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martedì 7 luglio 2015

Don Vincenzo D’Averna


Ci sembra un parente dell’arciprete d. Gerlando D’Averna, ma non abbiamo prova alcuna ove si eccettui una qualche singolare coincidenza. Sicuramente non era racalmutese. E’ cappellano della matrice a partire dal luglio del 1571. I salti della documentazione parrocchiale ci impediscono di sapere sino a quando operò assiduamente. Comunque, stando agli atti di battesimo disponibili, nel successivo periodo che decorre dal 6.11.1575 sino al 21.5.1576 è il sacerdote officiante in n.° 76 funzioni battesimali. Dopo quella data non lo s’incontra più, ma vanno tenute presenti le interruzioni che si riscontrano per quel periodo nell’archivio della matrice. Don Vincenzo D’Averna non appare nel “liber” della parrocchia: ovviamente già nel 1636 si era perso il ricordo di quel cappellano.

Don Giuseppe D’Averna

 Appare per la prima volta in un atto notarile della confraternita di S. Maria Inferiore del 31 agosto 1578:
Terrae Racalmuti Die xxxi° augusti vj ind. 1578. - Notum facimus et testamur quod Reverendus pater Joseph d’Averna cappellanus, Antoninus de Acquista; Jo Grillo et Vincentius Macalusio rectores venerabilis  ecclesiae Sanctae Mariae Inferioris ...
Nel 1580 fa da padrino di battesimo a Vincenza Stincuni:
14 2 1580 Vincentia      di Gerlando Stincuni e Angela; lo q. don Joseph di Averna  la q. Betta la Carretta'.                                    

E’ poi assiduo come cappellano sino alla data della sua morte che il ‘Liber’ segna sotto la data del 26 ottobre del 1600 (Liber in quo adnotata .. cit. col. 1. n.°  13). Una malcerta annotazione sembra indicarlo come Vicario Foraneo, ma è indizio troppo dubbio per essere certi che abbia ricoperto tale importante carica. Comunque è presente nei battesimi dei figli degli ottimati locali come quello di
3     7 1598 Margarita donna di Geronimo don Russo e di donna Elisabetta Del Carretto, per don Gioseppe d'Averna; patrini Vinc. Piamontese et soro Gioanna Piamontese                                                                             

Elisabetta del Carretto era figlia di Giovanni del Carretto, conte di Racalmuto e di donna Caterina de Silvestro. Ella fu legittimata il 12 novembre del 1587, come emerge dall’esordio del  seguente atto regio:
(1587, 12 novembre)
Philippus etc.
Vicerex et gen:lis Capitaneus in h: S: R: D: D: Elisabeth del Carretto fid: reg: D.S.
Solitum est Principis et illius vicem gerentis gratiam et favorem legitimationis suis  ... subditis  cum itaque vos predicta d: Elisabetha nata et procreata estis ex Ill.re d: Joanne del Carretto comite Regalmuti uti coniuncto cum nobili d: Catharina de Silvestro et sic illicito toro egeatis, propterea huiusmodi legitimationis beneficio et gratia munificentia gratiose decorari atque investiri supplicationi dicti ill. genitoris vestri benigne inclinati, considerantes dignum esse et rationi consone et quae parentum culpa et naturalium defectum impediuntur, per principem ligitimationis beneficio reparentur; et super eo favor regius largiatur, providimus ad relationem Sp: Reg: Conservatoris Jo: Francisci Rao J.P. die 20 Julij XV: Ind. 1587. Concedatur circa prejudicium monentium ab intestato, tenore igitur presentium de certa nostra scientia, motu proprio deliberato et consulto et de gratia speciali regiaque auctoritate qua fungimur in hac parte et regiae postestatis  plenitudinem legibus absolutam qua uti colimus, ac si motu proprio inducemur, vos predicta d: Elisabetham ex inonesto et illicito coito legitimamus et ipsius legitimationis beneficio et privilegio decoramus et insignimus, etiam habilitamus ad omnia et singula legitima successione hereditatis et ad omnes onores omnesque dignitates si ex legitimo toro nata et procreata esses, et succedatis et succedere possitis, et valeatis pleno jure omnibus et quibuscumque juribus de bonis paternis et maternis, mobilibus et stabilibua, sese moventibus allodialibus quibscumque etiam nominibus debitorum acquisitis et acquirendis de praesenti, praeterito et futuro in testamento, sive ab intestato, seu aliquoquocumque jure, tutulo, ratione, actione, seu causa et successione et dictis vestris parentibus, ac etiam admitti possitis et valeatis ad quamcumque aliam successionem omnium et quorumcumque aliorum superiorum et inferiorum ascendentium et descendentium, ac transversalium, fratruum, consobrinorum et aliorum quorumcumque tuorum ex testamento et ab intestato et ad quamlibet aliam ultimam voluntatem etiam ea donatione et quacumque alia ratione, sive successione, titulo, jure sive causa, directe vel indirecte tamquam legitima et legitimata.

Giovanni del Carretto, fa sposare la figlia, attorno al 1590, con il nobile Girolamo Russo. Costui figura come governatore del castello di Racalmuto nell’ultimo scorcio del secolo. Un’eco affiora in certo carteggio scambiato tra il vescovo di Agrigento Horozco Covarruvias e la Santa Sede, come si è visto nello stralcio di un documento vaticano sopra riportato.

Clerico Blasi Averna


Tra il 1579 ed il 1581fa capolino negli atti parrocchiali tal Clerico Blasi Averna. Di lui non fa menzione il “Liber”: era dunque sparito persino dal ricordo nel 1636. Nel rivelo del 1593 figura tal Blasi Averna, ma è un ragazzo di 22 anni che vive con la madre Vincenza nel quartiere di S. Giuliano: non ha dunque nulla a che vedere con il chierico in questione. Costui sposerà nel gennaio del 1601 Agata Mastrosimone, come da seguente trascrizione della Matrice:
7 1 1601 Averna Blasi di Antonino q.am e di Vicenza q.am con Mastro Simuni Gatuzza di Nicolao q.am e di Francesca; testi: Muntiliuni cl. Jac. e Gulpi Antonino: Benedice il sac.Macaluso Jo:

Don Monserrato d’Agrò.


Compare come cappellano della Matrice attorno al 1579, agli esordi dell’arcipretura Romano, e la sua missione sacerdotale, in subordine all’arciprete, dura sino al 1594. Sotto la data del 30 aprile 1595 lo incontriamo negli atti della chiesa di S. Maria di Gesù, di cui è divenuto cappellano. Nel coevo atto di assegnazione di un’onza di reddito da parte dei fratelli Vincenzo e Giacomo d’Agrò per avere in cambio la concessione di sepoltura nella medesima chiesa, don Monserrato d’Agrò fornisce il suo benestare nella cennata veste di cappellano:
Praesente ad haec omnia et singula praesbyter Monserrato de Agrò, mihi etiam notario cognito et stipulante pro dicta ecclesia uti eius cappellano et se contentante de praesente attu et omnibus in eo contractis et declaratis et non aliter.
 Ma negli ultimi giorni di agosto dell’anno successivo è già infermo e si accinge a fare testamento. Il suo attaccamento alla chiesa di S. Maria di Gesù è tale da presceglierla quale luogo della sua tumulazione. A tal fine assegna una rendita annua di un’onza e 3 tarì.
In un atto della chiesa del 12 settembre 1596 viene formalizzato il contratto di concessione in termini che sono uno spaccato del vivere civile e religioso dei racalmutesi dell’epoca. Per questo lo riportiamo  pressoché integralmente in appendice.[i]
Sappiamo dal rivelo del 1593 che a quel tempo il sacerdote aveva 45 anni. Era nato dunque attorno al 1548. Muore giovane, all’età di 48 anni. Abitava, apparentemente da solo, nel quartiere della Fontana come da questa nota del rivelo del 1593:
3 149 AGRO' (DI) PRESTI MONSERRATO [Sac:] CAPO DI CASA DI ANNI 45

La cappella desiderata da don Monserrato sorse nella chiesa di S. Maria vicino a quella di S. Maria dell’Itria e di fronte all’altra ove era raffigurata l’immagine di S. Francesco di Paola (intus dictam ecclesiam Sanctae Mariae Majoris prope  Cappellam Sanctae Mariae Itriae in frontispicio cappellae Imaginis Sancti Francisci de Paula...). Risulta che questa fu dedicata a S. Michele Arcangelo ( nell’atto del 1604 si parla, infatti della dote Cappellae Sancti Michaelis Arcangeli condam presbiteri Monserrati de Agrò).
Per quel che ci dice il Rollo della confraternita di S. Maria di Gesù, don Monserrato aveva almeno quattro nipoti di cui si ricorda nel testamento:
Est sciendum quod inter alia capitula donationis causa mortis facta per condam don Monserrato de Agrò Paulino, Natali, Joseph et Joannelle de Agrò eius nepotibus est infrascriptum capitulum tenoris  .... [ii]
Il nipote Paolino d’Agrò risulta figlio di quel Simone d’Agrò che approvò la transazione feudale con il conte Girolamo del Carretto nel 1581 (è il 229° dei presenti nella chiesa maggiore di Racalmuto che diedero l’assenso il giorno 15 gennaio 1581). Don Monserrato si limiterà ad apporre la sua firma come teste. [iii]


I primi cappellani:

1.    don Vincenzo Colichia;

2.    don Antonino La Matina;

3.    don Dionisi Lombardo;

4.    don Antonio Castagna.

 


Il più antico quinterno di atti battesimali della Matrice è composto di n.° 26 colonne. In alcune parti è indicata la data del 1554 (ad esempio 24 di augusto 1554 o die Xbris 1554) in altre 1563  (adi 9 januarii 1563) ed in altre ancora 1564 (junii VII ind. 1564). Non è facile districarvisi. A noi comunque sembra che le date sia apocrife, aggiunte successivamente. In effetti il fascicolo dovrebbe essere datato 1563-64, settima indizione anticipata.
Vi vengono segnati i sacerdoti che celebrano il battesimo. Sono costoro i cappellani della Matrice (operante nella chiesa di S. Antonio). Non riscontriamo mai la presenza dell’arciprete (né don Gerlando d’Averna, né quello che si considera il suo predecessore,  don Tommaso Sciarrabba (“Arciprete e canonico della cattedrale di Girgenti anno 1553”, annota il Liber citato, c. 1 n.° 2).
I cappellani officianti risultano:
1. don Vincenzo Colichia;
2. don Antonino La Matina;
3. don Dionisi Lombardo;
4. don Antonio Castagna.

La maggior frequenza si registra per don Vincenzo Colichia e per don Dionisi Lombardo. Entrambi vengono segnati con il titolo di “presti” (prete).  Di nessuno di loro si fa il più vago cenno nel “Liber”. Nella successiva documentazione del 1570/71, riappare soltanto il cappellano don Antonino La Matina.

I cappellani del periodo successivo (1570/1571):

1.    Don Vincenzo d’Averna;

2.    Don Jo Cacciatore;

3.    Don Antonino D’Auria;

4.    Don Giuseppe Garambula;

5.    Don Antonino La Matina;

6.    Don Filippo Macina.


E’ il periodo centrale dell’arcipretura di don Gerlando D’Averna che spesso presiede alla funzione battesimale. Su don Vincenzo d’Averna ci siamo già abbondantemente soffermati. Abbiamo pure accennato a don Antonino La Matina, presente negli atti del periodo precedente del 1564 (o giù di lì). Sul D’Auria, Cacciatore e Garambula non disponiamo di altri dati. Fra tutti questi cappellani, il solo ricordato dal Liber è don Filippo Macina (c. 1 n.° 8).  Stando ai cognomi, il D’Auria, il La Matina e Jo Cacciatore possono essere stati benissimo indigeni. Il Macina ed il Garambula appaiono oriundi.

I cappellani del periodo 1575/76

1.    Don Vincenzo d’Averna;

2.    don Lisi Provenzano.


I salti della documentazione disponibile ci portano a questa quarta indizione anticipata (1575/76). I battesimi vengono ora suddivisi solo tra il d’Averna ed il Provenzano. Su entrambi ci siamo dilungati in precedenza. Arciprete di Racalmuto è ancora don Gerlando d’Averna

I cappellani del periodo 1579/1582:

1.    Don Michele Abate;

2.    Don Monserrato d’Agrò;

3.    Don Lisi Provenzano;

4.    Don Giuseppe d’Averna.


Nei fascicoli dei battesimi del 1579 appare segnato come arciprete Don Michele Romano, dottore in sacra teologia (S.T.D.). Nel Liber vengono citati Abbate (n.° 24), Monserrato d’Agrò (n.° 7) , Giuseppe d’Averna (n.° 13) e naturalmente l’arc. Romano ( n.° 4). Il Provenzano è segnato come diacono (n.° 18) non si sa se per errore o perché c’era veramente un diacono Luigi Provenzano morto il 20 luglio 1600.

I cappellani del periodo 1583/84:

1.    Don Monserrato d’Agrò;

2.    Don Francesco Nicastro;

3.    Don Paolino Paladino;

4.    Don Lisi Provenzano.


Arciprete del tempo è don Michele Romano che appare in qualche battesimo. Rispetto al precedente periodo appaiono per la prima volta don Francesco Nicastro e don Paolino Paladino: entrambi sono annotati nel Liber, ma senza alcun altro dato all’infuori del nome e cognome.

I cappellani del periodo  1584/1594:

1.    Don Monserrato d’Agrò;

2.    Don Vito Alongi;

3.    Don Giuseppe d’Averna;

4.    Don Leonardo Castellano;

5.    Don Angelo Dardo;

6.    Don Filippo Macina;

7.    Don Francesco Nicastro;

8.    Don Paolino Paladino;

9.    Don Leonardo Spalletta.


Don Filippo Macina fa una breve apparizione fra il maggio e l’agosto del 1591. Don Leonardo Spalletta appare per la prima volta il 18.6.1592. Ritorna sporadicamente d. Giuseppe d’Averna  nel 1585 e nel 1593. Dal 20 giugno 1593 comincia la sua missione sacerdotale come cappellano della matrice don Leonardo Castellano, appena consacrato prete (3 Aprile 1593). Don Angelo Dardo inizia il 3.8.1590 il suo compito di cappellano della matrice. D. Francesco Nicastro è assiduo nell’intero decennio. Dal 1° settembre 1586 sino alla conclusione del periodo sotto esame, il cappellano maggiormente presente nei battesimi è don Paolino Paladino.

I cappellani a fine secolo:

1.    Don Vito Alongi;

2.    Don Giuseppe d’Averna;

3.    Don Giovanni Macaluso;

4.    Don Leonardo Spalletta.



A ridosso del secolo troviamo altri cappellani come don Baldassare Farrauto, di cui non sappiamo però nulla a far tempo dal 18.8.1596 e don Francesco Nicastro di cui abbiamo notizie sino al 1597. L’arc. Michele Romano era nel frattempo morto (28 luglio 1597). L’arcipretura di d. Alessandro Capoccio dura pochissimo: dal 16 luglio 1598 a parecchi mesi prima del 7 merzo 1600, data dell’insediamento del suo successore don Andrea d’Argomento.

I cappellani all’inizio del 1600

1.    Don Vito Alongi,

2.    Don Giuseppe d’Averna;

3.    Don Giovanni Macaluso;

4.    Don Leonardo Spalletta.



Il 7 marzo 1600 s’insedia il nuovo arciprete don Andrea d’Argumento e sappiamo con certezza che già il 15 ottobre 1600 è presente in Racalmuto (cfr. atti di battesimo). Tutti i cappellani d’inizio secolo sono ovviamente gli stessi che operavano alla fine del ‘500. Il più anziano  fra loro è don Giuseppe d’Averna che sappiamo essere deceduto il 26 ottobre 1600. 

Gli altri sacerdoti del ‘500


Il citato “Liber in quo sunt adnotata ...” elenca sacerdoti del ‘Cinquecento di cui non sappiamo null’altro all’infuori di quanto segnalato nel 1636 dal sac. Paolino Falletta. Ne trascriviamo i dati:



Cognome e nome
note
col.
n.°
Alberto (d’) Giovanni
Arciprete di Raffadali
1
22
Alberto (d’) Giuseppe
Arciprete
1
15
Amodeo Leonardo

1
9
Bertuccio Leonardo

1
12
Calcèra Geronimo

1
14
La Mattina Stefano

1
6



Alla fine del XVI secolo ed all’inizio del successivo appare spesso un chierico Giuseppe o Simuni d’Alberto che forse è da identificare con quello del Liber, sempre che sia stata fatta qui una qualche confusione tra il chierico e l’arciprete di Raffadali.

Don Giuseppe Romano


Annotato nel Liber (c. 1 n.° 17) si riscontra solamente in questa nota a margine del libro parrocchiale delle trascrizioni dei matrimoni 1582-1600:
Die 24 ottobris Xa ind.s 1597, mi detti lu cunto don Leonardo Spalletta delli sponczalicii a mia don Joseppi Romano come procuraturi di mons.r ill.mo.
L’arc. don Michele Romano era morto solo da poco tempo (28 luglio 1597). Che vi sia un qualche vincolo di parentela, è congetturabile.

Arciprete Michele Romano


Ha tutta l’aria di essere il primo arciprete d’origine racalmutese. Insediatosi attorno al 1579, succede a don Gerlando d’Averna. Muore il  28 luglio 1597, prossimo al suo ventennio di arcipretura. Ebbe forse ad acquisire un discreto patrimonio, fatto sta che il vescovo Horozco intenta una lite al conte del Carretto per rivendicare i beni successori del defunto arciprete Romano. Il Vescovo ne fa cenno in una sua difesa inviata al Vaticano, ove fra l’altro si legge:
« [.....]Il detto Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la spoglia[1] del arciprete morto di detta sua terra facendoci far certi testamenti et atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta spoglia toccante à detta Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte debitore di detto condam Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli di esso Conte, per occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non pagare ne lassar quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal termino che per la gran Corte di detto Regno fece destinare un delegato seculare sotto nome di persone sue confidenti per far privare ad esso exponente della possessione di detta spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con intento di far mettere in condentione la giurisditione ecclesiastica con lo regitor di detto Regno. »
A distanza di secoli non è facile sapere chi avesse ragione. Di certo, il Romano durante la sua vita non si mostra contrario ai Del Carretto. Sul punto di morte è persino propenso a favorire il conte facendogli - a dire del vescovo - «certi testamenti et atti fittizij, falsi  e litigiosi».
L’arciprete Romano deve vedersela con il primo conte di Racalmuto, Girolamo del Carretto - divenuto tale nel 1576 - e, dopo il 9 agosto 1583, con il successore, l’avventuroso Giovanni Del Carretto, che finirà trucidato a Palermo il 5 maggio 1608. Entrambi furono però signori di Racalmuto che amarono starsene a Palermo. L’arciprete Romano ebbe a che fare più con gli amministratori comitali, quali Cesare Del Carretto e Girolamo Russo, che non con gli altezzosi titolari. E l’intesa sembra essere stata buona, anche quando si trattò di stabilire, nel 1581, oneri e tributi di vassallaggio.
Quando scende a Racalmuto un parente dei Del Carretto per battezzare il figlio di un personaggio eccellente, in quel tempo operante nella contea, l’arc. Romano è ovviamente presente:
“Adi 9 marzo VIe Indiz. 1593 Diego figlio del s.or Gioseppi e Caterina di VUO fu batt.o per me don Michele Romano archipr.te - il Compare fu l'Ill'S.or Don Baldassaro del CARRETTO - la Conbare l'Ill'S.ora Donna Maria del Carretto''
In ogni caso, nei raduni del popolo, chiamato ad avallare gravami tributari, l’arciprete si mantiene, almeno formalmente, al di sopra delle parti e non appare neppure come teste.

Arciprete Alessandro Capoccio


Il Vescovo Horozco lo nominò arciprete di Racalmuto nell’estate del 1598. Il Capoccio aveva vari incarichi presso la Curia Vescovile di Agrigento e non aveva tempo di raggiungere la sede dell’arcipretura: mandò due suoi rappresentanti, muniti di formalissimi  atti notarili. Presso la Matrice può leggersi questa nota apposta al margine di un atto matrimoniale:
«DIE 16 Julii XIe Indi.nis 1598: ''Pigliao la possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO (?) procuratori di don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto plubico''.» (cfr. Atti della Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -  1582-1600 )
Tre anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del Covarruvias, per presentare la prima relazione 'ad limina' dei Vescovi di Agrigento al Papa[2]. Nell'atto di delega del 12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene indicato come "Sacrae theologie professor eiusque [del vescovo] Secretarius”.
In Vaticano si conserva il processo concistoriale di quel vescovo (Archivio Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento) - ff. 30-62.). La testimonianza del Capoccio è, a dire il vero, schietta e per niente compiacente (f. 36v e 37).
Sintetizzando e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e residente per il momento in questa  corte. Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y Covarruvias  di vista  e solo da due mesi, poco più poco meno, e di non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
 Salta quindi ben dodici domande che attenevano alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui conferente). ‘Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni, poco più poco meno’.
Per quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che subentrò l'Argumento, nominato nel marzo del 1600.[3] Quel che appare sicuro è che l’arciprete Capoccio non fu presente in alcun atto di battesimo o nella celebrazione di un qualsiasi matrimonio nella parrocchia racalmutese di cui per un biennio fu titolare. A sostituirlo nelle incombenze pastorali fu di certo don Leonardo Spalletta, il cappellano di cui gli atti parrocchiali testimoniano zelo ed assidua presenza.


LA FINANZA LOCALE A CHIUSURA DEL XVI SECOLO.


E le tasse comunali? Una testimonianza preziosa e piuttosto completa ce la fornisce proprio il Rivelo del 1593. Recita il documento: [4]
« [f. n.° 807] Praesentant  Ragalmuti die XI Julij V ind. 1593 [...]
Rivelo Ragalmuto .. presentato allo spettabile Natalitio Buscello in virtù di bando promulgato d’ordine di detto spettabile delegato.

Stabili                                                                                                                         

In primis la gabella dello pane et foglie: lo pilo, vino, formaggio, panno, la ligname,  pesci e sono affittate questo anno onze quattrocento sesanta che a ragione de dieci per cento sono onze quattromilia e seicento........................................................................................................................................-/ 4.600
stabili onze quattromilia sei cento .............................................................................................. -/ 4.600

Gravezze

Nota: Paga ognie anno alli Sindicaturi onze quindici; il capitale sono onze centocinquanta: a dieci per cento.......................................................................................................................................... -/     150
Paga ognie anno per salario dello orloggio, oglio  et conci onze dodici:
 il capitale sono centovinte......................................................................................................... -/     120
                                                                                                                                                                   e anno per salario dello mastro notaro et carta per le ocurentie onze dieci: il capitale son onze cento  ......................................................................................................................................... -/    100

Paga ognie anno per spese de bagaglie de cumpagnia onze trenta:
 il capitale son onze tricento.........................................................................................................-/    300

Paga ognie anno per salario di procuratori per occorentia apresso la Corte onze dudici:
il capitale sono cento vinte ......................................................................................................... -/    120

Paga ognie anno alla Regia Corte onze tricentosettantaquattro, tarì tridici e grana quattro a dieci per cento sono onze tremila setticento quaranta quattro .................................................................... -/ 3.744

Paga ognie anno onze sei per lo pagamento della Regia Corte in tre tande onze sei; il capitale sono onze sesanta ........................................................................................................................................ -/     60

Paga ognie anno a don Loise  Mastro-Antonio di Palermo onze vinteotto e tarì dicidotto a ragione de dieci per cento: il capitale sono onze duecentoottantasei ............................................................. -/    286

GRAVEZZE QUATTROMILIA OTTO CENTO OTTANTA ................................................... -/   4.880

INTROITO ONZE QUATTROCENTO SESANTA .................................................................. -/     460

ESITO ONZE QUATTROCENTO OTTANTA OTTO TARI' UNO E GRANA QUATTRO... -/   488.1.4

RESTA DI GRAVEZZE OGNIE ANNO ONZE VINTE OTTO TARI' UNO E GRANA QUATTRO.... ................................................................................................................................................-/   280.1.4

che a dieci per cento dette onze vinte otto tarì uno e grana quattro a dieci per cento sono il
capitale onze duecento ottanta tarì undici ............................................................................. -/  280.11.0
                                                                                                                                        ------------ 

                                                                                                                                       
+ cola macaluso. J[uratus]
+ joseppi cachaturi. [Juratus]
+ antonino vilardo J:[uratus]
+ notar giseppi sauro e grillo __ J[uratus].

Gli ottimati di Racalmuto nel rivelo del 1593.


I giurati di Racalmuto allo spirare del secolo XVI sono dunque:
1.    Nicolò Macaluso: ha 45 anni; abita nel centro del paese, al 159° fuoco del quartiere di S. Giuliano; la moglie si chiama Francesca ed è coadiuvata nei servizi di casa da Dora una “citella di casa”; non ha figli che coabitano con lui;
2.    Giuseppe Cacciatore: ha 42 anni e viene fregiato con il titolo di “magnifico”; abita al quartiere Fontana al 226° fuoco; la moglie si chiama Giovannella: convivono con lui quattro figli: Giuseppe di anni 11 e le femminucce Caterina, Franceschella e Contessella;
3.    Giuseppe Vilardo: ha 30 anni ed anche lui viene fregiato con il titolo di “magnifico”; abita al quartiere Fontana al 76° fuoco; la moglie si chiama Giovannella: convivono con lui sei figli: Giuseppe di anni 9 e le femminucce  Franceschella, Costanza, Innocenza, Angela  e  Fania [Epifania];
4.    il notaio Giuseppe Sauro e Grillo: ha solo 25 anni ed è sposato con Antonella: non ha figli; professionalmente si affermerà molto; frattanto abita al quartiere di S. Giuliano al 167°  fuoco; si era sposato a Racalmuto il 20 settembre 1592 appunto con  Antonella Magaluso e le nozze erano state benedette da don Francesco Nicastro: compari, il sac. don Paolino Paladino e il maggiorente Giovan Francesco d’Amella. Abbiamo l’impressione che il Sauro e Grillo non fosse racalmutese: il matrimonio con una locale gli poteva consentire di installarsi nel feudo dei Del Carretto per una esplosiva carriera ed una fortunata professione notarile.

Sono chiamati a fungere da delegati per il Rivelo conformemente ai criteri che abbiamo in esordio illustrati:
per il principale e più popoloso quartiere di Santa Margaritella:
·      Martino di Messina: ha 35 anni circa; abita al quartiere Fontana al 29° fuoco; la moglie si chiama Catherinella ed ha un figlio di otto anni;
·      Vincenzo di Amella Pridicaturi: ha 40 anni; abita al quartiere Santa Margaritella al 369° fuoco; la moglie si chiama Biatricella; ha tre figli maschi: Giuliano di anni 9, Giuseppe di 6 e Diego di un anno, ed una femminuccia,  Jurla [Gerlanda];
per il  quartiere di San Giuliano:
·      Giovanni Antonio Sferrazza: secondo noi risiedeva al quartiere Monte di cui, come detto, non abbiamo il quinterno di dati demografici;
e per il quartiere della Fontana:
·      Giovan Cola Capoblanco;
·      Natale Castrogiovanni;
·      Pietro Bellomo.
Di questi tre personaggi non abbiamo notizie certe: dovrebbero tutti e tre abitare al quartiere Monte.

 



Chiese, quartieri e facoltà nel rivelo del 1593.


I ponderosi volumi del rivelo del 1593 non possono essere tutti minuziosamente setacciati, se non da una squadra di studiosi e con rilevanti mezzi economici. Dobbiamo quindi accontentarci di alcuni sommari cenni.
A quell’epoca la terra di Racalmuto era idealmente segnata da un sistema di assi cartesiani in cui l’ascissa era una linea ideale che dalla Guardia andava al Padre Eterno e l’ordinata (che all’atto pratico era una sequela di strade tortuose) partiva dal Carmine per giungere alla Fontana. Nel mezzo vi era di sicuro la chiesa di Santa Rosalia (sicuramente in prossimità dell’attuale Collegio, ma a quale punto non sembra che si possa individuare con certezza). In tale sistema la parte sud-ovest costituiva il popoloso quartiere di S. Margaritella; quella di sud-est il quartiere di S. Giuliano; l’altra di nord-est era la Fontana ed infine il quartiere del Monte occupava la sezione di nord-ovest.
All’interno vi erano località di spicco che negli atti ufficiali servivano per l’individuazione di case e beni: faceva spicco il rione di Santa Rosalia che in effetti risultava inglobato prevalentemente nel quartiere di San Giuliano ma una minima parte debordava in quello di S. Margaritella. Santa Rosalia - che talora veniva chiamata S. Rosana o S. Rosanna o S. Rosaria, non si capisce bene se per errata trascrizione o per omonimia popolare o per la presenza nella chiesa di qualche altra immagine della celeberrima Vergine Sinibaldi - ospitava tanti personaggi cospicui. Esclusivo appare anche il rione di S. Agata. Anche per dare un saggio di come venivano censiti i patrimoni delle famiglie (fuochi), vogliamo qui dilungarci un po'  fornendo la successiva tavola[5]:



n.°
anno
quartiere
rivelante
composizione familiare
descrizione
confini
note
riferimenti
1
1593
Fontana
Lo Nobili Orazio a. 36
Filippella m.; Marco a. 12; Francesco a. 4; Betta
casa

Fontana (quartiere)
Vol. 597 1593 Inv. 83
2
1593
S. Agata
Agrò (d') Giuseppe a. 33
Maria m.; Giovanni mesi 4
Ugo signor Giuseppe; Chiesa di S. Agata e via pubblica
casa confinante con la chiesa di S. Agata
fasc. 597 1593
3
1593
S. Agata
Agrò Pietro a. 70
Catarina m.



fasc. 597 1593
4
1593
S. Agata
Gueli Antonino a. 43
Margarita m.; Marco a. 13; Juannella; Jacopa; Betta sogira
La Licata Nardo e Sanguineo Masi
fasc. 597 1593
5
1593
S. Agata
Randazzo Antonino
Juannella m.; Geronimo a. 12; Margarita; Bartula; Santa
Ugo Giuseppe
fasc. 598 1593
6
1593
S. Agata
Sanguineo Masi a. 48
Beatrice m.; Jacopo a. 20; Gaspare a. 13
2 corpi e cortiglio
Gueli e via

fasc. 597 1593
7
1593
S. Rosalia
Alajmo Pietro dott. Medico a. 40
Francesco a. 9; Giuseppe a. 5; Marco Antonio a. 2; Caterina
1 tenimento di casi in diversi corpi
Lo Brutto Antonino
onze 30
Vol. 597 1593 Inv. 83
8
1593
S. Rosalia
Arrigo (d') Geronimo a. 56
Angela m.; Vito figlio a. 8
1 casa terrana
Macaluso Pietro
Vol. 598 1593 Inv. 83
9
1593
S. Rosalia
Barberi Joanni a. 45
Antonina moglie

Noto (di) Marino
Vol. 598 1593 Inv. 83
10
1593
S. Rosalia
Collura (la) soro Antonina
Antonella sua nipote
2 casi
Di Lio Francesco
Vol. 598 1593 Inv. 83
11
1593
S. Rosalia
Fanara Francesco a. 28
Antona moglie
casa terrana
Afflitto (d') Carlo
Vol. 598 1593 Inv. 83
12
1593
S. Rosalia
Formusa Gio: Antoni a. 24
Margarita moglie; Lauria figlia
casa terrana
Blundo Gregorio e Morriali Giuseppe
Vol. 597 1593 Inv. 83
13
1593
S. Rosalia
Giordano Paulino a. 40
Antonina moglie; Battista a. 13; Maria; Anna
casa terrana
D'Anna Pietro e ? (Maltisi ?) Antonino
Vol. 597 1593 Inv. 83
14
1593
S. Rosalia
La Licata Caterinella
ved. di Santo - Andria f. a. 16
una casa terrana
Asaro Gi.

Vol. 598 1593 Inv. 83
n.°
anno
quartiere
rivelante
composizione familiare
descrizione
confini
note
riferimenti
16
1593
S. Rosalia
Lo Re Paulo a. 45
Antonella moglie; Cosimo a. 14; Antonino a. 8; Paulino a. 8; Petro a. 3; Filippa; Francesca
casa terrana
Macaluso ..

Vol. 597 1593  Inv. 83
17
1593
S. Rosalia
Macaluso Giuseppe a. 30
Giovannella moglie; Vincenzo a. 11; Girolamo a. 6; Angelo a. 1
casa
Lo Brutto Antonino
Vol. 597 1593 Inv. 83
18
1593
S. Rosalia
Maligno ( Pro^geco ?) Filippo a. 50
Norella moglie
casa terrana
Lo Re Paulo

Vol. 598 1593 Inv. 83
19
1593
S. Rosalia
Modica (di) Leonardo
Antonia moglie; Francesco a. 3; Vincenzo a. 1
casa terrana
Macaluso Pietro
Vol. 597 1593 Inv. 83
20
1593
S. Rosalia
Sanguineo soro Joannella
casa terrana
Brucculeri Filippo
Vol. 598 1593 Inv. 83
21
1593
S. Rosalia
Taibi Alissandro a. 40
Juanna moglie; Vincenzo a. 14; Vincenza
una casa in più corpi
confina con la chiesa (S. Rosalia)
Vol. 597 1593 Inv. 83
22
1593
S. Rosalia
Taibi Salvatore a. 20
Vincenza moglie
casa terrana
La Lumia Simuni e via
Vol. 597 1593 Inv. 83
23
1593
S. Rosalia
Valentino Jacopo a. 40
Paulina moglie
casa terrana
Macaluso Pietro e via
Vol. 597 1593 Inv. 83



 

 

Dettagli del Rivelo del 1593.


Sembra fuor di dubbio che il monaco benedettino Vito Maria  Amico[6] ebbe tra le mani, verso il 1750 il materiale del rivelo di Racalmuto del 1593. Nel suo Dizionario topografico (la parte riguardante Racalmuto è riportata in appendice al libro di Tinebra Martorana) l’Amico infatti annota: «Contaronsi nel tempo di Carlo V 890 case, e 4447 cittadini nell’anno 1595», (secondo la traduzione del Di Marzo). Una particolarità ci sorprende: del censimento sotto Carlo V (che crediamo essere quello del 1548) l’A. ci fornisce il numero delle case (890) e non quello degli abitanti, per quello del 1595 (per noi 1593) fa l’inverso dandoci invece solo il numero degli abitanti. E dire che se l’Amico ebbe i due volumi dell’Archivio di Stato di Palermo (il n.° 597 ed il n.°  598) sarebbe arrivato presto a quel conteggio: bastava sommare il numero finale del primo volume delle numerazioni dei fuochi con quello del secondo per avere l’esatto (o quasi) ammontare dei fuochi di Racalmuto.
Il numero degli abitanti che ci fornisce il d’Amico è di complessa quantificazione se ha proceduto ad un analitico conteggio dei componenti dei nuclei familiari: se, invece, come crediamo, disponeva del quinterno del quartiere Monte, in calce del quale è da presumere esistesse già quel calcolo di sintesi, la fatica del benedettino fu di poco conto.
Presso il Tribunale del Real Patrimonio dell’Archivio di Stato di Palermo, all’apposito fondo dei Riveli, possiamo rintracciare tre distinti gruppi di documenti che riguardano appunto quello del 1593 fatto nella ‘terra’ di Racalmuto:
1.    alle pagine 807r - 807v del vol. n.°  596 abbiamo lo spaccato della finanza locale sopra riportato;
2.    allegati al volume stanno i quinterni delle rilevazioni fatte dagli appositi deputati, disgraziatamente limitati a solo tre dei quattro quartieri (visto che è stato trafugato quello del Monte).  A parte ci diamo carico di farne la trascrizione;
3.    in due grossi volumi (n.° 597 e n.° 598) sono annotate le dichiarazioni che i racalmutesi erano tenuti a fare dinanzi al “Delegato”, reiterando quanto già direttamente (o tramite un loro familiare) avevano segnalato ai ‘deputati’ ed aggiungendo dati sommari sulle loro possidenze. Va notato che ancora nel 1593 la ‘dichiarazione dei redditi’ non aveva la completezza che avrà poi nel XVII secolo.[7]

Località e Rioni.


La suddivisione amministrativa tra i deputati era in quattro quartieri: S. Margaritella, S. Giuliano, Fontana e Monte. Nelle dichiarazione dei privati (rivelanti) e negli atti notarili si faceva invece ricorso ad una ripartizione topografica alquanto diversa che faceva sostanzialmente capo alle varie chiese e qualche volta alle particolarità di alcuni luoghi. Non si trattava di veri e propri rioni, ma il concetto vi rassomiglia molto. Abbiamo, così:


·      il Carmine;
·      S. Margaritella;
·      S. Giuliano;
·      S. Leonardo;
·      la Fontana;
·      il Castello (o Castrum);
·      S. Francesco;
·      S. Nicola;
·      la Cava;
·      Santa Maria;
·      li Fossi;
·      San Gregorio;
·      S.Antonio;
·      la Nunciata;
·      il Monte (lu Munti);
·      lu Spitali o S. Sebastiano o S. Bastianu;
·      la Piazza (o Platea);
·      Santa Rosalia;
·      Sant’Agata;
·      li Bottighelle;
·      Zagarano..



Molte di queste località si estendevano in due e forse, come nel caso di Santa Rosalia, in tutti e quattro i quartieri.

Centro topografico del paese era Santa Rosalia - difficilmente collocabile con estrema decisione, ma certamente - come detto -  non lontano dall’asse Itria-Collegio - che era quartiere ove stavano botteghe e le abitazioni di alcuni ottimati locali (il padre di Marc’Antonio Alaimo, il dott. Pietro; i Macaluso; i Taibi; i Lo Brutto; i Sanguineo; gli Afflitto, i Monteleone; i Cacciatore; i Catalano e via dicendo). Ma il rione più esclusivo sembra quello di S.Agata (gravitante sull’attuale via Rapisardi): vi abitavano i potenti Piamontesi ed i nobili Ugo.

Molti militari stavano invece al Monte. Non molte erano le case ‘solerate’ - quelle dei benestanti - ma non rare: in cortili a grosso affollamento si ammassavano attorno le case terrane  (di norma un solo locale) ove dimoravano i poveri.
Le maestranze riuscivano a farsi soggiogare dalle potenti confraternite di appartenenza delle discrete abitazioni. Le botteghe (c.d. Apoteghe) erano in mano  alle stesse confraternite e venivano affittate con magniloquenti atti notarili ai propri confratelli.

Il castello - rimesso a nuovo a metà del XV secolo dai Del Carretto, come abbiamo sopra visto - era in piena efficienza: non vi stavano più i conti, ma vi erano alcuni loro stretti parenti che gestivano la cosa pubblica come avvenne sotto i Russo il marito della figlia spuria di Giovanni del Carretto.

Il Carmine era piuttosto deserto: del tutto fuori dell’abitato si ergeva il Convento sotto l’egida dei Del Carretto e con un valido priore padre Paolo Fanara. C’era anche un altro carmelitano sacerdote: padre Roberto Costa. Ben sei coadiutori semplici frati rendevano fertile la tenuta annessa. Costoro si chiamavano (e dal cognome sembre che fossero tutti racalmutesi): Fra Salvatore Riccio; Fra Francesco Sferrazza; fra Angelo Casuccio; fra Geremia Russo; fra Giuseppe Ragusa e fra Zaccaria Riccio. Le rade case intorno erano ripartite tra il quartiere di S. Margaritella e quello del Monte.

Rientravano totalmente nel quartiere Monte i rioni dello Spitali (l’attuale S. Giovanni di Dio), di S. Antonio, Zagarano e quello strettamente confinante con la chiesa. Vi confluivano parzialmente quelli di S. Rosalia, della Nunciata e di San Gregorio.
Erano annessi  amministrativamente al quartiere della Fontana le località di S. Agata, della Fontana vera e proprio, del Castello, di San Francesco, di S. Nicola, di Santa Maria, delle Fosse e qualche frangia di Santa Rosalia. Qualche abitante di San Gregorio viene incluso alla Fontana. 
Il nome della Nunciata appare a cavallo tra Monte e  Fontana.
Se nel 1540 quella dell’Annunciata era una ‘ecclesiola’ e Sant’Antonio la chiesa principale; dopo mezzo secolo le parti sembrano invertite. L’Annunciata non ha la grandezza dell’attuale Matrice (che conseguirà nella seconda metà del Seicento) ma è già abbastanza capiente con una ‘cupolona’, come recita un atto notarile del tempo.
Fino al 1608 S. Antonio era ancora operante ma il suo ruolo era di molto scemato. Persisteva comunque il toponimo che, come abbiamo detto, indicava una zona gravitante sul quartiere del Monte.

Lo Spitale era operante nel 1593 quando ancora non era stato affidato ai Fatebenefratelli. Tale affidamento avvenne un secolo dopo nel 1693[8] per opera dell’ultimo Girolamo del Carretto. Ma godeva già di rendite. Tale Giovanna Vigni aveva soggiogato all’Ospedale due case per tarì sei annui con atto del notaio Gio: Vito d’Amella del 10 settembre 1585[9].

Giuseppe Gulpi gli aveva costituito un’onza e 15 tarì di rendita sopra 9 salme di terra  con vigne, stanze ed alberi nel fego della Menta con due atti soggiogatori: uno del notaio Gacomo Damiano di Racalmuto in data 24 ottobre 1551 e l’altro a rogito del notaio Nicolò Monteleone in data 29 dicembre 1582. [10]

Un altro atto di dotazione dello Ospedale risale al 10 gennaio 1558, sempre a gli atti del notaio  Giacomo Damiano. Risultavano incisi quasi due secoli dopo  “Santo Cristofalo, Vincenzo e Marc’Antonio di Giglia e Isidoro Mulé Paruzzo”.

Nel 1693 ecco com’era descritto il vetusto ospedale:
«Nella terra di Racalmuto vi è un Spedale sotto titolo di S: Sebastiano che dall’antichità di esso non si ha certezza della fondazione e perciò li Prelati ... [ed i Del Carretto] have dato la cura ed amministrazione di detto Spedale, e sue rendite alli Deputati di tutte le Chiese di detta terra, li quali, benché s’havessero impiegato à tutto potere all’augumento di Esso, e suo servizio, per le molte occupazioni, e per la poco prattica con esse somiglianti, l’Ammalati patiscono della loro salute in tanto detrimento del publico di essa terra.»[11]
L’ospedale era peraltro munito di “chiesa con giogali ed arnesi”.

Qualche immigrato di spicco.


Capitava che dalle vicinanze venisse qualche persona di spicco per trovare moglie a Racalmuto. Ebbero così inizio famiglie oggi fra le più significative del paese. Dal libro dei matrimoni della Matrici estraiamo qualche esempio:
SAVATTERI (provenienza: Mussomeli)
7 7bris XIIIe Ind.nis 1586 - Vincenzo figlio di Vito et Angila Carlino cum    Margaritella figlio di Paulino et Belladonna SAVATERI dilla terra di Mussumeli, servatis  servandis et facti li tri denunciatione inter missarum solenia  et observato l'ordine sinodali et consilio tredentino, non si trovando inpedimento alcuno, contrassero matrimonio pp.ce in  facie ecclesie et foro beneditti nella missa celebrata per me  presti Francesco Nicastro, presenti li magnifici notari Cola et Gasparo Montiliuni et notaro Jo:Vito D'Amella et di multa quantità di personj”.

BUSCEMI (provenienza: Agrigento)
Die 6 di Jongno 1593 - Petro BUXEMI di la gitati di Jorgenti  cum Margaritella figlia di Jacubo di Graci, servatis servandis  .... contraessiro matrimonio pp.ce e foro benediti per me don  Paolino Paladino, presento presbiter Francesco di Nicastro, don Michele Romano e multa quantità di agenti”. 

SCHILLACI (provenienza: Cerami)
Die 9 februarij 1591 - Vincenzo SCHILLACI di la terra di Cirami cum Angila figlia di Calogiaro Savuso, servatis servandis ...., contrassiso matrimonio pp.ce e foro beneditti  per don Paolino Paladino, presenti Paulino Buscarino et Antonino di Mole' et multa quantità di genti”.  

SCHILLACI (provenienza: Sutera)  
Die 21 di Jongno 1593 - Scipiuni Jngrao di li Grutti cum Joanedda SCYLACHI di la terra di Sutera, servatis servandis e fatte le tri denunciationi inter missarum solemnia, non si  trovando inpedimento alcono, contra essiro matrimonio pp.ce e foro beneditti per me don Paolino Paladino, presenti clerico Jacubo di Avedda e multa quantità d'agenti”.


RIZZO (provenienza: Scicli)
 “Die 30 Januarii 1600 - Antonino RICZO di la terra di Xicli  cum Diana figlia di lu q.dam Minicu et Margarita Muraturi, servatis servandis et facti li tri denunciationi inter missarum solemniarum et observato l'ordini sinodali seu concilio tridentino, non si trovando impedimento alcuno, contrassiro matrimonio publice et in facie ecclesie foro benedicti per don Leonardo Spalletta, p.nti Filippo di Graci e Francesco Furesta”.

BONGIORNO (provenienza: Gangi)  
Die 6 di ferbaro 1583 - Vicenso BONJORNO di Ganci con Contissa figlia di Petro e Joannella di Antonuczo Caldararo di  Agro', a litre (lettera) di monsignore illustrissimo e  reverendissimo di Jurgenti, servatis servandis e facte li tre denunciaczioni, la prima a li 9 la 2a a li 16 e la tercza a li  20 di Jnaro inter missarum solemnia, non si trovando   inpedimento alcono contraessiro matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foru benediti jn la missa celebrata per me don Paolino Paladino, presenti lu magnifico Jacubo Piyamontisi, lu  magnifico Cola Montiliuni, lu magnifico Marino Catalano e multa quantitati di agenti

PIAZZA (provenienza: Mussomeli)
Die 8 Januarii  1594 - Minico di CHIACZA di la terra di Musumeli con Josepa di Vinciguerra, servatis servandis ..., contra essiro matrimonio pp.ce et foro benediti per me don  Paulino Paladino, p.nti Mastro Francesco Sachineo, clerico Jacubo d'Aveda e multa quantità  di agenti”.                     

LO JACONO (provenienza: Aidone)
 “Die XVo Julii Xe ind.is 1589 - Mastro Masi La Iacono della terra di Daiduni cum Lucretia figlia di Antonj et Hiaronima di Guarino, servatis servandis .... contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foro beneditti per presbiter Leonardo  Spalletta, p.nti Ioanni di Vigna et Hieronimo Piruchio et  multa quantità di genti”.



Uomini e cose da segnalare.


A Racalmuto sono stanziati come soldati di professione:
1.    Salvo (de) Mg. Ruggero, soldato anni 45, che abita al Monte;
2.    Morriali Antonino di Federico, soldato di cavallo, di anni 75, pure del quartiere Monte;
3.    Buxemi Currau anni 35, soldato, abitante anche lui al Monte;
4.    Barberi Petro anni 50; soldato cavallo, sempre del quartiere Monte;
5.    Matina (la) Gio, soldato di anni 70, residente nello stesso quartiere;
6.    Morriali Federico anni 40; soldato, vicino di casa;
7.    Sferrazza Mariano soldato di anni 22, che abita nel quartiere di S. Antonio.

In paese non è del tutto ignota la schiavitù a fine del secolo XVI.  Il magnifico Giacomo Piamontisi di anni 44 e sua moglie Beatricella tengono una “scava” nella loro abitazione di S. Agata.
La loro vicina Antonella La Licata - un personaggio di grande risalto - ne emula il singolare rapporto di schiavitù e tiene “Cristina sua serva seu scava” a tenerle compagnia nella sua vedovanza del quondam Leonardo La Licata, ricchissimo per i suoi tempi.
Del resto a quei tempi anche l’altezzosa donna Aldonza del Carretto teneva una schiava addirittura dentro il convento che l’ospitava.
Sono invece ben 17 le famiglie che possono permettersi una “citella”, una serva:
1.     AFFLITTO (D')  CARLO MAGNIFICO
2.     AGRO'(DI) PETRO
3.     ALAIMO (DI) LU M.co PETRO
4.     BALDUNI M.co FRANCESCO
5.     CATHALANO MICHELI
6.     CHICCARANO ANTONINO
7.     GUELI (DI) JOSEPPI
8.     GUELI (DE) GIUSEPPE DI JORLANDO DI ANNI 29
9.     LA LOMIA JOSEPPI
10. MACALUSO NICOLAO
11. MACALUSO PETRO
12. MONTILIUNI Not. Mco COLA
13. PAXUTA (LA) MATTHEO
14. PROMONTORO BALDASSARE LO S.r
15. SALERNO JO:
16. TODISCO Sp. ARTALI
17.TODISCO Sra SALVAGIA

Sul finire del secolo piuttosto diffuse sono le maestranze: abbiamo contato  52 mastri (il 4,11% dei fuochi). Non sono tantissimi ma rappresentano sempre una discreta forza sociale, anche se “li jurnatara” e li “burgisi” (per la gran parte contadini poveri) costituiscono la massa della popolazione, Castrojoanne Racalmuti; dictorum actorum conservatorem collectione salva.

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