venerdì 2 gennaio 2015

un sindaco, due preti montedoresi, padre Cipolla e un tentativo di bancarotta preferenziale



Non mancheremo mai di tributare a Piero Carbone un nostro plauso per le tante ricerche storiche e soprattutto per il suo acume e il suo raffinato stile nel rappresentarle.
Piero chiude l'anno 2014 del suo blog con queste cicche su padre Cipolla, su un paio di preti montedoresi e su un vescovo direi non molto ligio al detto evangelico di dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
Piero - ovvio - è poeta e lascia in ombra taluni aspetti penalistici come ad esempio il tentativo (sempreché non sia andato in porto) di bancarotta preferenziale.
Siamo nel 1928 e il fascismo ormai si è affermato e consolidato. Il sistema bancario e cooperativistico non può venire allegramente gestito e mandato allo sbaraglio. Padre Cipolla che doveva fare altro e non il prete si era impegolato in una perniciosa iniziativa bancaria cooperativistica. Forte della sua veste talare aveva rastrellato tante piccole rimesse degli emigrati negli Stati Uniti. Aveva carpito la fiducia delle vecchie e ignare madri di tali emigranti. Aveva fatto quindi prestiti subito immobilizzatisi ad amici e lui stesso aveva trasformato un ente creditizio a breve in un sorta di incauta banchetta mista con investimenti durevoli che portarono subito al crack finanziario.
al Calogero Messana da Montedoro - che credo sia quello che mi tacciò di scivolate storiche senza manco conoscermi e senza capire il senso delle mie cose che non sono certo cosette da piccolo borgo montedorese - spiffera un paio di lettere al Cipolla che sono la testimonianza di malae gestiones clericali sia di Montedoro sia di Racalmuto e che hanno il beneplacito del vescovo nisseno sorprendente quanto scandaloso.
Il Cipolla dunque si era messo a far finanziamenti a tal prete il Rizzo. Noi i Rizzo di Montedoro li avevamo rinvenuti in un papiello accusatorio di tal maestro elementare Filadelfo Mammano (con il suo sodale "Giuseppe La Porta, droghiere") del 27 febbraio 1875.
Un pamphlet corposo anche se rigonfio che dà un non bello spaccato della Montedoro del tempo sotto il tallone della famiglia Caico, quella insomma che poi fu l'esile lady Hamilton di cui si continua a tessere fallace esaltazione, ignari dei tanti non ostensibili retroscena. E ribadiamo tanto strafottendocene del Messana montedorese che crede di avere autorità, competenza e sapienza tali da censurare chi come noi ce ne fottiamo di tale ardente campanilismo.
Ma lasciamo andare. Qui rimarchiamo come l'affare proposto, la transazione,è vero atto criminale. Il mondo della corsa all'oro biondo solfifero dell'Ottocento è ormai un vago ricordo. Il fascismo vi mette le mani e cassa di un sol colpo tutta la proprietà privata del sottosuolo. La crisi è dirompente. Qui candidamente si dice che che le cose minerarie vanno bene e quindi si vuol rifilare una patacca al furbo padre Cipolla che non è tipo da abboccare. Ma l'intervento del vescovo ci fa molto sospettare: io faccio un favore a te e tu fai un favore a me e Dio sa di quanti favori aveva ormai bisogno l'incauto padre Cipolla
Acquisire quote a Gibillini ora nel 1928 valeva zero. La riforma fascista aveva creato il disastro (o la giusta riforma, a seconda dei punti di vista) che abbiamo detto. Quello che ormai contava era la gestione di un miniera. E chi aveva messo le mani su Gibillini? Ma il famoso don Calogero Vizzini. Sennonché il 20 gennaio 1927 il regime fascista aveva "assegnato al confino di Polizia, ai ensi dell'art. 184 n. 1 del T.U. delle leggi di P.S., Vizzini Calogero fu Beniamino, di anni 50, da Villalba, qui domiciliato". Dice una carta da noi rinvenuta all'Archivio Centrale di Stato che costui era stato al vertice dell'alta mafia siciliana e ciò gli aveva "consentito l'esercizio di importanti miniere di zolfo". Il regime insomma l'aveva giubilato e così la miniera di Gibillini viene rimessa all'abile ed astuta gestione del nostro Baldassare Tinebra che ne fa una cosa sua; ma per questo , divenuto pur sindaco nel '43 per volere degli americani e sotto sotto del Vizzini ci rimette la vita in pieno corso Garibaldi, esecutore materiale (come noi crediamo) o meno (come Tano Savatteri nella Congiura dei Loquaci nega) il Cento e Dieci.
Piero Carbone dunque con questa sua linda ed elegante ricognizione storica ci tuffa nel bel mezzo della nostra turbolenta storia racalmutese. E forse nolente ci conferma che era vera do Dio il detto popolare: unni c'è scuru e fuddra ddroccu c'è patri Cipuddra.
mercoledì 31 dicembre 2014
I DEBITI SI PAGANO. PAROLA DI VESCOVO
Di zolfo è l'alito infernale, almeno così si crede, ma altri aliti ha generato, intramondani, più concreti e venali. Con lo zolfo vi hanno commerciato nobili, borghesi e intraprendenti imprenditori, non escluso il clero, presoché di tutta la Sicilia e non solo.
Calogero Messana ce ne ha offerto una testimonianza in due post pubblicati su questo blog e riguardante un ottocentesco prete montedorose, molto discusso, don Gaspare Rizzo; in un altro prete montedorese, don Giovannio Rizzo, del secolo successivo, ci siamo imbattuti e la cui vicenda "zolfifera" incrocia l'attivismo del prete racalmutese Giuseppe Cipolla, presidente di una cassa rurale.
Per estinguere il debito contratto con la Cassa rurale, il sacerdote Giovanni Rizzo propone al presidente di acquistare una quota della miniera Gibellini appartenente alla sua famiglia . E interviene il vescovo di Caltanissetta affinché la richiesta venga accolta.
Un debito anche tra rappresentanti del clero è come una sorta di offesa in sospeso: s'ha da pagare. E con l'imprimatur episcopale.
Per quanto riguarda i due preti imprenditori minerari, va correttamente osservato che pur avendo a che fare entrambi con lo stesso minerale, sotto l'aspetto del profitto, emergono comportamenti molto diversi, se non opposti.
Lo zolfo, insomma, non alitava soltanto miasmi infernali.
Giovanni Rizzo
(Montedoro, 18 aprile 1928)
I.M.I.
Revmo P. Cipolla,
Da quando ho potuto sentire la condizione della proprietà mineraria è attualmente rassicurante e perciò mi permetto ancora una volta di pregarla che Ella acquisti la quota di Miniera Gibellini di proprietà della mia Famiglia, per estinguere così il debito contratto presso la sua Cassa da me, e per avere anche qualche po’ di margine per i crescenti bisogni della famiglia.
Se insieme alla nostra quota Ella volesse acquistarne altre non ha da fare altro che farmene un cenno e con certezza avrà altre quote.
Io sono spinto a prendere una tale decisione perchè voglio in modo assoluto estinguere i debiti per non avere preoccupazioni e dedicarmi con più slancio alle opere sacerdotali senza altri pensieri che spesso mi tormentano.
Sto in attesa di una sua risposta. Compatisca la povertà e la miseria che mi spinge a fare la suddetta proposta e preghi anche tanto per il suo Devmo servitore
Sac GiovRizzo
Giovanni Jacono, vescovo
(Caltanissetta, 20 aprile 1928)
Carmo P. Cipolla,
mi permetto di accompagnare l’unita lettera del mio stimatissimo Sac. Rizzo con una parola di raccomandazione, bene augurando che ella senza danneggiare, anzi garantendo e migliorando gl’interessi propri, favorisca quelli di un povero sacerdote che desidera togliersi di dosso un penoso fardello.
Ringranziandola, le auguro ogni bene nella carità di N. Signore e la benedico
Devmo
+ Giovanni Vescovo

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