martedì 21 gennaio 2014

Racalmuto antica


Racalmuto, miliardi e milioni di anni addietro


 

Se l’età della terra vanta un’età di cinque miliardi di anni, ne dovette trascorrere di tempo prima di arrivare in piena epoca miocenica (circa venti milioni di anni or sono) allorché un fenomeno rimarchevole ebbe a verificarsi in territorio racalmutese: nembi e nembi di moscerini annebbiarono le plaghe allora affioranti a Racalmuto e quando vi morirono lasciarono scie solfifere, poi coperte man mano di sale, gesso, trubi e quindi di humus. A noi va di rappresentare così l’ipotesi scientifica che Pratesi e Tassi [1] volgarizzano in questi termini: «la terra delle miniere di zolfo, le celebri zolfare inscindibili dalla storia della Sicilia perché teatro di tragedie umane legate al triste fenomeno della schiavitù dei carusi … riveste ancora un notevole interesse naturalistico, per chi voglia comprendere la storia della formazione di queste singolari montagne erose, incise, deforestate, che hanno l’aspetto caratteristico di certe regioni interne mediterranee, dalla Castiglia all’Anatolia. La cosiddetta serie gessoso-solfifera, intercalata da depositi di salgemma che sono tra i rarissimi d’Italia, non è che una formazione miocenica comprendente antichissimi tripoli in basso e poi calcari di base e calcari solfiferi, per giungere infine ai gessi superficiali e quindi più recenti. Oggi si è inclini a ritenere che questa formazione abbia avuto origine dalle grandi lagune terziarie progressivamente evaporate, con un processo di sedimentazione che avrebbe avuto per protagonisti non solo i principii della fisica e della chimica, ma addirittura uno straordinario microscopico batterio, il Desulfovibrio desulfuricans, capace di nutrirsi di petrolio greggio e di rubare ossigeno al solfato di calcio dando luogo a idrogeno solforato che, attraverso una normale ossidazione, avrebbe partorito lo zolfo nativo.»

Quanto al sale racalmutese, ci pare illuminante quest’altro passo dei due citati autori[2]: «le rocce che costituiscono queste zone sono essenzialmente due: le argille gessose e sabbiose, spesso salate con grandi ammassi di salgemma, che includono qua e là banchi di rocce più tenaci, e le rocce gessoso-solfifere vere e proprie. L’origine di questi minerali è da ricercarsi nei parossismi orogenici del Miocene, in cui, con il formarsi finale delle Alpi e degli Appennini, seguì un sollevamento generale del suolo che portò alla formazione di estesissime lagune salate la cui lenta evaporazione originò un complesso di depositi di sale, gesso, ed altre sostanze.»

Il processo geologico si evolve con la formazione di strati silicei. Sempre secondo il Pratesi e il Tassi: «tra i due strati di rocce (sopra quelle gessoso-solfifere, sotto le argille gessose e sabbiose) sta un sottile strato di materia silicea nota con il nome di tripoli o farina fossile, composta specialmente da scheletri di microrganismi acquatici quali radiolari e diatomee.»

Anche per l’Altipiano di Racalmuto può affermarsi con i due autori che «la formazione gessoso solfifera è abbondantemente ricoperta da depositi marini più recenti, del Pliocene. Una crosta, alta parecchi metri, di rocce calcaree, in genere tufi composti da un impasto di gusci e di conchiglie che proteggono i più molli terreni sottostanti. Si formano così come delle zattere di roccia calcarea galleggianti sulle formazioni gessoso-solfifere. […] Quando la crosta calcarea viene però ad essere corrosa tanto da permettere alle acque di sciogliere il gesso sottostante, si ha la formazione di cavità carsiche dette zubbi o addirittura grandi avvallamenti …»

 

Cerchiamo di raccapezzarci un po’ meglio: nel succedersi degli sconvolgimenti geologici, il territorio di Racalmuto raggiunge l’attuale sua conformazione nelle fasi finali dell’era terziaria, cioè in tempi piuttosto recenti. Concetto in ogni caso relativo, visto che bisogna andare a ritroso nel tempo per almeno cinque milioni di anni. Non va dimenticata la ricorrente teoria scientifica secondo la quale l’intera Sicilia sarebbe terra “geologicamente recente”([3]). Ed anche qui trattasi di risalire, nella notte dei tempi, per un centinaio di milioni di anni prima di datare la fase iniziale del complesso fenomeno formativo dell’isola. In un primo momento,  “formazioni calcaree mesozoiche, e cioè dell’èra dalle forme intermedie di vita, o èra secondaria” ebbero ad abbozzare un cosiddetto “scheletro” tra Trapani, Palermo e Messina con un isolato nucleo avente l’epicentro a Ragusa. In una seconda fase, si formò una sorta di tessuto connettivo per il progressivo emergere di terre durante la regressione pliocenica. Infine, in epoca quaternaria, affiorarono le terre marine.

 

Secondo una cartina della distribuzione dei terreni pliocenici e quaternari in Sicilia dovuta al Trevisan [4] Racalmuto si modella con le forme che oggi ci sono familiari sul finire del periodo intermedio e cioè durante la transizione dal terziario al quaternario, in pieno Pliocene. Studi sulla geologia di Racalmuto sono stati fatti da A. Diana (1968). Geologi locali (vedasi fra gli altri Luigi Romano) hanno di recente dato i loro apporti. Nella sua tesi laurea il Romano, avvalendosi dei dati sperimentali desunti dalla trivellazione di una quarantina di pozzi, distingue quattro strati nel sottosuolo racalmutese. «Cronologicamente - ci ragguaglia l’A [5] - i terreni che compaiono nella zona studiata, vengono raggruppati come segue:

1) complesso argilloso caotico di base, di età pre-tortoniana;

2) formazione Terravecchia del Tortoniano, costituita da sabbie, conglomerati e argille;

3) serie Gessoso-Solfifera, complesso rigido costituito da vari elementi del Saheliano e      Messinese. 

4) una formazione di copertura di età Pliocenica inferiore, costituita da marne e calcari marnosi (Trubi).

 

Completano la geologia della zona una copertura detritica alluvionale.»


 


Trivellando la zona del Serrone per una quarantina di metri abbiamo dunque una stratigrafica sovrapposizione geologica, a conferma delle varie ipotesi degli studiosi prima sommariamente chiamati in causa.


 

 

 

RACALMUTO PREISTORICO - ZOLFO, GRANO E SALE


 

Racalmuto sorge, si popola e si accresce per due grandi vocazioni economiche: l'agricoltura e le risorse minerarie. Già nella preistoria sembra che siano presenti due flussi migratori diversi: uno a sfondo agricolo che da Licata tocca le falde del versante sud del Serrone e l'altro,  in cerca del sale, contiguo agli insediamenti che dalla Rocca di Cocalo si espandono verso Milena, Bompensiere, Montedoro.

L'immigrazione agricola di popoli che vengono fatti risalire al XVIII secolo a.C. venne documentata durante i lavori della ferrovia nel 1879. [6] I pochi reperti fittili finirono dispersi nei sotterranei di un qualche museo siciliano ed attualmente risultano irreperibili. Le tombe a forno dei pressi della stazione ferroviaria di Castrofilippo sono del tutto sparite, smantellate dalle successive cave di pietra.

L'altro insediamento è quello che l'ingenuità delle cartoline illustrate locali definisce 'tombe sicane', site attorno alla grotta di Fra Diego. In mancanza di ufficiali campagne di scavi - che le competenti autorità continuano a denegare, anche se la patria di Sciascia le imporrebbe - dobbiamo accontentarci delle intuizioni dilettantesche e delle tante segnalazioni che dal '700 in poi si rincorrono. Il cospicuo numero di tombe a forno dimostra l'esistenza di gruppi estesi, dediti ai culti mortuari dell'inumazione in forma fetale, con i cadaveri forse spolpati a bagnomaria e forse legati per la paura di una vendicatrice resurrezione che i nostri antenati pare nutrissero. [7]

Quei cosiddetti antichi Sicani, installandosi attorno alla grotta di Fra Diego, avranno trovato il salgemma delle vicinanze e fors'anche lo zolfo per la continuità del fuoco. Risale alla tarda età romana lo strambo passo di Solino che il Tinebra Martorana riferisce - a nostro avviso fondatamente - al territorio di Racalmuto. Ma rispecchia, di certo, una tradizione millenaria. Solino scrive che il sale agrigentino, se lo metti sul fuoco, si dissolve bruciando; con esso  si effigiano uomini e dei (C.I. Solinus, 5\ 18;19). Ancora nel '700 il viaggiatore inglese Brydone andava alla ricerca di quei fenomeni. Sommessamente pensiamo che v'è solo confusione tra sale e zolfo, entrambi già conosciuti dai nostri preistorici antenati. Con lo zolfo si foggiavano statuette del tipo dei 'pupi', dei 'cani', delle 'sarde' di 'surfaro' che ai tempi della mia infanzia circolavano ancora.

Sale, zolfo e gesso Racalmuto li avrebbe, dunque, ereditati dagli sconvolgimenti del Miocene. Inquieta alquanto l'idea che le ricchezze della rampante borghesia ottocentesca di Racalmuto si debbano a quel geologico vibrione. Ma le viscere della terra non furono solo fecondate di zolfo dal singolare microrganismo miocenico: inghiottirono anche  l’antomoniu e cioè il grisou il venefico idrocarburo che incendiandosi produce morte per incenerimento dei polmoni dei malcapitati minatori che avessero a respirarlo. Sciascia vi scrisse un mirabile racconto: L’Antomonio, appunto. Così lo chiosa in premessa: «gli zolfatari del mio paese chiamano antimonio il grisou. Tra gli zolfatari, è leggenda che il nome provenga da antimonaco: ché anticamente lo lavoravano i monaci e, incautamente maneggiandolo, ne morivano. Si aggiunga che l'antimonio entra nella composizione della polvere da sparo e dei caratteri tipografici e, in antico, in quella dei cosmetici. Per me suggestive ragioni, queste, ad intitolare L’antimonio il racconto.» Noi, quelle ragioni sciasciane, stentiamo ad individuarle. Ne abbiamo, però, delle nostre. Una mia nonna raccontava del suo primo marito finito, dopo poche settimane dalle nozze, morto per antimonio dietro un muro prontamente eretto per impedire che il grisou si espandesse da una “galleria” all’altra: tanto si sapeva che per i poveretti investiti nelle viscere della miniera non c’era più scampo. Si procedeva, così, a salvaguardare gli altri cunicoli solfiferi.  Apparentemente ancora integri, quei minatori scapparono dal profondo della miniera, ma giunti all’uscita la trovarono murata. Ira, terrore, sgomento, disperazione, preghiere supplichevoli, bestemmie imprecazioni .. furono scene davvero apocalittiche che si possono soltanto sospettare, intuire, immaginare. Poi, la morte inesorabile, senza più respiro per i  polmoni inceneriti. Ancor oggi, per tanti di noi racalmutesi, la zolfara – per dirla con Sciascia – equivale all’«uomo sfruttato come bestia e [al] fuoco della morte in agguato a dilagare da uno squarcio, l’uomo con la sua bestemmia e il suo odio, la speranza gracile  come i bianchi germogli di grano il venerdì santo dentro la bestemmia e l’odio.» [8]

Per un secolo e mezzo il vibrione solforoso produrrà a Racalmuto “povertà vile” [9] per tanti zolfatai e flebile benessere per taluni “coltivatori” di “pirrere”.

 

Preistoria racalmutese


 

 

 

LA CIVILTA’ SICANA RACALMUTESE A CONFRONTO CON MILENA

 

 

a) – le ricchezze archeologiche di Milacca ed il ritardo racalmutese

 

Vincenzo La Rosa dell’università di Catania ha potuto scandagliare dal 4 dicembre 1977 il territorio di Milena alla ricerca delle antiche civiltà ivi succedutesi. Il volume Dalle capanne alle “Robbe” ne attestano i felici risultati. Là, i diversi sovraintendenti (specie agrigentini) sono stati prodighi di autorizzazioni ed aiuti. Nella contermine area racalmutese, ciò è impensabile. L’attenzione è tutta protesa alla Valle dei Templi. Quanto è greco o post greco ha senso; il resto solo se ha attinenza al mito minoico del re Cocalo.  Al momento, Racalmuto può solo usufruire del riverbero delle risultanze pre e proto storiche che gli scavi e gli studi della contermine Milena sfornano a ritmo davvero sostenuto.

E se lì sono ormai assodate «le presenze di tipo egeo e, più in generale, .. le culture sicane della media e tarda età del Bronzo» [10] restiamo autorizzati a pensare altrettanto per Racalmuto, specie in territorio di Fra Diego.

 

b) Le affinità geomorfologiche.

 

Gli studi sul sistema geomorfologico di Salvatore Maria Saia [11] si attagliano ovviamente, anche, al limitrofo territorio di Racalmuto. Certo non in modo pedissequo: ad esempio, l’affluente del Platani, Gallo d’Oro, nasce dalle falde del Castelluccio e zigzagando per il versante Est di Vallanuova s’immette in pieno territorio di Montedoro, ma non può affermarsi per il tratto racalmutese quello che il Saia afferma per Milena e cioè che il corso d’acqua in questione abbia «assunto un ruolo principale nell’azione morfologica di “modifica” territoriale e nel quale si congiungono quasi tutte le aste del reticolo idrografico di questo ambito territoriale.» Comunque fenomeni analoghi vi sono nelle lande racalmutesi, sia pure collegati ad altri corsi d’acqua.

In pieno invece attengono a Racalmuto queste altre considerazioni del Saia: «I termini stratigrafici risultanti  dall’esame superficiale e raffrontati alla letteratura geologica vengono descritti come appartenenti alla cosiddetta “Serie Solfifera”, cioè ad una “successione di sedimenti prevalentemente evaporitici, compresi tra le argille del Tortoniano superiore e la formazione dei «trubi» del Pliocene basale, depositatisi in corrispondenza ad una crisi di salinità interessante l’area mediterranea” (Decima & Werzel, 1971» [12] Aggirate le difficoltà della terminologia scientifica, il succo del discorso conferma, specie per i riferimenti cronologici, quello che ci siamo sforzati di rappresentare sopra sull’evoluzione geologica dell’altipiano racalmutese. Ci troviamo quindi di fronte «ad una successione continua costituita schematicamente dalle seguenti unità dal basso verso l’alto, in successione più o meno continua sulle argille basali: 1 - Tripoli; 2 – Calcare; 3 Gessi e gessareniti con lenti di sale; 4 – Trubi con l’elemento basale dell’Arenazzolo.» In definitiva – esulando da questo lavoro approfondimenti scientifici dell’assetto geomorfologico racalmutese – possiamo agganciarci alle recentissime conclusioni di quanti ritengono «il territorio [che ci occupa] tipico della zona centrale della Sicilia [con] elementi di uniformità geologica a quella fascia centro meridionale dell’Isola.» In altri termini, «è un territorio che ha avuto una “storia” geologica relativamente recente se raffrontata al susseguirsi delle ere geologiche, ma la caratterizzazione in termini litologici plastici o comunque riconducibili a forme non proprio consistenti o resistenti all’erosione ne ha determinato un paesaggio geomorfologico piuttosto “appiattito” che ha consentito facili ed agevoli insediamenti umani.»

 

c) Lo zolfo

 

Dalle ricerche su Milena estrapoliamo, poi, queste annotazioni, sempre del Saia, sulle “mineralizzazioni” che investono appieno la nostra ampia vallata a nord del Castelluccio: «La serie Gessoso-Solfefera presenta le mineralizzazioni classiche che la caratterizzano e che sono costituite principalmente dallo zolfo, da salgemma e da vari tipi di sali a composizione potassica o sodica..» «Il minerale, di genesi sedimentaria, è associato a gesso, anidride e talora salgemma, la cui origine non è ancora del tutto certa, ma sembra che si verifichi per “riduzione dei solfati (ad es. CaCO4), con formazione intermedia di solfuri e successiva ossidazione di questi ultimi  da parte di acque ricche di CO2, che depositano contemporaneamente CaCO4 secondario. L’azione riducente dei solfati è svolta essenzialmente da microrganismi di tipo anaerobico. D’altra parte diversi organismi quali i solfo-batteri, possono precipitare direttamente lo zolfo da acque contenenti H2S, che può a sua volta derivare da esalazioni termali o dalla putrefazione di  sostanze organiche.” (Carobbi, 1971) [13] La riduzione di solfati (come il gesso) per opera dei solfo-batteri (Spirillum desulfuricum Bayer e Microspina aestuari v. Deden) con produzione di H2S, e la consequenziale soluzione in acqua potrebbe spiegare, altresì, la differenza diffusa di acque solfuree [14], considerato che il fenomeno non può attribuirsi a fenomeni di origine vulcanica.»

Qui, si esplica, in termini altamente scientifici, quello che noi alquanto fantasiosamente abbiamo cercato di rappresentare a proposito del vibrione “desulfuricante”, reo di ottocenteschi sfruttamenti di poveri zolfatari e di obbrobri sociali avverso gli imberbi “carusi”.

 

d) Il salgemma.

 

Ma passiamo al sale. «La presenza del sale – aggiunge il Saia, op. cit. p. 25 – è stata dimostrata, nel tempo, dagli affioramenti spontanei dovuti a falde acquifere sotterranee che, dopo aver disciolto il minerale, sgorgano in superficie ove, sottoposte a rapida evaporazione per esposizione alle mutate condizioni di temperatura e pressione, precipita il sale, lasciando intravedere le chiazze bianche anche a notevole distanza. Le ricerche minerarie hanno dimostrato l’esistenza di grossi giacimenti salini che si presentano discontinui perché sottoposti ad intensa attività “tettonica comprensiva con pieghe diapiriche anche strette per cui lo spessore apparente può, alle volte, raggiungere e superare i 1000 metri” (Decima & Wezel, 1971) ed esposti a rapide dissoluzioni. Oltre alle mineralizzazioni di sali sodici se ne riscontrano anche potassici [oscenamente deturpanti le miniere di Gargilata, a ridosso del Cozzo Don Filippo]e magnesiaci.»

e) Il gesso.

Ed ora prendiamo a prestito dal geologo alcune notazioni scientifiche sul gesso. «La presenza dei gessi – conclude sempre il Saia, op. cit. p. 25 – soprattutto di quelli nella forma selenitica (cristalli cosiddetti a “ferro di lancia” o “coda di rondine”) per la facile lavorabilità ha probabilmente favorito gli insediamenti [sicani], anche al fine di pratiche o di culti come ad esempio quello dei morti con relative opere tombali inserite nelle pareti di gesso.»

Racalmuto conferma appieno tale tesi. Necropoli sicane monumentali sono, ictu oculi, quelle di fra Diego; ma diffuse sono quelle meno appariscenti, talora persino solitarie, che contrassegnano l’intero territorio. Si pensi che persino a fondo valle, vicino Pian di Botte, si rinvengono in soggiogante solitudine tombe sicane, scavate nelle pietre gessose. Appena disponibili massi capienti, gli antenati sicani di Racalmuto andavano a scavarvi i “forni” tombali, a testimonianza del loro culto dei morti, della loro irriducibile fede nell’oltretomba.

A Racalmuto, come a Milena, però «gli insediamenti antropici hanno ancor più modificato il paesaggio attraverso la denudazione dei suoli per uso agricolo senza tenere conto che la presanza di argille avrebbe, come di fatto è avvenuto, portato all’accentuazione dell’erosione rendendo di fatto gli stessi suoli in parte inutilizzabili e pericolasamente instabili. Le argille, per la loro impermeabilità, hanno favorito la corrivazione delle acque superficiali che vengono accumulate nei fondovalle dando origine, il più delle volte, a piene notevoli e devastanti con l’intensificarsi delle precipitazioni.»

 

f) Le grotte ed il fenomeno carsico.

 

Il fenomeno carsico, adeguatamente indagato in territorio di Milena, è naturalmente presente anche a Racalmuto: qui, finora è stata ispezionata la sola grotta di fra Diego con risultati non del tutto soddisfacenti. Mutuiamo quindi dalle risultanze del club alpino che da tempo indaga sui fenomeni carsici di Milena. Marcello Panzica La Manna [15] ci fornisce questi ragguagli, utilizzabili, secondo noi anche per Racalmuto, almeno sino a quando non vi saranno spedizioni speleologiche adeguate.

«Rilevanti risultano gli affioramenti di rocce evaporitiche di età messiniana (Miocene superiore)[e quindi il territorio] è caratterizzato dalla presenza di estese fenomenologie carsiche sia superficiali che sotterranee. Il fenomeno carsico sui gessi (più propriamente “paracarsico” secondo l’accezione di Cigna, 1983), a causa dell’elevatissima solubilità di tale roccia ad opera delle acque meteoriche, si sviluppa con formeestremamente più marcate e ad evoluzione più rapida rispetto a quelle dell’analogo e più conosciuto fenomeno che si sviluppa nelle rocce calcaree (carsismo classico). […] Sono riscontrabili due differenti tipologie di grotte definibili, secondo la classificazione di Cigna (1983, op. cit.), 1) cavità pseudocarsiche; 2) cavità paracarsiche.»

«Le cavità pseudocarsiche sono quel tipo di grotte denominate “tettoniche”, legate cioè alle discontinuità meccaniche delle masse rocciose che costituiscono i vani sotterranei. La genesi di tali grotte è da imputare in parte alla fratturazione della roccia, prodottasi a causa dei movimenti tettonici che hanno interessato l’area, in parte a fenomeni di tipo gravitativo che hanno disarticolato gli affioramenti gessosi in blocchi di varia dimensione.»

«Le cavità paracarsiche sono quelle che si originano per l’azione di solubilizzazione della roccia gessosa ad opera delle acque di precitazione meteorica. Il gesso presenta una solvibilità in acqua molto elevata (dell’ordine di 2,5 g/l) che se messa in relazione con la quantità di pioggia ed i tempi di esposizione della roccia agli agenti atmosferici, giustifica la formazione degli imponenti reticoli di ambienti e gallerie presenti nel sottosuolo. Le cavità riconducibili a tale tipologia sono strettamente e funzionalmente legate alle morfologie carsiche di superficie; esse infatti rappresentano la prosecuzione, nel sottosuolo, del reticolo idrogeografico epigeo. Nella maggior parte dei casi le acque di pioggia vengono incanalate all’interno delle depressioni, che dopo percorsi più o meno lunghi le convogliano verso punti di assorbimento localmente denominati “zubbi” o “inghiottitoi” nella terminologia idrogeologica. All’interno le grotte mostrano chiaramente i segni dell’escavazione delle acque incanalate ed è possibile riconoscere le varie fasi della loro evoluzione, dal momento in cui erano completamente invase dal flusso idrico fino a quando lo stesso ha iniziato a decrescere, abbandonando completamente, in certi casi, le cavità medesime. Quasi sempre agli inghiottitoi sono associate delle cavità (“risorgenze”) che costituiscono il punto di ritorno a giorno delle acque sotterranee.» (op. cit. p. 28)

 

E qui abbandoniamo le citazioni erudite idrografiche [16], che non sono certo pane per i nostri denti. In tempo comunque per lamentare l’assoluta indifferenza delle autorità locali per un siffatto patrimonio ipogeo, di cui manca persino uno straccio di inventario.  Grotte pseudocarsiche abbondano in ogni dove a Racalmuto. Anzi, lo stesso paese all’origine fu patria di coloni cavernicoli (noi pensiamo attorno al 1240, dopo la cacciata dei saraceni da parte di Federico II): a ridosso del Calvario e del Carmine,  sotto via Roma, nei pressi della Madonna della Rocca, abbondavano gli anfratti gessosi, ove fu agevole trovare dimora, se non confortevole, almeno riparata. Una selvaggia superfetazione edilizia ha inglobato e fatto sparire la prisca realtà abitativa racalmutese. Ancora nel 1608, là era sede di rimarchevole opificio la grotta di Pannella. Citiamo da una visita pastorale del vescovo Bonincontro [17]:

Et parimente la Parocchia della Nunciata incomincia del medesimo Convento del Carmino e tira a drittura alla grutta di Pannella[sottolineatura ns.]restando d.a grutta nella d.a parocchia della Nunziata

In un atto del 1596, quale si rinviene nel Rollo di Santa Maria di Gesù conservato in Matrice [18], abbiamo la testimonianza di una più antica utilizzazione di una grotta in pieno centro, cioè a dire nei pressi del Monte:

Die nono mensis Januarii x^ ind. 1596.

Item in et super sex corporibus domorum sursum et deorsum cum eius antro [corsivo, ns,] simul contiguis et collateralibus confinantibus cum domibus heredum quondam Vincentij la Mendola alias lo Vecchio et in quarterio Montis seu della Santicella  …..

 

 

 

Le campagne erano (e sono), peraltro, cosparse di grotte pseudocarsiche, provvidenziali per i palmenti.  I vari Rolli della Matrice ne riportano diversi estremi negli atti notarili a partire dal XVI secolo. Ne citiamo un esempio [19]:

 

Die nono mensis Januarii x^ ind. 1596.

Item ditta donatrix pro Deo et eius anima titulo donationis predictae inrevocabilis inter vivos ut supra per eos et successoreres donavit et donat Antonino et Cataldo Morriale fratribus eius nepotibus terrae Racalmuti absentibus  .. pro eis et eorum heredibus  et successoribus in perpetuum stipulante et sollemniter recipiente vineam nuncupatam di lo Piro cum eius domo antro  [corsivo, ns.] torculare clausura et aliis in aea existentibus sitam et positam in pheudo Nucis secus vias publicas per quas itur versus civitatem Agrigenti  ……

 

Quanto alle grotte paracarsiche, il fenomeno più appariscente si verifica in contrada S. Anna, ed in particolare all’apice del Pizzo di Blasco: sinora latita ogni interesse scientifico e quindi nulla siamo in grado di annotare. Solo forse è da tener presente che là, in un classico zubbio, si è conformato un profondo bacino ove - per clima particolare, per sedimentazioni acquitrinose e per protezione termica - c’è una lussureggiante flora, inaccessibile anche per i cacciatori, che andrebbe adeguatamente classificata e studiata.

 

g) La flora e questioni botaniche.

 

Racalmuto ha per il momento la fortuna di venire, sotto il profilo floro-faunistico – indagato e fotografato dall’appassionato e competentissimo dott. Giovanni Salvo, che sta davvero colmando, almeno qui, lacune secolari. Gli si dovrà tanta gratitudine per le sue pubblicazioni, corredate da splendide fotografie, sui lineamenti floristici e vegetazionali del territorio di Racalmuto.

Il nostro territorio – amcor più di quello di Milena – è «fortemente antropizzato e ricco in specie annuali, nitrofile, mentre esempi di vegetazione naturale si rinvengono nelle zone impervie e nei calanchi in quanto non adatte all’impianto di culture.» [20] Si può affermare che vi attecchiscano oltre 400 entità floristiche che vivono allo stato spontaneo. La maggior parte di esse è annuale (terofite), le altre sono erbe perenni o perennanti (emicriptofite e geofite) o arbusti ed alberi (camefite e fanerofite). Da segnalare: la biscutella lyrata (Cruciferae), il lathyrus odoratus L. (Leguminosae), l’Ononis oligophilla (Leguminosae); la Pimpinella anisoides (Umbelliferae); il Tragopogon porrifolius L. subsp. cupani (Guss.) Pigna; la Crepis vesicaria L. subsp. hyemalis ( Biv.) Babc. (Compositae). Ed inoltre: l’ Erysimum metlesicsii Polatschek (Cruciferae), l’ Astragalus huetii Bunge (Leguminosae), la Lavatera agrigentina Tineo (Malvacee).

Gli studi sulla confinante Milena hanno portato al seguente censimento della vegetazione (estensibile ovviamente anche a Racalmuto):

1)     Vegetazione degli ambienti rupestri con queste presenze: Diplotaxis crassifolia (Rafin.) DC., Erysimum metlesicsii Po., Silene fruticosa L., Athamanta sicula L., Sedum dasyphyllum L. Cheilanthes fragrans (L.) Swartz;

2)     Garipa a Thymus capitatus (L.) Hoffm. et Link con queste presenze: Thymus capitatus, Cistus Creticus L., Teucrium flavum L., Teucrium fruticans;

3)     Prateria steppica ad Ampelodesmus mauratinicus (Poiret) Dur. et Sch.., con queste presenze: Ampelodesmos mauritanicus, Anthyllis maura  G. Beck, Psoralea bituminosa L., Kundumannia sicula (L.) DC, Festuca coerulescens Desf., Hyoseris radiata L., Dactylis hispanica Roth, Brachypodium distachyum (L.) Beauv., Hypochoeris achyrophorus L., Reichardia picroides (L.) Roth, Coronilla  scorpioides Koch, Scorpiurus muricatus L., Asperula scabra Presl., Hedysarum spinosissimum L., Urginea maritima (L.) Baker, Convolvulus atltheoides L., Anemone hortensis L., Asparagus acutifolius L., Rubia peregrina L., Dafne gnidium L., Cistus creticus L.;

4)     Prateria steppica a Lygeum spartum L., con queste presenze: Lygeum spartum L., Catananche lutea L., Scabiosa dichotoma Ucria, Daucus aureus Desf., Eringyum dichotomum Desf., Lavatera agrigentina Tin., Ononis oligophylla Te., Aster sorrentinii (Tod.) Lojac.;

5)     Vegetazione ad Arundo pliniana Turra, con queste presenze: Arundo pliniana, Cirsium scabrum (Poiret) Dur. et Barr;

6)     Vegetazione nitrofila e subnitrofila, con queste presenze: . (durante il periodo estivo-autunnale) Kickxia spuria (L.) Dum. Ssp. Intergrifolia (Brot.) Fern., Chrozophora tinctoria (L.) A. Juss., Euphorbia chamaesyce L., Picris echioides L., Diplotaxis erucoides (L.) DC., Heliotropium europaeum L.,  Sonchus oleraceus L., Chenopodium opulifolium Schrader, Chenopodium vulvaria L., Ecballium elaterium (L.) A. Richard, Solanum nigrum L., Aster squanatus Hieron, Cynodon dactylon (L.) Pers., Polygonum aviculare L., Colvolvulus arvenis L., Delphinium alteratum Sibch. Et Sm., Conyza bonariensis (L.) Con., Ammi visnaga (L.) Lam; (durante quello invernale primaverile) Calendula arvenis L. Galactites tomentosa Moene, Centaurea Schouwii, Carlina lanata L., Reichardia picroides (L.) Roth, Hypochoeris achryrophorus, Fedia cornucopiae (L.) Gaerner, Linaria reflexa (L.) Desf., Echium plantaginum L., Borago officinalis L., Cerinthe major L., Lavatera trimestris L., Euphorbia helioscopia L., Geranium dissectum L., Hedysarum coronarium L., Hippocrepis unisiliquosa L., Scorpiurus subvillosus L., Lotus ornithopodioides L., Trifolium nigriscens Viv., Trifolium resupinatum L., Trifolium lappaceum, Trifolium squarrosum L., Melilotus infesta Guss., Lathyrus odoratus L. Lathyrus ochrus (L.) DC;  (vegetazione infestante il grano) Neslia paniculata (L.) Desv., Torilis nodosa (L.) Gaertner, Carduus pycnocephalus L., Bupleorum lancifolium Hornem, Papaver hybridum L., Ranunculus arvenis L. Bromus rubens; (terofite a ciclo invernale-primaverile) Legousia falcata (Ten.) Fritsch, Anacyclus tomentosum (All.) DC, Rhagadiolus stellatus (L.) Gaertner, Galium tricornutum Dandy, Ridolfia segetum Moris, Allium nigrum L., Gladiolus italicus Miller, Phalaris brachystachys Link, Phalaris paradoxa L., Ornithogalum pyramidale L., Asperula arvenis L., Filago pyramidata L., Euphorbia exigua L., Rapistrum rugosum (L.) ALL., Sinapis arvensis L., Brassica nigra (L.) Koch, Leopoldia comosa  (L.) Parl, Scandix pecten.veneris L., Medicago polymorpha L.,  Sherardia arvenis L., Lolium rigidum Gaudin, Sonchus asper (L.) Hill, Cichorium intibus; (vegetazione antropogena ai margine delle strade) Chrysanthemum coronarium L. (Crisantemo giallo), Malva nicaeensis All., Anacyclus tomentosum (All.) DC., Hordeum leporinum Link, Notobasis syriaca (L.) Cass., Bromus madritensisi L., Echium plantagineum L., Galactites tomentosa Moench, Erodium malacoides (L.) L’Her., Convolvulus althaeoides L., Beta vulgaris L., Foeniculum vulgare Miller;

7)     Praticelli effimeri a sedum caeruleum L. su gessi, con queste presenze: sedum caeruleum L. (Borracina azzurra), Sedum micranthum Bast., Hypocoeris achyrophorus  L., Campanula erinus L., Poa bullosa L., Valantia muralis L., Trifolium scabrum L., Medicago minima (L.) Bartal., Linum strictum L., Bromus fasciculatus Presl., Trifolium stellatum L., Stipa capensis Thunb., Crupina crupinastrum (Moris) Vis., Vulpia ciliata Dumort, Scilla autumnalis L., Ononis reclinata L., Ononis sieberi Beser? Rumex bucephalophorus L., Arenaria leptoclados Guss., Polygala monspeliaca L. Sideritis romana L.;

8)     Vegetazione degli ambienti acquatici, con queste presenze: Populus nigra (pioppo nero, ma molto raro), Tamarix africana Poiret, Phragmites communis Trin. (Cannuccia di palude), Equisetum telmateja Ehrh., Nasturtium officinale R. Br., Apium nodiflorum (L.) Lag., Juncus bofonius.

 

Spigolando dal più divulgativo testo di Pratesi e Tassi, a Racalmuto si attagliano le formazioni vegetali dell’intera Sicilia, fatta eccezione della diffusione del castagno (Castanea sativa) sull’Etna, «ad opera dell’uomo» [21] Per il resto, possiamo anche essere pedissequi: «Gli “orizzonti-climax” presenti nell’isola, e cioè le formazioni più stabili e caratteristiche, sono essenzialmente quatro»  e cioè:

a)     l’Oleo-ceratonion, «che prospera nelle parti più basse e litoranee, e che consiste in una macchia sempre verde mediterranea i cui elementi più importanti sono l’oleastro (Olea oleaster), il carrubo (Ceratonia siliqua) e, a tratti, la inconfondibile palma nana (Chamaerops humilis), unica palma spontanea del bacino mediterraneo. Per lo più, però, questa vegetazione è scomparsa [e al suo posto prospera] una tipica graminacea dei luoghi arifìdi, la Stipa tortilis.» Altre piante del territorio: il lentisco (Pistacia lentiscus), la fillirea (Phillyrea angustifolia) e altri arbusti della macchia mediterranea;

b)     «a livello leggermente più elevato vive la seconda associazione, quella del Quercion ilicis, costituita da una foresta sempreverde mediterranea a quercia, e soprattutto a leccio (Quercus ilex) e sughera (Quercus suber)». Su una radura nella parte nord del Castelluccio, rimangono ancora alcuni esemplari di “aggliannari” (in Traina, vocabolario siciliano: “agghiannara” o “agghiandra” = “frutto della quercia, del cerro, del leccio, e cibo dei porci: ghianda”). Nei recenti tentativi di forestazione poteva benissimo darsi impulso a siffatta piantagione, creando altresì le premesse per un ritorno alle porcilaie tradizionali ove i maiali possano venire depurati, dai mangimi transgenici,  con “aggliannari” per il ripristino delle ineguagliabili salsicce dei miei tempi, di cui trovo testimonianze addirittura in carte del ‘600 conservate in Matrice;

c)     «più in alto ancora sta l’orizzonte del Quercion pubescentis, o delle latifoglie eliofile, nel quale normalmente domina la roverella (Quercus pubescens), ma assai più spesso la degradazione ambientale ha lasciato solo una formazione a prateria steppica che ha per protagonista un’altra graminacea (Ampelodesmos tenax). Qualche volta, in luoghi più freschi e umidi, prende il sopravvento un’altra specie di quercia spogliante, il cerro (Quercus cerris).» V’è qualcosa del genere nello sprofondo di Sant’Anna, dopo la grotta dell’innamorata? In ogni caso, chissà se nel divisato recupero a fini turistici del Castelluccio troverà posto un rimboschimento con vegetezione autoctona, consona all’orizzonte del Quercion pubescentis!

d)     Non dovrebbe altresì riguardare Racalmuto «il piano superiore, montano … del Fagion silvaticae, che ospita le residue formazioni di faggio (Fagus silvatica): qui un interessantissimo endemismo, l’abete siculo (Abies nebrodensis), oggi quasi distrutto, doveva in passato avere notevole diffusione.» Speriamo che, sempre al Castelluccio, possano tentarsi resurrezioni arboree di autoctone faggete.

 

Continuiamo a citare: «Purtroppo questa successione di ambienti è ormai in gran parte alterata e ridotta. Solo qua e là ne rimangono frammenti importanti e significativi, come avviene per le quattro specie di pini presenti in Sicilia allo stato spontaneo, di cui non sussistono ormai che esigue colonie: dal pino laricio (Plinus laricio) sul massiccio etneo, al pino domestico (Pinus pinea) sui Monti Peloritani; dal pino marittimo (Pinus noster) di Pantelleria, al pino di Aleppo (Pinus halepensis) delle pendici dell’altipiano meridionale e di varie isolette circumsiciliane.»

Il pino siciliano è ormai entrato nella più pretenziosa letteratura. Artefice principale: il pino di Pirandello. E si sa che anche il nostro Sciascia ebbe a dire la sua; a dire il vero riportando le apprensioni di un grande entemologo agrario racalmutese Giovanni Liotta, titolare di cattedra all’Università di Palermo. Sciascia lo ebbe presente nelle sue conversazioni – in articulo mortis – con il defunto giornalista Domenico Porzio e l’apprezzamento elagiativo, cui certo Sciascia non indugiava –nel bellissimo libro “Fuoco all’Anima”, purtroppo oggi censurato dalla famiglia. Lo Scrittore si era rammentato di una notizia sul pino di Pirandello che stava per morire che gli era stata fornitagli nell’autunno del 1988, quando già il Liotta era dal febbraio “professore di Ia” dell’ Istituto di Entomologia Agraria di Palermo. Il Liotta ci fornisce ora la versione autentica di quell’episodio [22] commentando: «Quando riferivo di questa notizia Leonardo Sciascia non annuiva, non dissentiva, non faceva alcun cenno palese che desse la certezza di un suo interesse. […] La notizia di mummificare il pino in realtà l’aveva fatto inorridire. […] Leonardo era fatto così: era un grande, paziente e infaticabile ascoltatore e quello che ascoltava, lo scremava, lo elaborava e, se necessario, lo riproponeva sotto una prospettiva di grande interesse.»

Anche Racalmuto ha il suo pino “letterario”: quello della casina di campagna dei matrona alla Noce. Lo rievoca Sciascia, lo celebra Bufalino ( … mantello verdissimo, sormontato all’orizzonte da un antico albero solitario …. [23]), ne coglie l’ineffabile incanto, in un momento di corrusca tempesta, il fotografo Pietro Tulumello (e qui davvero Sciascia ha malie evocative: un paesaggio del tutto simile all’Amor sacro e all’Amor profano del Tiziano: e la sera trascorre in esso come una delle tizianesche donne serene ed opulente[24]). Noi continuiamo a mirare le chiomate piante che ancora avvolgono la casina di campagna del Barone Tulumello, al Cozzo della Loggia, sotto il Serrone. Ma quanto resisteranno?

 

-        un micro orto botanico per Racalmuto

 

Auspichiamo che i denudati cozzi attorno alla Fondazione Sciascia ospitino un micro-orto botanico ove si rinserrino le piante ed i fiori cari a Sciascia. Come, ad esempio, le magnolie e non tanto per il loro profumo o perché queste «splendevano  … [come] luminose e profumate donne, di mai più vista bellezza» [25] E si ricostituiscano le sciasciane “siepi di fichidindia” [26] e non manchi un tocco rievocativo «dell’intensa coltivazione di alberi di noce» con «quei grandi alberi che i contadini chiamano di bellu vidiri, con disprezzo: cioè belli a vedersi ma inutili: il corbezzolo, il caccamo, qualche varietà di ficus. E ci sono gli orti. E queste sono le oasi, nella gran calura del giorno; né manca, a darne l’illusione, la palma. La palma de oro y el azul sereno:  e questo verso di Machado, palma d’oro in campo azzurro, è diventato per me una specie di araldico simbolo del luogo.» [27] E noi auspichiamo anche che nell’«orto» sciasciano abbiano rimembrante dimora le piante, i fiori, le erbe e pure le gramigne di autoctona progenie racalmutese. Vorrà il chiarissimo prof. Liotta collaborare ad un siffatto progetto? Vi è contrario il competentissimo dott. Salvo?

 

Confessiamo di avere avuto un moto di stizza nel leggere alcune notazioni botaniche del Renda: [28] alcune caratteristiche piante arboree racalmutesi sono tutt’altro che indigene. «Il limone [già, le Lumie di Sicilia, n.d.r.] – discetta lo storico – raggiunse la Sicilia e la Spagna nell’alto medioevo, durante il dominio arabo. L’arancio arrivò più tardi e, a quanto sembra, non ebbe importanza apprezzabile fino al XV secolo. Gli arabi portarono on Sicilia e in Spagna anche il mandorlo, la canna da zucchero, la palma e altre specie esotiche, come il melograno, il melocotogno, il nespolo invernale ecc. Il processo di riutilizzazione agronomica di queste numerose specie non fu univoco. Alcune, come l’ulivo e il mandorlo, ebbero incremento notevole. Altre decaddero e furono abbandonate. Fra queste, sono da ricordare la canna da zucchero, il riso, il gelso per l’alimentazione del baco da seta, il legno da bosco, l’allevamento, e poi il lino, la canapa, il cotone, la soda vegetale ecc. »

Un tempo a Racalmuto si coltivavano cotone, lino, canapa ed altre piante da vestiario: oggi, culture del genere, sono del tutto ignote. La coltivazione più estesa è stata sempre quella del grano, di varie specie ivi compresa quella c.d. tumminìa, alternata alla semina di avena, orzo e fave nelle annate di riposo. Se già nel XIV secolo Federico del Carretto operava una sorta di outright sui futuri raccolti di grano racalmutesi con Mariano Agliata, [29] al tempo di Filippo II l’approvvigionamento di grano al caricatoio di Girgenti consentì un proficuo commercio dei baroni del Carretto, che così assurgono al rango di conti,  in quei calamitosi tempi di guerra mediterranea contro il Turco. E così nel Seicento, quando anche le Clarisse racalmutesi, amministrate da un prete Traina, possono conferire, a pagamento, il loro frumento in esubero presso il caricatoio racalmutese. Abbiamo, poi, testimonianze settecentesche davvero illuminanti. In questa sede ci limitiamo a riportare questo diploma, tratto dall’archivio Palagonia:

Faccio fede io infrascritto M.stro not. della Corte Giuratoria della terra di Racalmuto a tutti e singoli officiali del Regno e specualmente a chi spetta vedere la presente, qualmente, sendosi promulgato bando pella formazione de novi Riveli dei frumenti esistenti in questa terra e territorio di Racalmuto sotto li dui ottobre 1763, rimesso da S.E. per via del suo supremo tribunale del Real Patrimonio nel termine di giorni quattro in detto bando prefisso, spirato sotto li sei corrente, non hanno comparso in questa corte giuratoria a fare il loro rivelo a tenore del detto bando altre persone ecclesiastiche, secolari, forani ed altri se non l’infrascritte, cioè:

N.°
Denominazione
Salme
Tomoli
1
Grillo don Antonio, s.802 frumento raccolto p.p. XI ind. 1763. Quali frumenti li servino cioè s. 300 vendute ed obligate a questa univ. per il panizzo del popolo; s. 300 frumento per simenze in forte e timilia, per il fego dell'Aquilìa, s. 100 frum. Pello
802
 
 
soccorso de parospolari e tenetieri; s. 30 fr. Per mangia di propria famiglia e salme settantadue per simenza e soccorsi delle proprie chiuse, gabbelloti e societarij
2
Spinola not. Gioachino, s. 10 fr. dal XI ind. 1763, quali ffr. li servino, cioè s. 3 per simenza, s. 1,8 per soccorso, s. 2 per governare le vigne ed il resto per mangia di propria famiglia
10
 
3
Grillo don Gaetano, come procuratore del fego delli Gibbillini, territorio di questa rivela avere nelli magasini di quel fego s. 306ffr. raccolto XI In. 1763, quali li bisognano per semene, soccorsi e copertura di detto fego.
306
 
4
Grillo don Antonino Maria, rivela s. 91 forte e timilia raccolto nel 1763; quali li bisognano cioè per simenze di forte e timilia s. 40 per soccorso di detto seminerio e sem. di legumi s. 15 e s. 24 per mangia ed impiego di casa.
91
 
5
Amella don Antonino, rivela s. 2.. quali li bisognano per mangia
2
 
6
Gambuto don Francesco Antonio. rivela s. 50 .. quali s. 50 forte li servino cioè simenza per forte s. 10, salme 5 soccorsi di d. sem., s. 2 per soccorso sem, d'orzo, salme 4 per provvedere la vigna, e s. 29 per mangia e commodo di propria casa
50
 
7
Alfano m.° Giuseppe del quondam Bartulo, rivela s. 65 forte .. quali li bisognano cioè s. 55 vendute a questa un. di Racalmuto per il pubblico panizzo, s. 2 per simenza, s. 1 per soccorso di d. sem., s. 1 per soccorso di vigne e s. 6 complimento delle s.
65
 
 
65 per mangia di casa
 
 
8
La Matina Alberto, rivela s. 5 fr.forte .. quali li bisognano cioè s. 1.8 simenza, s. 0.12 soccorso per detto seminerio e s. 1 soccorso in f. per sem. d'orzo e s. 1.12 per mangia di mia famiglia
5
 
9
Picone Margarita, rivela s. 3.8 ff.te .. quali li bisognano per mangia di propria casa
3
8
10
Romano m.° Diego di m.° Francesco, rivela s. 105 fr.forte .. quali li bisognano per simenza, s. 3.8 e s. 6.8 per mangia di casa
10
 
11
Grillo don Antonio come Governadore della Segrezia di questa sudetta terra di Racalmuto rivela avere nelli magazini della Segrezia s. 703 .. quali li bisognano cioè s. 200 vendute a questa unoversità per il pubblico panizzo ed il resto che sono s. 503 f.f
703
 
 
per simenza e soccorsi dello Stato di Racalmuto
 
 
12
Salvo (di) Filippa vif.a del quondam Giuseppe, rivela s. 12 fr.forte .. quali li bisognano s.6 per mangia e s.6 per commodarlo a divere persone
12
 
13
Carbone Giovanne, rivela s. 1fr.forte .. quali li bisogna per mangia
1
 
14
Nalbone Giovanne, rivela s. 10 fr.forte .. quali li bisognano  s. 4 per simenza, s. 2 per soccorso e s. 4 per mangia
10
 
15
Macaluso Rosina Giuseppe rivela s. e f.f.te .. quali li bisognano per mangia di casa
2
 
16
Saldì m.° Paolino, rivela s. 9 ff.f. .. delli quali li bisognano s. 2 per simenza e s. 3 per soccorso di detto sem., sem. d'orzo e ligumi e s. 4 per mangia di propria casa
9
 
17
Tulumello Calogero rivela s. 110 f.f.te e timilia, delli quali ff. li bisognano cioè per mangia della mandra s. 35 ff., p. simenza s. 20, per soccorso di seminerio d'orzo e ligumi e colture di vigne s. 12 e s. 43 p. commodo e mangia della propria famiglia
10
 
18
Di Franco m.° Giuseppe, rivela s.4 fr.forte .. quali li bisognano p. simenza s. 1.8 ff., soccorsos. 0.12 ed il resto per mangia di propria famiglia
4
 
19
Di Franco don Giuseppe, rivela s. 0.8 ..f.fte li servino per mangia
 
8
20
Savarino Leonardo, rivela s.1 ..f.fte li servino per mangia
1
 
21
Farrauto Francesco, rivela s. 2.12 ..f.fte li servino per mangia di casa
2
12
22
Picone m.° Pasquale del quondam m.° Calogero rivela s.1.12 ..f.fte li servino per mangia di casa
1
12
23
Castillano Diego, rivela s..4 ..f.fte quali li bisognano s. 1.4 per simenze, s. 0.12 soccorso ed il resto per mangia di sua famiglia
4
 
24
Morreale Antonino di Mara, rivela s.1 ..f.fte quali li bisognano per mangia di casa
1
 
25
Alessi Giuliano, rivela s.1 ..f.fte quali li bisognano per mangia di casa
1
 
26
La Matina m.° Gaspare, rivela s.1.8 ..f.fte quali li bisognano per mangia di casa
1
12
27
Barone Carlo, rivela s.12.6 ..f.fte quali li bisognano cioè s. 4 per simenza, s. 2 per soccorso, per seminerio di s. 2 orzo, s. 1.8 e s. 5 per mangia di casa
12
6
28
Cino Giacomo, rivela s. 5 ..f.fte quali li bisognano per mangia di casa
5
 
29
Castillana Giuseppe, rivela s.2 ..f.fte quali li servino per mangia
2
 
30
Lauricella Laurenzo, rivela s.1 ..f.fte quali li bisognano per mangia di casa
1
 
31
Giglia (di) Liborio e Giuseppe, padre e figlio rivelano s.4 ..f.fte quali li bisognano per mangia
4
 
32
Schicchi don Francesco, rivela s.3 ..f.fte quali li bisognano per mangia
3
 
33
Lo Brutto don Gioachino del quondam don Gaspare, rivela s.6 ..f.fte quali li bisognano per mangia di casa
6
 
34
Pomo m.° Angelo, rivela s.18 ..f.fte quali li bisognano s. 2.8 per simenza, s. 1.12 ff. per soccorso di detto seminerio e colture di vigna, s. 6 a nome della congregazione del Monte per espansioni giornali e s. 7.12 per mangia di casa
18
 
35
Piccione Salvadore, rivela s.3 ..f.fte quali li bisognano s. 1 per simenza, s. 1 per soccorso di detto seminerio e seminerio di ligumi e s. 1 complimento di s. 3 per uso di mangia di casa
4
 
36
Borzellino m.° Raimondo, rivela s.3 ..f.fte quali li bisognano per simenza
3
 
37
Carlino Gaetano, rivela s.0.8 ..f.fte quali li bisognano per simenza
 
8
38
Collura Stefano d'Angelo, rivela s.2 ..f.fte quali li bisognano per mangia
2
 
39
La Matina Gregorio, rivela s.6 ..f.fte quali li bisognano s. 3per simenza, s. 1.8 soccorso di detto sem. e s. 1.8 per mangia di casa
6
 
40
La Matina Giovanne, rivela s.10 ..f.fte quali li bisognano s. 2 per simenza, s. 1 per soccorso per detto sem. e s. 1 per soccorso di legumi e s. 6 per mangia
10
 
41
Tulumello Giuseppe, rivela s.70 ..f.fte quali li bisognano s. 35 per mangia della mandra, s. 16 per simenza, s. 10 per soccorso di detto simenerio, ligumi ed orzo, e s. 9 per mangia di casa e garzoni
70
 
42
La Licata Paulo, rivela s.25 ..f.fte quali li bisognano s. 10 per simenza, s. 8 per soccorso di d.° sem.° in forte, sem.° di legumi ed orzo e s. 7 per mangia
25
 
43
Tulumello Giovanne, rivela s.70 ..f.fte quali li bisognano s. 35 per mangia della mandra, s. 16 per simenza, s. 10 per soccorso di detto simenerio, ligumi ed orzo, e s. 9 per mangia di casa e garzoni
70
 
44
Picone Chiodo Nicolò, rivela s.42..f.fte quali li bisognano s. 12 per simenza, s. 5 per soccorso di d.° sem., s. 3 per soccorso di sem. di legumi ed orzo s. 3 per governare n.° migliari otto di vigna e s. 19 compl. delle dette s. 42 
42
 
 
per mangia ed agiuto del borgesato
 
 
45
La Matina Calogero, rivela s. 15 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s 2 per simenza, s. 2 per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e s. 11, compl. dette salme 15 per mangia ed impiego di casa
15
 
46
Busuito Grispino,  rivela s. 26 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s 6.2 per simenza, s. 5 per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e s. 5 p. governare le vigne, s. 4.8 per soccorso dell'eredità del q. m.° Diego Marturana, s. 10
26
 
47
Mantione Calogero
1
 
48
Ristivo Matteo,  rivela s. 3 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia
3
 
49
Collura Calogero d'Angelo,  rivela s. 5 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s 2 per simenza, s. 1 per soccorso i e s. 2, per mangia
5
 
50
Licata Reda Giuseppe,  rivela s. 6 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia
6
 
51
Mantione Vito,  rivela s. 2 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia
2
 
52
Collura Melchiore d'Angelo,  rivela s. 4 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 1 per simenza, s. 1 per soccorso di sem,° di legumi ed orzi e s. 2 per mangia di casa
4
 
53
Vinci don Calogero rivela s.26 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s 10 per simenza, s. 5 per soccorso di d.° sem.°, s. 3 p. soccorso di sem.° di legumi ed orzi e s. 2 di posessioni bonoficate di vigne e s. 8 p. mangia
26
 
54
Mantione Erasimo,  rivela s. 5 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s per mangia
5
 
55
Bellavia don Giuseppe,  rivela s. 10 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s 2 per simenza, s.1 per soccorso di d.° sem.° e s. 10 per mangia
10
 
56
Avarello Agostino,  rivela s. 1o per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s 3 per simenza, s. 3 per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e s. 4, compl. dette salme 10 per mangia
10
 
57
Matina notaro don Niccolò, rivela s. 2 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
2
 
58
Burruano Calogero del q. Marcello rivela s. 2 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
59
Troisi Pietro, rivela s. 16 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s. 5.8 f.f. per simenza, s. 3 per soccorso di d.° sem. e s. 6.8 per mangia di casa
16
 
60
Burruano Michel'Angelo del quondam Andrea, rivela s. 2 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia
2
 
61
Burruano Giuseppe del quondam Marcello, rivela s. 28 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s.4 per simenza, s. 4 per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e governare le vigne e s. 20 per mangia e impiego do casa
28
 
62
Burruano Alberto del quondam Marcello, rivela s. 4 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s 1 per simenza, s. 1 per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e il resto per mangia
4
 
63
Tulumello Gioachino, rivela s. 4 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia di sua casa
4
 
64
Di Rosa m.° Diego, rivela s. 10 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s 4 per venderli per compra di vestimenti s. 2 p. soccorso delle vigne e s. 4.3. per mangia
10
 
65
Grillo e Poma Dr. Don Barone Niccolò, rivela s. 132 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s 35 per simenza,  per soccorso di d.° sem.° s. 40 e seminerio di timilia s. 14 f.f. per sem,° di legumi ed orzi e s. 43 per mangia e impiego di casa
132
 
66
Lo Brutto don Bonaventura, rivela s. 3 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia
2
 
67
Savatteri don Francesco, rivela s. 4 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s. 3 per simenza, s. 2 per soccorso di d.° sem.° e s. 3 a comp. di dette s.8 per mangia
8
 
68
Scibetta m.° Stefano, rivela s. 160 per raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano s.150 per averle vendute a questa Un.tà per il pubblico panizzo ed il resto per mangia di propria casa
160
10
69
Di Rosa m.° Gioachino, rivela s. 2.12 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li servino per mangia
2
 
70
Frachanzillo Tommaso, rivela s. 8 per raccolto f.f per 1763, delli quali f.f.li bisognano s. 4 per simenza, s. 2 per soccorso e s. 2 copml. di dette s. 8  per mangia
8
 
71
Tirone don Niccolò, rivela s. 15 fr.forte e s. 5 timilia per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 12 per simenza, s.61 per soccorsi e s. 2 compl. di d.e s. 20  per mangia
20
 
72
La Mantia m.° Giuseppe, rivela s. 4 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 0.6 per simenza, s. 0.6 per soccorso e s. 3.4 comp. di d.e s. 4 per mangia di casa
4
 
73
Cacciatore m.° Antonino, rivela s. 4 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia
4
 
74
Picone don Ignazio d'Alessandro, rivela s. 3 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia di sua casa
3
12
75
Poma m.° Gerlando, rivela s. 1.12 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia
1
 
76
Rizzo don Vincenzo, rivela s. 24 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s. 8 per simenza, s. 6 per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e s. 10 per mangia di casa e garzone
24
 
77
Picone Chiodo don Antonino, rivela s. 14 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s.3 per simenza, s. 2 per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e s. 9 a compl. di d.e s. 14 per mangia e impiego di casa
14
 
78
Lo Brutto Antonino; rivela s. 2.8 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano per venderli per sollennizzare la  festività di S. M.a del Monte come Governadore della Confraternità di detta Chiesa.
2
 
79
Lauricella Antonino, rivela s. 12 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s 4 per simenza, s. 3 per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e is. 5 compl. di d.e s. 12 per mangia di casa
12
 
80
Carlino Calogero, rivela s.10 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 1.10 per simenza, s. 1 per soccorso di d.° sem.° e e il resto per mangia
10
 
81
Galeano m.° Francesco, rivela s. 5 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
5
 
82
Castillano Michel'Angelo, rivela s. 2 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano per mangia
2
 
83
Lauricella Francesco, rivela s. 8 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 31 per simenza, s. 2 per soccorso di d.° sem.° e sem,° di legumi ed orzi e s. 3 comp. di d.e s. 8 per mangia
8
 
84
Borzellino m.° Ludovico, rivela s. 3 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia
3
 
85
Alfano m.° Pietro,  rivela s. 15 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s 8 per simenza, s. 4 per soccorso  e il resto per mangia
15
 
86
Salvo (di) Andrea, rivela s. 8 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s. 3 per simenza, s. 1.8 per soccorso  e s. 3.8 comp. delle s. s. 8  per mangia di propria casa
8
 
87
Lo Giudice Pietro, rivela s. 2 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano sper mangia
2
 
88
Lo Giudice Giacomo, rivela s. 0.8 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia
8
89
Lo Indelicato Francesco, rivela s. 8 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano pello molino della pasta e mangia di casa
8
 
90
Di Franco m.° Agostino, rivela s. 40 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano s. 6 per simenza, s. 3 per soccorso di d.° sem.° ed altre s. 2.6 per soccorso di  sem,° di legumi ed orzo e per altro il soccorso delle vigne ed il resto per mangia 
40
 
91
Murgante Giuseppe di Filippo rivela s. 3 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. li bisognano  per mangia
3
 
92
Grillo fra' Antonio Maria, procuratore dello ven. convento di S. Francesco dei minori conventuali, rivela s. 7,8 per raccolto f.f per 1763, quali ff. li bisognano per mangia dello detto convento
7
8
93
Pirrelli fra' Giacomo Priore del ven. convento di S. Giovanni di Dio sotto titolo di S. Sebastiano, rivela s. 3. 13 ff. e timilia per raccolto f.f per 1763, quali li bisognano per mangia di detto convento
3
13,2
94
Pomo fra' Giuseppe Prc.re del venerabile convento del Carmine, rivela s. 23 per raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano s. 10 per simenza, s. 3 soccorso di d. sem. s. 2 per le vigne e s. 8 per mangia convento
23
 
95
Carretto fra Gaspare pr.re del ven. convento di S. Giuliano de Padri Agostiniani della congregazione di Sicilia, rivela s. 8 per raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano s. 2 per governo di un predio di vigna e s. 6 per mangia
8
 
96
Grillo sac. d. Salvadore Maria, rivela s. 160 per raccolto f.f per 1763, delli quali mi bisognano simenze in ff. s. 24, simenza in similia s. 30 per colti scarsi le s.te tim. s. 30, per coltura di vigne s. 20, per serviggio della mia casa e famiglia
 
per mangia s. 16, per due famoli in campagna esistenti di capo d'anno s. 25 ff., per soccorso ed agiuto a coloro che si devono pigliare a società il sud. sem. e legumi ed orzo; s. 15 ff: restano per quelle occorrenze che potranno insorgere
160
 
97
Grillo sac. d. Giuseppe,  rivela s. 20 per raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano per simenze e soccorso di suo patrimonio e mangia di casa
20
 
98
Campanella sac. d. Stefano arciprete,  rivela s. 100 per raccolto f.f per 1763, i quali mi bisognano s. 18 per mangia di famiglia, s. 4 per simenze, s. 3 per soccorso di seminerio di legumi ed orzo e s. 75 quali ho venduto a questa università comp. di
 
salme 100 per uso del publico panizzo sotto nome di Stefano di Salvo
100
 
99
Lauricella sac. d. Elia, rivela s. 8.8 ff. raccolto XI ind. 1763, delle quali mi bisognano s. 7 per simenza e mi bisognano salme 10 per mangia almeno di dieci persone
8
8
100
Pumo cl. Francesco, rivela s. otto ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 2 ff. per simenza, soccorso s. 2, il resto s. 4 comp. di dette s. 8 per mangia di casa
8
 
101
Borzellino sac. d. Mario,  rivela s. 5 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano per mangia di casa
5
 
102
Conti sac. d. Gerolamo,  rivela s. 26 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 8 ff. per simenza,  s. 7 per soccorso di d.° sem.° e sem.° di legumi ed orzi e governare due possession di vigna proprie, s. 11 p. mangia e commodo proprio
26
 
103
Crinò diacono d. Filippo,  rivela s. 2 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali li servino per mangia di casa
2
 
104
La Matina sac. d. Gaspare,  rivela s. 7 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 3 ff. per simenza, e s. 4  per mangia di casa
7
 
105
Farrauto sac. d. Santo,  rivela s. 200 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 100 ff. vendute al publico panizzo di questa, s. 80 obligate al caricatore di Girgenti, s. 20 per mangia  e simenze di proprie chiuse
220
 
106
D'Amico sac. d. Antonino,  rivela s. 8 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali di deducano s. 3 a ragione di processione del SS.mo Sacramento e s. 5.8 per mangia
5
8
107
Savatteri sac. d. Michel'Angelo,  rivela s. 21 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 2.8 ff. per simenza, s. 5 per soccorso di detto sem.° e sem.° di legumi ed orzo, s. 4  dati in accodo e s. 10 per mangia e commodo di casa
21
 
108
Scibetta e Franco sac. d. Giuseppe, rivela s. 30 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 4 ff. per simenza, s. 2 per soccorso di detto sem.° e s. 2 persem.° di legumi, s. 8 per lo soccors  o di un predio di vigne e s. 14 p. mangia e commodo
30
 
109
Picone sac. d. Ignazio, rivela s. 4 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1 ff. per simenza, s. 1 per soccorso  e s. 2, comp. di d. s. 4 per mangia  di casa
4
 
110
Sferrazza sac. d. Filippo, rivela s. 3 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1 ff. per simenza, s. 0.8 per soccorso  e s. 1.8 per mangia  propria
3
 
111
Mantione sac. d. Baldassare, rivela s. 2 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano per mangia  di casa
2
 
112
Mantione sac. d. Antonino, rivela s. 27.10 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 7.8 ff. per simenza, s. 5 per soccorso  di detto seminerio e socc. sem. d'orzo e legumi, s. 3 per governare le vigne e s. 12.2. per mangia  di casa
27
10
113
Pitrozzella sac. d. Baldassare, rivela s. 10 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 8 ff. per simenza, s. 4 per coltura di detto seminerio
10
 
114
Montagna diacono d. Onofrio, rivela s. 6 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 3 ff. per simenza, s. 1.8 per soccorso  e s. 1.9. per mangia  di casa
6
 
115
Baeri sac. d. Ignazio, rivela s. 0.8 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali li bisognano . per mangia  di casa
8
116
Baeri sac. d. Casimiro, rivela s.2 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali li bisognano per mangia
2
 
117
Nalbone sac. d. Benedetto, rivela s. 360 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 5 ff. per simenza, s. 2 per soccorso, s. 3 soccorso èer il seminerio di legumi, s. 20 per mangia, s. 2 per soccorso delle vigne e s. 250 obbligate a q. Un. per
360
 
 
Pubblico panizzo e s.78  commodate
 
 
118
Fucà diacono d. Giuliano, rivela s. 1 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali li bisognano per mangia
1
 
119
Fucà sac. d. Pasquale, rivela s. 1 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali mi bisognano  per mangia 
1
 
120
La Matina sac. d. Pietro, rivela s.13 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 5 ff. per simenza, s. 2 per soccorso  e s. 6 per mangia 
13
11,2
121
Avarello sac. d.  Alberto, rivela s. 75.11.2 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali s. 10 ff. per simenza, soccorso si d. sem.° s. 8,  soccorso sem.° di legumi s. 8 e s. 49.11.2 per mangia ed impiego di mia casa
75
 
122
Busuito sac. d. Antonino, rivela s. 6 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1.4 ff. per simenza, s. 2 per soccorso sem.°  di legumi e s. 1 soccorso di d.° sem.° di forte e per governare le vigne ed il resto. per mangia
6
 
123
Scibetta ed Alfano sac.d . Giuseppe, rivela s. 70 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali 40 vendute a questa un. per publ. panizzo, s. 6 per simenza e il restante per mangia di mia famiglia, soccorso delli metatieri di legumi ed orzo e p.
70
8
 
Migliari dieci di vigna e più per fare l'arbitrio di campagna
 
 
124
Farrauto sac. d. Saverio, rivela s. 0.8 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali mi servono  per mangia 
125
Biondi sac. d. Baldassare, rivela s. 4 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li servono per mangia
4
 
126
Alfano sac. d. Filippo, rivela s. 30 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 4 ff. per simenza, s. 7 per soccorso di d.° semin.° e sem,° di legumi e governare la vigna
30
170,4
 
 
4335
1
 
 
4346
 

 

 

quali infrascritti riveli sono in questa nostra Corte firmati dalle persone che sanno scrivere e parte firmati da persone per quelle che non sanno scrivere, ed oltre l’infrascritti riveli che nel sopracitato termine si sono ricevuti di sopra, .. non ve ne sono altri; onde in defe del vero ho fatto la presente sottoscritta di mia propria mano. In Racalmuto li 30  ottobre XII ind. 1763

 

D.n Lucio Amella Mag. Not.

 

Oltre alla composizione delle classi sociali racalmutesi (in vetta, tanti preti), possiamo cogliere tutto un linguaggio estremamente significativo ai fini della raffigurazione del mondo contadino dell’epoca:

1)     panizzo del popolo;

2)     frumento per simenze in forte e timilia [o tumminìa], per il fego dell'Aquilìa;

3)     paraspolari e tenetieri; gabbelloti e societarij;[30]

4)     simenza per soccorso e per governare le vigne e per mangia di propria famiglia;

5)     Grillo don Gaetano, come procuratore del fego delli Gibbillini, territorio di questa, rivela avere nelli magasini di quel fego s. [salme] 306 ffr. [frumento] raccolto nella  XIa In. 1763 [= 1763, undicesima indizione], quali li bisognano per semene, soccorsi e copertura di detto fego;

6)     per simenze di forte e timilia s. [salme] 40 per soccorso di detto seminerio e sem.  [seminerio] di legumi s. 15 e s. 24 per mangia ed impiego di casa;

7)     simenza fumento forte s. 10, salme 5 per soccorsi di d. sem. [semina], s. 2 per soccorso sem, [semina] d'orzo, salme 4 per provvedere la vigna, e s. 29 per mangia e commodo di propria casa;

8)     s. [salme] 55  [di frumento]vendute a questa un. [università]  di Racalmuto per il pubblico panizzo;

9)     Grillo don Antonio come Governadore della Segrezia di questa sudetta terra di Racalmuto rivela avere nelli magazini della Segrezia s. 703 .. quali li bisognano cioè s. 200 vendute a questa unoversità per il pubblico panizzo ed il resto che sono s. 503 f.f per simenza e soccorsi dello Stato di Racalmuto;

10) Di Salvo Filippa vid.a  [vedova] del quondam Giuseppe, rivela s. 12 fr.forte [frumento forte] .. quali li bisognano: s.6 per mangia e s.6 per commodarlo a divere persone;

11) Saldì m.°  [mastro] Paolino, rivela s. 9 ff.f. .. delli quali li bisognano s. 2 per simenza e s. 3 per soccorso di detto sem., sem. d'orzo e ligumi e s. 4 per mangia di propria casa;

12) Tulumello Calogero rivela s. 110 f.f.te e timilia, delli quali ff. li bisognano cioè per mangia della mandra  [Traina, vocabolario: mandra: luogo ov’è rinchiusa la freggia] s. 35 ff., p. simenza s. 20, per soccorso di seminerio d'orzo e ligumi e colture di vigne s. 12 e s. 43 p. commodo e mangia della propria famiglia;

13) Tulumello Giuseppe, rivela s.70 ..f.fte quali li bisognano s. 35 per mangia della mandra, s. 16 per simenza, s. 10 per soccorso di detto simenerio, ligumi ed orzo, e s. 9 per mangia di casa e garzoni;

14) Picone Chiodo Nicolò, rivela s. 42..f .fte [frumento forte] quali li bisognano s. 12 per simenza, s. 5 per soccorso di d.° sem., s. 3 per soccorso di sem. di legumi ed orzo s. 3 per governare n.° migliari otto di vigna e s. 19 compl. delle dette s. 42 per mangia ed agiuto del borgesato;

15) Grillo e Poma Dr. Don Barone Niccolò, rivela s. 132 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano s 35 per simenza,  per soccorso di d.° sem.° s. 40 e seminerio di timilia s. 14 f.f. per sem,° di legumi ed orzi e s. 43 per mangia e impiego di casa;

16) Scibetta m.° Stefano, rivela s. 160 per raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano s.150 per averle vendute a questa Un.tà  [università] per il pubblico panizzo ed il resto per mangia di propria casa;

17) Lo Brutto Antonino; rivela s. 2.8 per raccolto f.f per 1763, quali f.f. mi bisognano per venderli per sollennizzare la  festività di S. M.a del Monte come Governadore della Confraternità di detta Chiesa;

18) Grillo fra' Antonio Maria, procuratore dello ven. convento di S. Francesco dei minori conventuali, rivela s. 7,8 per raccolto f.f per 1763, quali ff. li bisognano per mangia dello detto convento;

19) Pirrelli fra' Giacomo Priore del ven. convento di S. Giovanni di Dio sotto titolo di S. Sebastiano, rivela s. 3. 13 ff. e timilia per raccolto f.f per 1763, quali li bisognano per mangia di detto convento;

20) Pomo fra' Giuseppe Prc.re del venerabile convento del Carmine, rivela s. 23 per raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano s. 10 per simenza, s. 3 soccorso di d. sem. s. 2 per le vigne e s. 8 per mangia convento;

21) Carretto fra Gaspare pr.re del ven. convento di S. Giuliano de Padri Agostiniani della congregazione di Sicilia, rivela s. 8 per raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano s. 2 per governo di un predio di vigna e s. 6 per mangia.

 

-        i preti, il grano, il pane

 

 

 Ed ecco i dati del folto clero:

 

 

a)     Grillo sac. d. Salvadore Maria, rivela s. 160 per raccolto f.f per 1763, delli quali mi bisognano simenze in ff. s. 24, simenza in similia s. 30 per colti scarsi le s.te tim. s. 30, per coltura di vigne s. 20, per serviggio della mia casa e famiglia per mangia s. 16, per due famoli in campagna esistenti di capo d'anno s. 25 ff., per soccorso ed agiuto a coloro che si devono pigliare a società il sud. sem. e legumi ed orzo; s. 15 ff: restano per quelle occorrenze che potranno insorgere;

b)      Grillo sac. d. Giuseppe,  rivela s. 20 per raccolto f.f per 1763, delli quali li bisognano per simenze e soccorso di suo patrimonio e mangia di casa;

c)      Campanella sac. d. Stefano arciprete,  rivela s. 100 per raccolto f.f per 1763, i quali mi bisognano s. 18 per mangia di famiglia, s. 4 per simenze, s. 3 per soccorso di seminerio di legumi ed orzo e s. 75 quali ho venduto a questa università comp. di salme 100 per uso del publico panizzo sotto nome di Stefano di Salvo;

d)      Lauricella sac. d. Elia, rivela s. 8.8 ff. raccolto XI ind. 1763, delle quali mi bisognano s. 7 per simenza e mi bisognano salme 10 per mangia almeno di dieci persone;

e)     Pumo cl. Francesco, rivela s. otto ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 2 ff. per simenza, soccorso s. 2, il resto s. 4 comp. di dette s. 8 per mangia di casa;

f)      Borzellino sac. d. Mario,  rivela s. 5 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano per mangia di casa;

g)      Conti sac. d. Gerolamo,  rivela s. 26 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 8 ff. per simenza,  s. 7 per soccorso di d.° sem.° e sem.° di legumi ed orzi e governare due possessioni di vigna proprie, s. 11 p. mangia e commodo proprio;

h)     Crinò diacono d. Filippo,  rivela s. 2 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali li servino per mangia di casa;

i)       La Matina sac. d. Gaspare,  rivela s. 7 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 3 ff. per simenza, e s. 4  per mangia di casa;

j)      Farrauto sac. d. Santo,  rivela s. 200 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 100 ff. vendute al publico panizzo di questa, s. 80 obligate al caricatore di Girgenti, s. 20 per mangia  e simenze di proprie chiuse;

k)     D'Amico sac. d. Antonino,  rivela s. 8 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali di deducano s. 3 a ragione di processione del SS.mo Sacramento e s. 5.8 per mangia;

l)      Savatteri sac. d. Michel'Angelo,  rivela s. 21 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 2.8 ff. per simenza, s. 5 per soccorso di detto sem.° e sem.° di legumi ed orzo, s. 4  dati in accodo e s. 10 per mangia e commodo di casa;

m)   Scibetta e Franco sac. d. Giuseppe, rivela s. 30 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 4 ff. per simenza, s. 2 per soccorso di detto sem.° e s. 2 persem.° di legumi, s. 8 per lo soccors  o di un predio di vigne e s. 14 p. mangia e commodo;

n)     Picone sac. d. Ignazio, rivela s. 4 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1 ff. per simenza, s. 1 per soccorso  e s. 2, comp. di d. s. 4 per mangia  di casa;

o)      Sferrazza sac. d. Filippo, rivela s. 3 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1 ff. per simenza, s. 0.8 per soccorso  e s. 1.8 per mangia  propria;

p)     Mantione sac. d. Baldassare, rivela s. 2 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano per mangia  di casa;

q)     Mantione sac. d. Antonino, rivela s. 27.10 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 7.8 ff. per simenza, s. 5 per soccorso  di detto seminerio e socc. sem. d'orzo e legumi, s. 3 per governare le vigne e s. 12.2. per mangia  di casa;

r)      Pitrozzella sac. d. Baldassare, rivela s. 10 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 8 ff. per simenza, s. 4 per coltura di detto seminerio;

s)     Montagna diacono d. Onofrio, rivela s. 6 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 3 ff. per simenza, s. 1.8 per soccorso  e s. 1.9. per mangia  di casa;

t)      Baeri sac. d. Ignazio, rivela s. 0.8 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali li bisognano . per mangia  di casa;

u)     Baeri sac. d. Casimiro, rivela s.2 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali li bisognano per mangia;

v)     Nalbone sac. d. Benedetto, rivela s. 360 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 5 ff. per simenza, s. 2 per soccorso, s. 3 soccorso per il seminerio di legumi, s. 20 per mangia, s. 2 per soccorso delle vigne e s. 250 obbligate a q. un. [questa università] per pubblico panizzo e s.78  commodate;

w)   Fucà diacono d. Giuliano, rivela s. 1 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali li bisognano per mangia;

x)     Fucà sac. d. Pasquale, rivela s. 1 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali mi bisognano  per mangia;

y)     La Matina sac. d. Pietro, rivela s.13 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 5 ff. per simenza, s. 2 per soccorso  e s. 6 per mangia;

z)     Avarello sac. d.  Alberto, rivela s. 75.11.2 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali s. 10 ff. per simenza, soccorso si d. sem.° s. 8,  soccorso sem.° di legumi s. 8 e s. 49.11.2 per mangia ed impiego di mia casa;

aa)  Busuito sac. d. Antonino, rivela s. 6 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali mi bisognano s. 1.4 ff. per simenza, s. 2 per soccorso sem.°  di legumi e s. 1 soccorso di d.° sem.° di forte e per governare le vigne ed il resto. per mangia;

bb) Scibetta ed Alfano sac.d . Giuseppe, rivela s. 70 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali 40 vendute a questa un. per publ. panizzo, s. 6 per simenza e il restante per mangia di mia famiglia, soccorso delli metatieri di legumi ed orzo e p. migliari dieci di vigna e più per fare l'arbitrio di campagna;

cc)  Farrauto sac. d. Saverio, rivela s. 0.8 ff. raccolto XI ind. 1763,  quali mi servono  per mangia;

dd) Biondi sac. d. Baldassare, rivela s. 4 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li servono per mangia;

ee)  Alfano sac. d. Filippo, rivela s. 30 ff. raccolto XI ind. 1763, delli quali li bisognano s. 4 ff. per simenza, s. 7 per soccorso di d.° semin.° e sem,° di legumi e governare la vigna.

 

Nel mezzo del ‘700, a Racalmuto, dunque, occorrevano 4.346 salme di frumento per la “mangia” dell’intera popolazione che, secondo “la numerazione delle anime” del quale si custodisce in quel mirabile scrigno (purtroppo in gran dispitto alle locali autorità) che è l’archivio della Matrice, ascendeva a circa 5.800 anime sotto n. 1537 capi-famiglia. [31] Il panizzo pubblico richiedeva qualcosa come 1.195 salme di frumento, il che significa che oltre l’78% delle famiglie non aveva grano proprio bastevole per sostentare il proprio gruppo familiare e doveva far ricorso al pubblico “panizzo”. Solo 126 possidenti potevano considerarsi autosufficienti, ivi compresi i quattro conventi ancora aperti, ed i 31 ecclesiastici (preti e diaconi) che costituivano il 2% dei “fuochi” racalmutesi del ‘700. Non disponiamo, purtroppo, notizie sul frumento che, finito nei pubblici caricatoi, emigrava per esportazioni o per le cosiddette “tratte” che per secoli avevano foraggiato il “biscotto” degli eserciti spagnoli.

 

-        i vigneti.

 

 

Ma non tutte le terre erano destinate al frumento. da un rollo della Confraternita di Santa Maria (dedita alla buona morte, e si sa che il culto dei trapassati è stato da tempo un buon affare a Racalmuto) abbiamo potuto enucleare qualcosa come 102 vigneti di varia dimensione, con vette di 18.000 viti che i fratelli Taibi vantavano in località Montagna, dislocati pressoché dappertutto, e coltivati in vario modo: “vinea de aratro” (come dire che fra vite e vite si poteva arare e quindi coltivare frumento o legumi o altro); “vinea cum suis arboribus” (la vigna alberata era consueta a Racalmuto, almeno fino a quando non ebbe a prendere piede quella a tettoia, ultimamente coperta con teli di plastica, in modo anche osceno); “vinea arborata com eius clausura” (una bella vigna alberata in mezzo a chiuse di terre da pane);  “vinea cum eius clausuris, arboribus et domo” (una spaziosa “robba” con vigneti, frutteti e campi di grano); “clausura cum domibus, aqua, terris scapulis et arboribus et aliis” (era la “chiusa” che il potente e ricco Giovanni Amella possedeva nel feudo di Gibillini, a confine con il vigneto di suo fratello Giovanni, con quello di Pietro Salvo e con il vigneto di Antonino Gugliata).

Non disponiamo di dati sufficienti a tracciare un valido quadro statistico, ma il seguente speccietto non è poi del tutto trascurabile:

DATA
COGNOME NOME
LOCALITA'
1589
MASTROSIMONE Marianus et Joannella de Mastrosimone
CASALI VECCHIO
1589
BURGIO PIETRO
CASALI VECCHIO
1589
GIANGRECO MARIANO
CASALI VECCHIO
1589
GRACI VINCENZO
CASALI VECCHIO
1578
MONTELEONE NICOLO'
SERRONE
1580
LUPARELLO ANTONINO
NOCE
1580
DE LIO JACOBO
NOCE
1587
SUTTASANTI PIETRO
SCALA
1587
RIZZO MARTINO
SCALA
1587
ALAIMO IACUZZO MARCO
SCALA
1594
MACALUSO GIUSEPPE DI VINCENZO
SERRONE
1594
GUELI ANTONINO
SERRONE
1594
BARBIERI PIETRO
SERRONE
1596
SURCI PAOLO
SERRONE
1596
FRANCO BARTOLO
SERRONE
1596
SFERRAZZA - Gerlandus Sferracza quondam Antonini alias Cannatuni uti tutor Francisci Sferracza eius fratris
ROVETTO FONTE
1596
MESSINA PAOLINO
GARAMOLI CORVO
1596
PALERMO FABIO
GARAMOLI CORVO
1596
RESTIVO DRAGO GIOVANNI
GARAMOLI CORVO
1596
MULE' VILLICO ANTONINA
GARAMOLI CORVO
1596
LUPARELLO LEONARDO
GARAMOLI CORVO
1596
MESSINA PAOLINO
GARAMOLI CORVO
1596
LA LICATA ANTONELLA
CELSO-LOGGIATO-GIBILLINI
1596
AMELLA JO. VITO
CELSO-LOGGIATO-GIBILLINI
1596
ALLETTO ANTONINO
CELSO-LOGGIATO-GIBILLINI
1596
LA LICATA ANTONELLA
PIRO-NOCE-FICOAMARA
1596
LA ROCCA PIETRO
PIRO-NOCE-FICOAMARA
1596
LA LICATA GIURLANDELLA
MALVAGIA
1596
RIZZO MARCO
MALVAGIA
1597
BARBERI GRIXO VINCENZO
SAMBUCHI
1597
RUGGERI LUIGI
SAMBUCHI
1597
LO BRUTTO CARLO
SAMBUCHI
1597
CALCI GIUSEPPE
SAMBUCHI
1597
BARBERI alias MOSSUTO ANTONINO
CULMITELLA
1597
CACCIATORE mastro PIETRO
CULMITELLA
1597
AGRO' VENTO GIOVANNI
CULMITELLA
1597
LA LICATA LOGIA ANGELO
DONNA FALA - PORTELLE
1597
TAIBI CINO LUIGI
DONNA FALA - PORTELLE
1597
LA LATTUCA GIUSEPPE
DONNA FALA - PORTELLE
1597
INGRAO FILIPPO
BOVO
1597
MORREALE mastro MARIANO
BOVO
1598
FIXINA E STAFARACI Filippus de Fixina et Vincentius Stafarachi socer et gener
SANTA DOMENICA
1598
BELLOMO PIETRO
SANTA DOMENICA
1598
ACQUISTA SIMONE
SANTA DOMENICA
1598
GENTILE LUCIANO
BOVO
1598
PARLA VINCENZO
BOVO
1600
MANTEGNIA PASQUALE
GAZZELLE
1600
PIEMONTISI ADDARIO
GAZZELLE
1600
BRUCCULERI SIMONE
GAZZELLE
1600
GARLISI GIROLAMO FU SANTO
GAZZELLE
1600
BARBA ANTONINO FU PAOLO
MANCHI
1600
AMELLA GRAVUSO  PAOLO
MANCHI
1600
BARBERI FILIPPO
MANCHI
1600
PETRUZZELLA  GERLANDO
MANCHI
1600
SIGNORINO VITO
GIBILLINI
1600
AMELLA SEBASTIANO
GIBILLINI
1600
LA LOMIA GIOVANNELLA
GIBILLINI
1600
GRILLO GIOVANNI
BOVO
1600
CARAVELLO FILIPPO
BOVO
1600
PIRNICI GIOVANNINO
BOVO
1600
LA LICATA ANTONELLA
NOCE
1600
LA LICATA ANTONELLA
PIDOCCHIO
1600
LA LICATA ANTONELLA
GAZZELLA
1600
PIEMONTISI ADDARIO
GAZZELLA
1600
GIANDALIA SIMONE
GAZZELLA
1602
TAIBBI VINCENZO ED ALESSANDRO
MONTAGNA
1602
CURTO ANTONINO DI BARTOLO
MONTAGNA
1602
RIZZO PIETRO DI SIMONE
MONTAGNA
1602
SANFILIPPO SANTO
MONTAGNA
1602
TAIBBI VINCENZO ED ALESSANDRO
MONTAGNA
1602
BUSCEMI CORRADO
MONTAGNA
1603
MACALUSO FRANCESCO DI VINCENZO
GRANCI
1603
POMA IACOBO
GRANCI
1603
LAURICELLA ANTONIO
GRANCI
1603
AMELLA GIOVANNI DI FRANCESCO
GIBILLINI
1603
SALVO PIETRO
GIBILLINI
1603
D'ASARO PIETRO, PITTORE
GARAMOLI CORVO
1603
MACALUSO FRANCESCO FU VINCENZO
GARAMOLI CORVO
1603
D'ASARO PIETRO, PITTORE
NOCE
1603
GUADAGNO NOT. GIOVANNI
 
1604
BARBIERI ANTONIA
CULMITELLA
1604
CACCIATORE PAOLO
CULMITELLA
1604
AGRO' VENTO GIOVANNI
CULMITELLA
1604
MONTELEONE not. NICOLO'
MENTA
1604
IANNUZZO SALVATORE FU ANGELO
BIGINI
1604
PACE GERLANDO
BIGINI
1604
XANDRO CATERINA
PIDOCCHIO
1604
TAIBI ALESSANDRO
PIDOCCHIO
1604
GIGLIA ANTONINO
PIDOCCHIO
1606
BORSELLINO PIETRO DI ANTONIO
MONTAGNA
1606
MACALUSO ALESSIO
MONTAGNA
1606
PETRUZZELLA BARTOLO
MONTAGNA
1607
LO NOBILI mastro GIULIO
STALLUNERI
1607
BARONE mastro FRANCESCO
STALLUNERI
1607
LO NOBILE mastro FRANCESCO
STALLUNERI
1607
GUELI GIUSEPPE DI GERLANDO
STALLUNERI
1608
CURCIO ANDREA
GIBILLINI
1608
CAPOBIANCO MICHELE
GIBILLINI
1608
MESSINA ORLANDO
GARAMOLI
1608
PALERMO FABIO
GARAMOLI
1608
LO GIUDICE VINCENZO
GARAMOLI
1608
RESTIVO GIOVANNI
GARAMOLI

 

 


I vigniti, sparsi un po’ ovunque, si palesano però più insensivi a Garamoli, in contrada Montagna, a Bovo, alla Noce, alla Menta, al Rovetto, a casali Vecchio, a Culmitella, al Serrone; in varie località che in quel tempo facevano parte del feudo di Gibillini, come dire i versanti di Monte Castelluccio; in talune contrade oggi di incerta, e talora ormai dimenticata, ubicazione quali: Bigini, Gazzelle,  Granci, Malvagia, Manchi, Pidocchio, Sambuchi, Stalluneri, Santa Domenica; e non mancavano vigneti neppure nella parte Nord, a cavalcioni del vallone oggi così desolato, come ci testimoniano i dati relativi a Donna Fala o a Quattro Finaiti.

Integrando i dati con quelli che appaiono da un altro “rollo” – sempre custodito in Matrice – abbiamo, infatti, vigneti – oltre alle località citate – in contrade quali: Carcarazzo, Pernice, Muscamenti, Cannatone, per non parlare del Ferraro, dei Malati, del Saracino, Sant’Anna, San Giuliano, Rocca Russa, Canalotto, Muccio, Giardinello (feudo di Gibillini), Corbo, Petravella, Cozzo della Pergola, Santa Maria di Gesù, Marcianti (feudo di Gibillini), Vella del Corbo, Arena, Muccio (feudo di Gibillini), Lago (feudo di Gibillini), Scifitello, Castilluzzo (feudo di Gibillini), Carmelo.

 - il sommacco.

 

Una piantagione, che se pur tarda è comunque attestata da documenti del XVII secolo, è quella del sommacco: serviva per la concia delle pelli e quindi, allignando nei costoni rocciosi, ebbe a propagarsi in quelle zone impervie con intensità tale che ancor oggi – seppure ormai quasi inutilizzata – non si riesce ad estirpare. La solita Matrice ci fornisce dati d’archivio: è del 1685 questo documento che attiene ad una ipoteca :

Item in et super salma una et tumulis octo terrarum cum eius vinea et summacio intus et torculare sitis et positis in dicto pheudo et in contrata Bovi secus vineam Francisci de Poma Agostini et secus contrata dello Corbo et alios confines.

 

Apparteneva ad una famiglia ancor oggi in auge: al sacerdote don Pietro Casuccio ed al fratello Nicolò. E certo, di sommacco ebbe bisogno il padre del “nonno del nonno” di Leonardo Sciascia – che, diversamente da quanto asserisce in Occhio di Capra lo Scrittore, era racalmutese puro sangue. Mastro Leonardo Sciascia s’induceva il 22 aprile del 1768 a fare società con mastro Carmelo Bellavia e con mastro Giuseppe Alfano, a suo volta associato con mastro Pietro Picone.

 

-        gli alberi da frutta

 

Gli alberi da frutta, che un tempo dovevano essere molto diffusi, furono drasticamente ridimensionati quando i sabaudi, gli austriaci ed i Borboni ebbero l’infelice idea di tassari in modo capitario.

La rarefazione degli alberi da frutta si coglie benissimo nel rivelo che il convento degli agostiniani fa agli atti del notaio Michelangelo Savatteri, il 10 maggio 1754. [32] Il convento –  ove da giovane divenne diacono fra Diego La Matina - è ancora aperto, ad onta dei divieti papali, ed è davvero prospero. Eppure, si guardi come sono esigue e ristrette le specie di alberi da frutta: 

«Beni stabili rusticani



Possiede questo venerabile convento salma 1 e tumoli 8 di terre, atte a giardino secco, in questo stato, contrata S. Giuliano, confinante con il detto venerabile convento e via pubblica di tutti i lati, che secondo l'estimo dell'esperto di questa terra ragionati ad onze 120 per salma, sono di valore cento ottanta onze, o. 180;

 

Item in dette terre vi esisteno alberi di diverse sorti, cioè mandorle n.° 70 a tt. 6 per uno sono di valore onze 12 che secondo l'estimo dell'esperto d.o, fanno o. 12

Alberi di olive n. 12 a tt. 6 per uno sono di valore onze quattro secondo l'estimo dell' esperto ;

Alberi di pruni   [albero che fa le susine = Prunus domestica culta L., v. Traina] di tutta sorte n.° 200 a tt. 8 per ogn'uno secondo l'estimo dell'esperto;

Alberi di peri  n.° 15 secondo l'estimo dell'esperto ragionati a tt. 6 per uno sono di valore onze;

Alberi di fastuche  [ pistacchio = Pistacium L.)  n. 8 che secondo l'estimo dell'esperto a tt. 15 per uno sono di valore onze 4;

Alberi di noci n. 2 secondo l'estimo dell'esperto unza una per uno sono onze due;

Alberi di pomi [pyrus malus L., probabilmente compresi gli alberi di “cutugna”, cotogno, Pyrus cydonia L.] n.° 6 ragionati secondo l'estimo dell'esperto a tt. tre per uno sono di valore tt. deciotto;

Alberi di granati [melograno, Punica granatum L. Denominato dalla città spagnola, a memoria dell’importazione araba] n.° venti secondo l'estimo dell'esperto a tt. 3 per uno sono di valore onze due;

Alberi di fichi n.° 15 secondo l'estimo dell'esperto a tt. 4 per uno sono di valore onze due

 

Mancano aranci e mandarini ed anche limoni. Mancano: gelsi, sorbi, peschi, nespoli, ciliegi ed altre specie oggi piuttosto ricorrenti nelle campagne di Racalmuto. Notisi la prevalenza dei frutti invernali. Quanto al valore, questa la gerarchia: noce (un’onza ad albero); pistacchio (15 tarì ad albero); pruni (tarì 8 ad albero), nonché mandorli, ulivi e peri (tutti sollo stesso standard di 6 tarì ad albero) e, quindi, gli alberi di fico (4 tarì ad albero), i melograni con i pomi a soli 3 tarì ad albero. Si tace sui fichidindia che dovevano pur esserci.

 

- le risorse agricole degli agostiniani di S. Giuliano.

 

 

Il documento ci pare perspicuo anche per quest’altri rilievi agrari:



«Possiede pure detto venerabile convento, in detto stato contrada Barona, salma una e mondelli due di terre scapoli per uso di seminerio, confinante con Carlo Barone, e via publica, che secondo l'estimo dell'esperto ragionati ad onze 120 salma sono di valore cento trenta cinque onze ...... -/ 135.

 

Possiede più detto venerabile convento tumoli 12 di terre occupate da n.° migliara 8 di vigne nel feudo delli Gibillini Contrata Ferraro confinante con vigne di Santo Diana, Nicolò Curto, ed altri, e via publica, che secondo l'estimo

 

Possiede pure detto venerabile convento in detto stato mcontrada Barona salma una, e mondelli due di terre scapoli per uso di seminerio confinante con Carlo Barone, e via publica, che secondo l'estimo dell'esperto ragionati ad onze 120 salma sono di valore cento trenta cinque onze ...... -/ 135

 

Possiede più detto venerabile convento tumoli 12 di terre occupate da n.° migliara 8 di vigne nel feudo delli Gibillini Contrata Ferraro confinante con vigne di Santo Diana, Nicolò Curto, ed altri, e via publica, che secondo l'estimo dell'esperto ragionate ad onze 12 per migliaro sono di valore onze novantasei e tarì 10 ....................-/ 125.10.

 

In dette vigne esiste il Palmento per commodo della vendemmia e con altre due case di abitazione terrane e cioè una entrata, e l'altra paglialora, e due camere di sopra, che secondo l'estimo dell'esperto di questa sono di valore onze trenta ................................................................... -/ 30

 

In dette vigne vi sono n.° trenta quattro alberi di mandorle, peri, fiche, ed olive, che secondo l'estimo dell'esperto di questa ragionati a tt. 6 per uno sono di valore onze se, e tarì venti quattro ......................................................................................................................... -/ 6.24.

 

Possiede di più detto venerabile convento tumoli 8 di terre atte a seminerio confinanti coll'istesse vigne di sopra ad onze 64. salma secondo l'estimo dell'esperto importa trentadue onze .. -/ 32

 

In dette terre vi esiste fiumara con sua acqua sorgente in n.° 100 alberi di Pioppo che prezzati

secondo l'estimo dell'esperto a tt. 8, grana uno, sono di valore onze quattordici e tarì 20 ..-/14.20»

 

Lo spaccato contadino del mondo racalmutese settecentesco si tinge anche di questo tratto non proprio edificante. I ricchissimi frati di San Giuliano si danno alla questua lungo le campagne ed ottengono dai devoti villici questi tutt’altro che trascurabili “introiti spirituali”:



«Introito Spirituale

In primis salme 10 formenti provenuti per questua ragionati a tt. 40 salma importa ...............-/ 3

E più salmi 6 orzi a tt. 24 salma provenuti per questua importa  ............................................. -/ 4

E più salmi 4 fave provenute per questua ragionati a tt. 24 salma importa .............................. -/ 3

E più salme due lenti[cchie] provenuti per questua a tt. 42 salma importa ....……................... -/ 2

E più salma 1 ceci provenuti per questua ragionati ad -/1.26 salma importa  .................. -/1.26

E più botte sei musto ragionate a onze 1.7 botte .................................................................-/ 6»

 

I frati questuanti portano nelle stive del convento «formenti, orze, fave, lenticchie e ceci». Il Borbone, da Napoli, insensibile a cosiffatte devozioni, tassa.

Il convento di S. Giuliano ha pure il problema della gesione delle vigne site al Ferraro: ecco come denuncia il  «Prodotto delle vigne di Gibillini»: sono vigne «date a società, franche d'ogni spesa, un anno per l'altro, [per un valore di] botte 4 di vino-mosto, ragionate per onze 3,3 per botte.»

Restiamo colpiti da quel pioppeto di 100 albero lungo la “fiumara” del Ferraro. Oggi, nessuna traccia è più lì rinvenibile, né di pioppi, né di acque fluenti.  Il pioppo, come i tanti canneti di cui parlano le fonti, erano indispensabili nelle costruzioni edili. Due grossi volumi contabili denominati “libri della fabrica” sono consultabili in Matrice ai fini dell’inveramento della costruzione della nostra chiesa madre, sempre che si abbia voglia di discostarsi delle letterarie attribuzioni di Sciascia ad un prete in alumbramiento.  Nel Seicento si faceva ricorso al pioppetto di Garamoli. Era difficoltoso ed il trasporto costava. Lo sfruttamento di facchini era comunque possibile: bastava dar loro “salsicce e vino”. A comprova, citiamo: «il 22 dicembre del 1658 si pagavano mastro di Napoli e suo figlio «per havere andato in Garomoli per sbarrare li travetti et n° 3 burduna che mancano al complimento della nave [della Matrice] ed in più per havere fatto portare dui carichi di travetti di Garamoli.» Occorrono 20 tarì «per havere fatto venire dui burduna da Garamoli e più per pani, salzizza e vino a vinti homini che uscirono detti burduna dentro la fiumana e ni portaro uno a 2 dicembre alli detti Gueli et Napoli e suo figlio per intravettare e pulire la travetta.» Le tre attuali navate della Matrice furono dunque intravettate con legname di Garamoli nel dicembre del 1658, quando don Santo d’Agrò – il prete alumbriato da Sciascia  - era morto da 21 anni (risulta, appunto tumulato, nella parte allora esistente della Matrice, sotto l’altare della Maddalena il 22 luglio 1637).

I pioppi degli agostiniani del Ferraro non dovevano essere dissimili da quelli di Garamoli, e del tutto uguali a quelli – radi – che ancora resistono nello zubbio sotto Fra Diego. Questa è almeno la tesi dei grandi naturalisti racalmutesi che abbiamo interpellato.

Rintracciato via E-Mail il mio compagno di liceo prof. Giovanni Liotta, lo apostrofai nel dicembre del 1999 in questi termini:

A Garamoli, dunque, v’era nel 1658 una “fiumana” ove impenetrabilmente prosperava un bosco di alberi ad alto fusto che all’occorrenza venivano utilizzati per fare dei “burdana” per il tetto delle chiese. Qui si tratta della nostra matrice (ovvio che quella di cui parla Sciascia fatta a spese di un prete, l’Agrò, in vena di alumbriamento, non esiste). Di che tipo erano quegli alberi? Ha ragione il dott. Salvo che li vuole della famiglia populus alba? Si potrebbe pensare ad una colonia di pioppi  neri (p. nigra)? O ad altre  specie di alberi ad alto fusto? Perché sono spariti?

 

E prontamente – e tanto simpaticamente, quanto gentilmente – il grande entomologo mi precisava:

 

 

Quanto alle piante che vivevano e ancora vivono ai bordi del canale per lo smaltimento dell'acqua della sorgente, credo, come Salvo, che debbano essere attribuite alla specie Populus alba, (il pioppo più comune della zona).


 

Ma noi continuiamo a sperare che i citati esperti racalmutesi ci forniscano risultati di appositi studi: Racalmuto li merita.

 

h) La fauna

 

 

Così come a Milena, anche a Racalmuto, la fauna che circolava dal Neolitico al periodo tardo romano era sostanzialmente costituita dagli ovicaprini (si calcola sul 46,75%), dai bovini (sul 20,19%) e sui maiali (intorno al 19,57%) [33] Anche a Racalmuto ebbe a pascolare il cervo e seppure rade non mancarono la volpe, la lepre ed il cinghiale.

Ci pare pertinente pure ai nostri siti questo passaggio del lavoro della Wilkens: «Oltre ai resti di mammiferi sono stati identificati anche alcuni molluschi marini (Murex trunculus, Glycymeris sp., Glycymeris violacescens), marini fossili (Dentalium sp.) e terrestri (Rumina decollata, Helix aspersa, Eobania vermiculata, Leucochroa candidissima). Mentre è probabile che le conchiglie marine, compreso il Dentalium fossile, venissero utilizzate a scopo ornamentale, la presenza di molluschi terrestri può essere causale, dato che non sono stati trovati in numero tale da far supporre un loro uso alimentare.»

Nell’Eneolitico, in zona Rocca Aquilia così prossima alla contrada Marchesa di Racalmuto, «la percentuale degli ovicaprini è molto alta, raggiungendo il 71,55%. [..…]La caccia ha un interesse molto limitato con il 3,44% e due sole specie: il cervo e la volpe. […]Tra gli ovicaprini  prevale nettamente la pecora, essendo la capra rappresentata solo da un frontale femminile con cavicchie.»

Risale al Bronzo antico l’utilizzo certo di bovini come animali da lavoro. Non mancava il cane. Nel Bronzo medio, i maiali tra uno e due anni venivano utilizzati per la macellazione. Per le pecore «le macellazioni avvenivano alla nascita, a 3/5 mesi e a 8/9 mesi nei giovani, si hanno resti di subadulti di 18/24 mesi e di adulti di età media ed avanzata. Si aveva quindi uno sfruttamento di tutte le possibilità del gregge: latte, carne e lana.» «I resti di cane sono scarsi e comprendono la mandibola di un giovane compresa tra uno e quattro mesi. Gli altri frammenti appartengono ad adulti di piccola taglia. Tra le specie selvatiche sono stati identificati la volpe, il cinghiale, il cervo e la tartaruga.»

Verso la fine dell’età del Bronzo, la commestione del cane risulta con certezza: «una mandibola di cane con denti regolari denota la presenza di un individuo a muso lungo, mentre un frammento di femore con graffi di scarnificazione sul lato ventrale in prossimità dell’epifisi distale, indica che anche i cani venivano utilizzati nell’alimentazione.»

Estendiamo a Racalmuto queste importanti “interpretazioni e confronti” della Wilkens: «Nell’economia di questa area la caccia ha sempre avuto un’importanza secondaria e solo nel Neolitico di Mandria i resti di animali selvatici raggiungono una percentuale significativa (11,72%). La tendenza verso un allevamento misto con forte importanza della pastorizia affiancata da buone percentuali di bovini e maiali è evidente dall’esame del materiale neolitico. I bovini sembrano in questa fase destinati essenzialmente alla produzione di carne e latte, mentre negli ovicaprini, che in tutti i periodi sono costituiti in massima parte da ovini, sembra prevalere l’interesse per la lana e il latte rispetto a quello per la carne. […] Nell’Eneolitico si accentua la tendenza verso la pastorizia a danno principalmente dell’allevamento dei maiali. […] Negli strati più recenti di Serra del Palco … è presente il cavallo.»

Il cavallo pare che sia giunto tardi in queste zone: «Il cavallo, identificato solo in livelli di età storica, raggiunge a Rocca Amorella un’altezza di mm. 1316. Si tratta quindi di un individuo di taglia media. I resti di asino sembrano invece da attribuire ad animali di piccola taglia.»

In definitiva, «tra gli animali selvatici si nota una certa varietà di specie nel Neolitico (volpe, lepre, cinghiale e cervo). […] Solo il cervo si trova con regolarità in quasi tutte le fasi. E’ da notare il tasso nel Bronzo tardo di Serra del Palco. […] Il daino è presente solo a Rocca Amorella.» Non mancava il gatto.

In millenni di attività venatoria e di braccognaggio, la facies faunistica di Racalmuto è radicalmente cambiata. Naturalmente vi ha contribuito l’antropica modificazione della locale vegetazione. Il degrado degli ambienti per il dissennato utilizzo di fitofarmaci è stato spesso esiziale. Vi si aggiunga la vulnerazione che le tante strade hanno determinato nell’ecosistema del territorio..

Resiste, comunque, nella zona la Volpe (Vulpes vulpes crucigera Bech.), avente pelliccia rossastra sul capo e sul tronco e grigia sulle parti inferiori. Vive in genere tra le sterpaglie dei campi o trale balze rocciose (come nella cava di Fulvio Russo, al Serrone).  Pare che non sia del tutto scomparso il Gatto selvatico (Felis silvestris Schreb.). Tra i roditori sopravvive l’Istrice (Hystrix cristata cristata L.). Pure ancora presente il Riccio (Erinaceus europaeus consolei Barr. – Ham.), un insettivoro dal capo largo e con il muso appuntito. Tutte le parti superiori del corpo sono ricoperte, dalla fronte alla coda, da aculei di due o tre centimetri di lunghezza. Lepri e conigli non mancano, anche se ormai non più indigeni, ma provenienti dai paesi slavi ed immessi nel territorio per ripopolamento, purtroppo senza avvedutezza veterinaria, e quindi, non di rado, infetti e contagiosi. Lepre comune (Lepus europaeus corsicanus De Wint) e coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus huxleyi Haeck.)  sono per ora preda - al Castelluccio, al Serrone, alla Pernice, persino sotto le varie “robbe” di campagna – di quella fosca genia dei cacciatori locali, per fortuna in via di estinzione.

Sembrano tornare a volteggiare sulle lande racalmutesi gli antichi rapaci. Consueti i rapaci notturni quali: il Barbaggianni (Tyto alba Scopp.), dal piumaggio biancastro nella parte inferiore del corpo e rossastro nella parte superiore, con disco facciale a forma di cuore in cui sono inseriti occhi relativamente piccoli di colore oscuro, la Civetta (Athene noctua Scop.) – e pensiamo al Giorno della Civetta di Sciascia – piumaggio grigio marrone, attiva nel crepuscolo e nelle prime ore dell’alba, divoratrice di insetti e predatrice di topi e uccelli di piccole dimensioni. E, poi, il Gufo comune (Asio otus L.) e l’Allocco (Strix aluco L.). A noi fa ancora effetto l’ansimante gridio dello Jacobbu (strix bubo L.), quando, dopo l’estivo imbrunire al Serrone, sfreccia invisibile tra i vigneti. E quasi umano è il richiamo dei piccoli che, sempre al Serrone, la volpe reitera divagando ora qui ora là nella notturna pastura.

Corvi, cornacchie, gazze, storni, cardellini, fringuelli, allodole, capinere, tordi, merli, rondini, pettirossi, sono uccelli passeriformi o ancora non estinti o in fase di piacevole ritorno. L’upupa, ma anche il piccione selvatico, la tortora, la quaglia, la coturnice di Sicilia allietano ancora i nostri campi. Rettili, di solito innocui (i familiari scursuna) continuano, in primavera, a spogliarsi delle loro lunghe squame sui campi, sempreché non uccisi prima dalla superstizioso e biblico ribrezzo dei contadini nostrani. Lucertole a iosa: dalla Podarcis wagleriana (Gist.) alla comunissima Podacis sicula sicula (Raf.). Sui muri delle case e sulle rocce due specie di gechi, grandi divoratori di insetti: la Tarentola mauritanica (L.) e lHemidactylus turcicus (L.)
E che dire delle lumache: a Racarmutu aviemmu li babbaluciara, diceva un’ingenua canzone popolare. Babbalucieddi, babbaluci, iudisca e muntuna, termini familiari a tutti i racalmutesi.


[1] ) Fulco Pratesi e Franco Tassi, Guida alla natura della Sicilia,   pp. 21-22, Mondadori, Milano 1974.
[2] ) ibidem, p. 204
[3]) Ferdinando Milone: Sicilia, la natura e l’uomo - Torino, 1960, pag. 13.
[4]) L. Trevisan: Les mouvements tectiques récents en Sicile - Hipothèses et problèmes.
[5]) Luigi Romano: Idrogeologia della propagini sud-ovest dell’altipiano di Racalmuto -GEOLOGIA  - Università di Palermo - Facoltà di Scienze - Anno Accademico 1978-79 , pag. 6
[6] ) L. Mauceri: Notizie su alcune tombe  .. scoperte fra Licata e Racalmuto, in Ann. Inst. Corr. Arch., 1880
[7] ) S. Tine': L'origine delle tombe a forno in Sicilia, in Kokalos 1963, p. 73 ss.
[8] ) Leonardo Sciascia, L’antimonio, in Opere 1956-1971 –  pag. 384, Bompiani Milano,  1987.
[9] ) ibidem, p. 384
[10] ) Dalle capanne alle “robbe” – La storia lunga di Milocca-Milena – a cura di Vincenzo La Rosa – Pro Loco Milena 1977 – p. 7
[11] ) ibidem, p. 15 e ss.
[12] ) Per maggiori dettagli cfr. Decima A., Werzel F.C., 1971 – Osservazioni sulle evaporiti messiniane della Sicilia centro-meridionale. Riv. Min. Sicil., 22, pp. 172-187.
[13] ) Per approfondimenti, cfr. Carobbi G., 1971 – Trattato di mineralogia. Vol. II – Firenze.
[14] ) Vedansi a Racalmuto, ad esempio, le polle solfuree sopra Gibillini, in contrada Perciata.
[15]) Marcello Panzica La Manna, Aspetti del fenomeno carsico sotterraneo nel territorio di Milena (CL) , in Dalle Capanne alle “Robbe”, cit. p. 27 e ss.
[16] ) Fruibili sono le seguenti letture: Calvaruso E., Cusimano G., Favara R., Mascari A., Panzica La Manna M., 1978, Primo contributo alla conoscenza del fenomeno carsico nei gessi di Sicilia. Inghiottitoi di M. Conca (Campofranco – CL), Atti XIII Congr. Naz. Di Speleologia, Perugia, (preprints); Cigna A..A., 1983, Sulla classificazione dei fenomeni carsici, Atti Congr. Naz. Di Speleologia. Le Grotte d’Italia, (4), XI, 1983, pp. 497-505; Madonia P., Panzica La Manna M., 1987, Fenomeni carsici ipogei nelle evaporiti in Sicilia, Atti Simp. Int. Il Cars. Nelle Evapor. In Sicilia, Le Grotte d’Italia (4), XIII, 1986, pp. 163-189.
[17] ) ARCHIVIO VESCOVILE DI AGRIGENTO - REGISTRO VISITE 1608-1609 - MONSIGNOR Dn VINCENZO BONINCONTRO - VESCOVO DI GIRGENTI - (INDICE A PAG. 13: RACALMUTO PAG. 244 aggiunto: 203)
 
[18] ) Chiesa Madre di Racalmuto -  Santa Maria - Rollo - atti del 1500,  f. 47
 
 
[19] ) ibidem,  f. 331
[20] ) Cosimo Marcenò – lineamenti floristici e vegetazionali del territorio di Milena (CL), in Dalle Capanne alle “robbe”, op. cit., pp.37-41.
[21] ) Pratesi e Tassi, Guida alla natura della Sicilia, op. cit. p. 10.
[22] ) Vds. Malgrado tutto, novembre 1999 – n. 5 p. 17.
[23] ) Leonardo da Regalpetra, Racalmuto 1990, p. 8
[24] ) Gli amici della noce, Fondazione Leonardo Sciascia – Racalmuto 1997 – p. 11.
[25] ) ibidem, p. 7.
[26] ) ibidem, p. 7.
[27] ) ibidem, p. 11.
[28] ) Francesco Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, vol. primo – Sellerio Palermo 1984,  p. 96.

[29] ) Ci si permetta di autocitarci: Calogero Taverna, La signoria racalmutese dei Del Carretto, Infotar Racalmuto 1999: «Una cosa è certa; Federico del Carretto era saldamente insediato nella baronia di Racalmuto ben prima che avesse l'investitura da Alfonso d'Aragona l'11 febbraio 1453. Reperibile presso l'archivio di Stato di Palermo il contratto che lo vedeva associato nel 1451 con Mariano Agliata per uno scambio di grano delle annate del 1449 e 1450 contro quello di Girardo Lomellino consegnabile a luglio. Il Bresc [op. cit. pag. 884] commenta: «ce qui permet une fructueuse spéculation de soudure». In termini moderni si parlerebbe di outright in grano. La domiciliazione sarebbe stata pattuita presso il "caricatore" di Siculiana..»

 
[30] ) Renda. F., Storia della Sicilia ..,  op. cit. p. 84 «Lo sfruttamento capitalistico del lavoro contadino riuscì ad elaborare varianti ancora più gravose del terraggio, quali il paraspolo, o altri analoghi rapporti, in cui il concessionario fu trasformato in prestatore d’opera senza salario certo e definito (il compenso sarebbe stato una quota parte del prodotto conseguito a fine stagione, generalmente grano, nella misura di un quinto, di un quarto e in casi eccezionali di un terzo).»
[31] ) Per ampi dettagli, v. il ns. Racalmuto in microsoft, c/o Biblioteca comunale di Racalmuto.
[32] ) ARCHIVIO SI STATO PALERMO - DEPUTAZIONE DEL REGNO - INVENT. N. 5 - riveli Vol. n. 4093 anno 1748 – ff. 250-257-
[33] ) Barbara Wilkens, Resti faunistici provenienti da alcuni siti dell’area di Milena, in “Dalle capanne alle ‘robbe’ …” cit. p. 127 e ss.

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