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venerdì 25 gennaio 2013

Torniamo alle cose nostre, ritorniamo a parlare della famiglia La Rocca


Quando un rispettabilissimo discendente del grande personaggio che fu tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento lu zzi NUCU LA ROCCA mi chiese di farne la celebrazione STORICA, mi trovai in qualche imbarazzo. Mi sono detto: e che scrivo? Se faccio la storia di famiglia – anch’io per via di mia nonna materna vi appartengo – qualcuno mi direbbe lu sceccu ca s’avanta nun vali mancu un sordu.

Vero è, ma il signor Nicolò La Rocca, castaldo dei nuovi ricchi Nalbone (arrinanzati, direbbe oggi Giovanni Salvo riportando il termine nei suoi corretti binari dopo le deformazioni di Camilleri), è figura singolare. Già, potete notare la sua quasi neoclassica gentilizia accanto a quella di quelli che furono i suoi fiducianti. Come ciò ebbe a verificarsi non lo so. I signori di nuovo conio erano stullicusi; uno di loro più vanesio che valoroso pretendeva il baciamani più e meglio di un vescovo. Questo mio zio Nicolò – che molto apprezzava mio padre – se lo portò da codesti galantuomini; codesto mio zio costrinse mio padre a baciare la mano al “commendatore" - che poi commendatore non era, ma solo un insignito del Vaticano per atto di ruffianeria di un padre gesuita nei confronti di colui che tutti credono – infondatamente  -  “papa nero”. Alle proteste di mio padre, dopo,  appena usciti per istrada, ma zzi Nicu  rabbonisce il mio contestatore genitore: lassa perdiri, Pe’; tutti amma a campari!

Eppure la gentilizia arrogante accanto a lor signori gliela lasciarono fare.

Mi sono detto: un testo di storia non posso scriverlo: non c’è materia, ma una sorta di quadro paradigmatico di come si visse a Racalmuto, si può. Tanti volumi persino si possono sfornare. Volumi no, ma post disordinati e sbrindellati, sì.

Ne ho licenziati alcuni, continuo. Finché mi accorgo che mi leggono perché no?

Orsù dunque, la famiglia La Rocca non fu mai né prolifica – meno che alla fine dell’Ottocento -  né egemone: se la cavava. Per avere personaggi importanti dobbiamo arrivare alla seconda metà del novecento quando un nipote diretto di ma zzi Nicu prese la laurea in medicina a Palermo. Con un giovane dorato figlio del notabile medico don Lillì Grillo aveva corso la cavallina nella depravata (per i ristretti ambiti sessuofobi racalmutesi) Modena, dove io ebbi ad approdare il 31 gennaio 1960 (festa di San Geminiano) come segretario in esperimento della Banca d’Italia.

Ma Nicuzzu era dovuto già tornare in Sicilia e finalmente conseguire la laurea a Palermo. La volitiva, una grandissima e bellissima donna che da Grotte era trasmigrata a Racalmuto, moglie dell’unico figlio maschio di ma zzi Nico, Luigi La Rocca, era riuscita finalmente a richiamare il figlio all’ordine,  bloccando ogni acquiescenza ed indulgenza di famiglia.

Qui si incontra (o si reincontra) con il molto assennato giovane medico, il futuro professore Nalbone. Questi ha una rudimentale nuova macchina che sprigiona raggi X che consentono di guardarti dentro e far diagnosticare se ci capisci malattie nascoste nel ventre o nei polmoni. Nicuzzu era stato requisito senza vocazione dal celebre Papa Nero per divenire padre gesuita. Poté così fare ginnasio e liceo pressoché gratis – tanto da spingere un malevolo Sciascia a certa facile ironia, trasfusa nelle celeberrime PARROCCHIE. Pare che fosse bravo. Se ne uscì in tempo e come dissi andò a Modena per godersi finalmente una bella e passionale libertà. Con quella macchina del Nalbone mise sotto raggi una trentina di salinai, vi abbozzò una tesi che fece bella figura alla laurea. Poi, divulgando magari segreti professionali in campo della salute dei privati, Malgrado tutto ne ha fatto una pubblicazione come se fosse un pamphlet  dal bel titolo: il dito nella piaga o qualcosa di simile. Questo non è un trattato storico e le cose le scrivo così come mi vengono, o come le ricordo e soprattutto come me le hanno raccontate.

A questo punto ho superato le seicento parole. Metto per ora un codicillo quasi storico.

Nel 1618 a Racalmuto stanno a debita distanza, in una periferia GERLANDA LA ROCCA, nella periferia opposta PAOLO LA ROCCA.

Debbo saltare al 1822 per trovare finalmente un La Rocca che si distingua:  si tratta di Mastro Francesco La Rocca che coabita con Vincenza La Rocca che ha tutta l’aria di essere una sorta di monaca di casa, non posso dire orsolina, per veto temporale. Piluccando piluccando, mi imbatto con una La Rocca sposata, ma è vedova; vedova di chi? di un tal Pomo o è essa una Pomo che aveva sposato una La Rocca? le carte della Matrice le appioppano un doppio cognome, la dichiarano vedova e la censiscono nel
VINCENZA
LIBERA
QUARTIERE DI SAN SOTTO  LA MATRICE
GIUSEPPE
 

 

Vicino agli altri due scarni nuclei familiari. Traggo questi dati dai miei appunti, un profluvio. E qui li trascrivo così come ebbi ad annotarli una ventina di anni fa.

 

6612
LA ROCCA
FRANCESCO
MASTRO
6616
LA ROCCA
VINCENZA
LIBERA

QUARTIERE SOTTO LA MADRICE DALLA PARTE DI DIETRO

QUARTIERE S. GIUSEPPE
6671
PITROTTO
FRANCESCA
VEDOVA
6676
POMO E LA ROCCA
GERMANA
VEDOVA
6680
POMO
GIUSEPPE
MASTRO

ANNO 1618

LA ROCCA GERLANDA
 
 
LA ROCCA PAOLO

 

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