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lunedì 27 febbraio 2017


Scissionisti a quota 50: bersaniani, dalemiani ed ex Sel: domani l'annuncio dei gruppi. Guerra capogruppo al senato


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BERSANI DALEMA
Ansa

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La frenesia del numero. Al momento pallottoliere in mano a Roberto Speranza segna “quota 50”, tra deputati e senatori. Così suddivisi: trentasette a Montecitorio, tredici a Palazzo Madama. In Transatlantico non si vedono scissionisti. Riunioni a oltranza, perché il D-day dell’annuncio è domani, quando con le firme nero su bianco, Roberto Speranza si presenterà in conferenza stampa. E annuncerà il nome dei nuovi gruppi.
Entro stasera dovrebbero arrivare i risultati dei sondaggi fatti su una serie di ipotesi. “Democratici e progressisti”, al netto delle rivelazioni degli sherpa, ha avuto scarso successo nei brain storming, perché sa di vecchio e poi la sigla sarebbe Dp, che evoca democrazia proletaria: “Ragazzi – ha detto Scotto in una riunione – anche per motivi scaramantici, eviterei”. “Democratici e socialisti”, (sigla Ds) “Socialisti e democratici”, alcune ipotesi dei bersaniani che si muovono su uno schema tradizionale. Massimo D’Alema ha suggerito “Uguaglianza e libertà”, per poi chiamare il nascituro soggetto “Movimento per l’uguaglianza e la libertà”, per non dare l’idea di un ennesimo partitino in tempo di antipolitica. Arturo Scotto, ex Sinistra Italiana, ha buttato lì una carta ad effetto: “E se chiamassimo questa cosa con un nome secco tipo ‘Dignità’ o tipo ‘Rispetto’, che dite? Senza mettere né la parola democratico, né socialista”. Una bestemmia. Appena arriveranno i sondaggi l’ultima scelta. Nel frattempo è arrivata una rilevazione di Piepoli. Dà il 7 per cento, con un diciotto potenziale. L’esperto di numeri Nico Stumpo ha avuto la stessa reazione di ieri sera al secondo goal della Juve col Porto: “Significa che il 10 è possibile. Per essere all’inizio è buono”.
Frenesia, perché occorre mettere un punto fisso. Al Senato la partita è chiusa. In tredici aderiranno, tutti bersaniani di stretta osservanza. Pare anche trovata la quadra sul capogruppo, anzi sulla capogruppo che sarà Cecilia Guerra, economista, grande cultura di governo, già sottosegretario e viceministro nei governi Monti e Letta. Alla Camera il processo è più complicato. 17 sono i parlamentari che seguiranno Arturo Scotto e Alfredo D’Attorre. I bersaniani, al momento, sono venti. Dopo Errani anche un altro uomo di governo, il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, ha annunciato che lascerà il Pd. Tra i parlamentari semplici, non c’è Andrea Giorgis, che ha spiegato in più di un colloquio, riferiscono i big della Ditta, la sua intenzione di tornare all’Università: "Ci sto pensando se lasciare o no il Pd" dice all'HuffPost. Tormentato anche il giovane Lattuca.
Parlamentare più, parlamentare meno, è il nucleo dei bersaniani rimasti. Che non si allarga e paga qualche travaglio singolo: “Chiudiamo a 20 -21, è quello che ci aspettavamo” sussurrano dalla sala riunioni. In parecchi hanno chiesto a Roberto Speranza di fare il capogruppo, perché la questione è delicata. Si tratta di amalgamare gli ex Pd che si immolerebbero sulla stabilità di governo e gli ex Sinistra Italiana, che finora non hanno votato la fiducia: “È un processo graduale – ha spiegato Arturo Scotto – in cui è prevedibile che in una prima fase non tutto il gruppo si comporti sulla fiducia allo stesso modo”. Altri però hanno chiesto a Roberto di non ingabbiarsi in Parlamento: “C’è da costruire il partito in giro per l’Italia, non puoi stare alla Camera”.
Il lìder maximo, Massimo D’Alema, ha suggerito di dare il senso della novità a partire dalla scelta dei capigruppo e di non dare rappresentanza solo alla Ditta. Il suggerimento porta a Francesco Laforgia, parlamentare milanese che si è sganciato dall’area Cuperlo in ottimi rapporti con “quelli di Pisapia”. Anche se il vero ponte con quel mondo è Ciccio Ferrara, che ieri entrando alla Camera ha abbracciato vistosamente Bersani.

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