mercoledì 21 agosto 2013

Marco Antonio Alaymo di Racalmuto finisce nella Treccanki

Calogero Taverna Finire nell'aureo empireo della Treccani è senza dubbio motivo di orgoglio e di vanto. Non certo per il dottore Alaymo nato alla fine del XVI secolo in quel di Racalmuto in via che ora porta il suo nome, difronte alla chiesuola di Santa Rosalia, ché ormai fra i cieli beato non gliele ne cale più nulla delle cose di questa terra; ma per noi racalmutesi d'oggidì tanto e come. Da applaudire il profilo della Treccani, dunque? Non me la sento. Il collaboratore di quella fascistissima istituzione messa su soprattutto per merito di un grandissimo filosofo siciliano ridimensionato poi per voglie iconoclaste della nuova democrazia italiana, e cioè Giovanni Gentile, è uomo culturalmente molto scaltro per non sapere reinquadrare un personaggio ormai evanescente per consunzione dei secoli: può manipolare pochi testi, qualche agiografica memoria, qualche consolidata raffigurazione. Invero vi sarebbe dell'altro, vi potrebbero essere spunti biografici persino nell'Archivio Segreto Vaticano, mettiamo nel processo di beatificazione del gesuita secentesco padre La Nuza di Licata. Ma l'austero collaboratore non ha la voglia di perdere tempo dietro a dilettanti paesani quale ad esempio potrebbe essere chi scrive, e questo è giusto, anzi doveroso: un alato professionista non può perdere tempo dietro a perdigiorni di paese. Non può essere però tanto giustificato se trascura ad esempio titani della penna e della letteratura quali Leonardo Sciascia che sul compaesano del seicento dottor Marc'Antonio Alaymo ha scritto cose davvero pregevoli. Si dirà: che importa? Si deve esultare di fronte ad una canonizzazione di un vecchio medico del Seicento di Racalmuto addirittura nei sublimi altari della Treccani. Già, ma ad occhio scaltro (e vanteria a parte, crediamo di averlo), appare subito come il collaboratore della Treccani ben percepisca i limiti le angustie culturali e la pochezza scientifica del nostro Marco Antonio e ne fa la cifra di lettura dal risultato stroncante. Invero quei limiti Marco Antonio Alaymo li ebbe. Ma ebbe anche altri meriti persino letterari, persino di pregevole sottolineatura del grande poeta vernacolo Veneziano. Guarda un po'; persino nel mio insignificante romanzetto La Donna del Mossad, se ne parla. Quindi, nulla mi insegna la Treccani sull'angustia professionale dell'Alymo, molto mi irrita quell'obnubilamento delle luci che questo da tempo noto figlio secentesco della mia Racalmuto ha sempre vantato (e continuerà a vantare con buona pace della Treccani del fascista Giovanni Gentile).

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