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sabato 18 febbraio 2023
martedì 31 dicembre 2013
LI ODIO
Quest'uomo avvenente, 37 anni, una bella s ave moglie, cinque figli, una mula di recente acquistata per un salto sociale, viene chiamato alle armi nel 1917. La guerra va male, i comandi militari inetti, le strategie
miserevoli. L'esercito italiano è tutt'altro che glorioso, che eroico. I fanti in trinca infreddoliti, malvestiti, non nutriti, in disumane condizioni igieniche vengono falcidiati dai guerrieri austro-ungarici, militarmente addestrati, cecchini inesorabili.
Mio nonno non sa né di Trento né di Trieste. Viene reclutato per sopperire alle voragini umane che si avevano al fronte. Non dovrebbe andarci. Non è adatto alla guerra di alta montagna. E' ormai anziano. Già due fratelli sono stati immolati alla Patria, - ma Patria solo per i nobili di paese che si sono fatti tutti riformare alla leva. Poi faranno i patriottardi.
Nel mese di marzo mio nonno viene goffamente vestito, gli mettono in mano un'arma che non sa maneggiare. Mio nonno non era un violento. Contadino, amava la terra, gli animali. Non era manco cacciatore. Lo portano ad Adernò. Non so quali elementi guerreschi poterono insegnargli in meno di un mese. Senza pietà, crudamente, cinicamente lo intruppano nella brigata Catanzaro, nel 142 Reggimento Fanteria. Va a tappar buchi umani. La grande Patria è questa. E subito nelle doline di quota 238. So ora bene che cosa erano le doline di quelle montagne a ridosso di Trieste, oggi beffardamente in Slovenia. Per giorni ad intristire in quelle caverne allucinanti. Pidocchi, scarso cibo, acquattati come bestie in una tana. Di là i cecchini austriaci non perdonano. Hanno mire infallibili. Lì mio nonno vi viene tenuto nei freddi di alta montagna sino al 23 maggio 1917. Ogni giorno si fa scrivere una cartolina postale militare da chi non di eccelsa scolarità ma un periodo lo riesce ad abbozzare. Quando rileggo quelle cartoline di mio nonno, di chi generò mio padre che generò me maledico la Patria i militari i fascisti i reazionari i patriottardi del mio paese, quelli che vogliono i criminali d'India restituiti senza processo per glorificarli.
Il 24 maggio, insipientemente, così come avevano deciso di fare impidocchiare i figli del popolo nelle doline di Slovenia. decidono una folle disordinata ingiustificabile ritirata. Nelle ridenti lande venete si fa la conta. Mio nonno non c'è. Non ci si cura di sapere perché. Burocraticamente lo si dà per disperso. Dovesse risultare vivo dopo la guerra verrebbe degradato a "disertore" da fucilare. Avverrà dopo in Agosto con vicende che fecero inorridire persino il grande vate D'Annunzio.
Ma mio nonno, contadino inesperto, dove poteva andare in quella sgangherata e dissennata ritirata da alta montagna? Un cechino austro-ungarico l'aveva mirato e come coniglio pavido l'aveva stecchito.
Un eroe di guerra mio nonno, magari suo malgrado. Un padre di famiglia immolato per la patria dei ricchi. Per Trento e Trieste, per fare piangere il 4 Novembre presidenti di repubblica e bolsi generali, per il dispendio del monumento al milite ignoto di piazza venezia a Roma. Per tutta la trita retorica militaristica ancora tambureggiante. Ma non per un fiore, per un ricordo riverente, per un nome magari inciso in una lapide commemorativa in questo conclamato paese della ragione che è Racalmuto.
A Racalmuto mio nonno è nato; vi è nato come altri 31 "dispersi in guerra". Nessuno li onora. Eugenio Napoleone Messana anche lui cinicamente se ne serve per rimpinzare il suo vacuo libro di storia racalmutese e aggiungervi le pagine 530 e 531.
Noi, nel nostro piccolo, li abbiamo onorati tutti e trentadue "dispersi in guerra" (ma no! trucidati in guerra) abbiamo visto che erano tutti della "bassa plebe" del vero popolo racalmutese. Molti loro discendenti oggi sono ascesi socialmente, sino talora ad essere egemoni.
Atri che né loro né i loro antenati hanno fatto un giorno da militare, imboscati insomma, stanno lì ad agitarsi per l'onore dell'ESERCITO ITALIANO, ma si guardano bene di un gesto di pietas cristiana verso questi negletti figli della Racalmuto sofferente. Sono diventati reazionar
giovedì 16 febbraio 2023
Rosa Casano Del Puglia
Rosa Casano Del Puglia
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23/11/17, 18:25
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Grazie per l'amicizi< 🙂
Hai inviato
03/04/18, 00:11
Hai inviato
Ma per uno dei soliti paradossi della storia, Racalmuto in quel regime coloniale romano ebbe occasione e modo di sviluppo economico e demografico: il suo suolo ferace ed anche la sua vocazione alla viticoltura furono di sprone all'insediamento contadino. Niente grandi opere e neppure edifici; non si ebbe manco un toponimo che resistesse all'oblio dei tempi. Eppure, i segni di quel consorzio umano e sociale nel territorio di Racalmuto sono giunti sino a noi: resti fittili, anfore, monete romane ed altre testimonianze archeologiche.
Nella contrada di S. Anna agli inizi del secolo furono rinvenute anfore in gran numero - forse proprio quelle che servivano agli esattori romani per trasportare il grano o l'orzo a Roma - e mi si dice che i proprietari dei poderi dell'epoca si affrettarono a farle sparire nelle voragini del monte Castelluccio per il timore di espropri o molestie da parte delle Autorità.
E' tuttavia noto un reperto di grande interesse che fu trovato da tal Gaspare Vaccaro nel 1782: esso ci attesta della organizzazione esattoriale delle decime agrarie a Racalmuto da parte di Roma. Trattasi di una iscrizione latina pubblicata nel 1784 da Gabriele Lancellotto Castello, principe di Torremuzza, nel suo "Siciliae et adiacentium insularum veterum inscriptionum - nova collectio..". A pag. 237 il principe archeologo c'informa che l'anfora fittile rinvenuta a Racalmuto era una "diota" (anfora per vino) nel cui manico [«in manubrio diotae fictilis erutae»] poteva leggersi la seguente epigrafe:
C* PP. ILI* F* FUSCI
RMUS. FEC.
Il Mommsen diede credito al Torremuzza e pubblicò tale e quale quell'epigrafe nei suoi ponderosi volumi (C.I.L. X, 8051, 40, pag. 870) ma amputandola del riferimento alla diota ed eludendo ogni commento prosopografico.
Chiaro appare, comunque, il richiamo ad un personaggio di nome FUSCO, del tutto ignoto alla storia di Sicilia ma ben presente alla prosopografia romana.
Marziale augura al potente Fusco che «le smisurate sue cantine diano ottimi mosti» (VII, 28); Giovenale ironizza sui ricchi Fusco della Roma del suo tempo; un Fusco fu console romano con Domizio Destro ed abbiamo anche un Cn. Pedanius Fuscus Salinator e via di seguito. Ma una famiglia Fusco siciliana non sembra plausibile.
Quello del vaso fittile di Racalmuto era dunque un romano o in ogni caso un cittadino di Roma: un probabile esattore dunque e forse un esattore delle decime sul vino di Racalmuto se ci fidiamo del Torremuzza quando accenna a diote fittili e cioè ad anfore per il trasporto a Roma del vino, prelevato in natura dal fisco romano sino a tarda età, come si evince dalle Verrine di Cicerone.
Per quasi quattro secoli la vita agricola e contadina nei dintorni di Racalmuto, sotto il dominio romano, trascorre senza lasciare traccia alcuna.
Gli studiosi ci avvertono che tutto il sottosuolo siciliano divenne proprietà privata di Augusto, ma di miniere racalmutesi non si ha non si ha notizia per quel periodo. Solo, sul finire del secondo secolo d.C., sotto Commodo si registra una svolta economica di grande risalto in Racalmuto: le miniere di zolfo, impiantate come alcuni vecchi ancor oggi ricordano, vi presero piede.
Per oltre un millennio non se ne seppe nulla, finché nell'Ottocento si rinvennero i cocci di talune forme romane, simili alle 'gàvite', recanti sul fondo i caratteri a risalto, e con scrittura alla rovescia, indicativi dello stabilimento minerario.
Il primo ad averne contezza è stato l’avv. Giuseppe Picone, figlio di racalmutesi trasferitisi ad Agrigento. All’Archivio di Stato di Roma si conserva questa preziosa corrispondenza .
« All’Isp. degli scavi e dei monumenti Cav. Picone. Girgenti - Roma, addì 3 novembre 1877.
Oggetto: Mattoni antichi con bolli relativi alle miniere sulfuree.
Il dr. Mommsen reduce dal suo viaggio in Sicilia mi parla della scoperta importante da lui fatta di bolli fittili con ricordi di prepositi alle miniere sulfuree nei primi secoli dell'e.c. - Sarò grato alla S.V. se si compiaccia dare su tale oggetto i maggiori ragguagli. F.to Donati
^^^^^^
"Lettera del Picone, Ispettore degli scavi - 28 dicembre 1877 - Repertorio al protocollo 1878 n.° 16"
Furono or sono pochi anni scoverti nel bacino di Racalmuto, e a considerevole profondità taluni mattoni antichi, con bolli, che io raccolsi, e formano parte di questo museo comunale. In essi si vedono delle iscrizioni latine, che, per difetto d'arte, venivano rilevate al rovescio di che siano leggibili da sopra a sinistra, come le scritture orientali.
In uno di essi mutilato si legge (totalmente a rovescio, n.d.r.) :
MANCIPYM/
SULFORIS
SICIL
Messa questa in rapporto alle altre iscrizioni pare che vi manchi nella prima linea
EX. OF. (ex officina)
come si rileva in talune, ove si legge Ex officina Gellii ec. ec.
Dallo stile uniforme e dalla paleografia risulta sippure, che l'epoca sia quella di Antonino Domiziano e di altri, come dai frammenti di altri bolli, ove si legge il nome di quegli imperatori, sì che possa concludersi, senza tenore di errare, che in quella stagione, la industria zolfifera era fiorentissima nella provincia Girgentina.
L'esimio Dr Mommsen, che onorò di sua presenza questo Museo, potrebbe dare alla E.V. maggiori schiarimenti e più dotte illustrazioni che io non saprei. ([12])»
Successivamente vi un’eco nel nostro Tinebra Martorana che racconta di reperti della specie regalati dalla Famiglia La Mantia all'Avv. Giuseppe Picone di Agrigento e finiti, quindi, al Museo Archeologico di Agrigento.
KAIBEL e MOMMSEN ne fecero oggetto di studio nei rispettivi CORPORA, senza però precisarne l'origine. All'inizio di questo secolo, il SALINAS aveva modo di rinvenire proprio a Racalmuto alcuni reperti di quelle che Mommsen impropriamente, ma con fortuna, ebbe a chiamare «tegulae sulfuris». Al Salinas, invero, furono vendute per il Museo di Palermo quattro lastre con iscrizioni da un contadino nostro compaesano che le aveva rinvenute nella costruzione di un sepolcro, presumibilmente nei dintorni di Santa Maria.
Quell'insigne archeologo procedeva ad un'analisi storica di grande acume che pubblicava sul bollettino dell'Accademia dei Lincei ([13])
Altri reperti di tali «tegulae» sono stati rinvenuti in gran numero nel 1947 in località Bonomorone di Agrigento. Ma qui non attestavano la presenza di miniere di zolfo perché, come ebbe a scrivere il Prof. Pietro Griffo ([14]), si trattava di un deposito di cocci di una figlina (officina di vasaio): dunque il commercio avveniva ad Agrigento, ma la produzione era altrove ed in particolare, per quel che ci riguarda, a Racalmuto.
Biagio Pace, con taglio più letterario che scientifico, così sintetizza quell'attività mineraria dei tempi romani: «Si tratta di tegole quadrate di terracotta, di circa 40 cm. di lato, che recano in rilievo, rovesciate, delle epigrafi... Tegole evidentemente poste, come illustrò il Salinas, nei cassoni destinati a contenere lo zolfo liquido e che dobbiamo immaginare del tutto identici a quelli che si adoperano tuttavia sotto il nome di gàvite, nel fondo dei quali sono parimenti incise le lettere della miniera, che in tal modo vengono riprodotte in quelle caratteristiche forme falcate di zolfo, le balate, che ognuno che abbia transitato per le stazioni zolfifere di Sicilia ha notato.» ([15]).
Pare, comunque, che l'attività mineraria solfifera a Racalmuto si sia presto estinta nell'antichità. Dopo quelle testimonianze dell'anno 180 d.C. si fa un salto di oltre quindici secoli per avere notizie certe su una presenza mineraria racalmutese: risale all'inizio del Settecento una nota negli archivi parrocchiali della Matrice che ha attinenza con le miniere. Sotto la data del 22.10.1706 il cappellano dell'epoca registra un infortunio sul lavoro: Giacomo Giangreco Cifirri, di 34 anni, sposato con la sig.a Nicola, periva sotto una valanga di salgemma, mentre scavava dentro una miniera di sale. Il giovane minatore veniva sepolto nella Matrice. «In fovea salinae, ob ruinam salis repentinam, defunctus est», è la malinconica annotazione in latino. Il Giangreco Cifirri moriva dunque nella caverna di una salina, per il repentino crollo di massi di sale.
[1]) Ferdinando Milone: Sicilia, la natura e l’uomo - Torino, 1960, pag. 13.
[2]) L. Trevisan: Les mouvements tectiques récents en Sicile - Hipothèses et problèmes.
[3]) Luigi Romano: Idrogeologia della propagini sud-ovest dell’altipiano di Racalmuto -GEOLOGIA - Università di Palermo - Facoltà di Scienze - Anno Accademico 1978-79 , pag. 6
[4]) Pratesi e Tassi: Guida alla natura della Sicilia, Milano 1974, p. 21 ss.
[5]) Luigi Mauceri: Notizie su alcune tombe .. scoperte fra Licata e Racalmuto, in Ann. Inst. Corr. Arch., 1880.
[6]) Presso l’Archivio Centrale dello Stato abbiamo rinvenuto la corrispondenza fra il Mauceri ed il Comm. G. Fiorelli di Roma “sulle antichissime tombe fra Licata e Racalmuto nella provincia di Girgenti”. Il Mauceri risulta essere ingegnere e direttore dell’Ufficio Centrale di Direzione in Caltanissetta delle Strade Ferrate Calabro-Sicule. (cfr. A.C.S. di Roma - Fondo: ANTICHITA' E BELLE ARTI (AA. BB. AA.) 1° VERSAMENTO - BUSTA N.° 21 -
Fascicolo 40.5.2 ).
[7]) Luigi Mauceri: Notizie su alcune tombe .. scoperte fra Licata e Racalmuto, in Ann. Inst. Corr. Arch., 1880, pag. 17.
[8]) Luigi Mauceri: op. cit. pag. 18.
[9]) Pietralonga, a dire il vero, non fa parte del territorio di Racalmuto ma del finitimo Castrofilippo.
[10]) Vincenzo Tusa/Ernesto De Miro: Sicilia Occidentale. - Roma 1983 - pag. 114.
[11]) Vincenzo Tusa/Ernesto De Miro: Sicilia Occidentale. - Roma 1983 - pag. 14.
[12]) A.C.S. di Roma - Fondo: ANTICHITA' E BELLE ARTI (AA. BB. AA.) 1° VERSAMENTO - BUSTA N.° 21 -
Fascicolo 40.3.4 - (annotazioni interne: 1877 - 64-1-1 - Girgenti - Mattoni antichi con bolli, miniere solfuree).
[13]) NOTIZIE DEGLI SCAVI - Anno 1900, pagg. 659-60.
[14]) KOKALOS 1963, pp. 163-184.
[15]) B. Pace, Arte e Civiltà, I pp. 393-4
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Storia di Racalmuto
STORIA DI RACALMUTO
di Calogero Taverna
CENNI GEOLOGICI
In sede scientifica non si ha dubbio alcuno che la Sicilia sia una terra “geologicamente recente”([1]). Concetto in ogni caso relativo: occorre, infatti, riandare indietro, nella notte dei tempi, per un centinaio di milioni di anni prima di datare la fase iniziale del complesso fenomeno formativo dell’attuale isola. In un primo momento, “formazioni calcaree mesozoiche, e cioè dell’èra dalle forme intermedie di vita, o èra secondaria” ebbero ad abbozzare un cosiddetto “scheletro” tra Trapani, Palermo e Messina con un isolato nucleo con epicentro a Ragusa. In una seconda fase, si formò una sorta di tessuto connettivo per il progressivo emergere di terre durante la regressione pliocenica. Infine, in epoca quaternaria, affiorarono le terre marine.
Quanto a Racalmuto, il suo territorio ebbe a configurarsi nelle forme che oggi ci sono familiari sul finire del periodo intermedio e cioè durante la transizione dal terziario al quaternario. E ciò stando ad una cartina della distribuzione dei terreni pliocenici e quaternari in Sicilia dovuta al Trevisan ([2]).
Studi sulla geologia di Racalmuto sono stati fatti da A. Diana (1968). Geologi locali (vedasi fra gli altri Luigi Romano) hanno di recente dato i loro apporti. Nella sua tesi laurea il Romano, avvalendosi dei dati sperimentali desunti dalla trivellazione di una quarantina di pozzi, distingue quattro strati nel sottosuolo racalmutese. «Cronologicamente - egli afferma ([3]) - i terreni che compaiono nella zona studiata, vengono raggruppati come segue:
1) complesso argilloso caotico di base, di età pre-tortoniana;
2) formazione Terravecchia del Tortoniano, costituita da sabbie, conglomerati e argille;
3) serie Gessoso-Solfifera, complesso rigido costituito da vari elementi del Saheliano e Messinese.
4) una formazione di copertura di età Pliocenica inferiore, costituita da marne e calcari marnosi (Trubi).
Completano la geologia della zona una copertura detritica alluvionale.»
Ma abbandoniamo subito le questioni geologiche per le quali non abbiamo alcuna competenza e soffermiamoci un istante sui tradizionali minerali racalmutesi. Sale, zolfo e gesso Racalmuto li avrebbe ereditati dagli sconvolgimenti del Miocene, quando alle «grandi lacune terziarie progressivamente evaporate [sarebbe seguito] un processo di sedimentazione che avrebbe avuto per protagonisti non solo i principi della fisica e della chimica, ma addirittura uno straordinario microscopico batterio, ildesulfovibrio desulsuricans capace di nutrirsi di petrolio greggio e di rubare ossigeno al solfato di calcio dando luogo ad idrogeno solforato che, attraverso una normale ossidazione, avrebbe partorito lo zolfo nativo» ([4]). Secondo tale affascinante teoria, le ricchezze della rampante borghesia ottocentesca di Racalmuto si devono, dunque, a quel geologico vibrione; il che per qualche verso sa di simbolica premonizione.
LA PREISTORIA
Ma a che epoca risale il primo insediamento umano nel territorio di Racalmuto? Fu esso teatro di qualche fase evolutiva della specie umana? Come vissero i primi nuclei umani? Ove abitarono e con quali riti e culture?
Sono tutte domande senza risposta, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche. Solo si può ipotizzare una qualche presenza umana nella grotta di Fra Diego, che per ubicazione ed ampiezza sembra proprio idonea ad ospitare il primitivo homo sapiens dei dintorni racalmutesi.
Dobbiamo saltare al secondo millennio a.C. per essere certi di consistenti nuclei abitativi che sogliono chiamarsi, sulla scia di una pagina di Tucidide, sicani. Due testimonianze ce l’attestano in modo indubbio: le tombe a forno scavate nella parete della medesima grotta di Fra Diego e presenti anche lungo il crinale che da lì arriva, passando per il Castelluccio, sino alle porte del paese; ed un ritrovamento casuale a dieci chilometri da Canicattì, lungo la strada ferrata.
Azzardiamo una nostra ipotesi: trattasi di due flussi migratori diversi: uno a sfondo agricolo che da Licata tocca le falde del versante sud del Serrone e l'altro, in cerca del sale, contiguo agli insediamenti che da S. Angelo Muxaro - la terra di Cocalo? - si espandono verso Milena, Montedoro, Bompensiere.
Il primo insediamento è quello che persino nelle cartoline illustrate locali viene definito ' sicano'. In mancanza di campagne di scavi ufficiali dobbiamo accontentarci delle intuizioni dilettantesche e delle tante segnalazioni che dal '700 in poi si rincorrono. Il cospicuo numero di tombe a forno dimostra l'esistenza di gruppi estesi, dediti ai culti mortuari dell'inumazione in forma fetale, con i cadaveri forse spolpati a bagnomaria e forse legati per la paura di una vendicatrice resurrezione che i nostri antenati pare nutrissero. (Cfr. S. Tinè: L'origine delle tombe a forno in Sicilia, in Kokalos 1963, p. 73 ss.).
Quei cosiddetti antichi Sicani, installandosi attorno alla grotta di Fra Diego, avranno trovato il salgemma delle vicinanze e fors'anche lo zolfo, all'epoca sicuramente reperibile anche in superficie. Risale alla tarda età romana lo strambo passo di Solino che il Tinebra Martorana riferisce - a nostro avviso fondatamente - al territorio di Racalmuto. Ma rispecchia, di certo, una tradizione millenaria. Solino scrive che il sale agrigentino, se lo metti sul fuoco, si dissolve bruciando; con esso si effigiano uomini e dei (C.I. Solinus, 5\ 18; 19). Ancora nel '700 il viaggiatore inglese Brydone andava alla ricerca di quei fenomeni. Sommessamente pensiamo che v'è solo confusione tra sale e zolfo, entrambi già conosciuti dai nostri preistorici antenati. Con lo zolfo si foggiavano statuette del tipo dei 'pupi', dei 'cani', delle 'sarde' di 'surfaro' che ai tempi della mia infanzia circolavano ancora.
Il secondo insediamento viene fatto risalire al XVIII secolo a.C. Esso venne documentato durante i lavori della ferrovia nel 1879. ([5]) I reperti fittili salvati dal Mauceri finirono dispersi nei sotterranei di un qualche museo siciliano. Le tombe a forno, che si trovavano, nei pressi della stazione ferroviaria di Castrofilippo sono andate del tutto distrutte per lo sfruttamento delle cave di pietra.
Sulla primissima presenza umana nei dintorni di Racalmuto, non sappiamo null’altro se non quanto, con qualche ingenuità ed approssimazione da dilettante, ebbe a riferire, in una sua corrispondenza a W. Helbig, quel solerte dirigente delle ferrovie che fu Luigi Mauceri ([6]). Apprendiamo da questa fonte che «le scoperte di tombe antichissime hanno un importantissimo riscontro nell’altipiano di Pietralonga tra Canicattì e Racalmuto, ove ebbi la fortuna di esaminare le tracce di un gruppo di tombe scoperte casualmente. La strada ferrata in costruzione, che va da Canicattì a Caldare, ... a circa dieci chilometri dalla prima città passa in una terrazza che si protende a sud-ovest di un altipiano tortuoso, costituito da un gran banco di roccia calcare non ancora denudato. In questa altura e su vari speroni rocciosi che in vari sensi si diramano, nella scorsa estate [1879] furono aperte parecchie cave di pietra per le costruzioni ferroviarie. Quivi i cavatori avanzando le loro cave in vari punti, ... incontrarono molte tombe che hanno una perfetta somiglianza con le altre precedentemente descritte.» ([7]) Si passa alla descrizione delle tombe,
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oggi non più rinvenibili. Esse «erano scavate - aggiunge il Mauceri - quasi tutte nei versante di levante e mezzogiorno dell’altipiano e dei contrafforti. La loro forma è assai varia; abbonda per lo più il tipo della tomba a pozzo, come quella di Passarello; ma sembra che talvolta le celle invece di due siano state tre e anche quattro. In un punto pare fosse stata aperta una specie di trincea, su cui poi furono scavate parecchie celle a pozzo, ma irregolari. [...] La chiusura della bocca dei pozzi o dell’ingresso delle celle è sempre fatta con grossi massi irregolari, e in cui non scorgesi traccia di alcuna particolare lavoratura. Tutte le tombe, oltre a contenere più d’uno scheletro e parecchi vasi, contenevano anche molti ossami di animali, e terra grassa mista a cenere e carbonigia. Nessun utensile, né di pietra né di metallo.» ([8]) Segue la descrizione di n.° 11 reperti fittili, di cui viene fatta anche una riproduzione grafica. Trattasi di vasetti di terracotta, di frammenti di una “coppa di un vaso grande”, di “una specie di olla”, della “coppa di un calice”, di un “vaso di bucchero”, nonché di un “utensile di terracotta a forma di un corno”. Non è questa le sede per riportare diffusamente la descrizione che fornisce il Mauceri: per gli appassionati, si fa rinvio alla pubblicazione ed alle tavole ivi allegate. La conclusione di quella corrispondenza contiene affermazioni che l’ulteriore sviluppo dell’archeologia ha solo in minima parte confermato. «Gli altopiani rocciosi e naturalmente muniti di passarello, Pietrarossa, Fundarò e Pietralonga, ([9]) - conclude l’A. - nei cui contorni sonosi scoverte le tombe da me descritte, mi sembrano indicare il sito di altrettante dimore stabili dei Sicani, tanto più che ho osservato alle falde di ciascuno abbondanti sorgenti d’acqua. In ispecie a Pietralonga, chiunque esamini la contrada, troverà indicatissimo il sito di una città; ond’io ritengo che di queste notizie potrà in qualche guisa avvantaggiarsene la topografia antica di Sicilia, potendosi ivi collocare qualcuna delle città sicane (Ippona, Macella, Jeti, ecc.) di cui è tuttora incerta la giacitura.»
Dopo la descrizione di quel rinvenimento casuale, nessuna campagna di scavi è stata sinora portata avanti nel territorio racalmutese. Quell’antichissima - ma certa - presenza umana resta dunque per ogni altro verso oggi del tutto oscura. Si trattò di un popolo sicano, ma come visse, con quale evoluzione, con quali strutture socio economiche, si ignora del tutto. Possono slo avanzarsi congetture: ma esse risultano alla fine inappaganti.
Quel che le affioranti testimonianze archeologiche dimostrano con certezza è un policentrico insediamento sicano che può farsi risalire alla prima fase dell’Età del Bronzo (1800-1400 a.C.) Oltre alla necropoli lungo la strada ferrata, nei pressi di Castrofilippo, di cui è cenno presso il Mauceri, il maggior nucleo pare quello sulla fiancata della grotta di Fra Diego. Tombe rade, ma pur presenti, emergono vicino al Castelluccio, su un avvallamento del Serrone ed in altre contrade racalmutesi. Molto manomesse, ma non irriconoscibili, sono le tumulazioni sicane scavate in costoni calcarei sovrastanti la contrada di Casalvecchio o al confine tra il Saraceno e Sant’Anna.
Si sa che nel XIII-XII secolo a.C. si sviluppa nella media Valle del Platani un’articolata iconografia tombale micenea. E’ questo il tempo dei primi contatti con il mondo miceneo. Nella confinante Milena si rinvengono tombe a tholos e materiali del Mic. III B-C. Secondo il De Miro è da pensare «ad una miceneizzazione di questa parte dell’Isola tra il Salso ed il Platani, risalente a veri e propri stanziamenti di nuclei transmarini avvenuti nel XIII-XII secolo a.C., forse alla ricerca della via del salgemma.» ([10]) Il Monte Campanella di Milena, ove sono state rinvenute tombe a tholos con frammenti di vasi micenei e corredo di spade e pugnali di bronzo e un bacile cipriota del XIII secolo a.C., non è poi tanto lontano dalla necropoli di Fra Diego; eppure qui nulla si trovato, a memoria d’uomo, che comprovi un analogo influsso miceneo. Nè vi è notizia di tombe a tholos in qualche punto dell’intero territorio di Racalmuto. Dunque è da pensare che la civiltà sicana sia sparita a Racalmuto sin dal XIII secolo a.C.? Lo stato delle conoscenze archeologiche porta a tale conclusione. Spariscono, dunque, i Sicani o sopravvivono senza contaminazione? Ed in tal caso per quanti secoli ancora? Possiamo solo affermare con qualche fondamento che al tempo della colonizzazione interna dell’Agrigento greca, Racalmuto dovette essere pressoché disabitato, come l’assenza di ogni testimonianza archeologica pare dimostrare.
VERSO L’AVVENTO DEI GRECI.
Non riusciamo a sottrarci dalla tentazione di formulare nostre personali congetture sull’evoluzione sociale ed abitativa dei primordi racalmutesi.
Se qualche abitante vi fu a Racalmuto durante il Paleolitico Superiore, fu la grotta di Fra Diego ad ospitarlo: quell'antro per esposizione, per capienza e per vicinanza a luoghi fertili ed a valli boschive adatte alla cacciagione, si attaglia all'ospitalità troglodita.Le testimonianze archeologiche più antiche sono però di gran lunga posteriori e ci portano in piena cultura della 'Conca d'Oro' con le caratteristiche «tombe del tipo a forno», ove è presente il corredo di vasi e oggetti fittili ([11]).
Da quell'era i nostri progenitori - siano sicani o altro - riuscirono a sormontare gli sconvolgimenti epocali dell'età del Bronzo e di quella del Ferro in condizioni di relativo benessere, piuttosto pacifici ed alquanto prolifici, come il diffondersi delle tombe per tutto il crinale collinare sta a testimoniare. Caccia e risorse minerarie, ma soprattutto cerealicultura e pastorizia consentirono sopravvivenza ed anche sviluppo.
Ad un certo punto si ebbe, però, una crisi per ragioni che ci sfuggono: forse per le razzie dei Siculi. Successivamente, quando, per l'aridità della loro terra, i greci sciamarono per il Mediterraneo e le genti di Rodi e di Creta, via Gela, si insediarono nella valle agrigentina, per i radi indigeni di Racalmuto fu il definitivo sconquasso.
I moderni storici si accapigliano per stabilire tempi, modalità e drammi di quell'esodo geco cui non si attaglierebbe neppure il termine di colonizzazione, trattandosi di un'espulsione senza ritorno. Sono però propensi a ritenere che quei greci subirono la violenza della scacciata dalle loro famiglie contadine e, mancando di mogli, la scaricarono sulle donne indigene di Sicilia, violandole con nozze coatte.
Un doppio dramma - si dice - che, ci pare, Racalmuto non subì né nella prima ondata di immigrazione greca, né in quella della seconda generazione. Racalmuto era lungi dal mare e lungi dalle rive sabbiose, preferite dai greci per trarre in secco le loro imbarcazioni, magari come semplice auspicio per un (improbabile) ritorno in patria. I rodiesi ed i cretesi di Gela fondarono, accrebbero e consolidarono la città akragantina. Per qualche secolo ancora Racalmuto poté restare libero territorio anellenico.
Ma giunti i tempi della famigerata tirannide di Falaride, nel sesto secolo a.C., per le popolazioni di Racalmuto fu l'inizio di una devastante denominazione greca. I cadetti greci di Agrigento, privi di terra e di beni per il costume del maggiorascato del loro popolo, cercarono, forse, fortuna e dominio nei dintorni e così anche Racalmuto cadde nelle loro mani. Si attestarono certo nelle feraci contrade tra Grotticelle e Casalvecchio. I radi reperti numismatici con la riconoscibile effigie del granchio akragantino non attestano solo l'inclusione di quel territorio nella circolazione monetaria delle varie tirannidi dell'antica Agrigento, ma soprattutto l'insediamento dei nuovi padroni. Da quell'epoca la civiltà sicana indigena non è più testimoniata in alcun modo. I nuovi padroni venuti da Agrigento presero certo la più gagliarda gioventù per trasferirla, schiava, nella titanica costruzione del tempio a Zeus che si attribuisce a Falaride. La gran parte, se non resa schiava, fu senz'altro assoggettata ad una sorta di servitù della gleba. Taluni, scacciati o fuggitivi, si ritirano con i loro sparuti armenti negli inospitali valloni siti a tramontana. E divennero pastori randagi e rudi, feroci ma liberi, anarchici e misantropi ma irriducibili ed incoercibili, simili a quei pastori che ancor oggi sembrano mantenere le prische connotazioni di uomini fieri e liberi. In tutto ciò sono da rinvenire le radici della storia sociale racalmutese. La classe agro-pastorale nasce e si evolve lungo millenni con rimarchevole continuità e peculiarmente autoctona. Sono i vertici ed i dominatori che vengono da fuori, arroganti ed estranei. Si pensi che un ricambio in senso classista Racalmuto l'ha potuto registrare solo ai nostri giorni. Soltanto gli anni ottanta del XX secolo sono propizi ad un rivoluzionario avvento di amministratori con genuine ascendenze locali e d'autentica estrazione popolare.
IL PERIODO GRECO
Tra il 570 ed il 555 a. C. Racalmuto diviene pertinenza rurale della polis di Akragas, sotto la tirannide di Falaride: costui assurge al potere cavalcando la tigre dei ribellismi sociali e plebei dell'Agrigento di allora. Fu questo fenomeno tipico dei silicioti greci di quel periodo.
Racalmuto vi fu travolto di riflesso, per via dei greci nobili che poterono appropriarsi delle terre del nostro altopiano. Frattanto nelle nostre plaghe ebbero a moltiplicarsi i kyllyrioi, i semi schiavi di cui parla Erodoto: gente che doveva lavorare per la vicina polisdi Akragas, senza libertà di movimento, senza diritti civili se non quelli di non potere essere venduti o allontanati dalla terra che lavoravano, potendo conservare la propria famiglia e la propria vita comunitaria. I reperti numismatici che talora si sono rinvenuti a Racalmuto sono i soli indici della loro presenza.
E' certo che sino a quando non vi saranno sul nostro territorio scavi come quelli che gli Adamesteanu e gli Orlandini ebbero a condurre sul circondario di Gela attorno agli anni cinquanta, a noi non resta che avventurarci in malcerte congetture. Solo 'MALGRADO TUTTO' nell'ottobre del 1990 riporta il pensiero di Rosalba Panvini che reputa la scoperta archeologica degli operai dell'ENEL in contrada Grotticelle 'molto interessante' e pensa che «siamo in presenza di due strati archeologici che coprono un arco di tempo che va dal III secolo avanti Cristo al II dopo Cristo».
Nell'accennata campagna di scavi del 1960, le importanti scoperte presso Vassallaggi, in S. Cataldo, portavano a attribuire a quella località la nota cittadina di Motyon della Biblioteca di Diodoro Siculo (Kokalos, VIII 1962 ). Tramontava definitivamente il sogno accarezzato da Serafino Messana nel secolo diciannovesimo di assegnare quel nome greco al nostro paese. La sua teoria della 'metatesi' di Motyon che diventa «Casalmotyo e perciò Casalvecchio» - e dire che Serafino Messana ignorava le teorie linguistiche del Ciaceri che vuole Mothion una grecizzazione del preesistente 'Mutuum' - sfiorisce in un patetico dilettantismo. Tinebra Martorana già rifiutava quella teoria con l'elegante 'non liquet' (non risulta) di Filippo Cluverio. Oggi, liquet (risulta) l'inattribuibilità di Motyon a Racalmuto e dintorni: la località è dagli studiosi concordemente ubicata attorno a S. Cataldo.
Quando vi fu dunque l'attacco di Ducezio all'avamposto di Akragas, Motyon, nel 451 o o nel 450 a.C., l'onta dell'invasione non riguardò il territorio dell'attuale Racalmuto: per quei tempi, S. Cataldo era a distanza considerevole: quei nostri antenati dovettero però fornire grano e vettovaglie e vite umane in quella guerra tra Akragas, sostenuta dai siracusani, e l'esercito di Ducezio, il siculo-ellenizzato di Mineo. Per Racalmuto passavano di sicuro gli opliti agrigentini. La rete viaria di allora non doveva essere granché diversa da quella della fine del secolo scorso.
Frattanto Racalmuto, territorio rurale di Akragas, perdeva usi e costumi sicani, dimenticava la madre lingua per storpiare una aliena lingua dorica, e si dedicava alla coltivazione dell'ulivo, alle vigne, alla vinificazione per i padroni di Agrigento. Insieme naturalmente al grano, merce di scambio per i traffici agrigentini con la madre patria greca o con i vicini cartaginesi. La continuità degli autoctoni - pastori e contadini - persisteva certo, ma in via sotterranea e ovviamente subalterna, priva di ogni esteriorità e senza lasciare alcuna testimonianza per i posteri.
03/04/18, 12:46
Rosa
Grazie Lillo,dopo pranzo leggero' con grande attenzione 🙂
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
e ti rispondo 🙂
03/04/18, 13:49
Hai inviato
buon pranzo, Per il momento non occorrono risposte. Forse dopo confabuleremo per qualche progetto archeologico.
03/04/18, 19:42
Rosa
( 🙂 ) Stampato e letto tutto,un lavoro colossale,Lillo grazie
Rosa
http://www.ilportaledelsud.org/rete_viaria_greca.htm
La rete viaria nella Sicilia Greca
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Nella Sicilia greca,forse e' piu' agevole leggerlo nella mia bacheca
05/04/18, 15:15
Hai inviato
La prof.ssa Rosa Casano del Puglia, di questi tempi, ci ha ricacciato nelle nostre manie archeologiche, nella ricerca delle antichissime condizioni di vita dei nostri antenati che prima dicevo sicani ed ora ho voglia di dire pre-sicani dopo le datazioni del De Rosa a Milena fatte in base alle modernissime tecniche della termoluminescenza.
La Prof.ssa Rosa Casano Del Puglia mi immerge nella problematica della rete viaria al tempo della Magna Grecia. Anche lei, come del resto tutto gli altri grandi archeologi, nulla scrive perché nulla si conosce sulla rete viaria di quella vasta regione dei nostri Monti Sicani.
Ma davvero non si sa nulla?
Intanto richiamo qui quelle che un tempo erano mie saldissime convinzioni sia pure senza alcuna autorevolezza scientifica, sono e resto un 'dilettante'.
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LA PREISTORIA
Ma a che epoca risale il primo insediamento umano nel territorio di Racalmuto? Fu esso teatro di qualche fase evolutiva della specie umana? Come vissero i primi nuclei umani? Ove abitarono e con quali riti e culture?
Sono tutte domande senza risposta, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche. Solo si può ipotizzare una qualche presenza umana nella grotta di Fra Diego, che per ubicazione ed ampiezza sembra proprio idonea ad ospitare il primitivo homo sapiens dei dintorni racalmutesi.
Dobbiamo saltare al secondo millennio a.C. per essere certi di consistenti nuclei abitativi che sogliono chiamarsi, sulla scia di una pagina di Tucidide, sicani. Due testimonianze ce l’attestano in modo indubbio: le tombe a forno scavate nella parete della medesima grotta di Fra Diego e presenti anche lungo il crinale che da lì arriva, passando per il Castelluccio, sino alle porte del paese; ed un ritrovamento casuale a dieci chilometri da Canicattì, lungo la strada ferrata.
Azzardiamo una nostra ipotesi: trattasi di due flussi migratori diversi: uno a sfondo agricolo che da Licata tocca le falde del versante sud del Serrone e l'altro, in cerca del sale, contiguo agli insediamenti che da S. Angelo Muxaro - la terra di Cocalo? - si espandono verso Milena, Montedoro, Bompensiere.
Il primo insediamento è quello che persino nelle cartoline illustrate locali viene definito ' sicano'. In mancanza di campagne di scavi ufficiali dobbiamo accontentarci delle intuizioni dilettantesche e delle tante segnalazioni che dal '700 in poi si rincorrono. Il cospicuo numero di tombe a forno dimostra l'esistenza di gruppi estesi, dediti ai culti mortuari dell'inumazione in forma fetale, con i cadaveri forse spolpati a bagnomaria e forse legati per la paura di una vendicatrice resurrezione che i nostri antenati pare nutrissero. (Cfr. S. Tinè: L'origine delle tombe a forno in Sicilia, in Kokalos 1963, p. 73 ss.).
Quei cosiddetti antichi Sicani, installandosi attorno alla grotta di Fra Diego, avranno trovato il salgemma delle vicinanze e fors'anche lo zolfo, all'epoca sicuramente reperibile anche in superficie. Risale alla tarda età romana lo strambo passo di Solino che il Tinebra Martorana riferisce - a nostro avviso fondatamente - al territorio di Racalmuto. Ma rispecchia, di certo, una tradizione millenaria. Solino scrive che il sale agrigentino, se lo metti sul fuoco, si dissolve bruciando; con esso si effigiano uomini e dei (C.I. Solinus, 5\ 18; 19). Ancora nel '700 il viaggiatore inglese Brydone andava alla ricerca di quei fenomeni. Sommessamente pensiamo che v'è solo confusione tra sale e zolfo, entrambi già conosciuti dai nostri preistorici antenati. Con lo zolfo si foggiavano statuette del tipo dei 'pupi', dei 'cani', delle 'sarde' di 'surfaro' che ai tempi della mia infanzia circolavano ancora.
Il secondo insediamento viene fatto risalire al XVIII secolo a.C. Esso venne documentato durante i lavori della ferrovia nel 1879. ([5]) I reperti fittili salvati dal Mauceri finirono dispersi nei sotterranei di un qualche museo siciliano. Le tombe a forno, che si trovavano, nei pressi della stazione ferroviaria di Castrofilippo sono andate del tutto distrutte per lo sfruttamento delle cave di pietra.
Sulla primissima presenza umana nei dintorni di Racalmuto, non sappiamo null’altro se non quanto, con qualche ingenuità ed approssimazione da dilettante, ebbe a riferire, in una sua corrispondenza a W. Helbig, quel solerte dirigente delle ferrovie che fu Luigi Mauceri ([6]). Apprendiamo da questa fonte che «le scoperte di tombe antichissime hanno un importantissimo riscontro nell’altipiano di Pietralonga tra Canicattì e Racalmuto, ove ebbi la fortuna di esaminare le tracce di un gruppo di tombe scoperte casualmente. La strada ferrata in costruzione, che va da Canicattì a Caldare, ... a circa dieci chilometri dalla prima città passa in una terrazza che si protende a sud-ovest di un altipiano tortuoso, costituito da un gran banco di roccia calcare non ancora denudato. In questa altura e su vari speroni rocciosi che in vari sensi si diramano, nella scorsa estate [1879] furono aperte parecchie cave di pietra per le costruzioni ferroviarie. Quivi i cavatori avanzando le loro cave in vari punti, ... incontrarono molte tombe che hanno una perfetta somiglianza con le altre precedentemente descritte.» ([7]) Si passa alla descrizione delle tombe, oggi non più rinvenibili. Esse «erano scavate - aggiunge il Mauceri - quasi tutte nei versante di levante e mezzogiorno dell’altipiano e dei contrafforti. La loro forma è assai varia; abbonda per lo più il tipo della tomba a pozzo, come quella di Passarello; ma sembra che talvolta le celle invece di due siano state tre e anche quattro. In un punto pare fosse stata aperta una specie di trincea, su cui poi furono scavate parecchie celle a pozzo, ma irregolari. [...] La chiusura della bocca dei pozzi o dell’ingresso delle celle è sempre fatta con grossi massi irregolari, e in cui non scorgesi traccia di alcuna particolare lavoratura. Tutte le tombe, oltre a contenere più d’uno scheletro e parecchi vasi, contenevano anche molti ossami di animali, e terra grassa mista a cenere e carbonigia. Nessun utensile, né di pietra né di metallo.» ([8]) Segue la descrizione di n.° 11 reperti fittili, di cui viene fatta anche una riproduzione grafica. Trattasi di vasetti di terracotta, di frammenti di una “coppa di un vaso grande”, di “una specie di olla”, della “coppa di un calice”, di un “vaso di bucchero”, nonché di un “utensile di terracotta a forma di un corno”. Non è questa le sede per riportare diffusamente la descrizione che fornisce il Mauceri: per gli appassionati, si fa rinvio alla pubblicazione ed alle tavole ivi allegate. La conclusione di quella corrispondenza contiene affermazioni che l’ulteriore sviluppo dell’archeologia ha solo in minima parte confermato. «Gli altopiani rocciosi e naturalmente muniti di passarello, Pietrarossa, Fundarò e Pietralonga, ([9]) - conclude l’A. - nei cui contorni sonosi scoverte le tombe da me descritte, mi sembrano indicare il sito di altrettante dimore stabili dei Sicani, tanto più che ho osservato alle falde di ciascuno abbondanti sorgenti d’acqua. In ispecie a Pietralonga, chiunque esamini la contrada, troverà indicatissimo il sito di una città; ond’io ritengo che di queste notizie potrà in qualche guisa avvantaggiarsene la topografia antica di Sicilia, potendosi ivi collocare qualcuna delle città sicane (Ippona, Macella, Jeti, ecc.) di cui è tuttora incerta la giacitura.»
Dopo la descrizione di quel rinvenimento casuale, nessuna campagna di scavi è stata sinora portata avanti nel territorio racalmutese. Quell’antichissima - ma certa - presenza umana resta dunque per ogni altro verso oggi del tutto oscura. Si trattò di un popolo sicano, ma come visse, con quale evoluzione, con quali strutture socio economiche, si ignora del tutto. Possono slo avanzarsi congetture: ma esse risultano alla fine inappaganti.
Quel che le affioranti testimonianze archeologiche dimostrano con certezza è un policentrico insediamento sicano che può farsi risalire alla prima fase dell’Età del Bronzo (1800-1400 a.C.) Oltre alla necropoli lungo la strada ferrata, nei pressi di Castrofilippo, di cui è cenno presso il Mauceri, il maggior nucleo pare quello sulla fiancata della grotta di Fra Diego. Tombe rade, ma pur presenti, emergono vicino al Castelluccio, su un avvallamento del Serrone ed in altre contrade racalmutesi. Molto manomesse, ma non irriconoscibili, sono le tumulazioni sicane scavate in costoni calcarei sovrastanti la contrada di Casalvecchio o al confine tra il Saraceno e Sant’Anna.
05/04/18, 22:19
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Immagino che prima dei Sicani la Sicilia fosse abitata da uomini primitivi ,violenti, senza leggi ;uomini che ancora non conoscevano l'agricoltura..Quando si affronta questo problema cosi' remoto nel tempo bisogna tenere presente la MITOLOGIA ,che non e' tutta invenzione ma ha un fondo di verita' come sostiene G B. Vico.Ora a mio avviso i Lestrigoni o Polifemo alludono ai primitivi popoli autoctoni.Lo stesso Tucidide scrive :" Si dice che i più antichi abitatori di una parte di questo paese (sicilia) furono ciclopi e Lestrigoni; ma di loro io non saprei dire nè a quale gente appartengano nè donde siano venuti o dove si siano ritirati.Per quel che li concerne bastino i racconti dei poeti e quel che ciascuno ritiene di sapere" Comunque qualche schiarita si puo' avere solo interpretando le fonti mitologiche che non sono solo fantasia;per es quando Omero ,o chi per lui scrive di Polifemo con un solo occhio,secondo me questo significa qualcosa cioe' un uomo ancora incivile, che vive con quel che la natura offre,incapace di coltivare la terra etc etc (questa vicenda di un occhio solo e l'altra degli aedi e dello stesso Omero cieco,sapendole interpretare possono darci alcune informazioni. Per stasera basta cosi'. Lillo devi sapere che la prof Casano e' curiosissima e testardissima !! Non smetto mai di cercare fino a quando non trovo e non capisco.
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
PS. Sai nell'ultimo canto dell'Odissea è citata una serva o schiava ,non ricordo bene,SICULA!!!
05/04/18, 22:44
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
N.B. anch'io sono dilettante!
06/04/18, 19:26
Hai inviato
Hai inviato
Hai inviato
mercoledì 25 novembre 2015
giovedì 11 dicembre 2014
iliade - le cicale
Sedeano - gli anziani . presso le porte Scee;
per la vecchiaia avevano smesso la guerra, ma parlatori
nobili erano, simili alle cicale, che in mezzo al bosco
stando sopra una pianta. mandano voce fiorita.
[Il cieco Omero scrisse questi versi per me.
06/04/18, 20:15
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
( 🙂 ) Ciao fa sempre piacere rileggere qualche verso dei poemi Omerici. Circa un mese fa ho finalmente capito perche' : ci hanno tramandato che Omero fosse cieco ,mentre invece non sappiamo neanche se sia realmente esistito 🙂
06/04/18, 20:43
Hai inviato
Appunto. Mio fratello - preside - scherza dicendo che gli insegnanti sono ancora alle prese con la questione omerica.
06/04/18, 21:03
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Ma tu hai capito perche' scrivevano che era cieco?
Hai inviato
Questioni della questione omerica che invero mi lasciano alquanto indifferente. Sia un solo poeta siano tanti, sia unico l'autore dell'Itiale e quello dell'Odissea, siano almeno due, si sono versati fiumi d'inchiostro e siamo ancora fermi lì-
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
07/04/18, 16:32
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Prof.a che punto e' con i Sicani? Io mi convinco sempre piu' che quelle necropoli di cui abbiamo parlato siano frutto delle relazioni tra Sicani e micenei, del resto a Micene
07/04/18, 16:51
Hai inviato
Per una parte è provato come per gli ori della cosiddetta Reggia di Camico. Per la parte ancora più antica penso che quei rapporti micenei non ci stiano. Ma sino a quando non si faranno scavi stratigrafici all'interno dei sette inghiottitoi sotto la Grotta di Fra Diego a Racalmuto si è liberi di fantasticare come ognun crede. Si sono affacciate ipotesi di contatti con gli etruschi, i famosi pirati tirrenici. Domanda ricorrente riguarda l'ossidiana pur presente ad esempio a Gargilata o a San Bartolomea della mia Racalmuto. Etc.
07/04/18, 17:29
Hai inviato
Hai inviato
Lillo Taverna ha aggiunto 4 nuove foto.
Adesso ·
LA VIABILITA' PREGRECA NELLA TERRA DEI SICANI
Per quel che ci dice la squadra di archeologi sotto la direzione del prof. La Rosa nell'importante volume DALLE CAPANNE alle ROBBE, in quel di SERRA DEL PALCO di cui alle mappe che pur qui pubblichiamo, molto prossima alla necropoli 'sicana' della nostra Grotta di Fra Diego, vi era un evoluto centro abitato risalente a 7.000-6.500BP (before present, prima del presente) anni fa che ci ha lasciato 'campioni ceramici sui quali è stato possibile operare la datazione tramite termoluminescenza.
Come si vede una tecnica modernissima a sfondo addirittura nucleare disponibile presso la importante università di Catania. E così le scoperte archeologiche hanno fatto piazza pulita delle fonti letterarie e Tucidide si eclissa, e i tanti grandissimi studiosi di tali fonti del taglio di Pugliese Carratelli devono cedere il passo alle datazioni alla termoluminescenza.
E quei piccoli frammenti fittili che anche noi abbiamo trovato a iosa nelle nostre lande, ove sono presenti suggestive ed imponenti testimonianze di necropoli preistoriche, dimostrano una civiltà evoluta e niente affatto feroce e mostruosa quali il Tucidide vorrebbe; niente Polifemi con un solo occhio, niente Lestrigoni, niente congetture cervellotiche di primitivi ominidi che non sanno neppure coltivare la terra.
Culto dei morti, utensili raffinati, capanne accoglienti, e questo già sei/settemila anni fa. Provato per ora solo a Serra del Palco, posto lontano pochissimi chilometri dalla nostra necropoli di tombe a forno o a grotticelle occhieggianti dalla ampia parete della Grotta di Fra Diego.
Ed altre necropoli preistoriche sono sparse per tutto il territorio di Racalmuto sino al contrappsoto villaggio archeologico di San Bartolomeo.
Vaste necropoli 'sicane' a Canicattì, il Mauceri ci descrive quelle di Pietralonga in territorio di Castrofilippo. E di là a Milena e a Sant'Angelo Muxaro ricchezze antiche di cosmica importanza.
E davvero erano villaggi, insediamenti, agglomerati umani che già sfruttavano lo zolfo in quel di Palma di Montechiaro, chiusi, non comunicanti, isolati?
Non ci credo: una ragnatela viaria li collegava. Certo ancora senza ponti come viottoli che poi diverranno trazzere per divenire l'attuale realtà stradale e persino autostradale.
Il Cutaia ben fa a partire dall'Edrisi e quindi sfruttando la topografia delle note trazzere ricostruirci quel prisco affascinante ordito viario, dai presicani alla 640, la contemporanea autostrada degli scrittori.
he la struttura della rete viaria più antica dei nostri Monti Sicani mantenne nel tempo la sua ragion d'essere e quindi L'Idrisi traccia percorsi che si adagiano su antiche trazzere, allargamento dei viottoli che sicuramente collegavano i vari villaggi che oggi designiamo come sicani, alcuni dei quali risalgono a sei-settemila anni fa, come dire a tre millenni prima della tucididea conquista da parte dei sicani scacciati dai conquistatori etnici, provenienti dell'Alto Lazio a seguire le varie leggende delle fonti letterarie.
Riteniamo del tutto valida l'abile ricognizione che l'ing, Cutaia fa disegnando la carta schematica del percorso idrisiano che qui pubblichiamo, anche se ci guardiamo bene dal condividere l'ubicazione dei toponimi più o meno idrisiani.
Calogero Taverna
07/04/18, 17:47
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Io ce l'ho ed ho letto Il libro di Ruggero e mi pare che Idrisi sia troppo recente (eta' normanna 1150 circa ,per servire al nostro scopo. I rapporti tra etruschi abilissimi navigatori e i popoli delle Sicilia sono ampiamente documentati
07/04/18, 18:14
Hai inviato
Indiscutibilmente .... ma a me interessa solo portare acqua al mio mulino. Affettuosamente buona sera.
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
09/04/18, 16:28
Hai inviato
Hai inviato
Rimetto i dilemmi sugli siciliani ominidi del Paterna, che ho lasciato l+ negletti e accidiosi, alla sapente critica della ferratissima e colta prof. Rosa Casano del Puglia.
09/04/18, 19:00
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
L'ipotesi del Paterna è plausibile,ma bisogna dimostrarla! Mi sembra verisimile che i primi uomini comparsi in Sicilia,in tempi inconcepibilmente remoti, possano essere venuti dall'Africa. Virgilio (ma non solo lui) nell'Eneide afferma che un tempo la Sicilia e l'Africa erano unite.Ad avvalorare quest'ipotesi potrebbe contribuire il fatto che nella grotta di La Matina sono stati trovati scheletri di elefanti nani, cervi insomma fauna tipicamente africana. Quando si affrontano argomenti cosi' remoti non bisogna mai trascurare la mitologia. G.B. Vico scrive "" La favola è alcuna volta un adombramento della storia,in maniera che sotto gli ornamenti di quella vi stiano racchiusi dei fatti che si riferiscono alla storia degli uomini o della natura" Grazie buona serata.
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Virgilio, Eneide, libro III, vv. 656 ss.
Quinci partito allor che da vicino
scorgerai la Sicilia, e di Peloro
ti si discovrerà l’angusta foce,
tienti a sinistra, e del sinistro mare
solca pur via quanto a di lungo intorno
gira l’isola tutta, e da la destra
fuggi la terra e l’onde. È fama antica
che di questi or due disgiunti lochi
eran prima uno solo, e che per forza
di tempo di tempeste e di ruine
(tanto a cangiar queste terrene cose cose
Può de’ secoli il corso), un di smembrato
fu poi da l’altro. Il mar fra mezzo entrando
tanto urtò, tanto ròse, che l’esperio
dal sicolo terreno alfin divise:
29 gen 2023, 21:08
Hai inviato
Dopo cinque anni mi faccio vivo, Ho subito un gravissimo lutto e sono stato in depressione pronda. Ora mi sto riprendendo. Prendo contatti con Lei pe via dei suoi apprezzati studi sul sistema viario greco romano. Sto tentando di fare alla casa Sciascuìia di Racalmuto un convgno di studi su tale argomento, esteso comunque alle notazioni geogradìfice del Malaterra, dell'Idrisi, del Du Mazel A.V.S:) e tenendo conto del libello delle più atiche carte della Cattedrale di Agriento. le sarei molto gato se ella volesse partecipare. Calogeo Taverna
29 gen 2023, 21:28
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Ciao Calogero bentornato su fb. Mi chiedi se voglio partecipare al tuo lavoro ovviamente si,però vorrei sapere nello specifico di cosa si tratta per vedere se ho libri,dispense dell'università utili a quello scopo. Fammi sapere un cordiale saluto Rosa
Hai inviato
Sto pubblicando su FB un tuo splendido lavoro. Potresti illustrarlo in quel convegno che peò è in fase di gestazione.
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Per il mio lavoro ti riferisci alle "Rete viaria nella Sicilia greca e romana?
Hai inviato
appunto
Hai inviato
Abbiamo avuto un piccolo dibattito a suo tempo ... mi pare che eravamo arrivati a qualche sorprendente risultato quanto alla fascia tra Agrigento Naro Vassallaggi Sutera Castronovo Agrigento. Il tuo apporto è fondamentale, tenendo presente che le notizie al riguardo sono scarsissime. ..
Hai inviato
Ma questp è un primo approccio. ìè da disctere e concertare ...
Hai inviato
Le mie ambizioni sono altissime .. i probabili organizzatori sono invece molto cauti anche se in linea di principio non sono contrari. Ma tra il mio ececssivo ottimismo e il cauto atteggiamento degli organizzatori la via mediana secondo me è praticabile.
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
ok. Lillo francamente l' argomento mi sta a cuore però devo cercare tra le mie carte altre informazioni e per ora non posso perche sono impegnata con la diffusione nelle scuole del mio libro (uscito proprio ieri) sull'Editto di espulsione degli ebrei dalla Sicilia,1492 " Prima voglio lavorare per la diffusione del nuovo volumetto.Comunque il lavoro che mi proponi mi piace ovviamente esige disponibilità di tempo che per ora non ho.Ti faroò sapere grazie di cuore per la stima ,puoi scrivermi quando vuoi lo studio della nostra Sicilia mi sta tanto a cuore.Grazie a presto Rosa
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Lillo tu in quale città abiti?
Hai inviato
Buona notte. Avremo tempo- Il convegno comunque si farebbe nel prossimo Settembre. La tua partecipazione è indispensabile nel quadro del mio progetto che mi premurerò di farti conoscere.. Quindi al momento mi basta il suo assenso di larga massima- Auguri per il tuo interessante lavoro sugli ebrei. Peraltro argiìomento che mi appassiona, specie per quanto riguarda la specificità di racalmuto. Io non sono nulla ma come microstorico dilettante focalizzo il mio impegno sul mio paese, mgari per fare dispetto a Leonardo Sciascia che tutto igorando su tutto pontificò. Quindi cercheò questo tuo lavoro che conoscendoti so a priore molto interessante innovativo e serio..
Hai inviato
Io abito a Roma , ma il mio cuore è a Racalmuto.
Hai inviato
Scusa la dattilografia - malandata: ma non hp né tempo né voglia di emendarmi.
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Ok allora a presto. buonanotte e grazie Rosa.
mer 16:29
Hai inviato
Hai inviato
Se mi mandi la e.mail potrò inviarti questo ed altro materiale preparatorio del convegno insediamenti e vie medievali nell'area dei Sicani.Ad 88 anni non sono in vena di cerimoniali. Scrivo come mi viene. La mia e-mil ad ogni buon fine è calogerotaverna@hotmail.it
Hai inviato
Salve
16:30
Rosa
Ciao ☺️
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Vedi che io ho già fatto un lavoro sulla antichissima viabilità in Sicilia.
Hai inviato
Lo conosco, l'ho ben presente eguìià sta nel carteggio molto fitto proteso ad ognanizzare il convrgno di cui ebbi a parlarti.
Hai inviato
Naturalmente sto avendo molti intralci e dato il mio carattere rissoso ho mandato molti vaa... a gente che sireputa importante. Sto cambiando progetto: fare una serie ditrasmissioni nella locale TV STUDIO )(.
Hai inviato
Vedo che manco mi legi neppure qui. Bene! mi riprendo tutta la mia libertà di critica e la mia nota ven DI SARCASTICO DADAISMO.
18:32
Rosa
ma che dici ti ho letto ! Che dovevo rispondere? Il lavoro sulla viabilità in Sicilia io tempo fa l'ho fatto. Tu cosa vorresti fare in particolare ? Io non lo capisco.Fa come vuoi.
Rosa
Rosa Casano Del Puglia
Se non ho il pc acceso è ovvio che non posso rispondere subito!
Hai inviato
ovvio, > Ma spesso l'ovvio non appare.
Hai inviato
In breve sogno ambiziosissimo: confronto tra addetti ai lavori sulle loro rocerche relative allo statu abitativo e viarioa, nella Trra dei Sicani come descritta da Strabone. Partendo da Idrisi, andando indietro con Malaterra, ed avanti con Re ietro, , con il Libellus del Collura, con le carte vaticane del Du mazel, chiarire toponimi, insediamenti, rete varia e possibilmente ricristianizazione sempre do quell'aia,, e correggere topiche, cervellotiche congeture, supponenze, minchionerie etc etc.
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In una parola, far chiarezza sulla preistiriam protostoria, storia antica e quellamedievale della mia terra.
La rete viaria nella Sicilia Greca
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La rete viaria nella Sicilia Greca
La rete viaria nella Sicilia Greca di Rosa Casano Del Puglia
mercoledì 15 febbraio 2023
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Strabone ci descrive Enna alquanto isolata, aperta verso Catania ma non verso Agrigento.
Nella rivolta servile di Euno,, l'estensione all'agrigentino avviene autonomamente, contigua quanto vi pare ma a se stante. Un pastore, espressione quindi di una realtà pastorizia anziché contadina riesce a sobillare tanta gente, dedita alla pastorizia come lui, CLEONE. Non è che ne sappiamo molto. Qualche dato riesco a cogliere consultando enciclopedie, ed è tutto qu:
" L'insurrezione si estese e il mandriano Cleone, dopo aver sollevato i siciliani ridotti in schiavitù nella zona di Agrigento, riconobbe Euno come re. L'esercito ribelle espugnò Morgantina (presso Aidone) e Taormina e continuò ad aumentare, arrivando, sembra, a contare 200.000 uomini. La guerra di liberazione degli schiavi fu totale: sconfissero più volte le legioni romane, fino al 133/132 a.C. e buttarono a mare i rinforzi inviati da Roma; quando la guerra in Lusitania fu sospesa il console Publio Rupilio fu inviato in Sicilia e gli ex schiavi siciliani accorsero a Messina per difendere la porta .
della Sicilia."
Tanto mi pare che avvalori il racconto di Strabone che così descrive il circondario dell'ennese:
"Enna è abitata da un esiguo numero di abitanti e si trova su un poggio interamente circondato da vasti altopiani che si prestano alla coltivazione. La città ebbe particolarmente a soffrire per le rivolte di schiavi capeggiati da Eunoo."
Quindi ristretti enclave fertili e poi distese aride per pastorizie sparse, abitate da pastori e caprai non certo ospitali, non certo socievoli.
Pensare a reti viarie confortevoli come ormai i romani erano adusi è equivale a svolazzo romantico magari intriso di campanilismo dilettantistico.
Calogero Taverna
domenica 12 febbraio 2023
Carissimo Calogero, come credo abbia intuito io mi sono indotto ad un feroce revisionismo di tutta la storia (e preistoria) dell'area sicana. Non pretendo assolutamente di avere io la verità storica in tasca Credo comunque che là dove c'è muffa di falso, allora il mio odorato di vecchio patito delle cose antiche salta fuori e mi avverte.
Credo l'Idrisi un cumulo di relata refero peraltro mal sentite o percepite, dato che vi fu il passaggio traumatico dal dialetto arabo a quello toscano... e alla lingua latina. e quindi alla bizantina.
Poi, a solo titolo di esempio, ecco Sttabone erudirci sulla sua contemporanea società sicana dell'agrigentino e del nisseno. fiorente civiltà sicana venne fagocitata da quegli diseredati della Magna Grecia e da quei voracissimi romani del dopo 'post bellum punicum,.
A credere a Sreabone, solo piccoli lembi di terra sulle apriche montagne sicane erano piuttosto coltivate (grano, miele e zafferano... .(cosi traducono il termine greco krocus).
Se capisco bene Strabone, SI TROVANO BELLA TERRA AL CASTELLUCCIO, ALLA MONTAGNA, ALLA NOCE, ALLO ZACCANELLO: LEMMI GUARDA CASO CHE NULLA HANNO A CHE VEDERE CON IL CORROTTO LINGUAGGIO DELL'iDRISI.
PER ME LI BALATAZZI ERANO TERRE DESERTE SENZA RETE VIARIA, SENZA TRAZZERE. LE TRAZZERE PER ME SONO COSE POST NORMANE.
Ovvio le mie sono ipotesi. Vorrei un convegno a alto livello scientifico che cominci a razionalizzare queste sparse fronde - a dire il vero - di velleitari dilettanti locali.
Calogero Taverna
Se Giuseppe Picone,. storico insigne. arabista, in contatto con Amari, mi dice che Minsciar corrisponde a S. Angelo Muxaro, io gli credo anche perché collima con altre mie cognizioni microstoriche desunte dal Malaterra, dal Libello, da fonti storiche e documentali persino coeve , come spiego altrove. E quindi mi sembrano risibili e velleitarie affermazioni opposte che vorrebbero quel toponimo di Idrisi, chi al Serrone, chi non so dove, chi in lande opposte
Forse un po' di modestia in più gli autodidatti dovrebbero averla.