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venerdì 12 maggio 2017

  La questione bancaria italiana è faccenda di tale gravità che non può ridursi ad uno scambio di battute quasi erotiche da cortile di paese. L'Italia priva di grandi capitali arraffati nei secoli con un feroce ed espoliativo colonialismo vive questo epocale passaggio da unì economia sostanzialmente reale a qiella monetaria e creditizia con ineludiìbili sussulti e smarrimenti. Entrati in Europa è l'euro quello che conta, il resto sono reminiscenze di una lontana rivoluzione industriale. Si capovolge tutta una teorica ecomicistica ottocentesca. Il tessuto sociale è ben altro: non più classe operaia e neppure movimento contadino. Ricordiamoci che il miracolo economico e l'oscar della lira furono i miracoli di un governatore geniale quale Carli a capo di una banca che da privatistica azionaria di cui lo Stato si 'avvaleva' divenne apice dell'intera politica monetaria e creditizia dello Repubblica Italiana: divenne superna entità di rilevanza costituzionale, sia pure di una inaccettabile costituzione materiale. Solo così l'Italietta contadina (quasi il 60% della polazione attiva dedita all'agricoltura in quello sfascio economico lasciatoci dal fascismo) divenne è e migliorerà quale settima potenza economica del mondo. Dopo Carli lo sfacelo. Governatori inani o vacui oppure astrusi teorici libreschi. Dissennata consegna alla mitteleuropea CE, forte di una pauperizzante angustia liberistica. Il ritorno al mito dei conti a posto; mai una cifra in rosso ha potuto far fallire una nazione in crescita civile. Il disvelamento del De Bortoli ha il sapore di una puerile evasione da una travolgente palingenesi. Calogero Taverna

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