domenica 15 gennaio 2017

sabato 31 dicembre 2016

venerdì 1 marzo 2013

Aspra contesa fra due amicissimi nella vita, ed opposti nell'amore -odio per le banche.


Lo confesso: tra me e il dottore Salvatore Grossi – già ispettore superiore della vigilanza bancaria della Banca d’Italia ed oggi apprezzato controllore di banche di un Nord obbediente e consulente atto a creare intese proficue e moralizzatrici tra Vigilanza e alcune banche vigilate – non c’è intesa alcuna.

Lui difende ed apprezza il “sistema” così come mirabilmente spiega in uno scritto che pubblichiamo qui sotto.

Io, non solo ho il massimo disprezzo per il sistema, anche per ritrosia ideologica (mi è ideopaticamente odioso) – ma ove posso cerco di stroncarlo e qualche volta per miopia dei miei dirigenti di un tempo della Banca d’Italia, vi sono riuscito. Reo confesso, dunque, più e con diversa peccaminosità di Geronzi.

Pubblico comunque lo stesso - e con ingordigia – il pensiero dell’avversario (amicissimo nella vita).

Avrò modo di spiegare dove lui sbaglia e dove io ci azzecco. Mi dimostrerà lui il contrario, accidia meridionale permettendo, e voglie dialettiche residue oltre gli ottant’anni alimentabili.

Dunque: lasciamo stare la storia: non ha insegnato nulla. Caro Dini sei venuto dall’America per scoprire la Banca Mista che i massoni del fascismo avevano debellata oltre mezzo secolo prima. Cari Patalano, De Robbio e loro nipotini che non conosco volevate l’accortezza operativa scopiazzando i vari algoritmi anglosassoni e celiando addirittura i modelli macroeconomici di signorine sposate in Inghilterra. Vi proteggeva prima Sarcinelli ( e mal gliene incorse) e dopo de Sario che da mio retroposto riuscì a divenire persino Direttore generale della Banca d’Italia violentando il giudizio di un certo gobbetto di piazza dei Filodrammatici di Milano alias Cuccia. Venne Basilea, orgia di miracolati di don Antonio Fazio. Il risultato? Lasciamo perdere.

In parole povere: Il fascismo volle una funzione di pubblico interesse per l’intero sistema bancario; Carli genialmente lasciò lo statuto fascista e rese tutto su in piano di gentleman agreement (inglese, certo: ancora tollerabile. Ricordo però il mio caro amico Conte reduce dalle segreterie particolari bifonchiare contro Carli che troppa confidenza, anche notturna, dava ad un certo squallido e dimesso giornalista;  mi pare – diceva – si chiamasse Eugenio Scalfari [giudizio suo non mio che il mio è opposto].

Nel palazzetto di Santo Spirito in via Milano ci limitavano a cercare un patrimonio ancora “sano” (ci sono arrubbamenti – chiedeva il vice direttore generale Occhiuto, che del resto non ce ne frega niente. Guai a noi se sollevavamo una qualche questioncella di correttezza tributaria. Le norme fiscali nn avevano diritto di esilio. Del resto c’era il segreto bancario anche con la Gialla). Dopo Carli Baffi, quello che pianse una sola estate, e dopo il signor Ciampi che mi risultava più angosciato nel mese di maggio se si doveva dire “constatare” o “costatare”. A me raccomandò un certo Lascialfare. “Ma se è reo confesso?”, mi permisi di dire. Dovetti lasciare la Banca d’Italia anzitempo – molto anzitempo.

E Fazio? Lo vidi in una chiesa di San Silvestro la mattina prestissimo con la dormiente giardia del corpo : si confessò, si comunicò, pregò e si avviò per le scale  a piedi verso Via Nazionale, sempre con la guardia del corpo a piede, ovviamente.

I giudici l’hanno condannato fra una guastedda e l’altra. Io ho certezze: a lui l’assolvo. In effetti condannato per un Tulb inventato dal mancato cancelliere Lamanda, oggi nostro tartassatore al Comune di Roma otto Alemanno). Hanno privatizzato tutto anche la figura del governatore e quindi non è più sopra le parti (come ancora scrive il mio amico Grossi) ma sotto le parti e se si oppone ad una truffaldina opa spagnola (invero massone) turba il mercato e lo mettono in galera. Se la prenda con Lamanda e con la consulenza legale(invero). Mi dispiace per l’amico Sasà, ma un patrimonio “adeguato” è puttanata. Adeguato a che? Ai numeri fasulli di un attivo che previo sbilanciamento delle tante cifre sotto la linea deve quadrare col passivo. Bisognerebbe leggere i numeri. In Vigilanza si sa tutto. L’unica cosa che non si sa (perché nessuno la insegna) è la ragioneria. E le banche, tutte le banche un solo linguaggio hanno: quello dei numeri. O li sai leggere o se non li sai leggere dici che le cattiverie la banca d’Italia non le sapeva (e le sapeva .. le sapeva) perché “fuori contabilità” . No,  cari miei  ex colleghi: non fuori contabilità, ma artatamente fuori posto e voi non ve ne siete accorti. Meno male che i giudici ne sanno meno di voi quanto a contabilità e inorridiscono se sentono dire che la tal banca ha sballato la “contabilità di magazzino”. Altrimenti chissà quante incriminazioni per omissione di rapporto!

 

ARTICOLI DEL DOTTOR SALVATORE GROSSI GIA’ ISPETRTORE DELLA VIGILANZA BANCARIA DELLA BANCA D’ITALIA ED OGGI CONSULENTE GIUSPUBBLICISTICO DEL SETTORE DEL CREDITO

 

L'argomento della nostra conversazione si presterebbe ad  una trattazione ampia e tale da consentire non una esposizione  quale quella che mi appresto a tenere, ma un corso di studi specifico.

 

Consentitemi, perciò, di restringere il campo di indagine a quanto di più pertinente ad un discorso fra non addetti ai lavori che vogliano ottenere informazioni sulla disciplina che interessa le banche nel loro complesso ed il pubblico per un mantenimento di un settore (appunto il sistema bancario) finalizzato alla tutela dei nostri risparmi ed ai finanziamenti  delle iniziative familiari e delle intraprese commerciali ed industriali.

 

Per intenderci sull'argomento della nostra conversazione, posti i limiti appena indicati,  mi sembra opportuno definire

il significato di “sistema” e di “vigilanza”.

 

Poniamo mente al significato che la nostra lingua attribuisce al termine sistema. Uno sguardo al dizionario

può soddisfare l'esigenza postaci.

 

Il Devoto – Oli alla voce sistema recita:

“connessione di elementi in un tutto organico e funzionalmente unitario”.

 

Mi pare (ed è senza dubbio una mia deformazione professionale) che i citati italianisti abbiano appunto avuto presente il sistema bancario nel definire la parola interessata.

 

L'Italia ha avuto il privilegio di annoverare da tempo fra le sue imprese commerciali l'esercizio del credito. Nei secoli scorsi furono infatti numerose le banche  che svolgevano la loro attività anche presso stati e potentati stranieri.

Tuttavia la numerosa presenza di tale anche qualificata compagine di intraprendenti banchieri non portò ad una formazione che potesse essere considerata sistema.

 

Lo stato italiano sorto nel 1861 annoverava una moltitudine

di piccole aziende bancarie, nate spesso per iniziativa di facoltose famiglie, sorte quali comuni attività commerciali che non potevano dare (e non dettero) luogo ad alcun sistema coeso. La disciplina giuridica di tali esercizi era contenuta, appunto, nell'allora vigente codice di commercio.

Lento fu, pertanto, il procedere verso una disciplina specifica che conducesse ad una situazione di maggiore coesione regolamentare.

 

E' il caso di ricordare che, accanto a dette minori istituzioni, espletavano la loro attività anche banche che detenevano per concessione la facoltà di emettere moneta cartacea.

 

Si imponeva pertanto un intervento che tendesse ad uniformare la disciplina di emissione, dal momento che varia era la distribuzione di tali privilegiati istituti nelle diverse parti della nazione appena evoluta in stato unitario.

 

Vi era all'epoca:

Al Nord la Banca di Genova e la Banca di Torino che fondendosi avevano dato luogo alla Banca Nazionale del Regno d'Italia;

 

Al Centro La Banca Toscana  e la Banca Toscana di credito per le industrie ed il commercio;

 

Al Sud il Banco di Napoli ed il Banco di Sicilia (entrambe enti pubblici);

 

Alle dette Banche si aggiunse nel 1870 la Banca Romana.

 

 

 

La concessione di emettere biglietti di banca costituiva privilegio per gli istituti autorizzati che ebbero in tal modo opportunità di integrare i depositi, all'epoca ancora non molto diffusi.

 

Detti istituti certamente ebbero una liquidità considerevole che permise loro di finanziare l'economia, ma provocò pure degli squilibri dovuti alla speculazione.  Rammentiamo come esemplare negativo la speculazione edilizia che segnatamente si sviluppò in Roma divenuta Capitale del regno  e quindi bisognevole di sviluppo cittadino.

 

Tralasciamo le diatribe politiche dell'epoca e le vicende giudiziarie che a queste si connettevano.

 Merita invece menzione la legge bancaria del 1893 che istituì la Banca d' Italia e decisamente riformò l'emissione di carta moneta, stabilendone un limite invalicabile e la copertura metallica di almeno il 40%.

 

Gli istituti di emissione furono soltanto tre  essendosi proceduto a fondere nella Banca d' Italia  la Banca Nazionale e le due banche toscane.

 

Mantennero la facoltà di emissione le due banche meridionali.

 

Con la nascita della Banca d' Italia cominciò a delinearsi in qualche modo un sistema bancario che tuttavia, in concreto, trovò definita evidenza con la legge bancaria del 1936.

 

Vi furono nel lungo periodo indicato anche altri provvedimenti legislativi volti a disciplinare le modalità operative di talune categorie di aziende di credito  e prevedere  in qualche modo un articolato controllo pubblico.

 

Ma sopratutto vi fu un'opera costante della Banca d'Italia a privilegiare gli obbiettivi pubblici rispetto all'interesse privato degli azionisti.

 

La Banca d'Italia, infatti, ebbe modo di esplicare tale “vocazione  pubblica”  favorendo la propria funzione di prestatore di ultima istanza; il che portò ad interventi anche sostanziosi per il superamento di situazioni di crisi.  Da tale funzione non poteva che derivare una effettiva centralità dell'istituto di emissione mentre cominciava a delinearsi

 l' esigenza di controllo sulle aziende di credito.

 

Ma, come già detto, è con la legge bancaria del 1936 che si delineò con contorni definiti il “sistema bancario” .

 

Fin dall'articolo 1  veniva dichiarato che il risparmio fra il pubblico e l'esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico.

 

Affermazione ripresa dall'articolo 47 della nostra Costituzione  che espressamente recita:

“ La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito”.

 

 

La legge bancaria del 1936 è datata in un periodo particolarmente sfavorevole per l'intera economia.

Vi era stata la debacle della borsa di New York nel 1929.

 Vi era stata la crisi industriale; le maggiori banche italiane erano oberate dalla presenza nei propri portafogli di partecipazioni assunte.

 E' da dire che la legge bancaria del 1926 aveva svolto la funzione di arginare gli squilibri avvertiti dalle aziende di credito, ma si dimostrava impari alle situazioni che successivamente si verificarono.

E' tuttavia da rappresentare positivamente che nel '26 fu affermata l'attribuzione della vigilanza  sulle aziende di credito alla Banca d'Italia, che rimase unico istituto di emissione.

 

Va soggiunto che provvedimenti sostanziali erano stati adottati con la creazione dell'IRI, istituto rivolto propriamente alla ricostruzione del tessuto industriale mediante la gestione di partecipazioni statali; era sorto l' IMI che aveva il compito di assistere finanziariamente  l'economia industriale.

 Si imponeva però un sostanziale riordino dell'esercizio del credito con l'emanazione di regole cogenti che inducessero il mondo bancario ad una sana e prudente gestione.

 Veniamo a questo punto a definire il significato, anche fattuale del termine “vigilanza”. Non possiamo, infatti, ritenere la vigilanza come sinonimo di controllo; è da chiarire che la Vigilanza contiene nel suo esplicarsi l'azione di verifica  dell'adesione del comportamento alla norma, ma assume anche la cognizione utile alla determinazione dell'adeguamento della struttura esaminata, nel suo complesso organizzativo, regolamentare, funzionale, alle finalità sicuramente dirette alla nominata “sana e prudente gestione”.

Senza dubbio la legge bancaria favoriva un atteggiamento dirigistico (e il periodo storico lo consentiva), ma l'intento principale dell'organo di vigilanza era mantenere stabile la condizione del sistema ed in tal modo proteggere il risparmio.

E' il caso di rammentare che la Banca d'Italia rappresentava e rappresenta anche un centro di studi dell'economia  e che il dialogo fra gli studiosi e gli addetti alla Vigilanza, sotto la accorta direzione del Direttorio, ha favorito la scelta opportuna  degli indirizzi  da suggerire (e talvolta imporre) alle banche  per il più favorevole decorso della congiuntura economica.

La legge del 1936 aveva dato forma al sistema e suddiviso perentoriamente i compiti dei componenti il sistema stesso:

           per la costituzione di nuove banche e l'apertura di nuovi sportelli è  richiesta l'autorizzazione della Banca d'Italia;

           viene differenziata la competenza fra credito ordinario e credito speciale

           inoltre:

           sono confermati istituti di diritto pubblico il Banco di Sicilia , il Banco di Napoli, la BNL,   l'Istituto bancario S. Paolo di Torino e dichiarato tale il Monte dei Paschi di Siena.

           Sono qualificate di interesse nazionale  le banche di maggiore importanza aventi sedi operative in più di trenta province.

            Con tale assetto si intendeva sottolineare il particolare interesse statuale alla operatività delle aziende esercenti il credito.

           E' da soggiungere altresì che i criteri che hanno determinato le scelte contenute nella legge di cui ci stiamo occupando non potevano che trasfondersi nella applicazione pratica della funzione di vigilanza.

           E, difatti, vi furono all'occorrenza provvedimenti volti a determinare con direttive  inopponibili anche scelte che avrebbero dovuto essere imprenditoriali.

           Valga solo qualche esempio particolare, ma indicativo dell'assunto che andiamo esprimendo:

           negli anni settanta, di fronte alle oscillazioni  ed alla svalutazione di taluni titoli, si accettò che nelle situazioni contabili delle aziende di credito non emergessero le svalutazioni degli stessi, ma bastasse evidenziare la presenza di tali valori in appostazioni   contrapposte di debitori e creditori diversi;

           furono stabiliti vincoli amministrativi nella composizione degli investimenti in titoli, con ciò chiaramente indirizzando di fatto i finanziamenti verso prescelti settori economici;

 

Dirigismo assoluto, quindi, ma rivolto alla tutela della stabilità economica interna.

 

Purtroppo gli eventi talora addirittura delittuosi non consentono di evitare squilibri e dissesti, così come improprietà delle gestioni inducono a situazioni di precarietà o peggio in singole aziende.

 

Dobbiamo però doverosamente constatare che mai le situazioni negative delle singole aziende hanno coinvolto gli interessi dei depositanti, grazie alla costante tenuta del sistema nel suo complesso.

 

Vigilanza, dunque, nel duplice aspetto di controllo sulla osservanza delle norme (ed a tal fine interventi sanzionatori anche drastici), ma anche indirizzo per la migliore gestione aziendale e per la tutela dell'utenza bancaria.

E' ordinaria, infatti, sia nelle fase ispettiva con sopralluoghi presso le aziende vigilate, sia nel corso dei frequenti colloqui che gli esponenti bancari intrattengono con gli uffici della Banca d'Italia, l'analisi della struttura aziendale al fine di acquisire informativa atta a delineare l'adeguatezza dell'apparato aziendale alle finalità proprie.

Colloqui che sempre più si rendono necessari stanti le direttive emanate in sede europea per la tutela della funzione creditizia.

Vale a tal proposito far cenno alla disciplina derivante dal Comitato di Basilea.

 

Il Comitato di Basilea è un gruppo che riunisce le banche centrali dei 10 paesi più industrializzati  per trattare di argomenti inerenti la regolamentazione bancaria  che nasce  nel 1974. Non legifera  ma emette indicazioni che sono considerate “vincolanti” in circa 100 paesi.

Nel 1998 ha stabilito i 25 principi fondamentali della supervisione bancaria con cui si introduce il concetto di “adeguatezza patrimoniale “, cioè di patrimonio  adeguato ai rischi assunti . Si stabilisce quindi una percentuale minima  di copertura tra patrimonio e rischio di credito.

Nel 1999 la riforma si evolve (Basilea 2) creando un sistema più complesso per l'individuazione e la copertura dei rischi , che dovrà gradatamente trovare applicazione  attraverso grandi interventi decisionali  e organizzativi fino a culminare  nel 2005 – 2006 nell'entrata in funzione del sistema di regole.

 

L'idea forte della nuova risoluzione del Comitato è colpire proprio il cuore delle imprese, facendo sì che esse debbano allineare l'adeguamento del capitale agli effettivi rischi assunti facendo attività bancaria.

Sulla base di questa idea è stato stabilito di definire incentivi  al fine di migliorare le capacità di misurazione e gestione del rischio, senza dimenticare l'importanza di un sistema trasparente nei confronti del pubblico e, quindi, anche per questa strada garantire il contenimento del rischio, dal momento che una utenza più informata riduce i rischi di controversie; senza considerare il dovere morale di essere trasparenti.

Da ciò la definizione di tre pilastri:

1)          Primo pilastro:

2)          richiesta di un capitale minimo  in funzione  del tipo di rischio.

3)          Secondo pilastro:

4)          supervisione.

5)          Terzo pilastro:

6)          Trasparenza informativa.

 

Meno sinteticamente è da osservare che:

           per gli adempimenti di cui al primo pilastro spetta all'organo di vigilanza di ciascuno stato (per noi alla Banca d'Italia) stabilire – in via generale e/o per singole aziende – stabilire un livello minimo di copertura dei rischi.

           Per soddisfare le direttive del secondo pilastro la banca deve disporre di un procedimento di determinazione del capitale, adeguato ai rischi assunti, e una strategia per il controllo  includendo il monitoraggio da parte del Consiglio di amministrazione  e dell'Alta Direzione , la misurazione  adeguata e continua nel tempo, l'informativa e la revisione dei controlli interni.  Il  supervisore controllerà e valuterà la capacità di conseguimento  e mantenimento dei requisiti prescritti, adottando, se del caso provvedimenti adeguati.

           Per il terzo pilastro occorre assicurare la trasparenza nelle informazioni emesse  a favore del pubblico, disponendo di una politica della trasparenza approvata dal Consiglio di amministrazione, nella quale venga evidenziato l'obbiettivo e la strategia della banca riguardo alle informative da rendere pubbliche.

 

Ritengo evidente che le direttive di Basilea inducono alla presenza di adeguati controlli interni alle aziende e ne individuano principalmente nel Consiglio di amministrazione il responsabile .

Da qui l'attenzione dell'Organo di vigilanza appunto sulle diverse funzioni di controllo di cui le aziende di credito devono ormai essere dotate. Del resto è funzione primaria della vigilanza espletare  la propria attività  sugli organismi interni preposti alle varie tipologie ed ai diversi livelli di  controllo svolti in seno alle organizzazioni aziendali.

 Per pura informativa soggiungo che ulteriori direttive del Comitato (Basilea 3) aggiungono ulteriori requisiti volti a tutelare ancor più dai rischi dell'attività bancaria il patrimonio aziendale.

 Sugli adempimenti conseguenti occorre ovviamente invigilare, anche intervenendo con professionale competenza per indicare modalità e mezzi per adempiere a quanto previsto dalle direttive.

 

Da quanto anche per ultimo detto emerge chiaro che il sistema bancario da osservare  è , allo stato, sebbene manchi un più completo amalgama amministrativo e giuridico, non più quello attinente solo al nostro paese, ma quello che investe  l'Europa che va formandosi, e anche oltre, se si tiene presente che gli indirizzi di Basilea interessano ben 100 paesi.

Solo pochi mesi fa la Cancelliera tedesca trionfalmente dichiarava come prossima l'unificazione della Vigilanza europea , attribuendone la funzione alla BCE. E' però da osservare che recenti ripensamenti rinviano, per ora, tale provvedimento.

A questo punto la conversazione dovrebbe aver termine. Consentitemi, tuttavia, di rubare pochi secondi al vostro tempo per dimostrare con un esempio il comportamento della vigilanza nell'esporre le proprie considerazioni alle aziende oggetto di osservazione.

 

Ho qui con me un rapporto ispettivo riguardante una  banca giudicata favorevolmente.

Ma il positivo giudizio non la esenta da (sia pur non aspre) critiche volte a possibili miglioramenti nella gestione aziendale. Miglioramenti che garantiscano la solidità patrimoniale e, quindi, il presidio degli interessi dei depositanti.

  Si ha in questo caso particolare riguardo alla funzione di controllo interno (settore sul quale sempre l'attenzione di verifica si appunta), che, seppur ritenuto sostanzialmente adeguato, viene sottoposto a critiche per taluni aspetti particolari.

Non mancano altresì raccomandazioni per una sempre  attenta cura di altri settori che in maniera più diretta interessano la clientela (trasparenza, usura) o la reputazione aziendale per cause attinenti a non corretto comportamento di clienti (antiriciclaggio).

 In breve, l'esperienza acquisita dagli addetti alla vigilanza è costantemente posta a disposizione dei vigilati, in un rapporto di collaborazione che è parte doverosa ed essenziale dell'espletamento della supervisione bancaria.

 

 

Altra analisi del settore pubblico bancario e creditizio del dottore Salvatore Grossi

 

La storia delle nostre istituzioni bancarie, purtroppo, spesso ci mostra dissesti non raramente conseguenti ad eventi delittuosi che coinvolgono anche  la vita civile e politica della nazione.

 

La storia della Banca d'Italia, da parte sua, è punteggiata da interventi che, a seguito di tali eventi, hanno condotto a soluzione gli stati di crisi provocati dagli eventi negativi, senza eccessivi turbamenti delle aspettative della clientela e, soprattutto, senza perdite da parte dei depositanti.

 

Potrebbe addirittura affermarsi che il nostro istituto di emissione detiene nel proprio DNA la vocazione alla sistemazione dei danni provocati da irresponsabili atteggiamenti (o peggio da deliberati propositi )  di personalità alle quali vengono affidate anche le sorti della nazione.

La Banca d'Italia nasce , infatti, proprio per mettere ordine nel dissennato  sistema di emissione di biglietti di banca; concessione che restò affidata alle istituzioni bancarie già detentrici di tale privilegio nel periodo precedente l'unità statuale della nazione, senza alcun preventivo vaglio delle capacità di autocontrollo delle stesse istituzioni.

Valga in proposito rammentare esplicitamente la vicenda della Banca Romana, che coinvolse finanche la corona d'Italia e mise a nudo l'incapacità della burocrazia pubblica a contrastare gli eventi .

 

L'attribuzione alla Banca d'Italia della facoltà di emissione (è restata, è vero, ancora per qualche decennio, tale concessione anche al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia) costituì  la designazione di fatto della stessa Banca d'Italia quale Banca Centrale.

 

Si è ancora lontani dalla costituzione di una “vigilanza bancaria”, ma non mancano esempi che dimostrano come l'Istituto abbia saputo e voluto esplicitare la propria funzione pubblica. Fu la Banca d'Italia, infatti a sostenere gran parte dell'onere finanziario che incombeva sullo stato per partecipare al primo conflitto mondiale e fu la Banca d'Italia a coordinare il sostegno della incipiente industrializzazione del paese.

 Si è ancora lontani dalla organica coesione delle istituzioni bancarie in un corpo che possa essere qualificato “sistema bancario”, ma l'attività svolta dalla Banca d'Italia avvia alla formazione di un tutto organico e funzionalmente unitario; mancano le norme specifiche che ufficializzino e qualifichino, appunto, l'organismo  come unitario.

 

Bisogna arrivare al 1926 perché sia riconosciuta alla Banca d'Italia la capacità culturale e tecnica di cui dispone e quindi attribuire con legge a questa istituzione l'onere ed il privilegio divigilare sull'operato delle banche.

Ma è dalle crisi che emergono le capacità innovative atte a fronteggiare la congiuntura negativa. Dopo la debacle della borsa di New York e la crisi conseguente che investi il mondo capitalista, si avvertì la necessità di attivare le misura adatte alla ripresa provvedendo al riordino dell'assetto industriale e del sistema bancario.

Il periodo storico (anno 1936) consentiva una azione dirigistica  che fosse in grado di provvedere a tale riordino. Di qui la necessità di addivenire alla definizione del sistema bancario con un indirizzo eminentemente pubblicistico ( la classificazione delle aziende di credito ne è patente dimostrazione).

L'incarico fu svolto, nonostante il regime (o forse grazie ad esso) dalla intellettualità liberale il cui pensiero non si era mai dissolto e che dominava fra le forze vitali della cultura in genere e di quella economica in specie.

 Cultura che nella o accanto alla Banca d'Italia e nel mondo bancario spesso ebbe la sua sede.

 Cultura che anche successivamente trovò accoglienza e fertilità nella Italia nata dalla resistenza.

 (Appare superfluo ricordare i nomi dei padri costituenti e delle alte gerarchie dei partiti che avevano avuto alimento e ispirazione ideale dal pensiero liberale, pur variamente esplicitato  .)

Cultura che in Banca d'Italia fu guida e collaborazione nelle scelte economiche e che costituì guida ed indirizzo per i tecnici esperti di cose e procedure bancarie, grazie alla presenza di analisti sempre attenti alle evoluzioni o involuzioni della “congiuntura”.

Gli studiosi ed i tecnici hanno avuto e continuano ad avere il ruolo di diffusori di idee e metodi grazie alla continua frequentazione dei centri di studi universitari e/o dei circoli economici bancari e produttivi.

Cultura che in campo internazionale viene favorevolmente accolta per riconosciuta esperienza  e per elaborazione intellettuale e apprezzata applicazione tecnica.

Cultura che,  aldilà dei contributi che frequentemente apporta per la definizione di principi informatori della attività bancaria (Comitato di Basile), rappresenta non infrequentemente giusto temperamento dei possibili appesantimenti della operatività delle istituzioni cui i principi stessi sono rivolti.

 

Cultura che, almeno in passato, ha consentito di assumere provvedimenti tecnici riconosciuti come essenziali interventi che non potevano essere criticati o sanzionati da altre istituzioni di governo o di tutela dell'ordine pubblico.

 E' pur vero che le istituzioni devono essere ciascuna libera di espletare il proprio mandato in maniera indipendente e senza che  sia loro inibito di estendere controlli su espressioni di attività di altre istituzioni. Ma è altrettanto vero e giustificato che la cosa pubblica abbia campo libero, senza intralci e contrasti di opinione, allorquando sia alle singole autorità riservata la competenza tecnica specialistica necessaria all'esplicitazione della attività demandatale.

Talvolta raffigurare come impropria o addirittura quale reato una iniziativa dettata appunto da specialistica competenza (e pertanto non assoggettabile a valutazioni esterne alla materia) diventa abuso o intimidazione (sia pure non voluti) che portano a perplessità esiziali perché ritardanti , se non addirittura impedenti, provvedimenti utili al buon funzionamento dell'apparato da tutelare e/o vigilare.

 

I conflitti fra apparati statuali sono talora inevitabili allorquando trattasi di valutazioni sulla competenza della attribuzione della materia;  devono però trovare remora allorquando lo stesso evento voglia essere riguardato da punti di osservazione impropri.

E' quanto purtroppo accaduto nel recente passato nel giudizio su un evento di sicura competenza della vigilanza bancaria, sottoposto a vaglio anche tecnico da istituzione giudiziaria e  perciò in tale prospettiva  giudicato.

Né vale a sanare l'errore commesso il giudizio diverso successivamente espresso in sede di appello. La tardiva (presunta) riparazione, pur se restituisce onorabilità e stima al ricorrente, non ha potuto sortire alcun effetto dal momento che il tempo trascorso non consente nel caso di specie alcun intervento sostanziale.

Non sembra inopportuno qui sottolineare che una maggiore prudenza avrebbe potuto evitare la rinuncia al mantenimento di un assetto utile all'interesse nazionale.

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