martedì 18 agosto 2015

Beppe Cino kafkiano regista d'altri tempi

 
Ho visto, ho puntato il mio più aguzzo sguardo ispettivo - deformazione professionale - non capii capii apprezzai: plaudo. Beppe Cino torna grande, aspro, ineffabile, crudo, onirico. Il titolo era fallace. Storpiare il nome sacro di Mozart disorienta, ma è paravento ironico di un timido irriducibile. Queste foto ora sono rivelatrici. La fanciulla ha volto insolito, fuorviante. Non è bella ma avvenente per inestricabile riesumazione di sogni repressi, demoniaci, evanescenti. Dotata di sfingici richiami lussuriosi ha apparente castità contrapposta alle sepolte assurdità esistenziali del suo pigmalione: sogni tenebrosi, incubi, fracassi dell'anima, occidua cantilena del venir meno, del non essere più, del sentir prossimo l'ultimo esodo. Certe foto di kafkiani ambienti di un palazzo spallato. chiuso al traffico, di una crestomazia finita male in quel di Racalmuto, mi hanno colpito, e a modo mio anche illuminato. Certe altre di codesta assurda giovane donna appoggiata ad un muro di una scalinata per muli con sacchi granari da portare in chiesa sacrilegamente ha evidenti segni emblematici, allusivi, allucinati. Beppe Cino, consumato intellettuale ormai globalizzato - non riesce più a scrivere se non in estranee lingue - non girerà più il film di una Racalmuto imbellettata tra estinte parrocchie di Regalpetra e neppure si cimenterà in cronache paesane alla Ben Morreale. Lui ha tagliato quelle radici - se mai le ha avute - nelle lande di uomini sale e zolfo ed anche caciummo. Ci sorprenderà, ci abbacinerà. Ed io - che non gli sono certo affine - plaudirò e onorerò questo figlio di una Terra dalle eterne contraddizioni, eretica e bigotta, reazionaria e libertaria, drogata ed astemia.

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