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martedì 26 giugno 2018

TERSILIO LEGGIO Incastellamento e viabilità nel Cicolano tra X e XII secolo 

1. Le premesse storiografiche Nella lunga storia del Cicolano uno dei periodi più oscuri è senza dubbio costituito dalle trasformazione delle forme insediative avvenute intorno al X-XII secolo, fenomeno noto come «incastellamento». 

L’incastellamento costituisce un tema centrale nello studio dell’Italia medievale sia per gli storici, che per gli archeologi o per i geografi. 

Poco meno di quarant’anni fa Pierre Toubert scrisse l’ormai classico saggio sulle strutture del Lazio medievale, che ebbe un effetto, direi, dirompente sulla storiografia mondiale 

[1. La teoria del Toubert è stata molto criticata per questa sua insistenza sul ruolo dei castelli, senza prender atto della più complessa dinamica dell’insediamento rurale. Peraltro sono stati numerosi e penetranti i contributi che hanno messo in luce la complessità delle cause e delle loro interferenze alle origini del fenomeno, abbandonando l’idea di poterlo descrivere come accadimento omogeneo a livello europeo 

[2. Per chiudere, sia pur semplificando, sono state molte le strade che hanno condotto al castello, spesso tortuose, mentre in altri casi le forme di insediamento meno accentrate – i villaggi – hanno continuato nella loro vita senza perturbazioni particolarmente accentuate, così come le strutture religiose, che in molti casi hanno mostrato notevoli resistenze alle pressioni del potere signorile di porle sotto controllo. 

2. 

Tra villaggi, torri e castelli 

La dinamica delle forme insediative nell’area dell’Appennino centro-occidentale è stata influenzata sia dalle grandi abbazie benedettine, come Farfa e S. Salvatore Maggiore, sia dai signori laici, in particolare i conti di Rieti e le consorterie originate dalle élites longobardo-franche, mentre tanto i vescovi di Rieti, quanto quelli delle altre diocesi dell’area prive di civitates 3, hanno giocato in questa fase un ruolo del tutto marginale. Tra X e XI secolo, stimolato dalla crisi che comportarono le incursioni dei saraceni si ebbe un radicale mutamento delle forme insediative con l’aggiungersi di rocche di fondazione signorile, fondate principalmente con scopi di controllo dello spazio e degli uomini, alle forme aperte – villaggi – già presenti sul territorio almeno a partire dal IX secolo 4, anche se è molto 1 

P. TOUBERT, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe à la fin du XIIe siècle, Rome 1973. 2 Si veda una riflessione in R. FRANCOVICH, M. GINATEMPO, Introduzione, in Castelli. Storia e archeologia del potere nella Toscana medievale, I, Firenze 2000, pp. 7-24. 3 T. LEGGIO, Ad fines Regni. Amatrice, la Montagna e le alte valli del Velino, del Tronto e dell’Aterno dal X al XIII secolo, L’Aquila 2011, pp. 122-123. 4 T. LEGGIO, Forme di insediamento in Sabina e nel Reatino nel medioevo. 

Alcune considerazioni, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il med 20 difficile puntualizzarne i contorni al di là della nebulosa definizione lessicale, legate in larga misura al fitto reticolo di pievi articolate sul territorio, che nel Cicolano, e non solo, non hanno costituito in generale grandi poli di aggregazione della popolazione, ma hanno fatto riferimento a più nuclei dove erano attestate cappelle dipendenti. 

In queste aree più interne e montuose la coesistenza delle varie forme insediative fu ancora più marcata che in Sabina, in particolare là dove la maglia degli insediamenti doveva essere necessariamente più rada e le dimensioni più ridotte per le meno favorevoli condizioni ambientali, e perciò stesso i villaggi ebbero un ruolo più determinante e duraturo nell’occupazione del suolo e nel dissodamento di nuove terre, pur visti nella loro evoluzione cronologica, come hanno dimostrato le indagini archeologiche effettuate al castello di Rascino, evidenziando due nuclei insediativi aperti al di sotto del castello e nei pressi della chiesa di S. Maria. 

Trasformazione indotta dal sommarsi di molti fattori, tra i quali uno dei principali fu il collasso del potere centrale, che si frammentò in piccoli segmenti locali, che esercitarono in modo progressivo il loro dominio opprimente sul territorio, sovrapponendosi a quello delle grandi abbazie benedettine, entrate in crisi in questa fase storica, che avevano in larga misura svolto fino ad allora anche la funzione di cura Fig. 1 - 

Poggio Poponesco 21 d’anime 5, soltanto in parte sostituito da quello delle strutture di inquadramento religioso di matrice diocesana 6. 

3. L’incastellamento 

Le prime fasi dell’incastellamento nel Cicolano sono scarsamente attestate per un vuoto documentario, ma dagli inizi del XII secolo la maglia castrale dispiegata è già ben conosciuta, con la presenza dominante dei signori laici, come il lignaggio dei conti di Rieti ed alcune consorterie locali, mentre un ruolo molto più marginale lo ebbero sia i monasteri benedettini presenti, sia i vescovi di Rieti. 

Il quadro politico lo fu quasi totalmente alterato poco prima della metà del XII secolo dallo stanziamento normanno, che fece perno sull’appoggio locale dei vari rami nei quali si era frammentato il lignaggio dei conti di Rieti, con il paesaggio che si cristallizzò in 

f 22 23 TIZIANO GIOVANNELLI Gualdus S. Angeli in flumine 1 (RF II, d. 48 = Chron. I, 153)


 La prima attestazione che confermi la presenza di un gualdo 2 nel territorio cicolano è riferibile al 761, anno in cui il duca di Spoleto Gisulfo decide di cedere […] medietatem de gualdo nostro qui est positus in finibus cicolanis, et dicitur ipse gualdus ad sanctum angelum in flumine all’abbazia di Farfa. 


Nello stesso documento farfense si aggiunge che nel territorio di pertinenza del gualdo è presente una chiesa (quae ibi est), dedicata ancora a sant’Angelo: Gisulfo decide di donare dunque, la metà del possedimento ducale cum ipsa ecclesia e si aggiunge, in riferimento allo stesso fondo e alla chiesa, cum omnibus adiacentiis et pertinentiis suis in integrum. 

La zona interessata è stata rintracciata nei pressi della frazione di Fiumata, nel territorio dell’attuale comune di Petrella Salto. 

La presenza di un gualdo presuppone una determinata morfologia del territorio, in quanto esso sta ad indicare un fondo destinato prevalentemente a sfruttamento silvo-pastorale 3. 

A giustificare tale tesi ci soccorre lo stesso documento (ma più in generale l’organizzazione globale dell’intero Cicolano per quel che concerne lo sfruttamento del territorio 4): vi è citato un archiporcarius, Lupo, un responsabile locale, evidentemente legato all’allevamento dei maiali, lasciati spesso al pascolo semiselvaggio nei boschi 5.

 A rafforzare 1 Su S. Angelo in flumine: E. MIGLIARIO Uomini, terre e strade. Aspetti dell’Italia centroappenninica fra antichità e alto medioevo, Bari 1995 pp. 34-38, d’ora in poi MIGLIARIO 1995; A.R. STAFFA L’assetto territoriale della Valle del Salto fra la tarda antichità ed il medioevo, in “Xenia”, 13 (1987), pp. 58-59, d’ora in poi STAFFA 1987. Si veda anche S.P. BRUNTERC’H, Les circonscriptions du Duche de Spolete du VIIIe au XIIe siecle, in Atti del 9° congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 27 settenbre-2 ottobre 1982, Spoleto 1983, pp 207-230; in particolare la pag. 221. 

Per le carte di Farfa si seguano le convenzionali abbreviazioni: Liber gemniagraphus sive cleronomialis Ecclesiae Pharphensis, più noto come Regesto, disponibile nell’edizione a cura di I. GIORGI e U. BALZANI, Il Regesto di Farfa compilato da Gregorio di Catino, Roma 1872-92 (voll. II, III, IV, V) e 1914 (vol. I), d’ora in poi RF; Il Chronicon Farfense nell’edizione a cura di U. BALZANI, Roma 1903, d’ora in poi Chron.; Liber Largitorius vel Notarius Monasterii Pharphensis, edito da G. ZUCCHETTI nella serie Regesta Chartarum Italicarum, Roma 1913, d’ora in poi LL; il Liber Floriger, edito da M.T. Maggi Bei, Roma 1984, d’ora in poi LF. 2 

Si noti bene che il gualdo di S. Angelo in flumine non è l’unico nel Cicolano menzionato dalle carte di Farfa. Non si è infatti finora notato che in RF II, d. 251 (= Chron. I, 185), documento dell’821 è riportata la menzione (ma solo la menzione) di un gualdus Patianus in massa eciculana altrimenti sconosciuto. 3 

Sulla diffusione dei gualdi nel territorio reatino, in particolare nell’area sabino-tiberina, si veda E. MIGLIARIO, Strutture della proprietà agraria in Sabina dall’età imperiale all’alto medioevo, Firenze 1988, d’ora in poi MIGLIARIO particolare le pp. 42-43, sul gualdo di san Giacinto nei pressi di Farfa. 4 Si veda D. ROSE, Quadro produttivo e forme di insediamento nell’Alta Valle del Salto (Cicolano), in Rivista di Topografia Antica (JAT= Journal of Ancient Topography), XII (2002), pp. 169-196. 5 Non è questa l’unica attestazione di una carica riferibile alle attività di pascolo nel Cicolano: nel 786 il clericus Hildericus, tra le tante donazioni fatte all’abbazia di Farfa, offre anche in aeciculi casam Gra- 24 questa tesi, nel documento si afferma che la restante metà del gualdo è occupata da un grande bosco di castagni qui dicitur Sessiale 6 ugualmente concesso all’abate di Farfa.

 Dunque il gualdo di Sant’Angelo si presenta come un grande fondo ducale dominato dalla presenza di boschi di castagno (e forse di querce) all’interno dei quali è verosimile che vi fossero lasciati al pascolo semi-selvatico quegli stessi maiali che presuppongono la presenza di una precisa gerarchia di porcarii e archiporcarii, altrimenti non giustificabile. 

La formazione artificiale dell’invaso del Salto nel 1940, rende oggi impossibile la ricognizione e l’indagine archeologica circa il sito del gualdo di Sant’Angelo e della stessa chiesa. Le acque dell’attuale lago hanno sommerso, infatti, il centro medievale che non è più ispezionabile: il paese moderno di Fiumata altro non è che la ricostruzione del vecchio centro più a monte 7 e la stessa chiesa è stata ricostruita in un sito diverso, ma ha mantenuto la stessa dedicazione. La chiesa di sant’Angelo dunque, dovrebbe essere stata costruita a fondo valle, centro amministrativo e religioso insieme della piccola comunità locale. 

È assai probabile che la sua fondazione sia di molto anteriore alla prima menzione del 761. La dedicazione a San Michele Arcangelo porta immediatamente a ipotizzare una sua edificazione avvenuta nella prima fase di penetrazione longobarda: il legame strettissimo tra le alte gerarchie longobarde e il culto dell’Arcangelo è stato ampiamente accertato 8. 

L’esistenza di epigrafi romane 9 nei pressi della vecchia chiesa sommersa ha fatto pensare che il sito possa essere stato occupato fin da età romana 10 e che la chiesa possa essere molto antica. In questo caso la dedicazione all’Arcangelo avvenuta in età longobarda, potrebbe averne sostituita una precedente. 

Secondo lo Staffa la chiesa sarebbe poi stata incendiata e distrutta a gente Sarracenorum e poi restaurata nel 923 11.

 tiosuli pecorarij cum pecoribus capita cc (RF II d. 143); nell’813, tra le donazioni fatte da Elina, ancilla Dei, si riportano anche tre opiliones, Teudemundus, Traso e Alemundus, tutti residenti a Cliviano con le loro famiglie (RF II d. 201). 

Per l’organizzazione territoriale e per quella amministrativa del ducato di Spoleto, e sul ruolo dell’archiporcarius e del porcarius si veda S. GASPARRI, Il ducato longobardo di Spoleto. Istituzioni, poteri, gruppi dominanti, in Atti del 9° congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 27 settenbre-2 ottobre 1982, Spoleto 1983, pp. 72-122. 6 

Lo stesso castagneto è riportato anche in LF, p. 308, n. 610, ma non si aggiunge nulla in più rispetto a RF II, d. 48. 7 Nei mesi estivi, in cui il livello delle acque del lago scende sensibilmente, è ancora possibile osservare il campanile e gli edifici più alti del vecchio paese. 8 

Tra la sconfinata bibliografia: A. PETRUCCI, Origine e diffusione del culto di san Michele nell’Italia medievale, in Millénaire monastique du Mont Saint-Michel, III, Parigi 1971; S. GASPARRI, La cultura tradizionale dei Longobardi. Struttura tribale e resistenze pagane, Spoleto 1983, pp. 155-161; utilissimo al nostro discorso è un recente contributo di Tersilio Leggio che analizza il culto dell’Arcangelo nel reatino nell’età medioevale: T. LEGGIO, Il culto per san Michele nella Sabina longobarda durante il medioevo, in delle Acque. 

La chiesa di San Michele Arcangelo al borgo di Rieti, Terni 2003, pp. 11-46 (d’ora in poi LEGGIO 2003). Per le prime testimonianze di culto in Sabina e per il gualdo di Sant’Angelo in flumine in particolare si vedano le pp. 15-18. 

Per la diffusione del culto dell’Arcangelo in Abruzzo è ora disponibile: G. MARUCCI, L’Arcangelo (Antropologia e Storia 4), Roma 2003. 9 CIL IX 4142, perduta. 10 STAFFA 1987, pp. 58-59. 11 LL I, doc. 314; STAFFA 1987, pp. 58-59. La notizia sembra però, poco attendibile. Nel documento non si fa mai esplicita menzione né del luogo di edificazione e né della dedicazione della chiesa in questio- 25 


Il sito, comunque, risulta geograficamente posto in un punto di passaggio importante per tutta l’area: assolutamente centrale rimane infatti il ruolo del fiume Salto non solo per l’età romana, ma per tutto il medioevo 12. 

Numerosi studi compiuti nel tentativo di delineare esaustivamente la rete di strade già d’età romana per il Cicolano hanno accertato con una buona precisione la presenza di un asse viario di notevole importanza per la zona: è molto probabile che sulla sponda destra del fiume Salto sia rintracciabile una antica strada che, anch’essa sommersa dal lago, un tempo ne seguiva il corso, passando ovviamente per il centro del gualdo 13, giungendo più a sud fino a Nersae, centro principale di età romana della Res Publica Equicolanorum. 

La stessa strada correva parallelamente ad un secondo asse viario che dal sito di Cliternia giungeva presso la Cella di San Benedetto e da lì deviava per raggiungere la via Salaria più a nord: le due vie erano sicuramente tra loro collegate da diverticoli minori. Queste brevi osservazioni (effettuate sulla base dei pochi documenti in nostro possesso e, purtroppo, non supportate da eventuali indagini archeologiche rese impossibili dalla presenza delle acque del lago) consentono comunque di capire quanto il gualdo di Sant’Angelo sia centrale nell’assetto almeno altomedievale della Valle del fiume Salto, e dal punto di vista religioso e da quello economico. 

A supporto di questa tesi vi sono le attenzioni che il sito ha avuto dai longobardi prima e dai farfensi poi, senza dimenticare la quasi certa frequentazione della zona già in età romana.

 La presenza dell’acqua, quella poi di un centro religioso di riferimento per le locali comunità donato a Farfa cum omnibus adiacentiis et pertinentiis suis, l’attestazione di boschi di castagni e non da ultimo la presenza di una precisa gerarchia di pastori-allevatori fanno del gualdo di Sant’Angelo in flumine un nucleo insediativo di riferimento sia per la cura animarum che per l’organizzazione economicorurale di tutta la zona. 

Il culto per l’Arcangelo nel Cicolano porta poi ad una importante osservazione: oltre al sito di Fiumata, ancora due sono le attestazioni di centri religiosi al santo dedicati, tutti di straordinaria importanza per la zona, non solo dal punto di vista religioso ma economico e sociale insieme: 

parliamo di Sant’Angelo in vatica 14 presso Civitella di Pescorocchiano presso cui sono state intraprese importanti campagne di scavo che hanno attestato l’esistenza di un santuario pagano preesistente alla chiesa medievale e Sant’Angelo in cacumine. 


Staffa lo associa alla chiesa di sant’Angelo in flumine, in base alla sola indicazione di una ecclesia sancti Angeli in gualdo presente nell’indice del Liber Largitorius. Mi sembra difficile l’identificazione, anche perché la chiesa di sant’Angelo nel Cicolano è sempre detta in flumine nei documenti farfensi e mai in gualdo. 12 

Vedi D. ROSE, Quadro produttivo e forme di insediamento nell’Alta Valle del Salto, cit., p. 179, per le attività connesse con il fiume. 13 MIGLIARIO 1995, pp. 77-78 e tavola 10. 14 Per Sant’Angelo in vatica si veda: GROSSI G., Insediamenti italici nel Cicolano: territorio della “res publica Aequicolanorum”, L’Aquila 1984, pp. 55-63; FILIPPI G., 

Recenti acquisizioni su abitati e luoghi di culto nell’Ager Aequicolanus, in “Archeologia laziale” VI, 1984, pp. 171-172; A.R STAFFA, Strutture di età romana in opera poligonale a S. Angelo di Civitella (Pescorocchiano), in “il Territorio”, III (1986), pp. 265-273; 

G. ALVINO, Santuari, culti e paesaggio in un’area italica: il Cicolano, in Archeologia Laziale XIV, Quattordicesimo incontro di studio del Comitato per L’Archeologia Laziale (Quaderni di Archeologia Etrusco - Italica, 24, Roma 1996, pp. 477-483 (con in appendice J. DE GROSSI MAZZORIN, 

Indizi di pratiche cultuali nel santuario di Pescorocchiano attraverso l’analisi dei resti faunistici, pp. 484-486). 26 ne montis 15 sul monte Aquilente sopra Fiamignano anch’esso sorto su un santuario pagano preesistente. 

Il primo sorge nei pressi di Nersae, come già detto, centro amministrativo principale della zona già in età romana;

 il secondo presso un passo montuoso naturale frequentato dalle mandrie in movimento durante la transumanza. 

Senza entrare nello specifico dei due siti, si è voluto citarli per notare come la dedicazione all’Arcangelo nel Cicolano denoti sempre luoghi che abbiano avuto per la comunità un’importanza centrale nell’organizzazione cultuale-religiosa ed economico-aggregativa insieme. 15 

Per Sant’Angelo in cacumine montis si veda: FILIPPI G., Recenti acquisizioni su abitati e luoghi di culto nell’Ager Aequicolanus, cit., pp. 174-175; 

A. MORANDI , Epigrafia latino-italica del Cicolano. Per una definizione etnica degli Aequicoli, in “Archeologia Classica”, 36, 1984, pp. 318-328. 27 ROBERTO MARINELLI La bonifica reatina ed il sacrificio ambientale e socio-economico della Valle del Salto 1 

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