva che fosse tornato anche il Mannino, ma non poteva dirlo con assoluta certezza; ricordava che lo Sciortino, Pisciotta Gaspare e Pisciotta Francesco erano armati di mitra e ciascuno portava anche un piccolo tascapane, mentre non poteva dire se il Terranova e i due fratelli Buffa fossero armati, egli era inerme; h) che lo Sciortino, il quale gli parve funzionasse da capo, aveva ordinato la partenza per S. Giuseppe Jato e giunti ad una curva del tratto stradale Montelepre – Partinico, sita a cento metri dal bivio di Giardinello, avevano trovato ad attenderli un giovane a lui sconosciuto che custodiva un camioncino; Pisciotta Gaspare si era messo alla guida, lo Sciortino gli si era seduto accanto e gli altri avevano preso posto dentro ad eccezione del giovane sconosciuto, che era stato rimandato a Montelepre; arrivati alla periferia di S. Giuseppe Jato erano discesi: rimasto il Terranova a guardia dell’automezzo, essi avevano proseguito per l’abitato dove lo Sciortino, lasciandolo all’angolo di una via comunicante con il corso principale, gli aveva dato incarico di segnalare l’eventuale presenza di carabinieri e similmente aveva fatto con i fratelli Buffa; stando così di guardia aveva inteso poco dopo esplosioni di bombe a mano, raffiche di mitra e grida di persone provenienti dal Corso principale; quindi erano ripassati di corsa i tre banditi, sparando raffiche di mitra a scopo d’intimidazione e ad essi si erano accodati lui e i due Buffa; presa la via del ritorno, lo Sciortino era sceso alla periferia di S. Cipirrello, davanti al magazzino del consorzio, mentre essi, ricondotti in camioncino fino a Ponte Nocilla, avevano proseguito a piedi per Montelepre; Pisciotta Gaspare era rimasto sull’automezzo, Pisciotta Francesco si era accompagnato a loro fino alla periferia dell’abitato e, per via, li aveva informati, avvertendoli di non dire nulla ad alcuno sotto minaccia di gravi rappresaglie, dell’azione portata a compimento contro la sezione del Partito comunista a S. Giuseppe Jato.
[…]
Su tali particolari e su tali circostanze si avrà motivo di indugiare più avanti, ma è d’uopo ora notare quanto il Mazzola disse ai carabinieri in correlazione ai fatti di Portella della Ginestra, pur negando la propria partecipazione ai fatti stessi, egli dichiarò […]; c) che il giorno precedente a tale riunione, stando col gregge in contrada “Fontanazze”, aveva veduto Sciortino Pasquale e Cucinella Giuseppe seduti insieme su di una pietra nei pressi di un casale diroccato; lo Sciortino aveva seco un voluminoso fascio di carte e gli aveva detto che erano dei manifesti per la propaganda contro i comunisti; due giorni dopo Sciortino Pasquale e Badalamenti Giuseppe si erano presentati da lui a ritirare sei milioni di lire circa, che il Giuliano gli aveva dato in consegna con il consueto incarico di custodirli, dichiarando che occorrevano per acquisto di armi e per dare un premio ai nuovi arruolati nella banda […] (segue)
a cura di Giuseppe Casarrubea

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