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domenica 21 ottobre 2012

A proposito di un ergastolano ostativo vero: Alfredo Sole, killer un tempo oggi letterato e grecista.



Scrissi e pubblicai su ARTICOLO21 una sommessa preghiera al direttore di Repubblica perché dedicasse una qualche sua attenzione al caso singolo di un vero ergastolano ostativo, su Alfredo Sole rinchiuso nel carcere di Opera ove persino un magistrato sotto accusa per reati che oggi si ascrivono alla mafia tentò un serio suicidio.
Alfredo Sole dicevo al direttore di Repubblica  è oggi  “filosofo e scrittore raffinatissimo” che viene ancora bollato come OSTATIVO trattato inumanamente per  “l’assurdità di questo gravame penitenziario che peraltro gli è stato inflitto dopo ben 9 anni di regime c.d. 41bis e che dura da 12 anni.”
A sensibilizzare l’opinione pubblica è stato ARTICOLO 21  pubblicando un mirabile scritto di codesto ergastolano ostativo. Sull’onda del conseguente interesse pubblico, proprio su Repubblica codesto medievale istituto carcerario fu oggetto di stigmatizzazione da parte dello scienziato Umberto Veronesi e di esplicazioni preoccupanti da parte di Adriano Sofri.
Ma dopo, il nulla. Chiedevo: “Gentilissimo signor Direttore, non è che Lei possa fare qualcosa di più per meglio sensibilizzare l’opinione pubblica sulla vicenda di un ravvedutissimo Alfredo Sole, ora colto studioso di filosofia greca e sapidissimo autore di spunti letterari di cui qualcuno ha avuto l’ambito onore di venire ospitato nel libro di successo di Gaetano Savatteri, i ragazzi di Regalpetra? “
Certo se si andava a spulciare nel citato libro qualcuno mi avrebbe rimbeccato citando questi passaggi delle pagine 261 e 252:
“Un uomo dentro una cella ha tempo per pensare. Troppo tempo. Nelle spalle anni di solitudine, davanti la prospettiva di due ergastoli, una detenzione che solo la morte potrà concludere. Alfredo Sole è in galera dal primo settembre 1991. E’ stato processato e condannato per l’omicidio di Alfonso Alfano Burruano, il paciere con la coppola storta: processato e condannato per la strage della sera del 23 luglio  1991, guidava l’auto dei killer. Due ergastoli, due condanne a vita. Non uscirà mai di galera, l’aggravante dell’associazione mafiosa lo sottrae ai benefici concessi ai carcerati, semilibertà permessi sconti.
Sepolto per anni in una cella singola, ventidue ore al giorno da solo tra quattro mura, Alfredo Sole ormai cosa tra le cose, avrebbe detto Michel Foucault: un numero di matricola, un fascicolo, un ergastolano. Una voce spenta: lui stesso aveva deciso così, non parlando ai processi, negando ogni addebito. Era stiddaro Alfredo Sole: le code chiatte avevano ammazzato suo fratello Alfonso, quando Alfredo era già in carcere uccisero suo zio Giuseppe, suo padre Salvatore. Cosa Nostra fece tabula rasa dei Sole, ne annientò la semenza. Voci spente e sconfitte”.
Il libro ebbe successo enorme: da parrocchia di regalpetra, a paese di sciascia, addirittura a paese della ragione (per imperio cavalleresco il cui dittatore disse poi di averlo detto per celia), Racalmuto è diventato così quello dei “Ragazzi di Regalpetra”. E i baby delinquentelli assursero persino ad essere detti e creduti “capimafia” astutissimi e naturalmente sanguinosissimi. Un obeso giovinastro si dichiara responsabile di una cinquantina di esecuzioni mafiose, una media da capogiro. E’ reo confesso, è collaboratore di giustizia: mi dicono che i lauti mensili per la sua libertà in incognito gravano tutti sul disastrato bilancio del mio paese Racalmuto appunto. E già: una ministra in gonnella crede a siffatta vulgata giornalistica e chiude Comune e affossa le libere elezioni.
Se la libertà di stampa avalla e conforta tutto questo, se ormai è prona alla voglia di liberare Sallusti, mi dichiaro anticostituzionale, sono contro l’articolo 21 (in minuscolo). Alle fandonie prima riportate, la mia consunta laurea in giurisprudenza mi si rivolta dentro, vomitevolmente. Dimostrare? Non posso in questa sede per questioni di spazio.
Chi avesse voglia di saperne di più consulti Informacarcere : Le lettere  di  Alfredo Sole.
Mi sono interessato ad Alfredo Sole, specificatamente, solo da un anno. Prima lo infilzavo anonimamente in pagine di un mio libercolo che nessuno legge: Racalmuto nei millenni. Iniziai irritato per il misticismo esoterico del novello arciprete (termine improprio ormai, mi si dice, ma io vi sono legato) che non si cura di una sua  pecorella finita sulla croce al posto del Buon Ladrone. Ne è nata una conversazione epistolare che ho appena  citata su Le lettere di Alfredo Sole.
Nacque una sfida se potevo mandargli o  meno una cassata siciliana genuina confezionata dal piccolo ilare Capitano o no: con l’aiuto di ARTCOLO 21 ho vinto io la scommessa.
Quanto all’autore del libro, ho cercato di farmi pubblicare questa contrapposizione, senza riuscirvi:
IL CASO SOLE E L'ERGASTOLO "OSTATIVO"

O io in quasi quarant'anni di vita ispettiva contro banche e finanziarie, speculatori e orditori di cambi a termine, talora intento a seguire le alchimie fiscali di Berlusconi (magistrale il dividend washing), talaltra a deliziarmi all'AIMA nel sorridere nei confronti dei miei paesani che erano capaci di raccogliere frumento come il nostro territorio fosse dieci venti volte più esteso e che sapevano far figliare trenta quaranta volte l'anno le loro striminzite caprette, oppure di appurare che fine facevano certi crediti cinematografici concessi dagli adepti del satrapo Cacciafesta, o che so io? mettiamo anche non alieno dal contestare alla mia banca d'Italia che se aveva davvero voglia di credere desueta (il mio censore meneghino, mi consente il termine?) la norma fascista della legge bancaria che imponeva il discarico sulle banche inquisite delle spese di vigilanza, io sapevo leggere nell'intricatissimo bilancio BI a quanto ascendevano siffatte spese non traslate, farne la base per un accertamento fiscale e contestarne l'evasione per 250 miliardi di vecchie lire che il disorientato Ciampi fu costretto ad ammortizzare con uno concordato che all'epoca fece davvero scandalo, dicevo o io ho visto sempre lucciole per lanterne o il prode Tano (nel suo libro "I RAGAZZI DI REGALPETRA", pagg. 261-276) obnubila uomini e cose, latebre psicanalizzabili, senso criminale   di efferati fatti di sangue, episodica rilevanza, denominazioni alla moda, scaturigini di perversi DNA, evanescenze confessorie, redenzioni culturali, svolte esistenziali, ribellismi carcerari, apologhi su rapaci notturni liberi, repressioni di giovanili furori omicidi, tristezze sul ciglio del baratro dell'autosoppressioni, sconvolgimenti di quella cosa lì che sta dentro di noi come il cielo sta sopra di noi, barbarismi di funzionarietti divenuti per la pagnotta psicologi carcerari, assenze decisionali di giudichesse che nei comodi scranni di quell'albo palazzo di giustizia milanese si piegano alle istanze di carcerieri che vedono in Sole uno cui difetta il concetto che loro hanno di "resipiscenza" per protrarre sine die una deleteria "ostatività" congetturata dal siculo Alfano su suggerimento, pare, di un ex pdista (sic!) agrigentino, giudice traslato a Roma. Ma tutto ciò non basta dirlo: occorre dimostrarlo. Prometto che tenterò. Del resto quand'ero in banca d'Italia riuscivo a redigere brillantissimi ed apprezzatissimi rapporti ispettivi su misteriosi intrecci bancari criminali  che non avevo per nulla capiti; insomma spiegavo bene agli altri quello che  per me risultava inaccessibile.
Calogero Taverna
Ma chi è ora davvero Alfredo Sole? Mi limito qui a svelare la sua ultima lettera:

Carissimo Lillo,
cercherò di rispondere in un'unica lettera per evitare di “spezzettare” il mio pensiero. Non credo che ti abbiano accreditato a torto come un combattente contro l'ergastolo. Dici che a te interessa di più il “modus punendi et espiandi” anziché la durata. Noi per questo lottiamo. Quella “durata” che non ha senso se non per placare la sete di vendetta. Se si abolisce l'ergastolo nasce la necessità del “modus punendi” perchè che siano 20 o 30 anni di carcere, alla fine il detenuto lo devi mettere fuori e devi per forza poterlo restituire alla società migliore di quando è entrato. Col fine pena mai, tutto questo non avrebbe senso. Infatti, non ha senso cercare di migliorare il detenuto quando non avrà mai la possibilità di dimostrare il suo cambiamento. Questo mi porta alla tua “scocciatura” per non essere riuscito a comprendere appieno il senso del mio pensiero sulla collaborazione. Devo fare una premessa in modo che il mio pensiero venga percepito come pensiero non pratico. Cioè, io anche se volessi collaborare per neutralizzare quell'ostativo, non potrei neanche farlo, il motivo è che sanno già tutto di me e di nuovo (che è poi quello che gli interessa) non avrei nulla da dire, neanche contro di quelli cosiddetti nemici. Di conseguenza nessun: “L'infame va punito e se un pentimento proficuo può giovare a chi dentro l'ordinamento parastatale si è macchiato di condotta antidoverosa secondo quei codici d'onore, il pentimento collaborativo non è ammissibile, costi quel che costi”. Sono d'accordo con te. È allucinante. Se solo mi accorgessi che il mio pensiero altro non è che questo tipo di mentalità mafiosa, smetterei perfino di pensare. Sì, mio carissimo Lillo, hai capito male. Ma è meglio dire che non ho espresso il mio pensiero in modo comprensibile. Io ho odiato e continuo a odiare la mentalità mafiosa, non è forse questo odiare la mentalità mafiosa che mi ha portato a combatterla? Certo, comportandomi a mia volta da mafioso! È come quando qualcuno cerca di degradare la filosofia perchè inutile e non si accorge che per farlo deve per forza filosofare. Dirai: “ma alla fine, qual'era il tuo pensiero?”. Adesso non saprei più come esprimerlo. Cadrei in un circolo vizioso di parole che mi porterebbero solo a ripetermi. Posso solo dire una cosa, se cambiare significa non fare più del male ad altri, che se lo meritino oppure no, beh, allora io sono cambiato. Qualunque cosa questo possa significare logicamente, tranne che essere mafioso!!

per quanto riguarda la “tiratina d'orecchie”, ci potrebbe stare. Sì, da autodidatta non ho mai subito correzioni in rosso e blu, cosa necessaria per una buona formazione, ma ho lo stesso imparato a riconoscere gli errori e quei segni rossi e blu li metto da solo. Non ti mando nessun accidente né un momento di rabbia a causa di provocazione. Anzi, colgo sempre di buon occhio le critiche e provocazioni perchè so che possono solo migliorarmi. Visto che siamo in tema di provocazioni, il tuo Luckacs dice che i greci conoscevano solo risposte e niente domande. Siamo migliori noi oggi che conosciamo tutte le domande e nessuna risposta? Devo rimangiarmi tutto e... mangiarmi tutto visto che ho appena ricevuto i dolci! Non saprei come chiamarli, ma sono delle prelibatezze con impasto di frutta candita. Fai i miei complimenti a Capitano e un grazie a te per il pensiero. Tutto quel mio pensiero che non potessero entrare... Sarà cambiato qualcosa e io neanche lo sapevo?
Vorrei fare qualche commento sullo scambio di lettere tra Nicolò; Giuseppe, Beppe e te, ma non lo faccio, ci stanno pensando loro a “tirarti dentro” la lotta contro l'ergastolo.
Il mio nulla osta per tutta la corrispondenza?
Certo che puoi pubblicare le lettere nel tuo libro, neanche io amo le censure ma mi affido a te su cosa ritieni utile da pubblicare e cosa, invece, debba rimanere “privato”.
Adesso ho da fare. Devo rimpinzarmi di dolcetti...
Un abbraccio Alfredo
e sulla conoscenza delle cose della Magna Grecia? Mi limito a questi piccoli stralci:
Carissimo Alfredo
giunto a pag. 43 del romanzo di Tanu "Gli Uomini che non si voltano" mi trovo nel bel mezzo di una piccolo-borghese scuola liceale e debbo sorbirmi la spiegazione che il prof. Ristoro dà dell'Antigone di Sofocle.
"La tragedia nasce quando c'è conflitto tra libertà e necessità", esordisce il prof. Ristoro. Il tutto si conclude a pag. 44 piuttosto banalmente con il professore irritato che pontifica: "La vostra compagna ha fatto diventare la storia di Antigone una telenovela: Eumene si ammazza per amore. Insomma un dramma passionale. No, picciotti miei, non è una storia di amore: è una storia di potere!"
Mi sarebbe piaciuto che Tanu mi avesse spiegato con quali sfumature angoscianti si è sempre vissuta codesta "tragedia" del conflitto tra la libertà del singolo (valore insito in quello che in gergo si chiama diritto naturale) e la superfetazione talora persino irrazionale della legalità che il potere distilla nel c.d. diritto positivo, nella legge insomma. A tal proposito ho pensato a te, al tuo caso, al tuo essere nato in un ordinamento a detta di sommi costituzionalisti (ricordiamoci che Vittorio Emanuele Orlando si proclamava "mafioso") ed essere poi transitato in un altro ordinamento (tanto colto, sofisticatamente colto) quello che fonda le sue radici nella filosofia greca, in Aristotele, in Platone, etc,). Francamente l'Antigone di Sofocle poco scandaglia in codesto ormai modernissimo conflitto tra legge e morale, tra legge e natura, tra legge e umanizzazione della pena, tra legge e ordinamenti carcerari, tra legge e convinzioni religiose, tra legge e regole di una società tribale, tra legge e sacrosante vendette come da obblighi biblici del dente per dente. Non mi dilungo. Qui capirai perché Eschilo e Sofocle, oltre al diletto estetico, nulla mi dicono; quanto ad Euripide già lo sento più vicino se nelle Baccanti fa strillare il re - il potente di questo mondo - un'invettiva contro il semidio Bacco che scende dai cieli per avere livori e invidiuzze con gli umani. Con paterno affetto Calogero Taverna

La risposta

Non conosco il libro di Tanu: “Gli uomini che non si voltano”. Quando gli scriverò gli dirò di spedirmene una copia. Mi hai incuriosito, adesso voglio leggerlo. Per adesso non ho nulla da "sbertucciare" visto che non conosco il contenuto del libro. Ma nella spiegazione che il prof. Ristoro dà dell'Antigone, nella parte dove dice che “La tragedia nasce quando c'è conflitto tra libertà e necessità”, potrei non essere d'accordo. Questa tragedia di Sofocle nasce dalla “parola”, a citare il prof. Cacciari direi “la parola che uccide”. “La tragedia nasce quando due figure si affrontano con l'arma più tremenda, la parola, e scoprano reciprocamente di essere destinalmente impotenti all'ascolto, lì scoppia il conflitto incompassibile” (sempre il prof. Cacciari nell'introduzione alla tragedia di Sofocle). In effetti questa tragedia è parola che si fa atto, azione, a partire dal Coro. Mi fermo qui. Non posso commentare un libro che non conosco anche se potrei commentare l'Antigone.
Ciao un abbraccio Alfredo

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