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giovedì 9 marzo 2023
Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex
D.M. 270/2004)
in Scienze dell’antichità: letterature, storia e
archeologia
Tesi di Laurea
La Sicilia nella Geografia di
Strabone
Relatore
Ch. Prof. ssa Stefania De Vido
Laureando
Ester Ragazzo
Matricola 824414
Anno Accademico
2014 / 2015
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INDICE:
Introduzione
I. Strabone e la sua opera
1.1 Elementi della vita e aspetti importanti della biografia di Strabone
1.2 Le opere: cos’è conservato e struttura della Geografia
1.3 La fortuna dell’opera
1.4 Storia degli studi
II. Elementi di metodo
2.1 Rapporto fra storia e geografia nell’opera di Strabone
2.2 Elementi di filosofia nella Geografia
2.3 Strabone e il suo tempo: un greco a Roma
2.4 Le fonti della Geografia: un opera di bilancio
III. La Sicilia di Strabone: dalla teoria alla prassi testuale
3.1 Motivi della scelta: un suggerimento dell’autore
3.2 Rapporto fra storia e geografia nella sezione siciliana
3.3 Elementi di filosofia nel capitolo siciliano: la difesa omerica
3.4 Politica augustea nelle pagine sulla Sicilia
3.5 Le fonti di Strabone nella geografia della Sicilia
Conclusioni
Bibliografia
1
Introduzione
L’argomento di questo studio è una riflessione storica sulla percezione dello spazio geografico
nell’antichità e, in particolare, nell’opera di Strabone. Considerando la vastità di tale opera da
molteplici punti di vista, ho ritenuto preferibile e più vantaggioso concentrare la mia attenzione al
capitolo sulla Sicilia, regione geografica circoscritta che nondimeno offre numerose opportunità di
riflessione. Vorrei, dunque, cercare risposte ad alcune domande rivolgendole in modo minuzioso e
diretto al testo straboniano. Al fine di non fornire soluzioni superficialmente inquinate da opinioni
personali e moderne e nella convinzione che questo sia l’unico procedimento efficace, mi
riprometto di applicare un metodo di costante e fedele riferimento alle parole della fonte.
Innanzitutto, ormai a distanza di un ventennio, vorrei raccogliere e fare tesoro della provocazione
lanciata da Salvatore Settis, di guardare agli antichi con occhio fresco e attento alla diversità1
.
Denunciava lo studioso, nell’introduzione all’opera di carattere generale sui Greci, una tendenza
della cultura corrente a strumentalizzare la grecità, avanzando pretese di identità con essa;
biasimava l’idea di una «classicità ‘rotonda’, di γνῶμαι pronunciate una volta per tutte»2 e di «un
paesaggio popolato di modelli e di archetipi»3
. Riassumeva tutto ciò nel concetto di ‘miracolo
greco’, che mira ad esibire una grecità ‘rotondamente’ classica, priva di imperfezioni e incertezze.
La proposta era quella di tornare a guardare ai Greci con uno sguardo nuovo, lo stimolo a fare
‘scienze dell’antichità’, percorrendo strade differenti: sfruttando gli strumenti della comparazione e
dell’antropologia storica, impegnandosi a costruire uno studio dei ‘Greci senza miracolo’4
. Settis
osservava, infatti, come questi ultimi conoscessero bene l’incertezza e, tutt’altro che perennemente
indaffarati a inventare nuove discipline e a fondare la coscienza dell’Europa moderna, si mossero
anzi, nel loro mondo, con curiosità e ansia di scoperta: «li troviamo sulle coste del Mar Nero o della
Spagna, in Sicilia o in India, a costruire un’infinita varietà di culture locali o a immaginare viaggi
dei loro eroi oltre le Colonne d’Ercole; sempre curiosi di vedere e conoscere»5
. Suscitava così un
interesse per dei Greci meno classici, pronti alla sfida di incominciare strade che poi
interromperanno, fondare colonie che vivranno solo pochi anni e sperimentare; aperti e desiderosi di
confrontarsi, disposti ad ibridizzarsi con le genti che incontravano, ponendo e ricevendo domande.
In accordo con Settis, questi antichi appaiono molto più interessanti e un simile studio, che
presupponga cioè tali premesse tanto pertinenti al tema geografico, potrà risultare ancora più
1 SETTIS 1996, pp. XXVIII-XXX. 2 SETTIS 1996, p. XXIX.
3 Id.
4 L’espressione si può ricondurre a GERNET 1984 che introdusse e approfondì il concetto poi ripreso e utilizzato da
numerosi studiosi fra cui, appunto SETTIS 1996; cfr. anche DESIDERI 1996, p. 961. 5 SETTIS 1996, p. XXX.
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stimolante e ricco. In accordo con Nicolet, riguardo allo studio sul territorio, ritengo che: «per
capire tante cose altrimenti incomprensibili, dobbiamo fare uno sforzo di dimenticare la nostra
visione del mondo fisico (esatta e ormai incontrovertibile), per tentare di ricostruire la visione
storica degli antichi e impossessarcene»6
. Ciò che vorrei intraprendere, dunque, è uno studio che
non riduca il passato ad un’eco delle istanze del presente, impegnandomi a non fornire soluzioni
contaminate da opinioni personali e moderne.
In questa fase iniziale, di inquadramento generale dei problemi relativi alla percezione dello spazio
nell’antichità, vorrei individuare alcune domande che tengano conto, da un lato di questo aspetto di
incertezza e attitudine degli antichi alla ricerca assidua; ma anche della loro reale e innegabile
capacità di costruire modelli di duratura validità, che non possono esserci indifferenti e, in ogni
caso, ci obbligano al confronto. Sono consapevole riguardo alla complessità di questi presupposti,
nondimeno aspiro ad intraprendere il mio lavoro poiché in accordo con Strabone: «πρὸς οἷς ἂν καὶ
μικρὸν προσλαβεῖν δυνηθῶμεν, ἱκανὴν δεῖ τίθεσθαι πρόφασιν τῆς ἐπιχειρήσεως»7
.
Per quanto riguarda lo studio dello spazio geografico nell’antichità, si può riscontrare una certa
confusione e ambiguità di definizione della materia di studio: il primo problema riguarda l’uso dello
stesso termine ‘geografia’, per cui ci si domanda se possa avere un fondamento parlarne o se non
valga, altrimenti, la pena di interrogarsi sulla pluralità dei discorsi e dei saperi che si accumulano al
di sotto di questa generica denominazione8
. Il significato della parola ‘geografia’ non proietta sui
saperi dell’antichità una uniformità e coerenza proprie della disciplina contemporanea? Un
problema quindi, in primo luogo, di definizione e di classificazione all’interno delle suddivisioni del
sapere attuale. Ma, è pur vero che, può rivelarsi essenziale comprendere e prendere atto dei debiti
della geografia moderna e dei motivi di identificazione con la sua antenata. Sarebbe veramente così
illusorio pensare a un’unica disciplina che, costituitasi progressivamente, abbia per questo
conosciuto incertezze, cambiamenti, trasformazioni, rotture e crisi d’identità9
? Come Jacob e
Mangani fanno ben notare, nel pensare ad una storia della geografia, noi moderni non possiamo fare
in alcun modo a meno di trasferire la nozione scientifica attuale, scegliendo di studiare, fra i discorsi
antichi, quelli che appaiono maggiormente passibili di rientrare nella nostra idea di geografia,
6 NICOLET 1989, intro.
7 Strab. I 2,1: «anche se è piccolo il contributo che noi possiamo portare in questa materia, deve essere ragione
sufficiente dell’impresa».
8 Prezioso in questa fase del lavoro è stata l’attenta lettura del contributo di JACOB-MANGANI 1985, pp. 36-76;
queste pagine rappresentano l’elaborazione della comunicazione tenuta dai due autori in occasione di un seminario
internazionale riguardante i problemi storiografici dello studio della geografia antica, svoltosi presso l’Istituto di
Filologia Classica dell’Università di Macerata, a cura di Pietro Janni. Al seminario avevano partecipato tra gli altri
anche G. Aujac, A. Peretti e F. Prontera ed esso fu occasione di riflessione approfondita e discussione sui problemi e le
nuove metodologie di analisi della scienza geografica e cartografica antica, ebbe, inoltre, il merito di esprimere un
sensibile interesse emergente nella ricerca storica italiana per un’analisi più articolata delle fonti e della tradizione,
ispirandosi al quale si intraprende questo lavoro.
9 Cfr. JACOB-MANGANI 1985, pp.38-39, che fanno a loro volta riferimento a FIERRO 1983.
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cosicché il criterio di selezione proceda sulla base di fondamenta generiche di intuizione10. Una
prima considerazione, dunque, potrà essere quella sulla necessità di prestare attenzione a non
rendere universale la suddivisione contemporanea del sapere e di non fermarsi ad individuare solo
gli aspetti di conformità e somiglianza dell’oggetto della riflessione; cercare di valorizzare, quindi,
anche i tratti di tangenza più o meno marginali. Si può facilmente capire quanto l’oggetto della
geografia moderna non possa in alcun modo essere il medesimo di ciò che si poteva prendere in
considerazione nell’antichità. Ѐ possibile, oggi, avere una conoscenza dello spazio che fino a pochi
secoli fa non si poteva nemmeno lontanamente immaginare11. Su cosa, allora, si deve volgere
l’attenzione? Sempre Jacob e Mangani forniscono un validissimo suggerimento a riguardo:
«studiare la geografia degli antichi significa prima di tutto, scegliere un “corpo” di testi»12.
Studiare, cioè, l’insieme dei discorsi e dei saperi che possano mostrare e spiegare, per una data
epoca, quale fosse la visione, la conoscenza, la diffusione e la circolazione delle rappresentazioni
dello spazio. Mostrare, grazie ad una vasta indagine, quali fossero le condizioni ambientali, sociali e
culturali che favorivano lo sviluppo di ricerche sul territorio e in quali generi discorsivi; se vi fosse
sincronia fra le scoperte scientifiche e la divulgazione dei loro risultati e se mai si sia sviluppato un
genere volto a queste finalità. In questa ottica, lo studio della percezione dello spazio geografico
nell’antichità risulta strettamente legato e indissociabile dallo studio dei testi e della loro ricezione.
Il rapporto che gli antichi ebbero con lo spazio che li circondava si tradusse in orientamenti
metodologici molto diversi fra loro. Alla nozione di geografia antica si connette, abitualmente, un
vasto complesso di ricerche e di studi che vanno dall’astronomia, alla geodesia, alla cartografia,
dalla geografia fisica all’etnografia, dalle esplorazioni e dai racconti di viaggio alla geografia
descrittiva; senza contare altri nuclei di interesse, cui potremmo consegnare qualcuna delle etichette
che costituiscono la nomenclatura della attuale classificazione del sapere13. Un trattato di geografia
antica conteneva al suo interno tutti i temi elencati. Accanto ad una produzione scientifica, tecnica e
specializzata, i geografi antichi, con una consapevolezza più o meno esplicita, a poco a poco
diedero vita a un genere letterario. Non si può, dunque, dire che i geografi antichi non ebbero una
sensibilità teorica e storica riguardo le peculiarità della loro materia ma solo in età ellenistica,
attraverso tali molteplici direzioni di indagine ed in modo graduale, si articolò un sapere codificato
come propriamente geografico. Nell’ambito di una attuale tensione alla classificazione e
sistemazione istituzionale del sapere in materie di studio ben definite, la vastità di interessi di
10 JACOB-MANGANI 1985, pp. 38-39. 11 JACOB 1983, pp. 60-64; oltre all’impossibilità di immaginare il mondo a tre dimensioni come noi siamo abituati a
fare grazie all’evoluzione di mezzi tecnici che ce lo rendono possibile, anche solo pensare ad una cartografia in grado di
visualizzare la terra dall’alto, punto di vista degli dei, costituiva per gli antichi un atto di hýbris; lo dimostra attraverso
la ripresa di alcuni testi letterari.
12 Id. 13 PRONTERA 1983, p. X-XI.
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ricerca rivolti dagli antichi in direzione dello spazio geografico costituisce una questione di grande
problematicità. Ciò che potrebbe apparire come un ritardo di codificazione del sapere geografico
nell’ambito della letteratura antica e nel confronto con altri generi è probabilmente frutto di tale
situazione di complessità. A partire dall’età ellenistica, tutti gli storici che ancora proponevano la
rituale apologia del proprio mestiere intellettuale erano ben consapevoli di muoversi all’interno di
uno spazio letterario ben definito nella sua natura grazie ad una lunga tradizione: essi si sentivano,
parte di una catena storiografica14. Lo storico sapeva di far parte di una particolare tradizione
letteraria e non sentiva il bisogno di tracciare proemi e quadri consuntivi del genere da lui praticato.
Per la geografia le cose stanno diversamente: il ‘geografo’ antico deve costruirsi una tradizione in
cui siano compresi i generi più disparati (epos, filosofia, storia, fisica, astronomia)15. D’altra parte,
gli studi moderni, fra i quali soprattutto gli studi di Van Paassen, hanno avuto il merito di
sottolineare quanto sia fuorviante accostarsi alla geografia antica commisurandola ad alcune nostre
nette distinzioni, per esempio, fra storia e geografia o tentare di sistemare dal nostro punto di vista
tale vasto campo di conoscenze16.
Ancora, le difficoltà cui si è accennato sono relative all’impossibilità da parte di noi moderni di
concepire una conoscenza dello spazio geografico che prescinda da alcune nozioni, più o meno
recentemente acquisite, che ci offrono di tale oggetto di studio una padronanza notevolmente
amplificata. A quest’irrimediabile elemento di incomprensione si aggiungono una certa scarsità di
fonti scritte relative all’argomento e la quasi totale assenza di fonti non scritte, che ci
immagineremmo di dover trovare in connessione a ciò che di scritto abbiamo.
Intendo procedere, dunque, ad una analisi del testo, chiedendomi se, in accordo con la critica
moderna, sia possibile riconoscere in Strabone uno dei protagonisti della prima fase di codificazione
del ‘genere’17. Egli sarebbe stato il primo a impegnarsi a un’opera di sistematica organizzazione del
materiale esistente. Secondo le parole di Prontera, la prefazione di Strabone alla sua monumentale
opera sarebbe: «la più lunga ed articolata riflessione della letteratura antica sulla natura, l’oggetto, i
fini, i destinatari e il pubblico della geografia: mai si era tanto indugiato a giustificare il lavoro
intrapreso a e a cercarsi esplicitamente dei lettori»18.
L’analisi del testo straboniano sarà suddivisa in due parti: in una prima parte prenderò in
considerazione quanto Strabone afferma nei Prolegomena in relazione alla sua opera, individuando
quattro nuclei tematici che reputo di particolare interesse; nella seconda parte, intendo analizzare il
14 CANFORA 1971, pp. 653-670. 15 Per il tema della collocazione della geografia all’interno di una tradizione letteraria vd. PRONTERA 1984. 16 VAN PASSEN 1957; FEBVRE 1980. 17 Si fa riferimento in particolar modo a PRONTERA 1983; CORDANO 1992; BIANCHETTI 2008; Per tutto ciò che
riguarda, in generale, la definizione e gli ambiti di studio della geografia antica si fa riferimento a FEBVRE 1980;
PRONTERA 1983, intro.
18 PRONTERA 1983, p. XVII.
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testo del capitolo sicilian
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