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domenica 12 marzo 2017


Il Falconcini fu irrequieto fino alla fine dei suoi giorni di permanenza a capo della prefettura agrigentina. Aveva un conto in sospeso con Racalmuto; pensò di saldarlo nel gennaio del 1863. Limitiamoci al suo racconto. «I tre arresti veramente politici - ammette a pag. 90 - furono fatti nell’ultima settimana della mia autorità di prefetto; furono tre cospicui cittadini di Racalmuto, accusati di volere per amore de’ Borboni disturbare la tranquillità di tutta la provincia, facendo rinnovare in quel paese i vandalici fatti del di 6 settembre.   Io pensai lungamente prima di procedere a tale severa misura, ma ripetendosi e moltiplicandosi gli avvisi di prossimi moti borbonici in Racalmuto, e la voce pubblica chiedendo come indispensabile una misura preventiva, per salvarmi da enorme responsabilità mi dovei risolvere ad ordinare l’arresto di coloro che erano evidentemente supposti fautori di tali possibili disordini: arrestandoli però provvidi al loro convenevole custodimento, e la volontà di passarli al potere giudiciario annunziai subito al procuratore del re, il quale trovò subito la misura del loro arresto saviamente presa..»

Il Falconcini si premura anche di ragguagliare il ministro dell’interno: «Sin dal giorno 9 corrente [9 gennaio 1863] - vedasi documento riportato a pag. 128 della seconda parte del libro del Falconcini - circolavano strane voci di combinate trame in Racalmuto che dicevansi di colore borbonico. [...] [si aveva] la conoscenza di mantenersi quel paese ... sotto il dominio di un partito retrivo ed ostile ad ogni disposizione governativa. Una prova certissima poteva ritrarsi dal non essersi presentati di Racalmuto nessuno alla leva, perché quei giovani erano indotti a scegliere piuttosto l’emigrazione per Malta che presentarsi alle richieste del governo del re. Frattanto nel sabato 10 corrente accrescevasi molta consistenza a quelle voci di possibili disordini in Racalmuto. [In particolare] l’essere il giorno 12 anniversario della rivoluzione della rivoluzione in Sicilia. Riferivasi di nascoste bandiere borboniche e si designavano siccome principali autori del tutto alcuni cittadini i nomi dei quali erano già condannati dalla pubblica opinione, vorrei dire dell’intera provincia. Egli è per questo che lo scrivente credé doversi d’accordo col comando militare perché fosse tosto accresciuta d’altra compagnia la truppa colà stanziata e diede appositi ordini all’autorità locali per eseguire alcune perquisizioni tenute indispensabili ad assicurarsi del fatto e procedere a qualche arresto delle persone credute maggiormente influenti e dannose, colla sola idea di mostrare a Racalmuto che il governo non solo sorveglia e previene ma ha la forza di agire, ciò che vale assai più pei molti che stimavansi liberi di ogni vincolo e quasi padroni di operare a posta loro dopo cessato lo stato d’assedio.

 «Un singolare esempio della reale esistenza delle trame di quel partito si ha in questo, che per quanto fosse ordinato l’arresto all’impensata ed eseguito di notte, tre altri individui, dei quali appunto andavasi in traccia, fuggirono non appena ebbero il sospetto della loro ricerca, segno manifesto del non trovarsi essi scevri di cole. D’altra parte il processo ... porterà lume alla cosa.

«Frattanto può assicurarsi d’essersi disposto in modo che i tre arrestati avessero stanza il più possibilmente propria e fossero trattati con ispecial riguardo, non dovendo confondersi, con rei di delitti comuni chi può essere spinto anche a degli eccessi per fanatismo politico.

«Girgenti, 15 gennaio 1863. Il prefetto: Falconcini.»

Curiosa coda di perbenismo borghese: vadano pure in carcere i galantuomini, ma con i dovuti riguardi. Per il resto, altro che politica del sospetto! E Sciascia poteva davvero avere simpatia con un simile campione del sopruso di stato? Un sopraffattore vittima dell’ingiustizia di Silvio Spaventa [1] - ci dispiace dirlo - è una bubbola sciasciana. E i commenti al circolo? Ora blandi, ora astiosi a seconda di chi si trattava. Anche allora - come ancora nei nostri giorni - il “casino” vezzi massonici ed anticlericali ha costantemente avuto. Blandi si doveva essere verso influenti soci, anche borbonici; spietati, dissacranti, velenosissimi contro preti vecchi e nuovi, più o meno coinvolti nelle bufere politiche del momento.

In siffatti frangenti - e non nell’improbbile 1860 - dovette essere consumata quella agghiacciante fucilazione narrata da Sciascia: «Passarono i garibaldini da Regalpetra, misero un uomo contro il muro di una chiesa e lo fucilarono, un povero ladro di campagna fucilato contro il muro della chiesa di San Francesco; se ne ricordava il nonno di un mio amico, aveva otto anni quando i garibaldini passarono, i cavalli li avevano lasciati nella piazza del castello, il tempo di fucilare quell’uomo e via, l’ufficiale era biondo come un tedesco.» [2]

Falconcini non svela ora i nome di quei tre - tutto sommato - perseguitati politici. Sfogliando carte d’archivio successive, emergono echi di schedati eccellenti racalmutesi. Significativa la schedatura della pubblica sicurezza di Girgenti di don Vincenzo Grillo e don Giuseppe Matrona:

Grillo d. Vincenzo,

figlio del fu Girolamo, nato il .... 1823 nel Comune di Racalmuto, proprietario.-

Statura 1.60; corporatura giusta; capelli castani; fronte media; ciglia castani; occhi cilestri; naso regolare; bocca giusta; mento ovale; barba castana; faccia ovale; carnagione naturale.-

Luogo di abitazione: Racalmuto.-

Partito politico: Borbonico - clericale.-

Candanne: - ==

Cenni biografici: Capo partito borbonico-clericale. Nel 1863 in Girgenti ebbe sequestrata una corrispondenza in sensi borbonici proveniente da Malta.

Nelle evenienze è capace ed ha influenza bastante per sommuovere masse, ma non lo si crede atto a capitanarle

Matrona Giuseppe

del fu Pietro nato ... 1827 [rectius 1828] in Racalmuto, proprietario; m. 1,65, snello, nero ovale, abitante a Racalmuto.

Partito Borbonico - Non condannato.

Figura liberale e lo affetta onde farsi maggior credito, ma in fondo è stato sempre di principi borbonici, Uomo ambizioso e vendicativo: influente coi tristi e capacissimo nelle evenienze di sommuovere le masse e commettere disordini. Vuolsi che nel 1862, egli abbia spinte le turbe dei renitenti alla leva latitanti i quali, armata mano, turbavano l’ordine pubblico, bruciando l’Archivio Comunale e quello della Pretura.

[In altra scheda: Abbenché in apparenza conserva regolare condotta e mena vita ritirata, pur tuttavia dirige /Racalmuto 17 settembre 1869/ tutti gli intrighi che si ordiscono in Paese.]

 

Mons. De Gregorio rintraccia nell’Arcivio di Stato di Agrigento [ASA - Gabinetto Prefettura; non cita la busta che dovrebbe essere prossima al n.° 26] il sacerdote Calogero Lo Giudice di Giacomo, schedato tra i “preti borbonici”. [3]  Nel “liber” il sacerdote risulta al «n.° 426: D. Calogero Giudice, mansionario fidecommisso della chiesa Monte, organista; obiit 19 Junii 1886.» Nato attorno al 1824, non sembra di nobili natali. Nel censimento del 1822, il padre del sacerdore è ancora ‘schetto’ e fa parte del nucleo paterno come dalla seguente scheda:

1894
LO GIUDICE
NICOLO'
 
 
1895
LO GIUDICE
GIUSEPPA
MOGLIE
 
1896
LO GIUDICE
GIACOMO
F.O
anni: 24
1897
LO GIUDICE
GIUSEPPE
F.O
17
1898
LO GIUDICE
CALOGERO
F.O
9
1899
LO GIUDICE
CARMELO
F.O
7
1900
LO GIUDICE
GIOVANNA
F.A
5

 

 

*   *   *

 

Quanto ai Farauto, pare che nel gennaio del 1863 qualcuno di loro sia finito in gattabuia. Richiamiamo quello che abbiamo sopra riportato:

[...] il Comandante della truppa, che venne spedito in Racalmuto, per quella circostanza, fece eseguire l'arresto dei fratelli Matrona, come ritenuti complici nei fatti del Settembre 1862.- Ma chiarita presto la loro innocenza, vennero quasi subito lasciati liberi. In proseguo poi vennero arrestati taluni della famiglia Farrauto, e qualche aderente di quella, per lo stesso titolo pel quale furono arrestati i Matrona [...].

Allo stato delle nostre ricerche non sappiamo aggiungere altro: ma i ricchi archivi agrigentini - e forse quelli appena riesumati di Racalmuto - chissà quali sorprese si riserveranno. Siamo certi che quello che va dicendo - pag. 248-256 - Eugenio Napoleone Messana su questa congiuntura storica avrà una drastica rettifica: per onestà bisogna però ammettere che qui lo storico locale scrive pagine di notevole pregio documentario.

*   *   *

Il Falconcini ci ragguaglia fra l’altro sulla consistenza delle opere pie racalmutesi:

1.   Monte frumentario di Pantalone: opere di pietà - rendita lire 264 e 82 cent.;

2.   Eredità Spinola - spese generali di culto e maritaggio - rendita L. 562,32;

3.   Fidecomm. Busuito - L. 391,57;

4.   Cong. S. Anna - L. 1329,21;

5.   Comp. Agonizzanti - L. 650,76;

6.   Congreg. Purgatorio - L. 223,46;

7.   Congreg. S. Maria di Gesù - L. 669,78;

8.   Congreg. Monte - L. 599,52;

9.  Legato del canonico Franco - L. 727,64;

10.  Legato degli Orfani del Crocifisso - L. 127,50;

11. Eredità Signorino - L. 1.396,87;

12. Legato del Rev. Carini - messe - L. 127,50. 

*   *   *

L’agricoltura andava in quegli anni a fasi alterne: l’anno 1856, l’anno 1858, l’anno 1862 erano stati catastrofici stando alle statistiche desumibili dalla contabilità del Convento dei Minori Osservanti sotto titolo di Maria di Gesù di Racalmuto

Vino prodotto dalle vigne del Convento di Santa Maria
Misure in "botti" e "langelle"
anno
produz.
1824
5,00
1825
3,05
1826
4,07
1827
3,00
1828
3,01
1829
3,02
1830
3,03
1831
5,54
1832
3,28
1833
3,40
1834
4,00
1835
3,00
1836
4,00
1837
4,18
1838
3,08
1839
3,07
1840
5,00
1841
3,24
1842
4,14
1843
2,30
1844
2,08
1845
3,56
1846
5,30
1847
4,32
1848
6,00
1849
5,00
1850
3,56
1851
5,10
1852
4,32
1853
1,32
1854
3,24
1855
0,00
1856
2,32
1857
3,00
1858
3,00
1859
1,08
1860
3,00
1861
3
1862
1,08
1863
3
1864
2,40
1865
4,24
1866
2,00

 


 

Possiamo essere sicuri che da settembre a novembre l’argomento delle rese vinarie erano d’obbligo tra i galantuomini del circolo unione: discussioni animate, irate, con contumelie sino alle rotture personale, qualcosa di simili con quello che ora avviene con i contributi dell’AIMA.

Ma era la scena politica che si andava arroventando e gli echi giungevano alle sale del circolo con sempre maggiore animosità. Del resto le cose erano davvero diventate roventi.

Approdiamo a momenti storici racalmutesi con trasporto, trepidamente, con intenti alieni da ogni vezzo sindacatorio. Mi appassiona l'uomo racalmutese - che reputo una specie a sé; la cronaca recente e passata di questo luogo in cui sono nato, con le sue bizzarrie, la sua antierocità, il suo atteggiarsi sempre ironico e dissacrante. Le impurità presenti in ogni figura di racalmutese, anche in quella dei sommi, forniscono un quadro di affascinante umanità. 'Guai a quel popolo che ha bisogno di eroi', si ama dire: Racalmuto di eroi sembra non averne mai avuto bisogno, o non li ha voluti e, in ogni caso, sempre li ha derisi. Magari con rime anonime in vernacolo, come di moda negli anni presenti. O con lettere anonime. Ne ho trovate, infatti, persino negli Archivi Segreti del Vaticano. Con fallace firma di 'LUIGI TULUMELLO  fu Ignazio,’ [4] il 18 gennaio del 1875 un racalmutese, che mi sa essere insufflato dall'arciprete dell'epoca, importunava la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, per contrapporsi alle pretese espoliatrici della Famiglia MATRONA, quella appunto osannata da SCIASCIA. Negli ARCHIVI di STATO di Agrigento e Roma si rinvengono lettere infuocate del gesuita P. NALBONE contro gli stessi MATRONA, con dati di fatto che hanno sospinto una frangia della Commissione d'inchiesta parlamentare a venire a Racalmuto per sottoporre i vari Matrona, il cav. Lupo, Giuseppe Grillo Cavallaro, nonché l'avversario dottor Diego SCIBETTI-TROISE ad imbarazzanti interrogatori, aleggiando il sospetto di collisione con mafiosi di Bagheria. Buon per i Matrona che all'epoca il manto protettivo della massoneria valesse molto. Chissà perché, Sciascia ha voluto stendervi un velo, storicamente ingannevole, definendo persino 'anonimo' il libello del Nalbone, quando questi lo aveva  apertamente sottoscritto e rivendicato. Sarebbero false, invece, le firme di Antonio Licata, Pietro Farrauto, Antonino Falletta e Fantauzzo Calogero, che certamente non erano in grado di concepire e scrivere le velenosissime accuse contro il tesoriere comunale Giuseppe Nalbone, Diego Bartolotta, il fratello del consigliere Provinciale dott. Romano, la guardia Martorelli, un certo Carmelo Alba zio dell'assessore Busuito, l'inviso doganiere Francesco Orcel, un certo Tinebra Nicolò ...'mantenuto agli studi ' dal Comune ( e credo trattarsi appunto dello storico prediletto da Sciascia), Lumia Eugenio 'figlio naturale dell'assessore Salvatore Alfano cui si danno delle continue sovvenzioni senza far nulla', Paolo Baeri .  etc. Ma il libello, che viene recapitato il 25 maggio del 1896  a Sua E. CADRONGHI Commissario Civile in Palermo, ha di mira i TULUMELLO , e ciò la dice lunga sulla provenienza . Sono oggetto di accuse pesanti i 'consiglieri TULUMELLO LUIGI ed ARCANGELO'.  In una reiterata lettera anonima del 27 agosto 1896, il Ministro Commissario Civile per la Sicilia veniva informato che «l'epoca del terrore ha piantato le sue tende in Racalmuto! La pubblica amministrazione sorretta da un capo onorario del carcere di S. Vito, è in mano di una accozzaglia di malviventi! Così data a partito la giustizia, ha preso le forme piazzaiole, affidata ai Scimé, ai Sciascia, ai Conti e compagnia bella, avanzo di galera!» E purtroppo debbo continuare citando quest'altro ributtante passo: «Eccellenza. - Il sindaco Tulumello reduce dalle patrie galere, tutto può ciò che si vuole. Fattosi padrino di un bambino del marasciallo, se ci è fatto lama spezzata; con cui a mantenere le apparenze di un paese tranquillo e di ordine, si occultano reati col qui pro quo. Il vice pretore Alaimo informi. Così la mafia, vestita di carattere pubblico regna e governa. Pertanto, un Michele Scimé, braccio destro del Tulumello, poté essere assolto, sebbene colto in flagranza di abigeato di animali. Così i fratelli Bartolotta - della greppia - non vengono inquisiti di animali, mentre vennero nei loro armenti scovati animali rubati. Così Leonardo Sciascia disciplina l'elemento cattiva che, sotto le parvenze di circolo elettorale, (sic) dove un Tulumello è presidente, soffoca ogni libera manifestazione, come nell'ultima elezione. Così Alfonso Conte, dopo la villeggiatura fattasi col Sindaco, dalle carceri di Girgenti, Catania e Palermo, gode oggi di una pensione assegnatagli dal Tulumello, sì da fare il maestro didattico della malavita. Et similia.» Non la fa franca la potente famiglia dei BUSUITO e francamente mi sembra dello stesso stile delle denunce di MALGRADOTUTTO  la successiva filippica: «Eccellenza.- Racalmuto presenta lo squallore di un sistema indefinibile che solo ha riscontro nei paesi africani. Un'amministrazione dilapidata da pochi furfanti che mangiano a due canasci. Da sette anni che il paese è piombato in mano di gente volgare, inetti ed insipienti; non si è fatta un'opera pubblica, necessaria, richiesta dalla civiltà del paese. E più di tutto l'acqua potabile, mentre il paese è dissetato da acqua inquinata, siccome risulta da esame fatto eseguire dal Capitano della truppa qui, per ora, stanziato.» E giù botte contro il dott. Romano ispiratore di 'una spesa barocca'   per distruggere la 'buona ... acqua detta del Raffo'. E giù botte contro gli approfittatori del lascito Martini, il «pio testatore che lasciò mezzo milione per costituire un'ospedale. Intanto quelle rendite si diedero ad un piazzaiolo per amministrarle - anima del Sindaco - e tra cotto e fritto quelle somme sfumarono con una sola casa costruita, da potere servire per caserma dei carabinieri. Vi può essere più desolante situazione?»

Riconosco di avere sempre sospettato che Sciascia, in possesso di tale documento - per essere il noto ricercatore che tutti sappiamo, difficilmente poteva sfuggirgli -,  abbia voluto censurarlo. In ogni caso mi riesce incomprensibile il passo della sua  introduzione al testo del Tinebra là dove Sciascia annota: «mio nonno, ... fedelissimo elettore [di don Gasparino Matrona], volle anche lui, da capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra nella stessa contrada, edificandovi una casetta: ora è un secolo. »  Nicolò Petrotto - se porrà occhio a questo mio scritto - sicuramente saprà ancora una volta rintuzzarmi, facendo piena luce sull'intoccabile mito.

Certo, povero lui!, molto ancora dovrà stizzirsi. Sono sufficientemente documentato sulle topiche di Sciascia in materia di storia locale. Fa nascere fra Diego La Matina nel 1622, quando una vaga infarinatura di datazioni indizionarie gli avrebbe fatto leggere meglio il documento della Matrice di Racalmuto ove l'inequivocabile data del 15 marzo 1621 veniva confermata dalla dizione «4 Ind.» e cioè la quarta indizione che in quel quindicennio comportava il periodo dal primo settembre 1620 al 31 agosto 1621 (indizione anticipata, in  uso negli atti ecclesiastici dell'agrigentino).  Se «il padre Girolamo Matranga, relatore dell'atto di fede di cui Diego La Matina fu vittima, ... non seppe trarre brillanti considerazioni ... sui segni astrologici che avevano presieduto alla nascita   ... del  mostro» V. pag. 182 della Morte dell'Inquisitore) era perché il dotto cronista sapeva esattamente che la Matina era nato nel 1621 e che appunto nel 1658 era «dell'età di 37 anni».

Fra Diego La Matina, poi, non potè essere battezzato «nella Chiesa dell'Annunziata di Racalmuto» (v. op. cit. p. 180): questa chiesa era divenuta subalterna a S. Giuliano per tersche episcopali in favore di don Giuseppe del Carretto dal 27 gennaio 1608 (VI IND.) al 20 giugno 1621 (IV IND.)  Sciascia non riuscì a leggere, per sua stessa ammissione, il nome del padrino di Diego la Matina, ma «iac» sta per «Iacupo» il nostro Giacomo che era il nome dello Sferrazza, il racalmutese che  tenne a battesimo il futuro frate agostiniano. 

Noi gli imputiamo anche l'avere ignorato che la madre di Diego la Matina era una  RANDAZZO, racalmutese puro sangue nata il 24 gennaio 1600 e sposatasi con  Vincenzo la Matina il 7 ottobre 1618., che invece per parte del nonno proveniva da Pietraperzia. Vincenza Randazzo in La Matina , prima di Diego , ebbe GIUSEPPE che il 29 settembre 1651 andò a sposarsi a Canicattì con certa Anna SURRUSCA ed era di condizione sociale non spregevole venendoci tramandato con il titolo di 'mastro'. La madre di Diego fu religiosissima. Dopo la morte del figlio , quando era già vedova, si fece ‘terziaria francescana’. Muore a 65 anni  e il primo febbraio del 1666 viene sepolta in S. Maria di Giesu, dopo avere ricevuto quale 'soror tirtiaria S. Frincisci' i conforti religiosi da P. Bonaventura da  'Cannigatti'.

Nell'anno 1620 - precedente a quello di nascita di Fra Diego - era invece nato Don  Federico La Matina figlio di  Francesco di Giacomo e di Caterina La Matina, un ceppo autenticamente racalmutese, contraddistinto con il nomignolo di “Calello” e divenuto offi un nucleo di ottimati che frequentano assiduamente le sale del circolo, anche se talora con intolleranza filosciasciana. Don Federico La Matina  fu un 'confessore 'adprobatus' molto attivo e molto stimato in Racalmuto e la sua figura - alquanto bistrattata da Sciascia a pag. 197 op. cit. - va  riabilitata.

Sciascia ebbe ad equivocare maldestramente tra l'atto di battesimo di Marc'Antonio Alaimo e quello di Marc'Antonio Missina. Anzi, confuse la registrazione di quest'ultimo con l’atto di battesimo del futuro medico, con una annotazione ancora oggi rinvenibile tra i registri  della Matrice di Racalmuto. Giuseppe TROISI, all'epoca solerte fotografo al seguito di Sciascia  intento a comporre una versione  corredata da fotografie della MORTE DELL'INQUISITORE che purtroppo non fu mai pubblicata da LATERZA,  ne trasse persino una interessante fotografia. E qui mi duole aggiungere che la stima che SCIASCIA riversò, in un articolo  pubblicato da MALGRADOTUTTO, su MARC'ANTONIO ALAYMO era mal riposta.  Quando e se avrò modo di pubblicare la traduzione del suo DIADEKTIKN, verrà fuori un medico fattucchiere, superstizioso e bigotto. Il capitolo 'DE MUMIA' dovette essere orripilante anche nel Seicento.

Se Sciascia lo avesse appena scorso, lo avrebbe senza dubbio fustigato.

A questo punto, il mio acre censore Nicolò Petrotto avrà tanta ragione per insolentirmi. Bazzecole? Pedanterie?  Grette minchionerie?

Senza dubbio. Ma è appunto per questo che mi sono diverto a parlar male del nostro locale Garibaldi, proprio in casa di MALGRADOTUTTO, a dire il vero ho tentato mail nostro faziosissimo giornaletto locale mi ha impudentemente censurato.

Ma questo Nicolò Petrotto chi è? Se è uno dei due Petrotto Nicolò (figlio di  Calogero uno, di Carmelo l'altro) che mi ritrovo in un liso foglio a matita alle prese con le 'giubbe' , i 'cinturoni' ed il 'moschetto'  nelle contestate colonie dei 'balilla' racalmutesi, potrebbe pure informarmi su quelle vicende che pur contraddistinguono un locale costume dell'Era Fascista.

Non sono di antico lignaggio racalmutese i PETROTTO e quindi non amano forse questo suonare la 'corda pazza' della Terra del Sale.  Questa famiglia  appare nei registri della Matrice solo sul finire del 1600: in un censimento databile 1664 abbiamo solo un ceppo affine che si fa chiamare GULPI PITROTTO .  Di un Nicolao Gulpi Pitrotto abbiamo traccia negli atti di morte del l'11/10/1648 ed il primo di maggio del 1656 viene sepolta a S. Giuliano Filippa Gulpi Pitrotto figlia di Francesco e Giovanna Gulpi Pitrotto.  Un Gulpi Pitrotto lo troviamo addirittura quale teste nel matrimonio tra Chiazza Giovanni e Zimbili Diega, celebratosi il 9/5/1618.

Incomprensibilmente, a partire dal novembre del 1664 (cfr. atto di morte di Santo Pitrotto di Francesco e di Giovanna di anni 20 del 16/11/1664) quello ed altri ceppi semplificano il cognome nel solo PITROTTO e da allora quella famiglia ebbe a svilupparsi considerevolmente e - sia chiaro - onorevolmente nella Terra di Racalmuto.

 

Solo che chi scrive, alla stregua degli Sciascia (che i preti a suo tempo registravano XAXA), può vantare presenze racalmutesi fin dai primi registri della matrice di Racalmuto che risalgono, a seconda delle letture, al 1554 o al 1564.  Per converso, se Nicolò Petrotto fosse per linea materna anche un PALERMO, ebbene allora ci surclasserebbe quanto a sangue locale parlando le cronache di tal SADIA di PALERMO «lu quali habitava in lu casali di Raxalmuto» nel 1474. E siamo dunque a cinque secoli fa.

Questa "querelle" tra me ed il PETROTTO è allora tipicamente racalmutese. Chi non è di questa terra non può apprezzare la saggia follia di questi sarcastici scontri. Ma ritorniamo agli scontro della fine dell’Ottocento.

«Si informa  - scriveva da Racalmuto il 22 giugno 1873 l'Ufficiale di P.S. in missione Luigi MACALUSO - che in un giorno degli ultimi di maggio  p.p.   i fratelli Gerlando e Calogero Damiani e Stanislao D'Amico da Girgenti,  nelle ore del mattino vennero in questa, ove si  riunirono a certo Gueli Bongiorno Raimondo da Grotte, qui residente qual socio appaltatore dei Dazi Consumo e poscia nelle ore pomeridiane dell'istesso giorno, insieme al detto Gueli, si recarono a Grotte, ove si riunirono ai nominati Ferrara Giuseppe di Ludovico da Sciacca, di anni 29, domiciliato  in Grotte, civile, ed INGRAO  Francesco di Giuseppe di anni 30 Civile da Grotte, i quali tutti insieme andarono a desinare nell'osteria di Sciascia  Pietro, ove bevereno e parlarono fra di loro , ignorando i discorsi tenuti, perché a soli. I cennati INGRAO, GUELI, FERRARA sono ritenuti dalla voce pubblica appartenenti al Partito Repubblicano e gli stessi furono imputati e sottoposti a mandati di cattura  per la rivolta politica avvenuta in Grotte, nel febbraio 1868, e poscia liberati per manco di prove, ma al presente tengono una condotta tanto riservata da non farsi colpire  dai rigori della legge e da qualunque possibile  vigilanza.»

 

E a Racalmuto? «In Racalmuto questo partito [repubblicano] non ha alcuno aderente anzi dalla classe pensante è beffeggiato».

 

«Maestà, siamo alle Grotte» - citiamo da Rerversibilità di Sciascia - «Nelle grotte ci stanno i lupi: tiriamo avanti - disse all'ufficiale di scorta». A Grotte invece ci sono stati valenti uomini che hanno sofferto il carcere per le loro idee. E a Racalmuto? Certo, vi prosperano la letteratura e le sardoniche rime in vernacolo.

 

Nelle sale del circolo tutte quelle “mene” ottocentesche - si può essere certi - venivano scandite al tocco delle solatie ore pomeridiane o al rintocco di quelle melanconiche dell’occaso e della tarda sera.  Una rissa mia, paesana, acidula con il mio amico prof. Petrotto l’ho voluta qui intrufolare per dare il ritmo, se non il racconto, delle analoghe beghe dell’Ottocento dei galantuomini nostrani.

 



[1] ) Giovanni Spadolini tesse uno sperticato elogio di questo napoletano, esponente della Destra, nel libro su Gli Uomini che fecero l’Italia - L’Ottocento -  Longanesi  1972 . pag. 174 e ss.
[2] ) Leonardo Sciascia - Le parrocchie di Regalpetra - Bari 1982, pag. 24
[3]) Mons. Domenico De Gregorio, Ottocento ..., op. cit. pag. 52.
[4] ) Invero un don Luigi Tulumello di un otaio defunto, don Gaspare, era pu vivente a Racalmuto; ma non crediamo che avesse cultura ed interesse alle questioni di diritto canonico, a meno che non scrivesse d’ordine e per conto di chissà chi. In matrice abbiamo rivenuto quest’atto di matrimonio:
 
1825
11/6/1825
TULUMELLO Dn LUIGI FU Nr D. IGNAZIO
MATTINA D. ROSALIA
TULUMELLO D. ROSA DEL BARONE D. LUIGI E
GRILLO D. MARIA
 

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