venerdì 3 gennaio 2014

Il SETTECENTO racalmutese Seconda parte


La Matrice ed altre chiese – Conventi ed altro

Dobbiamo però alla penna dell’Algozini un preciso inventario  delle ricche suppellettili che ormai dotavano la Matrice; in più abbiamo una descrizione preziosa dell’assetto organizzativo della locale arcipretura, in uno con la raffigurazione dell’interno della chiesa dell’Annunziata, nonché con altri dati di rilievo anche socio-economico.
L’Algozini lascia, comunque, in sospeso la questione del quadro della Maddalena che si continua ad attribuire a Pietro d’Asaro; l’arciprete si limita ad annotare: “Altare di S. Maria Maddalena: item il quadro con la figura di detta Santa” e non ne indica l’autore; per lui – come per noi – l’autore è anonimo. Se una congettura personale è permessa, tendo a credere che il quadro sia stato commissionato dall’Agrò in prossimità del 1637 (molto dopo dunque dalla datazione 1622 di cui a pag. 66 del Catalogo del 1985), in nome e per conto di qualche confraternita della Matrice o della Fabbrica; consegnato agli eredi, costoro con l’accordo del 1641, s’impegnano a sistemarlo nella già operante Cappella della Maddalena, il cui spazio antistante viene acquisito per la “carnalia” del sacerdote defunto e dei suoi eredi, previa destinazione alla “Fabbrica”  di un censo annuo di un’oncia, prescelto tra i legati del sac. Santo Agrò. Singolare è il fatto che nel 1731 si è perso il ricordo della tomba del sacerdote benefattore e l’Algozini si limita ad annotare che «non sono sepolture sotto le predelle dell’altari” e che in tutta la chiesa le gentilizie di specifici “patronati” sono solo quattro ed appartengono ai « fratelli del SS. Sacramento; ai Petrozzelli, ai Lo Brutto ed agli Acquista”». Ma già a partire dal 1654 non si rintraccia nei libri contabili della Fabbrica il cennato censo di un’oncia dell’eredità Agrò[1].
L’elaborato algoziniano che si conserva presso l’archivio vescovile di Agrigento ci fornisce un insostituibile spaccato della comunità racalmutese in pieno regime austriaco. Il 28 giugno 1731, l’arciprete consegna al visitatore pastorale un folto fascicolo di «notizie che dona il Molto Rev. Dr. Filippo Algozini archipresbitere di detta terra, alle dimande nelle istruzioni dell’Ill.mo e Rev.mo D. Lorenzo Gioeni, vescovo di Girgenti per la visita pastorale.» Quel celebre vescovo era di recente nomina (con bolla pontificia dell’11 dicembre 1730, esecutoriata in Palermo il 5 gennaio 1731) e all’inizio dell’estate è già a Racalmuto per un controllo ficcante e pignolo. Fornisce un questionario dettagliatissimo cui l’arciprete deve dare esaustive risposte. Una fatica improba per lui, ma buon per noi che siamo così in grado di disporre di una stratigrafica ricognizione della comunità di Racalmuto a quasi un terzo del Settecento.
Unica la parrocchia, ma quindici le chiese “secolari”, nove nell’abitato e sei nelle campagne; inoltre sei sono quelle dei “regolari”. In totale ben 21 luoghi di culto e cioè:
le n° quindici “secolari” sparse per il paese:
1.     la Matrice chiesa sotto titolo della SS.ma Annunciata ; il Rettore ed Amministratore il M.to Rdo Archipresbitere Dr D. Filippo Algozini;
2.     Oratorio del SS.mo Sacramento sotto titolo di S. Tomaso d’Aquino, il Rettore il sud.o Dr D. Filippo Algozini Archiprete, ed i congionti Mo Scibetta e Mo Giuseppe di Rosa, che l’amministrano;
3.     Chiesa sotto titolo di S. Maria del Monte, il Rettore clerico coniugato Agostino Carlino, Rdo Sac. D. Pietro Signorino ed Onofrio Busuito congionti, che l’amministrano;
4.     Chiesa sotto titolo di S. Rosalia, amministrata dalli Giurati di questa terra come Padroni;
5.     Chiesa sotto titolo di S. Anna, il Rettore clerico coniugato D. Calogero Sferrazza congionto a Sigismondo Borsellino e Diego Emmanuele che l’amministrano;
6.     Chiesa sotto titolo di S. Micheli Arcangelo, il Rettore e Amministratore il Rev. Sac. D. Francesco Pistone;
7.     Oratorio sotto titolo di S. Giuseppe, il Rettore Dr. D. Giuseppe Grillo , notaio Nicolò Pumo ed Ignazio Mantione congionti;
8.     Chiesa sotto titolo di S. Maria dell’Itria amministrata dal Rev.do Sac. D. Pietro Signorino Beneficiale;
Chiesa sotto titolo di S. Nicolò di Bari amministrata dal R.do Sac. D. Gaspare d’Agrò mansionario della Catredale di Girgenti, e per esso dal R.do Sac. Dn Isidoro Amella procuratore.
 
Queste le annotazioni che riguardano le chiese di campagna, denominate “chiese fora le Mura”:
 
1.     Chiesa sotto titolo di S. Maria della Rocca, il Retttore o amministratore Sac. D. Vincenzo Avarello;
2.     Chiesa sotto titolo di S. Maria di Monteserrato, in cui si celebra la povera festa dalli pij devoti;
3.     Chiesa sotto titolo di S. Maria della Providenza amministrata da D. Paolo Baeri Patrono;
4.     Chiesa sotto titolo di S. Marta amministrata da Pietro Mulè Paruzzo procuratore;
5.     Chiesa sotto titolo di S. Gaetano amministrata dall’Ill. Marchese di S. Ninfa come Padrone;
6.     Chiesa sotto titolo del SS.mo Crocifisso, amministrata dal Rev. Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano fondatore.
Dichiarato che non vi erano “cappelle ed oratori domestico” (queste saranno di moda alla fine del Settecento e si protrarranno sino alla seconda metà del XX secolo), ecco la descrizione dei monasteri che sono “cinque conventi de’ regolari ed un monastero di Donne”:
1.     Convento di S. Maria del Carmine;
2.     Convento di S. Francesco de Padri Minori Conventuali;
3.     Convento di S. Maria de Padri Minori osservanti;
4.     Convento di S. Giovanni di Dio de’ PP. Fateben fratelli;
5.     Ospizio di S. Giuliano de’ PP. di S. Agostino della Congregazione di Sicilia;
6.     Monastero de Monache dell’ordine di S. Francesco.
E si precisa che all’epoca non vi erano conventi soppressi.
 
A Racalmuto operava un ospedale “sotto la giurisprudenza dei Padri fatebenfratelli giusta li loro privilegi”. Non vi erano ancora monti di pegno.
In compenso operavano due confraternite e cinque “compagnie”.
1.     Confraternità di S. Maria di Giesù, li Rettori sono Pietro Casucci, Pietro d’Agrò, Vincenzo Missana e Giovanne Farrauto; si fanno ogn’anno nella Prima domenica di gennaro;
2.     Confraternità di S. Giuliano, li Rettori sono Giovanne d’Alaymo, Ippolito Fucà, Giuseppe Savarino e Vito Mantione, il loro governo dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
3.     Compagnia del SS. Sacramento, Governatore il Mo R.do D. Filippo Algozini, congionti Mo Giacinto Scibetta e Mo Giuseppe Di Rosa, il loro governo dura tre mesi, incominciando dalla domenica infra “octavam Corporis”;
4.     Compagnia del Thaù fondata nella Chiesa di S. Anna, Governatore D. Calogero Sferrazza, congionti Sigismondo Borsellino e Diego Emmanuele; dura il loro officio tre mesi, incominciando dalla Domenica più prossima all’otto che ch’incide del mese, li presenti furono fatti all’8 Giugno 1731;
5.     Compagnia dell’Anime del Purgatorio fondata nella Chiesa di S. Micheli Arcangelo, Governatore Raimondo Borcellino minore, congionti Rev.do Sac. D. Santo Farrauto e Santo La Matina Calello; il loro officio dura quattro mesi incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
6.     Compagnia di S. Maria del Monte, Governatore Clerico Coniugato Agostino Carlino, congionti R.do Sac. D. Pietro Signorino ed Onofrio Busuito; il loro officio dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di Settembre;
7.     Compagnia di S. Giuseppe, Governatore Dr D. Giuseppe Grillo, congionti Notaro Pumo ed Ignazio Mantione; il loro officio dura quattro mesi incominciando dalla seconda domenica di Gennaro.
8.      
Ci viene fornito un dato anagrafico di notevolissima importanza: sapendo quanto precisi erano gli uomini della Chiesa, possiamo essere certi che davvero a Racalmuto, nel giugno del 1731, c’erano 1200 famiglie con 5.134 anime o abitanti che dir si voglia (in media 4,28 componenti per ogni nucleo familiare). Nutritissima la compagine ecclesiastica: 28 sacerdoti, di cui però ammalati cronici 24. In ogni modo un sacerdote ogni 42 famiglie oppure ogni 183 abitanti. Ecco l’elenco:


1.     Il Mo Rev. Archipresbiter Dr D. Filippo Algozini;
2.     Il Mo Rev. D. Salvatore Lo Brutto Vicario Foraneo;
3.     Sac. D. Filippo Cino;
4.     Sac. D. Francesco Pistone;
5.     Sac. D. MichalAngelo La Mendola;
6.     Sac. D. MichalAngelo Rao;
7.      Sac. D. Ignazio Laudito;
8.     Sac. D. Paulo Spagnolo;
9.     Sac. D. Gerlando Carlino;
10.   Sac. D. Antonino Macaluso;
11.   Sac. D. Francesco Torretta;
12.   Sac. D. Gaspare Casucci;
13.   Sac. D. Vincenzo Casucci;
14.   Sac. D. Leonardo La Matina;
15.   Sac. D. Calogero Pumo;
16.   Sac. D. Giovan Battista Pumo;
17.   Sac. D. Antonino Mantione;
18.   Sac. D. MichalAngelo Savatteri;
19.   Sac. D. Isidoro Amella;
20.   Sac. D. Vincenzo Avararello;
21.   Sac. D. Francesco De Maria;
22.   Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano;
23.   Sac. D. Baldassare Biondi;
24.   Sac. D. Pietro Signorino;
25.  Sac. D. Orazio Bartolotta;
26.   Sac. D. Antonino d’Amico minore;
27.   Sac. D. Ignazio Pumo;
28.    Sac. D. Santo Farrauto.


Ma le vocanzioni non mancavano; erano già diaconi: Melchiore Grillo ed il nostro Servo di Dio padre Elia Lauricella. Baldassare d’Agrò aveva ricevuto l’ordine minore del suddiaconato; c’erano 7 accoliti: Francesco Grillo; Vito Gagliano; Vincenzo Amendola; Antonino Busuito; Giuseppe Alferi; Ludovico Amico; Diego Martorana; semplici esorcisti: Gaetano Raspini e Grispino Tirone; giovani lettori: Emmanuele Cavallaro; Vincenzo Alfano; Santo di Naro; Calogero Vinci; Leonardo Castrogiovanne; un solo ostiario: chierico Ignazio Picone; i chierici tonsurati erano Orazio Sferrazza, Francesco Savatteri e Nicolò Milano. Tutti gli ottimati racalmutesi, o almeno quelli che cominciavano ad esserli nel secolo dei lumi ma anche dell'irrompere di una nuova classe, quella borghese, vi sono rappresentati. Le famiglie escluse, non sono ancora di riguardo. Tra queste i Tulumello che poi domineranno. I Matrona mancano perché ancora non scesi a Racalmuto.

Alcuni signori amano essere chierici “coniugati”, forse per i benefici del Santo Offizio: D. Domenico Grillo; D. Calogero Sferrazza; D. Paulo Baeri. Ad un livello inferiore troviamo i chierici “coniugati” Agostino Carlino, Francesco Farrauto e Giuseppe Chiovo.

 La pletora dei sacerdoti era però eccessiva e non tutti i ministri di Dio erano modelli di santità o almeno disponevano di un pur ristretto bagaglio di nozioni teologiche e morali da potere essere autorizzati al sacramento della confessione: solo cinque, oltre all’arciprete, erano facoltizzati: il vicario Lo Brutto, uno solo dei Casucci: Gaspare, don Francesco Torretta, don Baldassare Biondi e don Leonardo La Matina.

E passiamo ora ai conventi. Iniziamo dai Carmelitani.

Il priore era un racalmutese DOC: il sacerdote padre Carlo Maria Casucci, assistito dal sac. D. Pietro Paolo Roccella. Il padre lettore, il sac. Antonio Monticcioli era in trasferta a Trapani. Stavano al Carmine, a beneficiare delle laute rendite i fratelli – i “fratacchiuna” – fra Elia Salemi, Fra Angelo La Rosa e fra Gerlando Montagna.

 

I francescani conventuali erano quelli del convento di S. Francesco; dovevano essere in quel momento in crisi: un solo sacerdote, padre Giuseppe Cimino – che giureremmo essere di Grotte, e fra Paulo Surci (semplice “fratello”).

 

Non così invece a S. Maria di Gesù: quattro sacerdoti, venuti tutti da lontana via a godersi le tante rendite (P. Michelangelo da Lentini, P. Ludovico da Licata, P. Giovan Battista da Mussomeli e P. Bonaventura da Canicattì) e quattro “fratacchiuna” (fra Pasquale da Racalmuto, fra Gaetano da Cammarata, fra Giiovanni Battista da Racalmuto e fra Geronimo da Racalmuto). Stavano al convento attiguo alla chiesa; appartenevano all’ordine francescano dei Minori Osservanti; coltivavano le feraci terre ove ora c’è il cimitero e sino al 1866 riuscivano a cavarne del buon vino, sia pure con alterna fortuna.

 

A S. Giovanni di Dio, adibito soprattutto ad ospedale, non c’erano sacerdoti ma solo due “fratelli”: fra Bernardo Sassi e fra Vincenzo Mercante, decisamente forestieri. Le lamentele fatte al Papa da parte del vescovo Ramirez non erano poi infondate.

 

Il convento di S. Giuliano doveva essere chiuso da almeno mezzo secolo ed invece eccocelo vivo e vitale – sia pure ora inquadrato nell’ordine di S. Agostino della Congregazione di Sicilia. Quanto sia ricco lo vedremo quando commenteremo una dichiarazione dei redditi, con annesso stato patrimoniale, del 1754. Qui dimorano tre sacerdoti (P. Agostino da Racalmuto, P. Ignazio da Geraci e P. Anselmo da Adriano) e tre “fratelli” (fra Giuseppe da Racalmuto, fra Agostino da Racalmuto e fra Giuseppe da Caltanissetta). I fratelli laici dovevano sguinzagliarsi per le campagne per la “ricerca”, le elemosine in natura, ad onta delle cospicue rendite.

 

Ed ora è il turno del convento delle monache di S. Chiara. Vi pullulano ben 22 recluso, in uno spazio che per quanto ampio costituiva una specie di carcere per donne di diversa estrazione, di diversa età e persino di diversa cultura. Venivano sepolte nella graziosa chiesa della Batia. Ora, il pavimento della vecchia chiesa è ridotto a sala di conferenza. I loro resti umani vengono calpestati senza rispetto alcuno, senza un ricorso, senza un fiore. Almeno quelle derelitte del 1731 ricordiamole qui, con come e cognome.

L’abbadessa era suor Domenica Rizzo ed è dubbio che fosse di Racalmuto. Le fungeva da vicaria suor Rosa Renda. Provenivano da famiglie di spicco: suor Gesua Maria Lo Brutto, suor Maria Stella Sferrazza, suor Maria Lanciata Di Benedetto, suor Maria Grazia Casucci, suor Maria Crocifissa Signorino, suor Claradia Amella, suor Maria Gioacchina Brutto, suor Angelica Maria Signorino, suor Francesca Maria Biondi, suor Maria Scolastica Signorino; da forestieri o da famiglie non altolocate che riuscivano a sistemare le figlie superflue tra le cosiddette clarisse, ove il pane quotidiano era almeno assicurato: Suor Giuseppa Maria Caramella, suor Pietra Margherita Zambito, suor Maria Serafica Zambito, suor Carla Maria Provenzano, suor Antonia Maria Raspini.

E con loro, le novizie Vita Vinci e Orsola Guadagnino. Tre “converse” – all’ultimo gradino di quella opprimente gerarchica monastica – erano tutte del luogo: soro Geronima Martorana, soro Elisabetta La Licata e soro Angela Rizzo. Un tratto di penna dell’Algozini e poi più nulla per queste vite umane, per queste vittime di una condizione femminile settecentesca, echeggiata appena dalla Maraini quando ebbe a raccontare la lunga vita di Marianna Ucria. Ma qui non c’è neppure il benessere del dominio aristocratico.

 

I benefizi ecclesiastici sono appena quattro: uno è in possesso dell’arciprete e gli altri sono semplici: quello di S. Antonio viene goduto da d. Gaspare Casucci; l’altro di S. Maria dell’Itria da don Pietro Signorino, quello che lascerà tanto alla chiesa del Monte; ed infine quello di S. Nicolò di Bari assegnato a don Gaspare d’Agrò.

 

I mansionari, i preti salmodianti a pagamento in Matrice, sono ancora dodici, come aveva voluto il fondatore, l’arciprete Lo Brutto e, a scorrere la lista, ci si sorprende che autorizzati a ricevere le confessioni sono solo d. Salvatore Lo Brutto, d. Gaspare Casucci e d. Francesco Torretta; gli altri (don Filippo Cino, don Francesco Pistone, don Vincenzo Casucci, don Giambattista Pumo, don Isidoro Amella, don Gerlando Carlino, don santo Farrauto, don Antonino d’Amico e Matina e don Antonino d’Amico e Morreale) sono bravi a cantare le ore canoniche ma non sono ritenuti all’altezza delle confessioni, specie delle donne. Per converso don Baldassare Biondi e don Leonardo La Matina vengono ritenuti idonei ad impartire l’assoluzione dai peccati, ma sono per il momento tenuti lontano dai benefici economici che il cantare Vespro e Compieta fa conseguire. Don Nardu Matina non sarà mai beneficiale venendo a decedere nel 1733 (LIBER, n° 216); Baldassare Biondi (+ 29 ottobre 1771) farà carriera, diverrà vicario foraneo e raggiungerà la ragguardevole età di 82 anni (LIBER, n° 284).

 

Racalmuto non ospita eretici o scomunicati; è tutto sommato morigerato e rispettoso della religione e dei precetti della chiesa. L’Algozini può così rispondere all’apposito paragrafo del questionario:

1.     Non vi sono scomunicati, , né sospesi, interdetti o che non abbiano adempito la communione paschale, o non osservato le feste, né publici usurarij, concubinarij, adulteri, solamente Lorenzo Scibetta è diviso da sua moglie che ostinatamente abita in Aragona, Diego di Giglia da Maria sua moglie che pure ostinatamente non lo vuole, siccome Giuseppe Lo Brutto di Gaetana d’Anna sua moglie; né pure vi sono giocatori scandalosi  né inimici;

2.     Vi sono due maestri di scuola, rev.do sac. D. Calogero Pumo ed il Diacono D. Melchiorre Grillo;

3.     Quattro medici fisici dr. D. Giuseppe Grillo, dr. D. Giuseppe Amelli, rev. Sac. D. Ignazio Pumo, ed il clerico coniugato D. Calogero Sferrazza;

4.     Chirurghi dui il clerico coniugato D. Giuseppe Sferrazza e D. Antonino Amelle;

5.     Due levatrici, Angela Rini e Maria Schillaci, ambi di buoni costumi e sanno la forma del Battesimo.

 

Seguiamo ora, passo passo, come l’arciprete Algozini descrive la Matrice:

1.     Il titolo della chiesa è Maria SS.ma dell’Annunciazione ;

2.     Si celebra la festa nel giorno proprio;

3.     Non vi sono abusi;

4.     La chiesa non è consecrata;

5.     Il Padrone è il vescovo;

6.     Fu eretta alli 20 giugno 4a Ind. 1621;

7.     Nella Cappella di S. Maria del Suffraggiov’è la Liberazione dell’Anime ogni lunedì e nell’ottava de morti ad septemnium per breve concesso dalla Stà di Benedetto XIII di fel. mem. a 17 settembre 1728 e nessuno altare ha Padrone.

Della struttura della Chiesa

1.     Questa Chiesa Matrice è construita con due ordini di colonne, con che si forma la nave e due ali;

2.     Ha semplice tetto;

3.     Non dona umidità;

4.     Vi sono sei finestre, cioè tre con vitriate e tre senza;

5.     delle quali entra vento;

6.     le pareti della chiesa in alcune parti sono di piedre quadrati, in alcune con incrostatura in alcune incolte;

7.     senz’erbe;

8.     La fabrica da pertutto ben soda;

9.     senza veruna servitù;

10.  v’è choro situato nell’altare maggiore dell’istesso sito della Cappella;

11.  senza sedili o stalli distinti, ma fra breve vi si faranno ad eccitazione del detto rev. Archiprete;

12.  non v’è separazione di luoco per le donne;

13.  il pavimento è di gisso intiero.

 

Disponibili anche notizie sullo stato dell’edificio e sul suo assetto interno:

1.     Tocca alla Maramma la reparazione che ha onze 3.15.6 di rendite annue e cioè: dal sac. Isidoro Amella onze 2; dal rev.do sacerdote don Vincenzo Casucci e consorti tarì 13.19; da Antonino di Salvo Ruggeri tarì 4.10; dagli eredi di Giovan Battista Petruzzella e consorti tarì 10.10; da Giovanne d’Alaymo Trombetta tarì 8.5; dall’erede di Salvatore Corbo tari 8.2.

2.     S’amministrano dalli quattro deputati della chiesa che sono il rev. Archip. Dr. D. Filippo Algozini, il rev. Vicario Foraneo D. Salvatore Lo brutto, don Francesco Pistone e don Gaspare Casucci.

L’Algozini ci informa che «v’è dentro la Cappella del SS.mo Sacramento di questa Chiesa Madre la compagnia del Santissomo Sacramento; l’officiali sono l’antedetto rev.do arciprete dr. D. Filippo Algozini, M° Giacinto Scibetta e M° Giuseppe di Rosa.»  Aggiunge: «Dentro questa Matrice chiesa non vi sono cappellanie se non le sacramentali che adesso sono il rev.do sacerdote D. Francesco Torretta ed il rev.do sacerdote D. Leonardo La Matina.»

Abbiamo peraltro «un beneficio di S. Antonio Abbate posesso come sopra dal rev.do sac. Don Gaspare CasucciAl servizio della Matrice sono i chierici Pietro Santo Maura e Santo di Naro: il loro stipendio e di 8 onze, quattro pagari dal rev. Arciprete, due dalla Cappella del SS.mo Sacramento, onze 1.10 dalla Cappella di Maria del Suffraggio e tarì 20 «d’altre tre Cappelle in ragione di tarì 6 per una, oltre tarì 10: incirca di venti.»

Ed ecco, di estremo interesse storico, la descrizione e la disposizione degli altari:

1.     Vi sono quattordeci Altari, il Maggiore;

2.     quel del venerabile;

3.     della SS.ma Annunciata;

4.     di S. Maria del Suffraggio;

5.     del SS.mo Crocifisso;

6.     di S. Vito;

7.     di S. Giovan Battista;

8.     di S. Leonardo;

9.     di S. Antonio Abbate;

10.  di S. Ignazio;

11.  della Ss.ma Assunzione;

12.  delli S.ti tré Reggi;

13.  di S. Giuseppe;

14.  di S. Maria Maddalena.

 

«Per quante diligenze s’abbiano fatto – soggiunge l’arciprete – non si sa dell’erezione di ciascheduna.» Nel dettaglio: «Sono l’altaretti conservati nello stipite e non ve ni sono portatili; sono intieri nelli sigilli delle Reliquie; ve n’è uno [altare] privilegiato di S. Maria del Suffraggio; nessun altare ha padrone; non hanno rendite per suppellettili e manutenimento, se non quelli che si devono contribuire dalli celebranti secondo la tassa e reduzione ultimamente fatta. L’altare però di S. Ignazio ha tarì 19 annui dovuti cioè: tarì 12 da Pietro Mulè paruzzo in virtù di contratto per l’atti di not. Michelangelo Vaccaro a 10 settembre 7a 1713, e tarì 7 dal notaio Michelangelo Vaccaro in virtù del contratto per l’atti del quondam notaio Francesco Pumo a 11 gennaio X a ind. 1717.»

Gravano sugli altari vari pesi per messe:

1.     La cappella del SS.mo Sacramento messe n° 163;

2.     Cappella della SS.ma Annunciata messe n° 58;

3.     Cappella di S. Giuseppe messe n° 144;

4.     Cappella delli S. Tré Reggi messe 3;

5.     Cappella di S. Maria del Suffraggio messe n° 914.

 

«Oltre d’altri sei Cappellanie cotidiane trattenute dalla detta Cappella del Suffraggio, secondo denota la Tabella in Sacrestia.»

 

L’inventario del Casucci.

 

Questo l’arredo della chiesa e  degli altari secondo l’inventario del tempo:

«Questo è l’inventario di tutti i beni mobili e stabili semoventi, frutti, rendite, raggioni azzioni e spese di qualsiviglia sorte della chiesa Matrice di Racalmuto, sotto il di Primo Aprile 1731, fatto per me D. Gaspare Casucci Economo di detta Chiesa con la presenza e l’assistenza delli Rev.di Sac. D. Filippo Cino e D. Gerlando Carlino previamente informati dei beni, frutti e rendite, e sono l’infrascritte:

La sudetta chiesa  Matrice è posta nella strada del Castello a frontespizio della Piazza; ha d’un lato le case di M° Giuseppe Di Rosa e dall’altro le case della ven.le Compagnia si S. Giuseppe

Qui il Casucci si addentra in una ricostruzione storica che non sembra avvalorata dai  documenti da noi investigati. Ad ogni buon fine, quella ricostruzione casucciana la riportiamo egualmente:

«Fu finita di fabriche l’anno 1620: benedetta con licenza di Monsignor Vescovo di Girgenti sotto li 20 Giugno di detto anno.» A nostro avviso, c’è qui l’abbaglio della strana ripartizione della parrocchia tra don Vincenzo del Carretto e don Paolino d’Asaro del 1608 ed il successivo ricongiungimento delle due parti in capo alla chiesa dell’Annunciata sotto un unico arciprete che a noi risulta essere don Filippo Sconduto. Il Casucci non ci pare molto ferrato nella storia della sua chiesa.

Attendibile invece quando parla delle Cappelle, di cui curava in definitiva l’amministrazione:

La Cappella della SS.ma Annunciata fu fondata e dotata da D. Gaspare Lo Brutto e Leonora d’Asaro con obbligo di 58 messe. [..] Li superlettili di detto Altare, come di tutti gli altri altari e chiese sono li seguenti:

In primis una Cappella bianca di lama, con sue tunicelle, casubula, cappa, stole manipoli e palio;

Item una Cappella violacea di lama, con suoi Tunicelle, casubula, cappa, stole, manipoli e palio d’altare;

Item una cappella virde, con sue tunicelle, casubula, cappa, stole manipoli e palio d’altare;

Item una Cappella rossa, con sue Tunicelle, casubula, cappa, stole manipole e palio d’altare;

Item una Cappella nigra di felba [2] con scuti ricamati, con sue tunicelle, casubula, cappa, stole manipole e palio d’altare;

Item una casubula di stolfo russa , con sue stola e manipole;

Item una casubula bianca d’asprino con manipola e stola;

Item dui casubuli nigri, con suoi stole e manipoli;

Item dui casuboli violaci usati con stole e manipoli;

Item trè casubuli russi usati con stoli e manipoli;

Item una casubula bianca raccamata di seta usata con stola e manipole;

Item una casubula verde usata con stola e manipole;

Item sei cammisi boni, cioè tre di tela d’Olanda e tre di tela sottile, con suoi cingoli ed ammitti;

Item altri tre cammisi usuali per la giornata, con suoi cingoli ed ammitti.

Altare maggiore

In primis un quadro di S. Pietro e Paulo di Pittura, con cornice scartocciata indorata d’oro;

Item n° sei candilieri con suoi vasi e rami usati;

Item n° sei tabole per ornamento dell’altare, indorate di mostura;

Item una cornice dell’altare indorata di mostura;

Item la carta di gloria, con l’Imprincipio e lavabo;

Item due tovagli d’altare;

Item un tappito vecchio per detto altare.

L’ulteriore precisazione che abbiamo dall’Algozini, datata 1° giugno 1731, parla anche di un dischio foderato di damasco verde usato.

Altare della SS.ma Annunciata

Item la statua della SS.ma Annunciata con l’Angelo, di ligname indorati di mistura;

Item un Reliquario di Ligname indorato di mistura con sue reliquie dentro;

Item due candilieri con sua croce usati;

Item una carta di gloria, con l’Imprincipio e lavabo;

Item due tovaglie usate per l’altare;

Item una cornice indorata di mistura per detto Altare;

Item tré pialli d’altare usati;

Item un lampero di ramo.

In più, stando all’integrazione dell’inventario da parte dell’Algozini: sei candileri con suoi vasi novi indorati di mistura con sei rami di talco novi.

Altare di S. Maria del Suffraggio

Item un quadro di pittura con sua cornice indorata;

Item sei candileri con la croce e sei vasi;

Item sei rami usati;

Item quattro candileri piccoli;

Item una carta di gloria col’imprincipio e lavabo con le cornici indorate di mistura;

Item Item due tovaglie d’altare;

Item un palio di seta violaceo e bianco con cornice indorata di mistura per detto Altare;

Item un lamperi di ramo novo.

Altare del SS.mo Crocifisso

 

Item l’Immagine del SS.mo Crocifisso con la croce indorata;

Item un quedretto di Maria delli Setti Dolori con sua cornice;

Item quattro candileri con sua croce usati;

Item una carta di gloria con l’Imprincipio e lavabo; con “concice indorata” (v. Algozini);

Item un palio d’altare di pittura con cornice indorata, che è “di stolfo violetto e rosso con gallone d’oro, novo” (vedi inventario del 1° giugno 1731).

Integra l’Algozini: sei candileri con sei vasi indorati di mistura novi; sei rami di talco stagnolati novi;

Altare di S. Vito

Item L’imagine di S. Vito di ligname;

Item una tovaglia ed un palio d’altare usati.

Altare di S. Giovanni Battista

 

 Item un quadro con la figura di detto santo con la cornice;

item l’imprincio e lavabo usati, item un palio di pittura;

itemdue candilera vecchi, ed una croce senza pede.

Altare di S. Leonardo

Item un quadro con la figura di detto santo;

Item una tovaglia ed un palio di pittura;

Altare di S. Antonio Abb.

Item la statua del santo di ligname;

Item quattro candileri con sua croce e rami vecchi;

Item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;

Item una tovaglia per detto altare;

Item un palio d’altare di pittura;

Item un lamperi di ramo.

Altare di S. Ignazio.

Item il quadro con sua cornice indorata di mistura;

item quattro anegli per candeleri;

item una croce usata;

item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;

item un palio d’altare di pittura con cornice indorata di mistura.

Altare della SS.ma Assunzione

Item il quadro con sua cornice;

item quattro candileri vecchi;

item carta di gloria con l’imprincipio e lavabo vecchi;

item un palio d’altare di pittura con sua cornice.

Altare delli santi tre Reggi

Item il quadro di pittura;

item due candileri con sua croce

item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo.

Altare di S. Giuseppe

Item la statua di detto santo con il suo Bambino di legname indorati

Item sei candileri con suoi vasi e rami usati, e croce;

item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo

item un palio d’altare di seta vecchio con sua cornice;

item due tovaglie per detto altare.

Altare di S. Maria Maddalena.

Item il quadro con la figura di detta santa;

item sei candilera con la croce, quattro vasi e quattrorami;

item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;

item palio d’altare di seta con cornice indorata di mistura.

Altare del SS.mo Sacramento

Item una custodia di marmo con suo tabernacolo indorato. Item un Padiglione di seta violaceo con sua guarnizione d’argento;

item quattro candileri con sua croce;

item quattro vasi per li rami;

item dui tovaglie per l’altare;

item un palio d’altare di seta con sua cornice indorata.

L’Algozini aggiunge: due padiglioni di tela stampata; un portaletto di damasco rosso con suo gallone d’argento usato; sei candileri con suoi vasi e rami di talco stagnolati, una campanella nova per servizio delle messe e due padiglionetti per l’ogli santi.

 

Ovvio che è la sacrestia ove sono custoditi paramenti sacri, ornamenti vari, addobbi ed altro.  Significativo l’inventario, anche perché potrà un domani servire per un museo parrocchiale veramente rievocativo della vita religiosa dei nostri antenati, contadini e pii.

Item dui crocifissi per la preparazione;

item dui chiomazzelli per detta preparazione verdi usati;

item altri dui di tela per detta preparazione;

item due coverte di tela per detta preparazione;

item uno stipo grande con altri due piccoli a lato novi;

item due coverte per il fonte battesimale di seta violetta con frinza ed altra di coiro con frinza, usati;

item due dischi;

item un’ombrella per il fonte battesimale;

item quattro lanterni novi;

item una coverta di tela rossa sopra la boffetta della cridenza;

item un portale di tela per l’organo;

item una stola di stolfo rossa;

item altra stola di damasco di diversi colori;

item una fodera per l’ombrella;

item un palio d’altare dinnanzi il battisterio;

item una sponza di ramo;

ietm un lamperi di stagno;

item una pisside con il piede di ramo;

item un altro vaso a forma di pegno con il piede d’argento per il stabile;

item un baldacchino d’asprino con li quattro asti indorati;

item un stendardo d’aspino, con altri due palietti del medesimo drappo;

item un ombrello del medesimo drappo d’asprino con n° venticinque campanelli d’argento di bolla;

item altri sei palietti, cioè due di stolfo e l’altri di diversi colori, con suoi lanterni ed asti;

item altro baldacchino bianco ed un stennardo usuali;

item altro tosollino [3] più grande per la sfera;

item una sfera grande con il piede d’argento con la lonetta indorata;

Item l’incensero e navetta con sua cocchiarella d’argento;

item una sponza d’argento ;

item tre calici con piedi di ramo indorati, con tre patene;

item altro calice con il piede d’argento con sua patena;

item una cocchiara d’argento per il fonte battesimale;

item dui vasetti d’argento per l’oglio santo del battesimo;

item altro vaso per l’oglio santo dell’estrema unzione;

item tre paviglionetti per il vaso del SS.mo Viatico;

item tre portaletti per la custodia;

item una tovaglia bianca di taffità con guarnazione d’argento;

item altra tovaglia di taffità bianca vecchia;

item cinque corporali;

item n° undeci veli di calici di tutti colori usuali;

item n° dieci borze con suoi palli di diversi colori;

item cinque messali usuali;

item quattro missaletti;

item una cassetta con tre vasi di stagno con l’oglio santo;

item un rituale e graduale vecchi;

item dui calamara di stagno con una bussola nel battisterio;

item un particolario; item un sicchetto di ramo;

item due boffette nella sacrestia, tre cascie vecchie, un scabello, un genuflessorio, tre tovagli di facci, dui chiomazzella di felba russa usati, un crocifisso per il Pulpito, una cappa e tonicella neri lavorati, item tre incerati, un tisello (o tusello v.s.) di legname, un triangolo di ferro con cilio di cera, altro triangolo per le tenebre;

item quattro campanelli;

item una tela azola per la porta;

item tre confessionarij;

item una seggia per il SS.mo Viatico;

item un organo di cinque registri ed un polpito;

item tre trispiti;

item tre campane nel campanile, cioè una grande di sei cantara, altra mezzana di due, ed il segno.

Si chiude qui l’inventario che reca la sottoscrizione del sacerdote D. Gaspare Casucci, economo e quella del sacerdote D. Gerlando Carlino.

 

Nelle visite pastorali, il clero doveva sobbarcarsi alle spese per il vescovo, vettovaglie , cibarie ed ospitalità per il giorno e per la notte. L’arciprete, il vicario foraneo ed il procuratore del clero partecipavano all’eventuale Sinodo. Per il cosiddetto “cattedratico” l’arciuprete doveva sborsare 6 tar’ annui. Ministero della cura si chiamava l’ufficio sacerdotale generale. Sappiamo che in quel tempo era parroco Filippo Algozini di Prizzi, consacrato sacerdote nel 1712. Quando giunge il Gioieni era parraco di Racalmuto da «tre mesi e giorni dieci»; era di nomina pontificia (con breve di papa Clemente XII) e nel 1731 aveva 43 anni.

L’arciprete «risiede ed amministra la cura dell’Anime per se stesso e li suoi coadiutori sono il rev.do sac. D. Francesco Torretta ed il rev.do sac. D. Leonardo La Matina cui le si somministrano onze 12». Due chieri sono inoltre al servizio della Matrice, a pagamento.

Ancor oggi sono godibili i libri parrocchiali, in definitiva per l’amorevole cura dell’arciprete Algozini, guarda caso: non era neppure racalmutese. Trattasi dei seguenti libri: «parrocchiali, cioè de Battezati, de Matrimonij, dello stato dell’Anime (invero, al momento v’è un salto delle numerazioni delle anime passandosi da quella del 1654 a quella del 1755), de morti, osservando il metodo prescitto dal rituale romano con alfabettarsi; libri de confermati non si ha ritrovato per quante diligenze abbia fatto.»

“Sermoni pastorali” ogni domenica e tutte le feste comandate; la dottrina cristiana viene insegnata il dopo pranzo di tutte le feste dall’arciprete  che si serve “della dottrina di Bellarmino in volgare per li figlioli" ” del "catechismo romano" per gli adulti. Una menda: “non v’è scola per la dottrina”.

Ancor oggi ammiriamo il primo libro delle “denuncie da farsi al popolo” che è proprio dell’Algozini: ivi «ogni domenica si denunciano tutte le feste e vigilie e si pubblicano gli editti del vescovo e del S.to Officio”. Quest’ultima denominazione – che avrebbe fatto drizzare le orecchie di Sciascia – resta solo un flatus vocis, visto che nulla di orripilante è dato di rintracciare nel citato volume parrocchiale. Leggiamo, ad esempio, questo tediosissimo bando (come si vedrà non vi è nulla degno della Santa Inquisizione, almeno nella versione ormai corrente): «Avendo pervenuto alla notizia del Procuratore Generale de’ Santi Luoghi di Gerusalemme che molte persone abbiano detenuto, impedito, occupato, sottratto, et in altro uso  convertito l’elemosine, legati, denari, ed altri, in qualsivoglia modo spettanti a detti Santi Luoghi, essendovi anche di tal occupazione, detenzione, sottrazione et impedimento scienti alcune persone i quali per rispetto umano non vogliono rivelarlo, per ordine di Monsignore Ill.mo vescovo di Girgenti si fa canonica monizione a tutte le suddette persone che dovessero rivelare, e ciò fra il termine di giorni 15, cinque de’quali se l’assegnano per il 1° termine, 5 per il 2° e 5 per il 3°, quale spirato e non fatti li suddetti riveli si procederà da esso Mons. Vescovo e Sua E.C.V. alla fulminazione della sentenza della scomunica contro li scienti e non revelanti li detinenti, occupanti, impedienti e sottraenti l’elemosine dìsuddette. – 1731 Xa ind. Ottobre.»  L’avrà spegato l’arciprete Algozini a quei basiti contadini racalmutesi, tutti alla messa della domenica? Se no, davvero avevano poco da capire. Così come anche noi stentiamo a scoprire le ragioni che spingono il “devoto e santo vescovo” Gioieni a quelle veementi minacce di scomunica … contro ignoti. A meno che, dopo l’interdetto, erano proprio i preti locali ad accaparrarsi i proventi della vendita delle bolle della crociata; in questo caso erano davvero faccende interne e prudenza voleva che si si facesse scandalo. Avrà l’Algozini farfugliato qualcosa per non disobbedire al vescovo ed al contempo non disorientare i suoi parrocchiani, i nostri antenati?

In quel periodo approda a Racalmuto M° Filippo Agostino Bianco ed intende sposare “Marca Peri, schetta, figlia legittima e naturale di M° Rosario e Vita Peri di questa suddetta terra di Racalmuto.» Il cognome Bianco fu celebre anche ai miei tempi per la spiccata personalità di don Pasqualino. Il Pepi è patronimico scomparso da Racalmuto a  memoria d’uomo. Mastro Filippo Bianco era stato davvero un girovago e fu fatica improba per l’amanuense della Matrice trascrivere tutti quei toponimi esteri in cui il nubendo aveva dimorato più o meno a lungo: dalla Plagia del Marchesato di Brandeburgo alla terra di Aisein, ove si recò quando aveva 29 anni; «indi andò a travagliare da lavorante» in un paio di città estere e dopo finì a Proohoki per approdare a Vienna, passare in Lungaria, a Preseburg, in Raap, in Ophm. Ritorna a Vienna, ma non definitivamente: passa a Craaz e quindi a Piumma. Finalmente ritorna in Sicilia “con un vascello inglese” «e stette trè mesi in Palermo, di là un mese al Mazzarino, poi quindeci giorni a Butera, indi nove mesi in questa terra di racalmuto», ove intende accasarsi. Per stabilire lo stato libero, povera curia arcipretale!. Ma ci riuscirono: nessuno ebbe da eccepire dopo le pubblicazioni del 29 giugno, del 5 e 22 luglio del 1733. Pubblicazioni peraltro fatte gratis. E così: «desponsati fuerunt per me don Franciscum Torretta cappellanum , de licentia Parochi, sub die 24 julii 1733. Testes fuerunt Gaspar Giglia et Nicolaus S. Angelus, et postea benedicti fuerunt per sacerdotem Salvatorem Lo Brutto. Registrati  gratis.» Frattanto una famiglia riemergeva dopo un appannamento, la famiglia Savatteri. Il 2 febbraio 1732 il chierico Giovanni Savatteri, dovendo accedere all’ordine subdiaconale, può dichiarare pubblicamente che gli è stato costituito questo cospicuo “patrimonio”: una Cappella di onze dieci annuali con l’onere di Messe dieci fora data nell’Altare di S. Leonardo, in Serradifalco, come appare per contratto di fundazione ed elettione stipulato per l’atti di notaro Simone Boni sotto li 14 gennaro 1732; ed in supplemento una vigna consistente in migliara cinque con tumuli dui e mondelli dui di terre vacue confinata con la vingna di notarr Michael Angelo Vaccaro, e altri confini, nella contrada di Bovo, e numero cinque case conlaterali confinati con le casi di D. Vincenzo La Matina nel quartieri del Monte come appare in virtù di donazione stipulata per l’atti di Notari Nicolò Pumo.» La formula di rito si concludeva con questo “monitorio”: «pertanto se alcuno sapesse che detto patrimonio sia simulato, fiduciario, o che non sia bastante o di realtà lo venghi a denunciare.»

A S. Giovanni di Dio c’era l’ospedale. Affidato ai padri Fatebenefratelli, questi – e non solo allora – parevano più intenti a farsi i fatti loro che a badare all’assistenza degli ammalati di Racalmuto. Ma, quando subivano degli “sgarbi”, si avvalevano delle censure religiose dei loro confratelli della Matrice per tentare di ritornorare in possesso dei loro beni, violentemente asportati. «Si notifica ad ogn’uno – ci tramanda l’Algozini – qualmente nel mese di dicembre del 1732, avendo andato il P. Priore del venerabile Convento di S. Giovanne di Dio per alcuni affari di detto venerabile convento nella città di Palermo, in detto tempo, per causa della sua assenza fu fatto notabile danno al detto convento con averci derubato molto mobile,come formento, sommacco, oglio, e robba di tela, e molta robba di comestibile ed altro in grave danno e detrimento del detto venerabile convento, e perché vi sono alcune persone scienti dell’antedetto, e per rispetto umani non vogliono rivilarlo, intanto fra il termine di giorni quindeci … avessero da rivelare tutto quello e quanto sanno di verità altrimenti detto termine elasso e non fatto rivelo alcuno dalli scienti dell’antedetto, si procederà contro di essi dalla G.C.V. a fulminazione di scomunica. 1733 XI Ind. Primo 8 e 15 Marzo.» La Gran Curia Vescovile non credo che abbia sortito effetto alcuno da questa minaccia di scomunica contro ignoti: voler spezzare con la paura dell’inferno il senso d’omertà che già allora doveva essere forte a Racalmuto, era pia illusione. E poi a vantaggio di chi? Di un religioso del Continente che sopra S.Anna ci stava solo per arraffare le rendite che erano state distolte da Girolamo del Carretto e sua moglie Melciorra Lanza da un antico, umanitario scopo: la cura degli ammalati dereletti.

In quel tempo le feste particolari di Racalmuto, almeno quelle che si celebravano in Matrice, erano quelle che celebrative di: «S. Giuseppe, SS.mo Crocifisso, S. Antonio Abbate» nonché quella della SS.ma Annunciata. Non erano, però, occasioni di peccato o motivi per dar scandalo: «non vi sono male consuetudini – affermava l’Algozini, e noi dobbiamo credergli – e le vedove per la mestitia giungono più tosto il tempo della Messa e così ancora le zitelle spose.» Il pudico vescovo Gioieni poteva star dunque tranquillo.

Sontuose processioni, si avevano, poi, per il SS.mo Sacramento, nel giorno del Corpus Domini e per tutta l’Ottava. Inoltre, il giorno delle Rogazioni, dell’Ascensione, nel giorno di S. Marco, in quello di S. Maria di Giesù, di Maria del Carmine e di Rosalia:

Ci viene descritta una processione solenne: la processione del Santissimo «si fa come quella della Cattedrale; le mazze dell’ombrella e Baldacchino si portano dalli Giurati senza disparere, con tanti lumi quanto intervengono alla Processione, tanto di confrati quanto di regolari e clero; la spesa del lume è somministrata d’ogn’uno di per sé o dal Corpo della Communità.» L’arciprete lamentava «l’abuso che alcuni regolari portano la Croce senza pallio, ne’ Defonti.»

Ci colpisce la meticolosità con cui andavano celebrati gli atti fondamentali della vita religiosa. Il battesimo: «si trasferisce poch’ore dalla nascita del figliolo; senza necessità non si battezzano infanti in casa; nel sabato santo e nel precedente della Pentecoste con si battezza con rito solenne.» Noi moderni difficilmente riusciamo a comprendere come mai quello che per noi è atto d’amore, per l’arciprete Algozini un abuso che intende assolutamente sradicare: «non s’ha potuto riparare – accusa – al disordine di alcune madri tengono l’infante in letto ante annum». E se anche i genitori facevano l’amore, il bimbetto di un anno poteva davvero scandalizzarsi? Prurito clericale.

L’Eucarestia   «si porta all’Infermi giusta la forma prescritta di Paulo V, con diciotto lumi» a spese della Compagnia del SS.mo Sacramento: il clerico accompagnava il sacerdote con il Rituale e l’Acqua Santa. Quanto al sacramento della Confessione – tema scottante – era assicurato che «le sedie confessionali stanno il Logo aperto della Chiesa con le finestrelle e latte minutamente perforate, e con le grate spesse di legno. … Non si ammettono le donne di confessarsi  di faccia a faccia.» Il problema è quello degli infermi che vengono confessati in tempo per colpa dei medici che «il più delle volte … non osservano la Chiama» E l’Algozini incalza: «il disordine che corre circa l’infermi s’è che senza tal necessità alle volte dimandano il SS.mo Viatico ad ora intempestiva.»

Ovviamente «li matrimonij si celebrano in chiesa, con la messa pro sponsis, non in casa, se non con licenza del Vescovo [come abbiamo visto per il pittore Di Benedetto, n.d.r.]». Sta iniziando l’indagine ecclesiastica di appurare preventivamente se la volontà è davvero libera: «si sta introducendo – ci segnala l’Algozini – d’esplorarsi la volontà delli sposi separatamente.» Il guaio era che già i nubendi qualche carezza se la scambiassero prima delle nozze. Apriti cielo! «Li sposi alle volte – esagera l’Algozini – coabitano prima di contrarre il Matrimonio per verba de’ presenti ma occultamente.»

Il rituale della morte è da brivido: «lo fa il Parroco quest’Officio per se stesso quando non ha altra occupazione». In ogni caso si segue un testo dovuto al Principe di Ramacca (sarebbe da cercare) e ci si attiene al Rituale di Paolo V.

Poi le esequie: «si osserva il Rituale ad amussim (a puntino); si paga di mercede per ogni defonto sepellendosi nella Parochia a ragione di tarì 8.10, cioè tarì 3 per sepoltura e tarì 4 per obitoe tarì 1.10 per Croce.» Abbiamo notato una lievitazione del prezzo della buona morte  nel corso del Seicento che ora diviene decisamente alto. Intanto, scemava il tenore di vita dei meno abbienti e tanti che per orgoglio giammai avrebbero chiesto l’elemosina per il punto di morte  sono ora costretti a farlo ed a seppellire i loro morti nella carnaia della chiesa “gratis pro Deo”. Aspetto questo che francamente ci turba. Abbiamo pertanto una volta stigmatizzato il costume alquanto lugubre di speculare anche sulla morte da parte delle autorità ecclesiastiche, asserendo:

«I preti - allora - collaboravano, anche nello stanare evasori e falsi “miserabili”. La faccenda fiscale era allora, come oggi, faccenda seria, ficcante, perturbativa. Era una faccenda fiscale quadripartita: tasse per il barone prima e conte poi per i suoi diritti “dominicali”; “tande” per l’estranea e sfruttatrice Spagna; imposte comunali e, poi, tasse - e tante- di natura religiosa.

Queste ultime, secondo una nostra stima, erano la metà di tutta l’incidenza tributaria: andavano dalle decime arcipretali (chiamate primizie) ai “diritti di quarta”  della Curia vescovile; dai gravami basati su un falso diploma del 1108 (quello di Santa Margherita) in favore di un canonicato agrigentino che nulla aveva a che fare con Racalmuto (sappiamo di canonici beneficiari saccensi) ai tanti balzelli per battezzarsi, sposarsi in chiesa, avere il funerale religioso. Beh! la chiesa tassava il fedele racalmutese dalla culla alla tomba.»

Il passo della relazione Algozini che abbiamo  prima riportato, se non giustifica l’asprezza del tono, una qualche ragione ce la dà.

E se si voleva una sepoltura in altra chiesa, aumentava il costo: «in altra chiesa tarì 5 ne si paga altro funerale se non che la quarta della cera». Anche per i bambini c’era la «quarta di Monsignor Vescovo, però si pagano soli tarì 1.10 e competisce a Monsignor Vescovo la quarta parte tanto dell’obito de grandi quanto dell’obito dei figlioli.» Una nota di costume: «non vi sono abusi delle donne dolenti e congionti del defonto». Dobbiamo arguire che l’usanza delle prefiche o si era estinta o si era attenuata fino a non apparire un abuso agli occhi dell’arciprete Algozini.

Nel tempo della Quaresima, un apposito predicatore veniva chiamato dal di fuori per le sue roventi omelie volte al pentimento ed alla redenzione. E questo nell’ampia Matrice. Ciò invece non si reputava indispensabile nel tempo dell’avvento. Occorreva risparmiare, anche perché le spese per il predicatore incombevano sull’Università: pare che ascendessero ad un’onza e 2.5 tarì.

Erano compiti della parrocchia: a) benedire e distribuire le candele; b) fornire le palme nei giorni debiti ; c) e ciò a carico dell’arciprete; d) benedire e distribuire le ceneri; e) benedire solennemente il fonte battesimale, ogni anno nel sabato antecedente alla Pentecoste; sguinzagliare i sacerdoti per la benedizione delle case. Allora come oggi.

I problemi dell’aggiornamento del clero locale in materia di morale e nelle questioni teologiche? L’Algozini ragguaglia di avere «istituito un’adunanza di casi coscienza e di sacra scrittura due volte la settimana [anche se] non v’è costituzione che la precetti; il metodo che si propone e risponde d’uno dell’adunati il caso della coscienza, ed al punto della sacra scrittura. Tiene appresso di sé la Bibbia sacra, il cristiano instruito del P. Segnari ed altre sue opere, il Nesembergh, Crasset, ed altri ascetici; di Morale, il Bonacina Viva, Sayro,  Azorio, Toleto ed altri simili.

Trascriviamo ora pedissequamente il capo sesto, che contiene notizie di dettaglio molto importanti per comprendere la congiuntura storica di quel momento.

«Circa le notizie deve dare il Paroco della menza Parochiale, del beneficio e della persona. Della persona [del Parroco]: il suo nome è D. Filippo Algozini di Prizzi, d’anni 44; è sacerdote, Dottore in filosofia e teologia, revisore de’ libri nella Corte Archiepiscopale di Palermo.

«Il beneficio ha Ciesa propria [come abbiamo sopra descritto];

«Si chiama l’archiprestato di Racalmuto, sotto titolo della SS.ma Annunziata; l’è stato conferito della S. Sede; [di benefici, l’arciprete] ne possiede uno solo, [ed è] beneficio libero. Le rendite sono un tumolo di formento e un tumolo d’orgio per ogni casa, le vedove però un solo tumolo di formento, esclusi li fuggiti, miserabili e mali pagatori. Non vi sono beni alienati né usurpati; e questi sono Primizie, perché le decime tutte spettano a Mons. Vescovo e Catedrale.»

Ci viene qui spiegato il termine Primizie che pare fosse, dunque, una pretassazione a favore del Parroco; mentre le decime vere e proprie – quelle che si facevano risalire al celebre privilegio del 1099 – erano di pertinenza del Vescovo e dei Canonici della Cattedrale e venivano sottratte ad ogni ingerenza del locale arciprete.

Sulle Primizie arcipretali gravavano pesi ed oneri non indifferenti: 12 onze per i cappellani; 4 onze per i sacrestani; tarì 6 per il «catredatico»; onze 5 per il Seminario di Girgenti; tarì 20 per diritti erariali; onze 12 per aggi esattoriali; tarì 6 per la cera di S. Gerlando; tarì 6 per “l’oglio santo”; onze 4 «per sollennizzare la festa di Natale»; onza 1 «per la festa di Pascha»; onze 4 «per l’altre feste mobili dell’Anno, cioè Pentecoste, Ascensione, quadragesima, tenebri e simili; onze 2 per la Candelora; tarì 24 per le palme; onze 3 «per spese a minuto di Santuzzi, incenzo, libri parrocchiali, censi di confessionarij, purghe di sepolture, conze di vasi d’argento ed altri; onza una e tarì 18 per lavare la biancheria della chiesa; onze 7 per la quarta funerale incirca; onze 4 per sartatetti di superlletili; onze 2 per candele a chi paga la primizia; onze 4 “per provedere gli Altari”; [circa] onze 3 per “peregrini, spesa d’Erarij della G. C. Vescovile, visita, di cui non se ne sa il proprio stabilimento” ». Insomma, sull’arciprete Algozini gravavano, a suo dire, oneri per 70 onze e 20 tarì.

E allora vediamo quali erano gli altri benefici.

«Delle notizie deve dare il paroco circa i Legati e celebrazione de’ Messe», s’intitola il capo XI. Il parroco, in effetti, è tenuto a celebrare messe:

«In tutte le feste solenni e domeniche dell’anno; per li fratelli e sorelle di S. Maria del Soffraggio due messe solenni nell’anniversario, una nel primo lunedì di quadragesima ed altra nell’ottava dei defonti, ed una messa cantata cotidiana conventuale; per li fratelli del SS.mo Sacramento, una messa cantata nell’anniversario de defonti. Per il rev.do archipreste dr. D. Salvatore Petrozzella una messa cantata nel Lunedì del Corpus Domini; per D. Geronimo Provenzano una messa cantata nel giorno del suo anniversario; per Giovanna Grillo una messa cantata nell’ultimo vennerdì d’agosto.»

«La Cappella della SS.ma Annunciata tiene obligo di far sodisfare l’infrascritte messe, cioè: per l’anima di Don Gaspare Brutto messe n° dieci per reduzione fatta dal fu Ill.mo Monsignor Vescovo de la Pegna a 9 settembre 1727, in virtù di testamento del detto rev.do di Lo Brutto per gli atti di notar Natale Castrogiovanne a 3 ottobre  prima Indizione 1617: al presente si pagano per Domenico d’Alaimo sopra li beni da lui possessi messe 10; Per Leonora e Bartolomeo d’Asaro messe n° 43 cioè per la detta Leonora n° 28 e per d. Bartolo n° 15 come per detta reduzione fatta dal dettoIll.mo de la Pegna nel di sopra citato, in virtù di testamento di detta Leonora per gli atti di notar Pietro Bell’omo ad 8 febraro prima indizione 1663: al presente si pagano cioè onze 2 per Onofrio Busuito ed onze 1 per l’eredi di Giuseppe Macaluso Alessi sopra il loro beni: messe n° 43; per tutti quelli avessero fatti legati alla detta Cappella Messe n° 5 ordinati dal detto Monsignor della pegna per detta reduzione: messe n.° 5».

La Cappella del SS.mo Sacramento era gravata dall’obbligo di n° 162 messe e cioè n.° 29 per l’anima di donna Melchiora Paruta Ramirez, giusta atto del notaio Castrogiovanne del 18 maggio 1592 ed a spese del Principe di Campofiorito; n° 24 per Costanza Lo Brutto, in virtù di atto del notaio Michelangelo Morreale del 5 dicembre 1636, con un onere di un’onza dovuta da Simone Sorce e tarì 21 dovuti dagli eredi di Salvatore La Matina; n° 9 per Francesca Casuccio per atto del 1638 ; n.° 29 per Orsola d’Afflitto per atto del 1654; nà 1 per l’arciprete dr. D. Salvatore Petrozzella; n° 43 per mastro Libertino Falletta; n° 4 per soro Anna di Palermo; n.° 12 per il sacerdote don Santo La Matina; n.° 10 per il sacerdote D. Antonino Macaluso; n° 1 per soro Grazia d’Agrò.

Nella Cappella di S. Giuseppe dovevano recitarsi queste messe: n° 141 per l’anima del rev.do sac. D. Giovan Battista d’Acquista; n° 1 per don Geronimo Provenzano; n° 2 messe cantate per l’anima dell’arciprete dr. D. Pompilio Sammaritano, per obbligo della Compagnia di S. Giuseppe.

Nella Cappella di S. Maria del Suffragio si celebravano: n° 8 messe per l’anima di Baldassare Promontoro; n° 9 per don Gaspare Lo Brutto; n° 2 per D. Giovanni Macaluso; n° 5 per Antonino Sferrazza; n° 12 per Giovanna Grillo; n° 10 per il rev. Sac. D. Giuseppe Sanfilippo; n° 17 per il sac. D. Girolamo Scirè; n° 43 per Francesco La Licata;  n° 56 per Antonino Sferrazza; n° 14 per il sacerdote don Giovan Battista Baeri; n° 4 per Vincenzo Castronovo; n° 240 “per diverse persone descritte nella giuliana”;  n° 72 per il sac. Don Giuseppe Vella; n° 4 per Giuseppe La Matina; n° 2 “per l’anima di tutti li contribuenti; n° 10 per il sac. D. Giuseppe Lo Brutto; n° 10 per d. Giuseppe Lo Brutto e Petrozzella; n° 10 per il notaio Isidoro Lo Brutto; n° 6 per don Francesco Lo Brutto; n° 58 per il sac. Don Calogero Cavallaro.

In quella “delli Tré Regi” abbiamo  n° 3 messe per don Santo La Matina.

 

Importante ancora il ruolo delle associazioni cattoliche laiche; in sommo grado le cosiddette Compagnie. A capo stava il Governatore con due assistenti che venivano chiamato “congionti”. Spettava loro l’amministrazione dei beni e venivano eletti con voto segreto. Duravano dai pochi mesi ad un massimo di un anno, ma potevano venire rinnovati. La carica era a titolo gratuito. La Compagnia aveva rendite che spesso risalivano alla notte dei tempi.

In particolare, abbiamo informazioni sulla compagnia del SS.mo Sacramento cui si deve la chiesa di S. Tommaso d’Aquino. «Fu fondata per quanto s’ha potuto con diligenza indagare nell’anno 1632: in tempo di Urbano VIII»; da quel tempo comunque intervennero le approvazioni episcopali ad ogni successione sino al predecessore del Gioieni. La confraternita aveva sede nella chiesa di S. Tommaso d’Aquino, santo che la Compagnia festeggiava nel giorno della sua ricorrenza. Ancora, a quel tempo, la chiesa non era consacrata ed era sotto il padronato della medesima Compagnia. Della chiesa si ignorava il tempo dell’erezione, ma, appunto per ciò, diveva essere piuttosto vetusta. Diciamo che risaliva per lo meno alla prima metà del Seicento. «La struttura della chiesa è a forma di oratorio; il tetto di tavoli è buono e non piove. Vi sono due finestre impannate; le pareti sono buoni; vi sono sessanta stalli di legno per fratelli; la fabrica si fa a spese delli fratelli. Ha d’entrata onze 12 dovute da don Francesco Maria per gabella di duodeci pecori di detta Compagnia; di più tarì otto dovuti annualmente da mastro Desiderio Troisi sopra una casa sita in quartiere di S. Margheritella confinante con mastro Giovanne Di Vita e Filippa La Caro, lasciateci da Costanzo di Benedetto in virtù di testamento; di più tiene Tumulo 0-1-2 di terra incirca nella contrata al Mulino Vecchio [..]; di più tarì 4 di rendita .. sopra vigna e terreno nella contrata della Noce; di più tarì 7 sopra vigna e sommacco nella contrata di Casali Vecchio.» La Compagnia teneva fiscelle di api, n° 50 pecore e da ultimo i Fratelli dovevano versare nelle casse sociali 5 grana al mese. Il loro vestiario era caratteristico: sacchi bianchi con mantello bianco orlato di nero e con la figura del SS.mo Sacramento, figura che era reiterata negli stendardi e nelle “verghe”. Nel 1731 erano iscritti 80 fratelli; dopo un noviziato ed una “prova”, con voto segreto di “tutti gli officiali e fratelli” si veniva ammessi alla Fratellanza.

 

La tumulazione avveniva di solito nelle chiese. Il cimitero principale era alla Matrice. «Nel pavimento della chiesa – scrive sempre l’Algozini  - vi sono n° 10 sepolcrare; non sono sotto le pradelle dell’Altari; ve ne sono quattro Padronati: una delli fratelli del SS.mo Sacramaneto, altra delli Petrozzelli, altra delli Brutti ed altra dell’Acquisti.» Sorprende che non si citi quella dello sciasciano personaggio di don Santo d’Agrò.

Una notizia piuttosto inestricabile è la seguente: «vi è cemiterio dentro l’istessa chiesa murato da per tutto, e però non ci è chiave, né Croce, né speciale benedizione del Vescovo.» Un’antica “carnaria”, pensiamo noi, che nel 1731 non solo era andata in disuso ma era stata, forse per motivi igienici, totalmente sotterrata ed ermeticamente chiusa. Riteniamo che si tratti di quella che frettolasamente dovette essere aperta al tempo della gavissima peste del 1671.

Notizie di contorno: il campanile era alto 65 palmi circa e non era coperto ma poteva venire raggiunto agevolmente con una scala interna definita comoda; era munita di tre campane come abbiamo già detto che erano state benedette dao precedenti arcipreti su licenza del vescovo. Il campanile non aveva entrata autonoma: «non v’è porta perché si salisce dalla medesima chiesa.»

Notevole la sacrestia: «è a tetto, vi sono tre finestre impannate, in una parte umida. Il pavimento [è] di gisso; non vi sono armarij; è mediocremente provista di superlettili sacri secondo l’inventario; la spesa di providerla appartiene al rev.do Arciprete e legatarij di messe.»

La Matrice non era subordinata ad alcuno: non v’era jus patronatus come ad esempio a Grotte che determinerà il cosiddetto scisma alla fine dell’Ottocento. Al tempo dell’Algozini «non c’era casa Parochiale, né cose mobili destinate alli Rettori, ma ogni soccessore o se la loca o se la fabrica per sé». Singolare caso quello della Cappella del Santissimo Sacramento, in possesso di «cinquanta fiscelli d’api con l’eredi del rev.do sacerdote D. Calogero Cavallaro» (+ 12 gennaio 1730).



[1]) Tra le carte della Matrice è però custodito un documento che si riporta in appendice che comprova la rendita della Cappella della Maddalena, risalente appunto a don Santo d’Agro, che si continua a percepire ancora nel Settecento e nell’ Ottocento.
 
[2] ) Drappo di seta col pelo più lungo del velluto: felpa.
[3] ) piccolo sopraccielo, baldaccino = dossello.

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