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sabato 2 dicembre 2017

Crac Banca Etruria, ora Visco va in contropiede: «Nessun segreto sulle carte»

I rinvii del leader dem sulle venete che costarono la liquidazione. Sembra molto probabile che il governatore permetta al capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, di fornire tutti i documenti rilevanti su quel caso

Ignazio Visco (Ansa) Ignazio Visco (Ansa)
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L’ultimo dei desideri di qualunque banca centrale indipendente dalla politica è quello di decidere una campagna elettorale. Né a favore, né contro nessuno. Né con le azioni, né con le dichiarazioni. Si spiega probabilmente così il silenzio della Banca d’Italia al di fuori della commissione parlamentare d’inchiesta, mentre su di essa continuano gli attacchi. Questo non significa che, dentro la commissione parlamentare, la Banca d’Italia non punti a fare chiarezza su ciò che è davvero successo attorno al crac di Banca Etruria. Sembra molto probabile che il governatore Ignazio Visco permetta al capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, di fornire tutti i documenti rilevanti su quel caso. Anche quelli finora coperti per legge da varie forme di segreto. L’audizione è attesa per il 12 dicembre e del resto quel che ne emerge è già noto: il commissariamento di Etruria, deciso nel corso di un’ispezione fra fine 2014 e inizio 2015, è semplicemente il risultato dello stato della banca. Il patrimonio era molto sotto ai minimi di legge, i crediti in default quasi metà del portafoglio prestiti. Permettere a un’azienda del genere di continuare a operare con gli amministratori che l’avevano portata a quel punto sarebbe stata, quella sì, un’omissione.
«Ricapitalizzazioni precauzionali»
Diversa è invece la vicenda della Popolare di Vicenza, l’istituto che nel 2014 aveva tentato un’offerta (respinta) per comprare Etruria. Su quell’istituto, lo stesso Barbagallo ha riconosciuto in commissione parlamentare che la Banca d’Italia ha messo a fuoco vari problemi in ritardo. Ma i rinvii che ne hanno segnato il destino molto probabilmente non si devono alla vigilanza. È infatti l’inizio dell’estate del 2016 quando a Bruxelles matura una svolta che mesi prima sembrava impossibile: la Commissione Ue ammorbidisce il suo approccio. Fino ad allora, l’unica risposta prevista era stata la cosiddetta «risoluzione». Equivaleva a pilotare il fallimento di una banca in dissesto che riceve un sostegno pubblico, con sforbiciata sulle obbligazioni ordinarie (non solo su quelle subordinate) e, se necessario, anche sui depositi sopra i 100 mila euro. Poi però l’impatto della risoluzione di Banca Etruria, Marche, Carife e CariChieti induce un ripensamento anche a Bruxelles. La Commissione apre alle «ricapitalizzazioni precauzionali», come quella che sarebbe stata applicata in dicembre 2016 al Monte dei Paschi dal governo di Paolo Gentiloni: i bond subordinati vengono convertiti in azioni, senza «risoluzione». Ma in quell’estate 2016 fra gli istituti dei quali si valuta lo stesso approccio ci sono anche Popolare Vicenza e Veneto Banca. Bruxelles apre a una «ricapitalizzazione precauzionale» anche per loro. La strada, in quel momento, è aperta.

Le sottovalutazioni dei governi
Non verrà mai percorsa. Il governo di Matteo Renzi, concentrato sul referendum costituzionale che poi avrebbe perso, non vuole più impegnarsi sulle banche dopo il caso Etruria. Nessuno allora capisce che quella scelta, un anno più tardi, sarebbe costata la liquidazione coatta amministrativa di Vicenza e Veneto. A metà del 2016 il fallimento era ancora evitabile, ma il governo prese tempo. A metà del 2017 non lo è più, perché intanto i due istituti veneti avevano perso un terzo dei proventi, molti depositi e patrimonio al punto da rendere la «precauzionale» impossibile: serviva prima un aumento di capitale sul mercato, che nessuno era disposto a coprire. Per una strana inversione logica, oggi nessuno di questi argomenti sfiora la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. L’Italia in realtà non è il solo Paese dove un esercizio simile si sia svolto dopo la Grande recessione. Lo hanno affrontato il parlamento di Londra e il Congresso di Washington. In questi giorni si prepara a lanciare una commissione sulle banche anche il parlamento australiano. Ma in nessuno di questi esempi gli errori dei banchieri, responsabili primi dei dissesti, e le sottovalutazioni dei governi, responsabili delle regole e delle scelte sui salvataggi, sono rimasti sullo sfondo come in Italia. In nessuna democrazia un partito di maggioranza ha mai cercato di trasformare un’inchiesta sul credito in una caccia grossa alle istituzioni indipendenti di un Paese

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