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sabato 31 marzo 2018

 Quel che ... Sciascia si è perso ...

[libero spunto da Gli Amici della Noce di Franco Sciardelli Milano agosto 1997, pagg. 35 e ss.]

"La Chiesa, dunque,  che tanto ha faticato per costruire una leggenda, ora la demolisce [Malgrado Tutto e gli inossidabili Nocini di Sciascia, Cavallaro e Picone] si sono fatti apostoli della verità storica, hanno sottoposta la leggenda a serrata critica [nessun dubbio, la Beddra matri di lu munti Racarmutu l'arrubbà a Grutti, parola dello storico settecentesco  Francesco Vinci nel 1760].  E c'è da fare una considerazione: che questo nuovo corso delle cose, per Malgrado Tutto di Cavallaro e Picone la chiesa per volere del sindaco Messana (il quale a tutti i costi ci vuole inciuciare a noi di Racalmuto con li vascì di li  Grutti, fa scendere dagli altari santi che vi aveva posato  e demolisce leggende che con accurata giustapposizione, lentamente per secoli aveva  creato; questo nuovo corso Volatire [pardon Sciascia] se lo è perso. Chissà  quanto ne sarebbe stato contento, che diverentissime e divertenti pagine avrebbe scritto......."

Chiosiamo noi, ma come mai hanno potuto inventarsi castronerie del genere? La nostra 'imago miracolosissima' nient'altro che una Beddra Matri gruttisa? 

Francesco Vinci non fu per nulla uno storico ad onta dei soliti don Serafino Messana e il pacioso Eugenio Napoleone Messana. che invero alle pagg. 90 e ss. si dilunga sulla venuta della Madonna del Monte secondo siffatto Francesco Vinci ma non mi pare che accenni a Grotte;  il Vinci fu rinchiuso adolescente in seminario, ne usci presto e fu mediocre galantuomo racalmutese. 

Propagandò solo una prima versione della nostra benemerita saga della Beddra matri di lu Munti per i versi in volgare eloquio siculo del padre agostiniano centuripino don Emmanuello Catalanotto, amico e protetto dalla nobile usurpatrice della contea carrettesca di Racalmuto, la  Duchessa BUGLIO in Gaetani.

Mio fratello Angelo Taverna ebbe la ventura di trovare una ventina di anni fa quelle coroncine del successore di frate Evodio niente meno che nella soffitta della casa che fu del canonico Mantione. 

E là di venute miracolose e di Statue grottesche non v'è cenno alcuno.

Noi l'abbiamo detto e scritto in tutte le salse ma come storici simo sfortunati in quel di Racalmuto peggio di quello che sono in politica. Pazienza. 

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 il monaco Catalanotto e inizia la deformazione della saga della Madonna del Monte 

...per mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.



domenica 29 dicembre 2013


Saga veridica della Venuta della Madonna del Monte di Racalmuto


...per mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.
Chiese a confronto


La chiesa di San Giuliano è molto più antica.

Il convento degli agostiniani centuripini sorse molto povero e per pochissimi frati dediti alla penitenza e alle elemosine. Diversa l'opulenza raggiunta nel '700, ai tempi in cui il P. F. Emanuello Maria Catalanotto "agostiniano della Congregazione di Sicilia" scrisse il primo raconto, in bei versi siciliani, della Venuta della Madonna del Monte". Lo scrisse per aggraziarsi la novella Duchessa BUGLIO in Gaetani e per manigolderie giuridiche eziandio Contessa di Racalmuto.





Si vede che il convento centuripino cambia nome e possidenze e così il monaco poeta può farsi pubblicare versi come questi:
"Va dunca fistiggianti, e cu allegria
 purtannu in manu la palma, e lu gighita
 cundiri ca sì fighia di Maria,
 e spusa cara di li beddu fighiu
 trema dunca l'Infernu in cumpagnia
 chi iu fra tantu a lu nomu m'appighu
 gridandu giubilanti cu armunia
 Viva La Matri du Lu Munti, e Fighiu. 



Non certo racalmutese il poeta ma quanto a giubilarlo con le parole dell'astioso padre Caruselli di Lucca Sicula (per il quale il suo originario ispiratore si sarebbe lasciato andare a "composizione malissimamente costrutta") ci sembra ardito e malevolo concetto.
Per il buon monaco Catalanotto la narrazione del portento della "imago miracolosissima" a dirla con un Vescovo agrigentino è meno grangrignolesca, quasi quasi credibile.
Così versifica:

"In chiddi tempi quannu succidiu
 di Racalmutu si truvau a passari
 certu divotu, dottu, santu e più
 chi in Castrunovu ci duvia purtari
 la bedda Matri di lu grandi Diu


 Chistu divotu s'era assai infiammatu
 di un certu Simulacru di Maria
 Beddu, chi sinn'era anchi innamuratu
 Lu nobili Conti di chista Cuntìa.
 Chistu Signuri lu vulia lasciatu
 dannu a lu Divotu quantu avia,
 ed avendu lu tuttu rifiutatu,
 la Statua purtari si vulia.

 Ma nenti lu mischinu potti fari;
 ristau scunsulato 'ntra la via
 Pirchì li Voi nun pottiru tirari
 lu beddu Simulacru di Maria,
 Signu evidenti, chi vulia ristari
 cu li Racalmutisi in cumpagnia/
Di fattu nun si vosi alluntanari
 da Racalmutu la Statua pia.

Videndu lu divotu stu stupuri,
 fici autri novi voi radduppiari
 affinchì cu gran forza, e cu viguri
la statua putissiru purtari;
 ma ristau lu mischinu cu duluri,
 chi mancu iddi lu pottiru tirari
 Chi permisi a la fini lu Signuri
 persi lu simulacru e li dinari.


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Adesso
Lillo Taverna
Adesso ·
Io e mia moglie siamo di due mondi diversi opposti civilmente contrapposti religiosamente confliggenti.
Io Sicano, lei Cicolana.
Oggi parlavamo della nostra età.
A Racalmuto per dire che ho 84 anni diciamo:
ca aiu quattru vintini e quattru coccia.
- Coccia? ..... che sono?
- Ma orsù via chicchi. Come coccia di racina per dire acini d'uva.
Lei mi irride, io di rincalzo: - e voi nella civilissima terra degli Equi di Ufente come dite?
Lei si smarrisce ... non ricorda. Una telefonata alla sorella Liliana e così m'inchino ad astruserie linguistiche che stranno a dimostrare che l'Italia si è fatta ma l'unità degli italiani tutta di là a venire.
Dunque per Liliana:
Uva = U a
Acino = Vagu:
Vari acini di un rametto = Cercella;
Grappolo = Ciaccheru;
Cicolani di tutto il mondo contestatemi!!!!
Calogero Taverna, Sicano di cinquemila anni da oggi.

Facciamo due conti, il 32% del 72%, se non erro, fa 23% il che significa che 2,3 italiani ogni 10 hanno votato per i 5 stelle e, per giunta, in prevalenza al Sud.
Tutto bene, però questo risultato non consente, a parer mio, arroccamenti del tipo o io o nessuno, in una democrazia con questo risultato non si può pretendere di governare imponendo i propri diktat altrimenti si scade in atteggiamenti autoritari. Meditate gente....
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Lillo Taverna Lillo Taverna
Lillo Taverna Sta irrompendo una nuova dittatura? un nuovo fascismo? un nuovo uomo della provvidenza? Ha forse ragione i mio amico dottore Silvano? Corsa verso il cavalier Dimaio novello dittatore?
Gestire
Sandro Perillo Tutto sembra andare in questo senso. Dobbiamo difendere la democrazia anche per chi non ha la capacità di comprendere.
Gestire
Rispondi5 min
Lillo Taverna E purtroppo comincio a convincermi che è la quasi totalità di coloro che non più classe operaia e nemmeno piccola borghesia si stanno smarrendo in un moralismo ribelle con venature di sinistra da un lato, e di destra dall'altro. La cattiva predicazione e le campagne di odio e diffamazini stanno producendo danni quasi irreversibili
Gent.ma professoressa Rosa Casano del Puglia

Letto il Suo studio sullo stradario greco siculo. Formidabile. Scentifico.

Invero non si sa nulla sulla rete viaria delle zone interne dell'Agrigentino, quelle di Sud-Est. Diciamo la terra dei Sicani Tucididei.

Faccio ipotesi. Spero non cervellotiche congiunture Insediatisi e consolitatsi i Geloi in Akragas si misero a costruire quei magnifici templi. Con quali risose umane? Per me penetrarono nelle palufi intene e razziarono uomini bèni e cose.

Con quegli schiavi innalzarono ai loro dei i templi che ancor oggi resistono ad onta delle devastazioni di vescovi come il cinquecentesco presule spagnolo lì'Horotzco y Covarruvias (naturalmente ho fatto decennali ricerche in proposito).

Chi erano quegli schiavi predati nelle odierne lande di Canicattì, Naro Racalmuto? Ovvio i residui Sicani di Tucidide. Ma costoro quando erano penetrati in queste terre alla ricerca del salgemma e pare dello zolfo? I

Il Maugeri ai tempi della costruzione della rete ferroviaria trovò tombe e reperti e puté tracciare il percorso di questi strani popoli. Mi sono azzardato a descivere questi percorsi preistorici sicani.

Poi i Greci, quindi i Romani (guerre puniche) e poi Cicerone con i suoi itinerari contro Verre, e ancora Bisanzio e bizantini, per arrivare ai Musulmani e subito ai Normanni. Un geografo arabo-normanno l'Edrisi ci ha lasciato una pregevole e famosa ricognizione territriale. Un ingegnere del mio paese vi ha ricostruito sopra una fitta rete viaria basandosi sulla idea che è anche la Sua: 'ove trazzere ivi vecche strade'. Ha scritto un testo molto avvenente " Angelo Cutaia - L'Itinerario arabo-normanno - Sutera Agrigento nel libro di Al Idrisi - Il tracciato e gli abitanti".

Gentile professoressa Casano Del Puglia, la faccenda non la intressa? Non trova tentazioni per per ricerche e rettifiche?



Calogero Taverna

venerdì 30 marzo 2018

Carissimo Stefano, innanzitutto un caloroso augurio di felice pasqua a te e famiglia. Per come la so io, Caina nasce dal fatto che questo glorioso corpo di finanzieri con radici addirittra nella Roma papalina aveva in attaccamento al dovere e al rigore repressivo dell'endemcva evasione fiscale da non prerdonarla a nessuno neppure ai loro stessi commilitoni, se trovati in fallo, neppure ai loro congiunti manco ai propri fratellli e siccome se si finisce sotto gli artigli repressivi della Finanza sono guai seri quasi esiziali ecco il nomignolo di CAINI, uccidono - tributariamente - . anche i loro stessi fratelli se colpevoli di evasioni ed anche elusioni fiscali. E diciamolo tutta, hanno cultura e competenza tributaria impareggiabile. Gli ispettori civili del Ministero delle Finanze (quando c'era) ne erano ben lontani. Posso testimoniarlo per le esperienze fiscali che ho dovuto esperire quando per sette anni fui come arruolato in Viale dell'Aeronautica. Ho dovuto frequentare ufficiali ed anche generali finanzieri. Per la stranezza istituzionale del primo SECIT ero come loro superiore. Mi dovevano - a me burocrate della BI - fere il sottomesso saluto militare. Mio padre ne saebbe stato vendicativamente felice. Già quel mio genitore era stato vittima del maresciallo Coniglio ai tempi dei profitti d guerra. E diciamolo tutta, i marescialloni della Finanza tanto abili nell'inquisire non son sempre adamantini negli etici comportamenti. Ma i loro tufficiali reduci dalla loro prestigiosa accademia sono di ammirevole levatura culturale e professionale. L'attuale capo della Vigilanza sulle aziende di credito della Banca d'Italia - a me persona non molto gradita - proviene appunto da una di queste accedemie della Finanza. Non per nulla ha rimbambito la Commissione Casini sulle banche. Calogero Taverna
Archivio > la Repubblica.it > 2018 > 03 > 01 > .
Cronache dalla Sicilia sommersa
Non vi svelerò la trama thriller, la morte di Tano il bibliotecaro, la sparizione dell'intero liceo Maurolico, il furto di una fontana michelangiolesca e di una valigia. Mi limito a dire che è il romanzo dove il terremoto torna alla poesia settecentesca perché "... nasce la Storia / o, se vuoi dir così, nasce la Favola,/ accadon cose degne di memoria / da narrarsi al passeggio o dirsi a tavola". Ed è il romanzo dove la poesia torna alla verità del mito, quello della Sicilia sommersa sotto la Sicilia, con un appello finale ai vigili del fuoco, al genio civile, alla sovrintendenza...
perché prosciughino e scavino, "prima che sia tardi", "per riportare allo scoperto quei pezzi di territorio urbano annegati" dal terremoto, vale a dire la città di Risa che, come la verità rovesciata della letteratura, sta in fondo al lago di Ganzirri o più precisamente al lago di Faro che "sbocca verso il mare, anzi verso entrambi i mari. E infatti laggiù nuotano insieme pesci d'acqua dolce e d'acqua salata". Tanto, per vincere la paura c'è poi il bicchierino di rosolio.
Dunque finalmente Risa, la città annegata, diventa romanzo, dopo essere stato pittura – chi potrebbe negarlo? – nel paesaggio che fa da sfondo alla Crocifissione di Antonello. A differenza degli altri tre giganti italiani – Raffaello, Michelangelo e Leonardo – Antonello è carente di identità senza il "da Messina" che sicuramente riempie più del "da Vinci" e non solo perché Messina è la capitale di tutti i terremoti (36 catastrofi in due millenni), ma perché, come diceva Bufalino, "soffre, la Sicilia, di un eccesso d'identità". E si sa che troppa identità fa perdere l'identità.
Infatti Diego, il protagonista, la perde quando torna a Messina forse perché anche il suo autore, Michele, è "da Messina" con un cognome arabo, Ainis, che vuol dire "fonte" e dunque fontana: quella del gigante Orione, che fondò Messina, e quella di Nettuno, che è il dio dei terremoti e "con un colpo di tridente staccò dalla Calabria la Sicilia". Diego non ritrova le fontane che sono monumenti a quell'acqua che inghiotte il mondo a cominciare dal Collegio di Sant'Ignazio e dalla sua chiesa che davvero, in una notte del 1973, sparirono da piazza Cairoli: con la complicità della Dc e della stampa locale, furono demoliti, più in furia che in fretta, per far posto a una Standa.
E Diego inutilmente va nel Belice, che dei terremoti è la Città Santa, a cercare Jacopo, il fratello prete, "u picciriddu", che conviveva in canonica con una donna, la baciava davanti ai parrocchiani e prendeva a cazzotti chi osava protestare. E più Diego si perde e più somiglia al fratello che si è perduto. Anche perché la sua Camilla è la stessa scandalosa Camilla del prete. Ci sono anche Carolina, Maria, Lucia ("o Luciana?
o Lucilla?"), donne di Messina che per il suo poeta Bartolo Cattafi è "Terra e mare d'eccessi/ che perciò passa / dal nitore del mare alla crosta nei cessi". Ma Diego non è Jacopo e non è neppure il suo autore. E questo Michele Ainis non è il famoso costituzionalista, l'editorialista di Repubblica che ci insegna a voler bene al Diritto e ai Diritti, ma è il Michele Ainis sommerso che ci racconta il mondo dove tutto è doppio: due mari, lo Ionio e il Tirreno; due catene montuose, i Nebrodi e i Peloritani; due giganti, Mata, femmina bianca, e Grifone, maschio nero; due cristianità: la greca e la latina (solo a Messina il vescovo è anche l'archimandrita). E due città, appunto, quella emersa e quella sommersa con l'architettura cancellata dai terremoti: chiese, scuole, cinematografi, giardini, il venditore ambulante di granite e ovviamente il campanile che rintocca nel vento per avvertire i pescatori che sarà tempesta.
Intanto, mille piccole scosse di terremoto "rendono il vero inverosimile", come l'emersione di piccoli mostriciattoli marini: il sottile beccaccino con la testa che si stacca dal tronco; l'ascia d'argento; l'evermannella con gli occhi telescopici all'insù; la vipera di mare; il batofilo nero; il pesce lanterna; il drago marino; l'elettrona; il valenciennello; lo scorpenode. E però, nel genere "fantastico messinese" – dalle bestie prodigio dell'Orcynus Orca di D'Arrigo alla luna di Consolo che cade a pezzi sulla terra – irrompe, proprio come uno straniero, l'incipit d'omaggio a Camus e alla morte come pretesto. Anche se qui il telegramma non annunzia la morte di maman, ma di zia Rosa, che è tutte le zie della letteratura, dalla Mena dei Malavoglia alla tante Léonie che per Marcel Proust inzuppava les petites madeleines nel tè. La Maison della zia Rosa ha la carta da parati inghirlandata, il ritratto di nonno Giovanni, "il tesoro di conserve, passate di pomodoro, gelatine, sughi, melanzane sott'olio, marmellate di gelso". E ci sono i doppi tendaggi alle finestre, "pupille con cui il mondo può spiarci", ma anche difesa dal cielo di Messina e dai suoi stupefacenti, studiatissimi fenomeni atmosferici: la Contessa del Vento, che somiglia a una pila di piatti in rotazione; l'Arcobaleno Lunare, che perfora la notte; i Capelli della Maga, che sono il sottile ponte di luce tra Sicilia e Calabria; la Pioggia di Sangue, che macchia i panni; la Murina, che è un serpente di foschia; i Pezzenti che sono stracci di luce; il Fiume di Nebbia che è un triangolo di luce dentro il grigio più denso. Sono terremoti celesti su cui regna sovrana la Fata Morgana, la sorella di re Artù, "creatura fatua e ingannevole", che nella grammatica dei miti di Robert Graves è "la dea della morte che assume forma di corvo", e qui invece è "una festa di colori volanti" che "raddoppia le sventure di Messina, specchiando in cielo gli affanni di chi arranca sulla terra". Da questa energia sismica Messina si difende rammollendosi con lo scirocco e con i cannoli dell'Antico Caffè Parnaso, con il ferryboat e con il treno "più lento di un rosario". E la sua urbanistica è la psicosismologia, disciplina anfibia di cui questo romanzo è il manuale, ovviamente in uso nella prestigiosa università di Risa, la città sommersa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Michele Ainis dedica il suo romanzo alla città sullo stretto "Risa" è un omaggio alle tradizioni, alle leggende e all'energia sismica di un posto speciale, dove ritorna Diego, protagonista della storia
È la capitale di tutti i terremoti (trentasei catastrofi in due millenni) in una regione che, come diceva Bufalino, "soffre di eccesso d'identità" Si difende dai sismi rammollendosi con lo scirocco e con i cannoli dell'Antico Caffè Parnaso, con il ferryboat e con il treno "più lento di un rosario"
Un particolare della Crocifissione di Antonello da Messina (1475) conservata al Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa
Francesco Merlo
01 marzo 2018 sez.

giovedì 29 marzo 2018

Le Pagine di Storia
La rete viaria nella Sicilia Greca
di Rosa Casano Del Puglia

Introduzione
“Dove c’è una trazzera di lì passa la storia”
Recuperare la memoria storica degli antichi percorsi viari e con essi tutte le testimonianze come città, fondaci, abbeveratoi, stazioni di posta, ponti che si avvicendavano via via lungo le strade significa restituire identità storico -culturale ad un paese.
Se dovessimo rispondere alla domanda cos ‘è una strada, potremmo dire che essa è un contenitore culturale o, meglio, una costruzione umana, voluta da un gruppo sociale, per soddisfare necessità militari, economiche, sociali, religiose e di trasporto.
La storia degli insediamenti umani e quella degli scambi, col loro fluttuare nel tempo, sono all’origine della molteplicità di percorsi che costituiscono la rete viaria di un paese.
La morfologia di un territorio ha avuto un peso determinante nella realizzazione della “viabilità costruita” che, è certo, si avvaleva della “viabilità naturale” privilegiando tracciati che evitavano i fondovalle, aggirando ostacoli, valorizzando percorsi di crinali e fluviali.
Un’analisi del sistema viario non può prescindere dal considerare i caratteri morfologici del territorio, che nell’antichità, sono stati determinanti nella realizzazione delle vie di comunicazione. Monti, fiumi, pianure, valli hanno condizionato la scelta dei luoghi ove realizzare i tracciati.
Per comunicare, l’uomo ha dovuto sempre superare limiti, ostacoli; i monti, le argille rappresentavano, appunto, un limite fisico, materiale.
Nel buio dei millenni la storia delle vie di comunicazione si identifica con la sfida lanciata dall’uomo alla natura, sfida mirata a superare quanto di essa si opponeva al suo disegno- bisogno di liberarsi da ogni forma di isolamento, di superare ogni barriera, ogni limite materiale che la natura gli opponeva. La storia delle comunicazioni è lastricata dalle misure del limite e dalla capacità creativa dell'uomo che è stato in grado di superarli.
Sicilia Occidentale, reperto
L'etimologia ed altro
Alcuni esperti di linguistica fanno derivare il termine "trazzera" dal latino "tractus" (tracciato), altri dall'antico francese drecière (via dritta) e "drecier" (drizzare).
Introdotto probabilmente nel periodo normanno, ma comparso nei documenti solo nel XV secolo, il termine non indicava strade in senso odierno, ma tracciati battuti che si adattavano alla morfologia del territorio, sistemati alla meno peggio mediante ciottoli o qualche lastra di pietra.
L'immenso patrimonio delle trazzere, formatosi nel corso dei millenni, andò sviluppandosi in epoca preistorica per la transumanza degli animali e per collegare tra loro i primi centri abitati che si andavano costituendo nell'isola, subì ulteriori incrementi quando tra il II e il I millennio aumentarono le necessità legate ai collegamenti e agli scambi. L'importanza delle trazzere era strettamente legata all'importanza dei centri che esse collegavano.
Gli antichissimi tracciati dovevano fondarsi sul sistema delle trazzere; l'archeologo Paolo Orsi l'aveva intuito in occasione del rinvenimento a Siracusa di un tratto di una "antichissima arteria stradale", tenuta in attività fino a circa la metà dell'800, e a suo giudizio certamente greca, infatti osservava: "Chi ponesse mano all'attraente e nuovissimo studio della viabilità antica [...] arriverebbe alla singolare conclusione, che quasi tutte le vecchie trazzere non erano in ultima analisi che le pessime e grandi strade dell’antichità greca e romana, e talune, forse, rimontano ancora più indietro".
Col termine Regie trazzere, in uso nel XIX secolo si denominarono, poi le trazzere del Demanio Regio che si collegavano tra loro. La costruzione delle strade carrozzabili avvenne, in Sicilia, solo attorno al 1778.
Gela, Museo Archeologico. Bronzetto di atleta del retroterra geloo (fine V secolo a.C.): altezza al capo cm. 26,3, altezza massima alla mano destra cm. 29,3
Le fonti
Per un’indagine sulla viabilità della Sicilia greca, una puntuale ricognizione è ostacolata dalla scarsità delle informazioni ricavabili e dalle fonti letterarie e da quelle archeologiche. Le notizie che ci forniscono Diodoro Siculo e Tucidide, si riferiscono, quasi esclusivamente agli spostamenti degli eserciti da una città all’altra dell’Isola, tuttavia permettono la ricostruzione di alcune direttrici viarie.
Altrettanto poche sono le informazioni disponibili per le età che precedettero l’arrivo dei coloni greci in Sicilia e l’instaurarsi di relazioni economiche tra le poleis siceliote della costa e i centri dell’interno abitati da popolazioni indigene.
Gli archeologi B. Pace e P. Orsi suppongono che la struttura del sistema viario, in Sicilia, non abbia subito grandi modificazioni dalla preistoria all’età greca.
Adamesteanu sottolineava come è importante mettere in relazione le considerazioni circa il ruolo delle trazzere con le considerazioni di carattere ambientale e la precisa ubicazione delle fattorie, cioè quei siti archeologici posti in aree privilegiate per lo sfruttamento di un comprensorio agricolo e per gli scambi commerciali; in tal modo il problema della viabilità si collega direttamente al problema fondamentale, nella storia delle colonie greche, del rapporto tra città e territorio, inteso come area di espansione e di influenza e dunque dell’instaurarsi delle relazioni economiche, politiche, culturali tra sicelioti e popolazioni indigene dell’interno.
1. Trazzera delle vacche e trazzera dei Jenchi
La cartina, sotto riportata riproduce una lunga direttrice, usata per la transumanza, tra III e I millennio a. C.
È la trazzera delle vacche che parte da Cesarò, si dirige su Catenanuova, segue il corso del Dittaino, punta su Calascibetta e Caltanissetta dirigendosi poi verso ovest ove tra Catronovo e Cammarata si ricongiunge alla Via De' Jenchi, questa percorre la strada per Prizzi punta su Corleone, il Castello Calatrasi e Salemi e poi perdersi nel trapanese.
Viabilità della Sicilia tra il I ed il III millennio a.C.
2. Agrigento - Palermo / Agrigento - Catania
Un percorso con diramazioni:
Akragas - Favara - Castrofilippo – Vassallaggi - Valle Di Catania
Akragas - Favara - Castrofilippo – Vassallaggi Palermo
Il percorso che, in età greca, collegava Akragas con la piana di Catania ad Est, e con la zona prossima a Solunto, Termini e Palermo ad Ovest, è stato ricostruito dall'archeologo Adamasteu; partiva da Agrigento si indirizzava a Nord-Est attraversando Favara prima e Castrofilippo dopo, toccava l'attuale raccordo ferroviario Agrigento - Caltanissetta e quindi Vassallaggi, qui il tracciato subiva una diramazione consentendo di raggiungere ad Est, attraverso Morgantina, la piana di Catania; ad Ovest le valli dei fiumi Torto, San Leonardo e Eleuterio, dopo aver attraversato Polizzello, Castronuovo, Lercara.
3. Trazzere Lungo il corso dei fiumi Dittaino e Gornalunga
La viabilità greca, come una ragnatela copriva l'intera superficie dell'isola, sviluppandosi sia nelle zone costiere. sia raccordando i centri abitati dell'interno dell'Isola.
Tra le vie di comunicazione trasversali, un'importante arteria di comunicazione doveva congiungere la Piana di Catania a Enna attraverso le due direttrici rappresentate dalla Valle del Dittaino e da quella del Gornalunga, che transitando tra il monte Iudica e la Montagna di Ramacca si collegava a Morgantina.
4Tracciati viari nella Sicilia Sud-Orientale 
Da Siracusa a Gela
Da Siracusa si dipartivano due grandi arterie, che assicuravano la comunicazione con l’ovest e con la costa meridionale della Sicilia.
Rete viaria da Siracusa a Gela
Il primo tracciato, più breve, era controllato da Akrai. Partiva da Siracusa, costeggiava il fiume Ciane, e dopo aver toccato Canicattini, perveniva ad Akrai, fondata con scopi militari. Dopo aver superato l’Irminio si indirizzava verso Chiaramonte, evitando l’altopiano ragusano, scendeva lungo la valle del fiume Dirillo fino all’odierna Acate per raggiungere poi Gela, colonia rodio-cretese. Questo primo tratto, tra Akrai e Chiaramonte, presentava una biforcazione che correva lungo il fiume Irminio, toccava Ragusa e giungeva poi a Camarina, molto probabilmente fu questa la via seguita da Dionisio quando nel (Diodoro Siculo, XIV, 47, 4-6) 397. a. C. mosse contro Mothia, dal momento che egli ricevette come alleati i soldati di Camarina, poi quelli di Gela e di Akragas. È interessante notare, che da Akrai, risalendo lungo le sorgenti dell’Anapo era possibile raggiungere Kasmene, odierna Comiso, posta in posizione strategica a controllo dello spartiacque tra i fiumi Tellaro ed Irminio.
Il secondo tracciato, controllato da Eloro, nei pressi della foce del fiume Tellaro, era la cosiddetta "Elosine odòs", menzionata da Tucidide; congiungeva Siracusa con Camarina e, aggirando lungo la costa i monti Iblei, si collegava con la via Selenuntina che correva lungo la costa meridionale dell’Isola passando per Gela, Licata, Palma di Montechiaro, Agrigento, Eraclea Minoa, probabilmente con un tracciato non molto diverso dall’attuale S.S. 115; peraltro questa via, nel tratto tra Agrigento e Palma di Montechiaro, è stata puntualmente ricostruita da Adamesteau.
Tracciati viari nell’entroterra di Gela
Tracciato viario nord-sud lungo l'asse del fiume Imera
Area degli insediamenti rodio-cretesi
Nell’entroterra di Gela, dalla fine del VII sec. a.. C. e nel corso del Vi sec., i coloni della polis rodio-cretese si stanziarono nel bacino di Gela e del Maroglio, occupando i centri di Butera, monte Bubbonia e monte San Mauro di Caltagirone. Un’unica arteria di comunicazione si snodava parallela al corso dell’Imera meridionale toccando Ravanusa prima e Sabucina dopo. Superata la collina del Redentore di Caltanissetta, punto di transito obbligato, si accedeva alla gola tra Sabucina e Capodarso, che dominava l’alta valle del Salso –Imera meridionale, da qui si dipartivano due tracciati uno verso Enna e la Valle del Dittaino a Nord-Est, un altro verso Nord –Ovest, dove la via di transito era costituita dallo spartiacque tra il Platani e l’Imera settentrionale.
5. Viabilità greca nella Sicilia Occidentale
Sicilia Occidentale, Teatro
Selinunte - Segesta - Golfo di Castellammare
La viabilità greca nella Sicilia occidentale, presentava due tracciati che partivano da Selinunte, uno collegava la città a Castellammare del Golfo, l'altro, un po' più ad est, la raccordava con Castellaccio di Sagana, nei pressi di Palermo.
Sicilia Occidentale
Selinunte occupava un terrazzo lambito dal fiume Modione, che dirigendosi verso Nord, metteva in comunicazione la città con la zona di Salemi e da qui, attraverso la valle del fiume Freddo, con Segesta e il Golfo di Castellammare.
Gli archeologi Adamestau e Tusa hanno individuato un'altra importante arteria di penetrazione in area di interesse segestano; partiva da Selinunte attraversava Castellazzo di Poggioreale (Halikyai), proseguiva, lungo la riva destra del fiume Belice, in direzione del Golfo di Castellammare. Proprio il Belice, che sfocia pochi chilometri ad est della città, era la principale via di collegamento con l'entroterra. Infatti attraverso i due rami Belice destro e Belice sinistro ci si collegava con gli insediamenti di Monte Maranfusa, Monte Iato, Monte d'Oro di Montelepre, Castellaccio di Sagana e la costa settentrionale e con i centri di Rocca Entella, Pizzo Nicolosi, (all’estremità di Roccabusambra) e da qui col fiume Eleuterio e alcuni torrenti tributari del San Leonardo. Quest'arteria doveva verosimilmente raccordarsi con il sistema stradale di comunicazione della costa settentrionale: tra Imera la Sicilia centrale, Centuripe e Siracusa, ricordato da Tucidide. Selinunte era, inoltre, collegata a Siracusa dalla cosiddetta via Selenuntina.
Arteria di collegamento est–ovest nella Sicilia Greca.
Il tracciato radiale che collegava l’Est con l’Ovest dell’Isola, escludeva Enna in quanto il capoluogo rappresentava la punta settentrionale di un percorso da sud unendo tra loro le valli del Salso –Imera meridionale, del Dittaino e del Gornalunga. Tale esclusione trova anche giustificazioni storiche legate alla spedizione di Nicia. L’attuale SS 121 si discosta pochissimo dal tracciato di questa trazzera.
Conclusioni
In sede mitologica i viaggi di Minosse, Eracle, Dedalo confermano che la Sicilia era conosciuta e frequentata dai greci fin dal tempo della civiltà micenea e che i rapporti tra l Sicilia e mondo egeo e miceneo erano già intensi fin dal XVIII sec a.C., cioè prima dell’arrivo dei Sicani, dei Siculi e ancor prima della guerra di Troia. Al momento della colonizzazione dell’VIII secolo, dunque, i Greci conoscevano molto bene la Sicilia, e una volta stanziatisi nell’Isola, otre ad utilizzare i percorsi viari costruiti ad opera degli indigeni, fu necessario realizzarne altri sia per motivi legati alla difesa delle colonie stesse, sia per soddisfare necessità di ordine commerciale. L’irruente moto colonizzatore dell’VIII secolo si protrasse nell’arco dei secoli VIII, VII, VI, e interessò soprattutto le coste della Sicilia sud-orientale, portando, inevitabilmente, a scontri con le popolazioni indigene. Le sue cause di tale avvenimento, che segnò la nostra storia, vanno ricercate in Grecia. La Grecia era un paese povero, non in grado di soddisfare la crescente pressione demografica; le pianure erano rare, le montagne brulle, i boschi scarseggiavano, le risorse minerarie quasi inesistenti. Il mare, oltre ad essere l’unica risorsa per la sopravvivenza delle popolazioni, impediva che il paese rimanesse isolato, facilitava l’importazione dei prodotti necessari, dai paesi vicini, e senz’altro fece nascere l’idea della emigrazione, organizzata mediante la colonizzazione, nelle terre fertili lungo le coste del Mediterraneo.
La rete viaria complessiva
La colonizzazione della Sicilia fu, dunque, conseguenza della povertà del territorio greco. Nella tradizione antica, colonizzare voleva dire conquistare un territorio idoneo alla coltivazione, venderlo in lotti e concederlo ai coloni fondatori. In Sicilia le colonia greche vennero tutte fondate sulle coste pianeggianti della Sicilia orientale da Naxos a Catania a Leontini, Megara e Siracusa poi da Siracusa a Gela ad Agrigento, infine Minoa e Selinunte compresa la stessa Imera sorta alla foce del fiume Salso nella pianura tra Termi e Cefalù. I coloni greci venivano in Sicilia alla ricerca di nuovi luoghi isolani dove definitivamente insediarsi, senza ricevere o aspettarsi di ricevere sostegno militare dalla madre patria per affrontare resistenze indigene. Non a caso la rete viaria si sviluppò prima lungo la fascia costiera dell’Isola, ma era inevitabile che penetrasse nell’interno sia per ragioni di difesa nei confronti degli indigeni, con i quali si ebbe sempre un rapporto di irrisolto conflitto, sia in ragione del fatto che la seconda fase della Colonizzazione si ebbe quando la società agricola fu potenziata e sviluppata dalle attività mercantili, da qui la necessità di una rete viaria interna che consentisse il trasporto di merci dall’interno dell’Isola verso i maggiori scali marittimi. La rete viaria della Sicilia greca fu in seguito utilizzata in epoca romana e non solo, ancora oggi alcune strade statali quali la SS. 120 e la SS. 121 ripercorrono quei tracciati che millenni fa, come un’impronta in cancellabile, ci lasciarono i Greci.

Bibliografia
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  • F. Coarelli, M. Torelli - Sicilia - ed. Laterza 1998
  • E. Gabba. G. Vallet - La Sicilia antica - Ed. Storia di Napoli e della Sicilia
  • G. Uggeri -Itinerari, strade, rotte, porti e scali della Sicilia tardo antica in Kokalos 1997-98
  • G. Uggeri - Sull’“Itinerarium per marittima loca” da Agrigento a Siracusa in Atene e Roma XIV, 1970

Testo ed immagini di R