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domenica 24 maggio 2015

Torna il poeta dall’onirica malinconia Calogero RESTIVO da Racalmuto per un secondo racconto, leggero, rievocativo, distaccato nella scrittura, immerso e sommerso nell’animo.


Torna il poeta dall’onirica malinconia Calogero RESTIVO da Racalmuto per un secondo racconto, leggero, rievocativo, distaccato nella scrittura, immerso e sommerso nell’animo. Anni lontani, memorie agresti, la mucca Severina e il padre distolto dalla terra, dai campi dal piccolo re per una guerra che si apre e si chiude  senza un senso, fuori dalla ragione umana. La fine di una guerra e una mano sulla spalla, e un grido fallace di vittoria quando si era perso. Ma il piccolo re sembrò aver vinto per la sua corsa tra i suoi “cugini re”.


 


Qui tanto olezzo di una elegante semplicità, di uno scrivere levigato, dalla sagace paratassi. E svetta anche nel narrare il poeta delle  cose umili Calogero Restivo da Racalmuto


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La ballata del piccolo re. Raccontino (non tanto) fantastico


 



Mio padre non era un re ma viveva da re nel suo piccolo regno: una piccola casa, un piccolo campo, un piccolo orto. Le nubi, prima di urtare le grandi torri e sfrangersi contro i merli del vecchio castello, lasciavano cadere una pioggia sottile bastevole per assicurare buoni raccolti.


Un giorno, che era seduto sull’aia a riposare, venne un re vero. Era un re piccolo piccolo che sembrava un bambino. Arrivò su una carrozza d’oro, e pennacchi colorati avevano i cavalli.
Si avvicinò a mio padre, lo prese per un braccio come si fa con gli amici “Sono stanco del viaggio” disse sedendosi e continuò “un vicino cattivo non ci vuole restituire questa terra nostra” e la indicò con il dito sulla carta “ Una terra dove abitano nostri fratelli.
Ci dobbiamo armare e fare la guerra, che quello” e con la mano indicava vagamente in alto “ci restituisca il nostro”. Mio padre lasciò i campi che erano già pronti per la semina, salutò la mucca Severina, al cane raccomandò di occuparsi di questo e di quello e andò via.
Andò per terra e per mare, per giorni e giorni andò finché non giunse dove le montagne avevano cime che si facevano cielo. Restò a bocca aperta a guardare.
Il re piccolo venne “Vedi” ed indicò lontano oltre le montagne “sta là il nemico” disse e andò via. Mio padre si mise a guardia e il nemico venne, avanzò fin dentro le case e fu allora che incominciò a sparare perché il nemico era il lupo che aggredisce le pecore fin dentro gli ovili. Avanzavano, quei soldati, incuranti del pericolo e certi della vittoria, ma quando si accorsero che quella cosa nera in mezzo alla neve non la smetteva di sparare e di seminare morte, si fermarono, fecero dietro front e incominciarono a correre per salvare la pelle.

Quando del nemico non si vedeva più nemmeno la polvere che si lasciava dietro fuggendo, venne il piccolo re e a mio padre che stava a terra sanguinante disse:
“E’ tutto finito… puoi tornare a casa tua, ora”. Gli batté la mano sulla spalla, come si fa con gli amici, salì in carrozza e partì. La gente gridava: “Viva il re, evviva…” perché avevamo vinto e il re correva a sedersi al tavolo della pace con i suoi cugini re.

 

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