lunedì 11 marzo 2013

SUMMA MEPHISTIHAERETICA contra comitem Mammonam diabolicum


SUMMA MEPHISTI HAERETICA contra comitem Mammonam diabolicum

Gentile improbabile visitatore, se vuoi guatare davvero questo (lunghissimo) post, ti prego stampalo e portatelo a letto per leggerlo sfogliando noiosissimi fogli A4. L’eruditissimo ma non altrettanto colto Bufalino, costretto a chiosare una banale raccolta di foto di un dimesso Leonardo da Racalmuto, volle nobilitarsi così:

«Pochi mesi prima di morire Sciascia mi regalò un libro prezioso, Introduction à la méthode de Léonard de Vinci, di Paul Valéry, con dedica autografa dell’autore all’amico poeta Paul Jean Toulet, condannato a letto in quel tempo (1919) da una malattia senza scampo. A lire au lit, cioè ‘da leggere a letto?, recitava la dedica …»

Ed anche noi – ma senza spocchia – avvertiamo: da leggere aletto, se non si riesce a prendere sonno. Dinazi ad un monitor non si può. Quel che segue vuole essere addirittura una Summa Haeretica di un diavolo addottrinato (Mefistofele) contro un suo sodale materialone (Mammona). Residuati moralistici e persino evangelici (E’ più facile che un cammello….) contro un perfido mondo che parla anglosassone per superfetazioni truffaldine ma di ingenti importi. E dire che quest’ultimo mondo in qualche modo se non mi appartiene è stato prodigo di prebende per avere i miei servizi – a dire il vero più letterari che contabili.

Questa estate mi incalzo per la improvvida chiusura della nobile Filiale della Banca d’Italia di Rieti. Un centro di cultura bancaria, vi passò gente che poi a Roma diede lustro all’intero ispettorato Vigilanza ed oggi dà savi consigli al meglio del mondo bancario. Scrissi una protesta al Governatore. Lì per lì non mi rispose. Come prima, più di primami - dissi. Venne Natale ed invece di una bella agenda ricevetti un semplice ma personalizzato biglietto augurale come già giovanissimo pensionato da giovanissimo Ispettore di vigilanza. Mi commosse. Si vede che il mio vecchio cuore arido sa ancora lagrimare. Ringraziai il mittente, nientemeno che il signor nuovo Governatore dottore Ignazio Visco, che ha fama di essere rosso, come lo fui e lo sono ancora io. Dopo manco un mese mi rispose e rispose anche in uno con il contrappunto alla mia insolenza sulla indebita e miope chiusura della filiale di Rieti.

Cortese ma vago nella prima risposta, echeggiante vecchie e dissolventi teorie conservatrici nella seconda. Venire a dire che la Banca d’Italia deve agire come una banale società per azioni con l’obbligo di impostare il conto economico con la ferrea regola del “costo/beneficio”, è come dire chiudiamo lo Stato perché in deficit di bilancio.

Da lì, nel durante ed ora nel presente ho imbastito una serie di post, di commenti, di appunti e di contrappunti da eretico bancario di vecchia data quale sono stato e quale ancora qualcuno mi crede, con mio sommo orgoglio.

Facendone una silloge con qualche nesso temporale, propongo qui il tutto. Perdono.

 

Una mia nota, pubblicata su giornali stampati e on line recitava:

 

Ill.mo Signor Governatore dottor Visco, se Le dico che sono l’ex ispettore di Vigilanza Calogero Taverna, colgo un sorriso: Carneade chi era costui.

Avventuroso siciliano bazzico di questi tempi la citta di Rieti. Provo grande rammarico nel vedere sbarrata – e mi dicono in vendita alla Fondazione Cassa di Risparmio – la gloriosa filiale BI. La realtà reatina è molto complessa e nulla ha a che fare con la regione o con la stessa provincia di Roma.

Non riesco a comprendere come si proceda ad obnubilare, per discutibili lesine sulla spesa, gloriose istituzioni. Una sede provinciale è centro propulsivo propugna iniziative oculate e crea cultura, lega la periferia al centro, corregge distorsioni di ordine negli affari bancari e finanziari, svolge una vigilanza a stretto contatto con il territorio, al momento del loro insorgere ed altro, altro ancora. Giammai è vacuità dispersiva di fondi pubblici. Sono legato alla vecchia legge bancaria e per me resta ineludibile il brocardo iniziale che voleva raccolta del risparmio ed esercizio del credito faccende di “interesse pubblico”, espressione che non convinceva i legulei ma che ha determinato miracoli economici ed ispirato governatori sommi.

Visto che in questo momento né chiesa né palazzo Chigi  si sono potuti impossessare dello scranno di via Nazionale 91, La prego Signor Governatore si conceda una pausa di riflessione, si convinca che risparmi per riforme dissennate ed “incolte” vanno dismessi. Gli “americani” che sono approdati a palazzo Koch vanno rettificati, corretti, ripensati e i loro errori gestionali devono essere superati ripristinando l’autoctona cultura italiana.

E ciò glielo dico da Sinistra. Riapra Rieti ed altre provvidenziali strutture della periferia. Il Paese gliene sarebbe grato.

22 agosto 2012

 

Credo che una lettera così non possa del tutto venire considerata la solita fregola del pensionato che vuole ancora dire la sua e scrive ai direttori di giornali che subito cestinano. Ci fu un certo silenzio, ma alla fine venne da Palazzo Koch una qualche risposta:


Lusingatissimo per l’onore di una risposta che il signor Governatoremi aveva dispenato (cosa più unica che rara) ma non soddisfatto del contenuto della seconda partedella pregiata lettera  Risposi a modo mio, scrivendo con qualche libertà sul mio blog. L’avrà letta il signor Governatore la mia noterella come al solito alquanto saccentucola? Mah!

Eccola comunque:

Nei pressi del Natale scorso, ricevuta una sostituzione della consueta strenna, ma stavolta in forma personalizzata ed intimista, riscrissi al signor governatore Ignazio Visco. Ne ho pubblicato il testo, ma emendato dalle confidenze che mi permettevo.

 

Tante volte avevo scritto ai miei ex superiori. Lo avevo fatto con Ossola, l’avevo fatto con De Sario, l’avevo fatto con Finocchiaro, l’avevo fatto soprattutto con Fazio: mai un rigo di risposta. Non mi degnavano.

 

Ma mentre me ne stavo in Sicilia, nel paese di Leonardo Sciascia, ecco una splendida sorpresa: mia moglie mi legge per filo un carinissimo pensiero personale nientemeno che del signor governatore Ignazio VISCO.

 

Codesta lettera per buona educazione dovrei tenermela riservatissima. Ma a me li stullicherie della buona borghesia mi danno fastidio. Io la pubblicai. Spero che il governatore non se ne abbia a male. Non posso dire che sono in buonafede .. in fondo mi sento dispensato da ogni obbligo di riservatezza perché trattasi di gesto gentile, signorile, democratico, rispettoso che segna un nuovo deal in Banca d’Italia. Ecco un segno che qualcosa sta cambiando in questo glorioso istituto con sede in via Nazionale 91 Roma. Che a dire il vero si stava sclerotizzando. Mi attiravo questa sera un sorriso compiacente di una bella signora (ed a me le donne piacciono anche se sono fedelissimo a mia moglie; se leggete La Donna del Mossad saprete che assieme a De Sario ero l’unico monogamo dell’Ispettorato Vigilanza) facendole la genealogia dei successori nel massimo scranno di Via Nazionale, come per i papi a San Paolo fuori le mura. Tralasciamo i papi o gli antipapi dell’epoca fascista, dell’occupazione di Roma e partiamo dall’economo (sic) Einaudi (Andreini veniva malamente sbertucciato dalla signora governatrice quando si azzardava a lamentare il costo della bistecca per ottenere una busta in nero in più per il personale: la famiglia Einaudi correva il rischio di non mangiare più carne). Eccoci Menichella, cupo, serio o tetro nel parlare con De Gasperi ed altri d’altissimo loco, che pur di non fare strabordare il pinguissimo bilancio della banca di ultima istanza non assunse laureati per vent’anni. In Banca d’Italia si assumevano quindi solo applicati, uscieri e cassieri, semplici principali e centrali che figli di generali e dintorni andavano a lavorare in tight e cravattino. Certo poteva scapparci che nel liquidare certi assi ereditari in contanti chiedevano se c’erano tutti i DE CUIUS.

 

Venne Carli e fu il Risorgimento. Questa Italia non più contadina, non più pezzente, euforica, persino opulenta si deve alla ingegneria finanziaria del principe rinascimentale Guido Carli. Poi la notte dei lunghi coltelli del settembre 1974. Caso Sindona e Occhiuto che non vuole saperne di assistenze dissipatrici e si rivolta contro il nordico antagonista di due gradi superiore a lui, ma inidoneo a tenergli testa. Un senescente Baffi che passa dai libri ad un doppio talamo avrà gli osanna di chi glieli vorrà tributare, ma non i miei. Quando una volta ebbi a dovergli fare da commensale (i signori del Direttorio pensavano di democratizzarsi stando seduti nella frugale mensa aziendale - ma in stanzette riservate – con quattro o cinque della carriera direttiva): Oh! Ma lei è quello che l’avvocato Sindona la redarguisce con un “un tal Calogero Taverna”. La mia carriera era finita! Fece nervoso andarivieni per una intera notte preparandosi atterrito come uno studentello per il giorno dopo, convocato da Alibrandi. Ma Alibrandi fu cortesissimo: si alzò in piedi e andò ad ossequiarlo. L’interrogatorio fu un rispettosissimo declinare le generalità e il magistrato si scusò persino per l’incomodo.

 

Lascio Ercolani alle sue conquiste, anche ad ottant’anni e mi dovrei dilungare nell’ossequio a Ciampi: diciamo che nessun grande uomo è grande per la sua cameriera ed io cameriere di codesti grandi uomini lo sono stato. Non fatemi parlare, finirei inquisito per vilipendio. Certo io a Ciampi glie ne ho dette .. ma lui me ne ha date. Chiamerei a testimoniare persino Sarcinelli.

 

Che dire di Fazio? In questi ultimi tempi mi ero persino impegnato a difenderlo, ma uno sciagurato Confiteor con risposte in latino ad un abile Mucchetti ha rovinato tutto: una condanna definitiva ed un rinvio al secondo grado da parte della Cassazione lo stanno squartando anche finanziariamente, persino il grande avvocato deve pagare di tasca sua: la Banca d’Italia non intende accollarsi spese legali di sorta.

 

Sull’americanino Gradi che debbo dire? Non è che l’occultamento di derivati dalla finanza creativa di provenienza statunitense si deve a questo ex direttore generale del tesoro, emigrato in America e ritornato come estraneo ai vertici dell’ex istituto di emissione.

 

Ora che la Tarantola non è finita al top di via Nazionale per predilezione cardinalizia e per volontà del novello uomo della provvidenza un tal Silvio, insufflato da un tal Giulio junior e al suo posto per un mancato regolamento dell’art. 19 ci sta il dottor Ignazio Visco io comincio a rasserenarmi. E’ uomo avveduto e colto, sa davvero di economia, è integro, educato e con qualche venatura rossa che ai miei occhi non guasta. Il MPS non gli appartiene: non è toscano, non è livornese, non è triglia. L’Italia può ben sperare. I dipendenti della Banca d’Italia un po’meno: si è messo in testa che la parsimonia si addice all’Istituto che una volta emetteva carta moneta. Non mi piace che ogni lunedì nella sua sede di via XX settembre in quella strana cassa che si dice di sovvenzioni, c’è la fila da parte di postulanti qualche migliaio di euro chiesti in prestito sotto forma di apercredito.

 

Quello che Visco mi dice in risposta ai miei convenevoli (si fa per dire) l’accetto di buon grado e ringrazio. Peccato che non ho figli, diversamente quella elegante lettera gliela avrei lasciato come cespite di altissimo valore.

 

Quanto alla risposta per Rieti, sono molto costernato ma debbo dire che non sono d’accordo: se la Banca d’Italia ragiona con il metro mercantilistico dei costi/benefici scade in banale organismo con l’obbligo del profitto. E mi si dice che di questi tempi manco il conto economico riesce più a chiudere. Scempiaggine: mi chiamino e in quattro e quattr’otto pinguissimo ritorna il saldo sotto la linea patrimoniale. Certo quando la Tarantola faceva la ragioniera le cose sballottavano. Vi sento puzza qui di vecchia gestione, alla Finocchiaro per intenderci. No! Signor governatore non si faccia infinocchiare: si sa che questo non è il suo campo. Non si fidi degli eredi dell’uomo che impoverì i dipendenti creando un ribellismo nella compagine impiegatizia che tanto ha contribuito al deterioramento del buon nome dell’istituto. Esiste l’Istituto della mobilità; non occorre licenziare basta spostare. Ai tempi di Carli (meglio di Occhiuto) l’ispettore capo alla Vigilanza come cambiava e come migliorava il Servizio.




Inopinatamente, improvvisamente, inspiegabilmente LOTTA CONTINUA nell’ultimo trimestre del 1979 sfodera questa inchiesta su Sindona, svelandone giochi e corruttele, intrecci di fissati bollati e compiacenze ministeriali, politiche persino in zone insospettabili della più pulita e massonica finanza. Intrecci con INPS e dintorni. Poi un libro SOLDI TRUCCATI di LOMBARD. Chi era Lombard? A distanza di... una decina di anni dalla sua morte posso svelarne i dati anagrafici. ROMANO GATTONI, in ultimo ispettore di Vigilanza della Banca d’Italia, apparteneva ad una buona famiglia della media borghesia napoletana. Era entrato in Banca d’Italia vincendo un concorso a a segretario in esperimento. Quasi barbone, orbitante nel clan Boato-De Aglio-Mimmo Pinto era non molto gradito alla perbenista dirigenza dell’istituto di emissione. Veniva tenuto d’occhio ma non fu scomunicato. Emulo del trio Micossi-Frasca-De Mattia – la 127 delle mie ironie; primo secondo e settimo in un’alta graduatoria di elevati al rango dell’alta dirigenza BANKITALIA, Gattoni ne fu del tutto escluso ed anche se dell’estrema sinistra si arrabbiò davvero. Finì in Vigilanza ma distaccato presso Vigna a Firenze. Un male incurabile alla testa lo stroncò ancora giovane.
Certo molte delle cose scritte o firmate a Lotta Continua o nei SOLDI TRUCCATI non poteva saperle di suo. Si disse che fummo sodali, ma non ebbi mai a confermarlo neppure dinanzi ai giudici. Una cosa è certa:quell’inchiesta e quel libro cambiarono la storia economica finanziaria e bancaria d’Italia. Il libro ebbe fulminante successo. Ma dopo pochi giorni la Feltrinelli lo ritirò ed oggi è libro pressoché introvabile.

Economia

Irvap e Covip ed Angelo De Mattia

di Calogero Taverna

Lo confesso: a leggere la nota su MF del mio amico Angelo De Mattia su IRVAP e COVIP mi è venuto il capogiro. Pubblicata il 3 agosto, la recupero solo stamattina e un ribollire di cattivi pensieri si addensa nell’ultra mia canuta testa. Sono vecchio, lo so e sono desueto per lo meno da trent’anni, dopo certi miei Vaffa’ a Ciampi e Sarcinelli, a Somma e per converso a Pomicino ed anche a Cesare Geronzi se ci metto in mezzo la poco gloriosa Banca Mediterranea di irpinia memoria. Dovrei aggiungerci l’ingloriosa AIMA (sic!) di Via Palestro, 60.

Da trent’anni e più mi curo solo di microstoria racalmutese, magari per fare le bucce al defunto Leonardo Sciascia. Sono diventato un modestissimo, incolto, ignoto cittadinuzzo di questa gloriosa Repubblica a nome Italia. Se scrivo certe erratiche “lettere al direttore” né Belpietro né Ferrara mi degnano di un sia pure distrattissimo sguardo: eppure quando rifilavo veline e fotocopie – di per sé incomprensibili – nel settembre-novembre 1979 a Lotta Continua, cribbio se avevano successo persino in parlamento. Con quella foto del corrucciato La Malfa junior. E quando poi Feltrinelli incautamente mise in libreria Soldi Truccati – a firma Lombard, certo; ma al 70% tutto mio -, cribbio se ebbe successo quel volumaccio: in tre giorni esaurito. Dopo se ne persero le tracce e sarebbe piacevole sapere perché dopo quel primo gennaio 1980 la signora Feltrinelli censurò la pubblicazione, e dire che di soldi per finanziare Lotta Continua ne aveva dovuti sborsare tanti pur di editare lo sconcio pamphlet.

Sì, tutto questo è vero. E se mi mancano intelligenza e conoscenza per afferrare del tutto il senso recondito della stroncatura demattiana di questo malaccorto governo, la colpa è tutta mia. Ma come modestissimo cittadino di questa ancora repubblica democratica, ho diritto di capire persino cosa davvero significano Covip e Ivarp e perché mai governo camera e senato giochino a farsi i dispetti e a quanto pare persino tra gli stessi membri del governo. A prima battuta, a me sembra che gira e rigira si tratti sempre del solito Tremonti che nella sua megamania dissolvente della Banca d’Italia del cattolicissimo governatore Antonio Fazio, volle far proliferare vacue superfetazioni istituzionali per sgraffignare tutto sotto l’egida del “suo” TESORO. Se ora Angelo De Mattia tira fuori i suoi esiziali aculei (istituzionali) e mette in imbarazzo Monti e Saccomanni tanto da spingerli ad incazzate quanto ingenue smentite, beh! gatta ci cova.

Lo dico da giorni: state attenti a quello lì. E’ giunta l’ora della sua (giustissima) vendetta. Ma a Berlusconi interessa tanto difendere l’operato del suo delfino (pro tempore)? A riparazione perché non impone una grande commissione di ex grand commis alla Antonio Fazio, all’Angelo De Mattia, a Mario Sarcinelli, a Cesare Geronzi (sì, proprio lui, perché dite quel che volete, fu abile falso speculatore agli ordine della banca d’italia nel ingrato compito di fare vera ed efficace controspeculazione), a qualche silurato vice direttore generale, fatto anzitempo trasmigrare ai LINCEI, per citare solo quelli che conosco io, commissione atta a suggergire al parlamento una legge risanatrice di tutte le devastazioni, amputazioni, umiliazioni che Tremonti & C. hanno inferto alla più grande, prestigiosa, legalitaria tecnostruttura pubblica di cui può vantarsi l’Italia?

Tutta questa palcottiglia di enti, entucoli, pubblici e semi pubblici, e ci metto anche consob e agenzie varie di controllo finanziario e creditizio, a che serve se non ad avere acconsentito a qualche bleso guru del passato regime di annidarvi propri famigli, che senza tecnostrutture consolidate in esperienze ormai più che secolari stanno solo lì per certe parate televisive, ove sbadigli e sonnecchianti pose si sprecano, a disdoro di tutti, e dovendo controllare ciò che ignorano, nulla controllano. E i danni nei fondi assicurativi, nelle ruberie previdenziali ed assicurative, negli arcani giochi di borsa (giochi speculativi sovranazionali che restano ovviamente incontrastati), nelle ciarlate a tutela della privacy, nei maneggi dei giochi di stato in uno con lotto, lotterie, cartoline ruba soldi e via discorrendo, e i danni – dicevamo – sono agli occhi di tutti.

E così potrei sperare che ritorni vivida e cogente la vecchia legge bancaria a tutela del risparmio, a sostegno dell’esercizio del credito, a moderazione di costosissimi sportelli bancari – pullulanti dappertutto, per procurarsi il favore di questo o quel piccolo satrapo -, che martelli il connotato di “pubblico interesse” in ogni aspetto dell’operare bancario italiano che deve esplicarsi in una insuperabile distinzione tra la vicenda creditizia a breve e quella a lungo, che deve sottostare ad un controllo “atipico” – né qualitativo né quantitativo, a disdoro della pasticcera di Milano – il cui apice tecnico è il Governatore ma il referente è un organo interministeriale di cui peraltro fa parte lo stesso governatore, cui intatta deve restare la sua funzione valutativoa anche dei fatti aventi rilevanza penale (ex. Art. 10). E qui non smetterei, ma il resto ad altra occasione. Bando comunque a tanta ciarlataneria che sorge in quell’ottobre del 1974 quando il terrore corse sul filo ed investì soprattutto il direttorio di via nazionale 91, a seguito della furente contesa Carli-Occhiuto per la sconvolgente vicenda Sindona (di cui credo di saperne qualcosa di più degli altri, come si evince dal mio romanzetto LA DONNA DEL MOSSAD, apologo sul caso Sindona.

 

 

Lillo Tavernaha pubblicato qualcosa sullaCalogero





In esteso .. in CONTRA OMNIA RACALMUTO QUESTIONE FUSIONE BANCA MEDITERRANEA

Ad ogni buon conto lo strumento ibribo di patrimonializzazione [orripilante neologismo inventato dalla Vigilanza] a nulla poteva giovare, atteso il disastroso ordito valutativo cui gli uomini del socio tiranno si sono indotti a chiusura d’esercizio. Si consideri che “le passività subordinate non possono eccedere il 50 per cento del ‘patrimonio di base’ (cfr. Appendice B.I. 1998, pag. 283); si consideri anche che per un processo di dissennate svalutazioni dei crediti che gli stessi uomini del Banco di Roma dichiarano avvenute in “chiave tuzioristica” – il che significa attraverso gonfiature di “riserve occulte” – non si era potuto raggiungere quel “minimum” di patrimonio di vigilanza; si sappia che senza quel “minimum” nessuna banca può continuare ad operare per norme giuspubblicistiche di settore,. Tutto ciò considerato, quello “strumento ibrido” è finito per palesarsi inutile e dannoso per la BM ed indebitamente locupletativo per il socio tiranno [alias BR].
Quest’ultimo imponeva ai propri uomini – che supinamente recepivano – di contrarre un debito con la casa madre di cui la BM obiettivamente non necessitava: si frapponeva infatti il sovrabbondante cash flow alla cui lievitazione non mancava di contribuire la preconcetta ritrosia degli uomini del banco a finanziare l’industria locale (vedi la stasi degli impieghi, in decremento se si depurano delle pesanti capitalizzazioni degli interessi di fine esercizio). Aggiungasi il basso rapporto impieghi/depositi che ha determinato un ulteriore aggravio dei propri già critici saggi di rendimento gestionale.
Ovvio che, presumendosi l’assolta inidoneità dei soci di minoranza – e di quelli più deboli in particolare, più numerosi, più sprovveduti e quindi più facilmente obnubinabili, quali i ricorrenti si dichiarano – il C. di A. della Mediterranea ha creduto sufficiente imbastire questo ultracriptico riferimento nella relazione di legge a corredo della loro proposta di bilancio:
«La Banca di Roma, per riequilibrare l’assetto patrimoniale della Mediterranea ha emesso uno strumento ibrido di patrimonializzazione di lit. 100/miliardi e, per il superamento della crisi vissuta dall’azienda, la capogruppo, di comune accordo con gli organi amministrativi della Mediterranea, ha individuato nella fusione per incorporazione della Mediterranea nella Banca di Roma e nel successivo scorporo del ramo di azienda bancaria di Banca Mediterranea la soluzione più idonea.»
Quanto di contraddittorio, di capzioso, di menzognero saprebbero ben dimostrare tecnici agguerriti; se i deboli soci di minoranza – che secondo esplicita confessione verranno drasticamente estromessi dalla loro banca – non sanno opporre altrettanto capziose argomentazioni tecnicistiche, - né qui, né nel propedeutico atto assembleare del 9 novembre 1999, né nella prossima adunata (o sceneggiata) del 26 aprile 2000 (ove il solito “omino” della Banca di Roma – socia al 53% ad onta di tutte le norme ante trust – acriticamente balbetterà il suo vincolato assenso alle proposte degli omologhi uomini BR) - ciò impone una drastica difesa di valore assoluto in questa sede. Solo in tale modo, attraverso una sospensione degli avallanti raduni pseudoassembleari, si potrà finalmente introdurre un briciolo di giustizia nelle tortuose e vessatorie vicende della Banca Mediterranea.

Alla voce 110 di fine esercizio abbiamo – si pensi - una “passività subordinata” di L. 100 miliardi che stando a quando si annota – a caratteri piccolissimi, per non venire letti – a pag. 43 è “passività subordinata” «… riferita ad un prestito di L. 100 miliardi ricevuto dalla Capogruppo Banca di Roma. Esso è regolato al tasso Eurobar a 6 mesi diminuito dello 0,10%, prevede una durata di almeno 10 anni e il rimborso in unica soluzione alla scadenza, previa autorizzazione della Banca d’ Italia. Le clausole di subordinazione che disciplinano il contratto consentono, in caso di perdite di bilancio che determino [sic] una situazione del capitale versato e delle riserve al di sotto del livello minimo di capitale previsto per l’autorizzazione all’attività finanziaria, che le somme rivenienti dal finanziamento e dagli interessi maturati possano essere utilizzate per far fronte alle perdite al fine di consentire alla Banca di continuare.»

Ammesso e non concesso che questa sia un’informativa accessibile ai soci sprovveduti – quali noi siamo – emerge ictu oculi che si è deciso aliunde di non far più “continuare” la Banca: è dunque venuto meno ogni motivo per un siffatto iugulatorio prestito. Ed era prestito che non poteva essere deciso dagli amministratori della BM, per evidente conflitto di interessi; che non poteva essere deciso dalla “maggioranza” dei soci, per evidente conflitto di interesse del socio tiranno; che semmai andava fatto decidere ai soli soci di minoranza, il che notoriamente non è avvenuto.
Anzi, nell’assemblea del 9 novembre 1999, si è arrogato il ruolo di presidente un signore che doveva ancora essere eletto amministratore; che non ha atteso i canonici trenta giorni per stabilire se scattavano o meno le pregiudiziali di onorabilità e professionalità che la legge bancaria ostativamente esige; di cui ancor oggi non si sa quali titoli accademici accampi (come ha potuto appurare in Internet il socio Taverna) e che, in ogni caso, glissava le mozioni d’ordine mossegli e stroncava – dopo cinque minuti – l’intervento critico del socio Taverna, nonostante si fosse antecedentemente stabilito in 20-30 minuti la durata degli interventi.

E così, con estrema disinvoltura e con sostanziale ed inqualificabile reticenza, si adempie formalisticamente ai dettati della vigilanza sugli schemi di conto economico delle banche per affastellare incomprensibili cifre sul “conto economico riclassificato” (cfr. pag. 17). La persuasività del linguaggio algoritmico diviene ulteriore velame alla comprensibilità degli inspiegabili (e tenebrosi) crolli gestionali in tema di
- “margine gestione denaro” (erraticamente contrattosi nel 1999 del 22,77%),
- “utili netti operazioni finanziarie” (sogghigno lessico per dire “disastro reddituale”) contrattisi e ribaltatisi del 170,22%;
- “risultato lordo di gestione” fallimentarmente passato dagli 80,8 miliardi di resa del 1998 ad un valore abissalmente negativo di meno 93,7 miliardi;
- “risultato ante imposte” di meno 272,887 miliardi, con un peggioramento gestione di un improbabile saggio decrementativo del 653,50%.

Tanto avrebbe dovuto mettere sull’avviso il perito di nomina pubblica – la RECONTA ERNST & YUNG di Roma – che si era davvero in presenza di un bilancio del tutto nullo, falso, non veritiero, capziosamente concepito, in smaccato conflitto d’interessi concepito e quindi ragguagliare il Presidente del Tribunale di Melfi che mancava il requisito primo di una “situazione patrimoniale .. redatta con le osservanza delle norme sul bilancio di esercizio” di cui al seconda comma dell’art. 2501 ter del codice civile e che pertanto – fino ad un nuovo progetto di bilancio vero e reale – non era praticabile alcuna seria e fondata quantificazione dei rapporti di cambio per la fusione. Ciò è stato invece scandalosamente negletto.

Tanto avrebbe dovuto spingere la Banca d’Italia ad essere a dir poco alquanto più cauta nel concedere l’autorizzazione di cui all’art. 57 del TULB. Invece si è adoperato in modo così “comprensivo” da spingere impudentemente gli amministratori della Mediterranea a proclamare che «la frequenza dei contatti ed il sostegno in ogni circostanza dalla Filiale di Potenza rendono ancora più sentiti i sentimenti di gratitudine verso il Direttore della stessa.» (cfr. pag. 20). Per converso il socio Taverna veniva insolentemente messo alla porta da quel Direttore mentre tentava di ragguagliare sulle miserevoli sorti dei soci di minoranza. E per converso ancora, non solo il Direttore tratteneva a colloquio l’altro visitatore – il debitore Cardone – ma, guarda caso, ciò fu pronubo ad un accordo post limina con surrettizio acquisto di azioni BM all’improbabile prezzo di L. 6500 e con laute remissioni di ragioni creditizie a tutto danno degli altri soci anche di quelli in analoghe condizioni ed a bilancio di “fusione” varato.

Tanto avrebbe dovuto creare le fibrillazioni presso la Consob: Banco Roma prima svaluta e poi ripristina al costo la partecipazione maggioritaria presso la Mediterranea. E ciò non tanto perché crede alle valutazioni dei (suoi) tecnici – che, sia detto per inciso, prima portano ad oltre 15 mila miliardi il patrimonio (cervellotico) della BR e poi lo rastremano a 12 mila miliardi per consentire un cambio ultraenfiato di 5 a 2 in apparente favore verso i soci di minoranza della Mediterranea, ma invero per eziologicamente predisporre gli accorgimenti tecno-contabile al fine di traslare senza obbligo di rivalutazioni quell’attivo artificioso presso la divisata «società bancaria di nuova costituzione, controllata totalitariamente dalla Banca di Roma.»

E qui davvero c’è da sobbalzare dandosi per scontato un nugolo di autorizzazioni della Banca d’Italia “ante litteram”, a futura memoria, in incomprensibile dispregio delle norme avverso il “socio unico” e con aggiramento di quanto comunitariamente stabilito contro le concentrazioni bancarie.

Non si sa se trattisi di millantato credito o di altro: si sa che la Banca d’Italia non ha finora censurato codeste (dis)informazioni di bilancio del Banco di Roma (cfr. pag. 61). Si sa altrettanto che la Consob non risulta abbia censurato questo passaggio della citata relazione:
«Per quanto riguarda la Banca Mediterranea, il valore di carico è stato mantenuto a 226 miliardi [ma nella semestrale non era stata svalutata? n.d.r.] Esso si raffronta con un patrimonio netto totale di 102,6 miliardi e quindi con una quota di competenza della Banca di Roma (53 per cento circa) di 54,3 miliardi. La Banca di Roma ritiene che il controllo di Banca Mediterranea, per il radicamento territoriale e per gli investimenti effettuati che produrranno effetti a partire dal 2000, costituisca un valore che giustifica il mantenimento del valore di carico. Del resto, le perizie effettuate da advisor indipendenti per determinare il valore di concambio ai fini della prevista fusione per incorporazione attribuiscono alla quota di pertinenza della Banca di Roma un valore che eccede il valore di carico.»

Orbene, il c.d. “valore di carico” non piò che essere questo:
- Costo residuo della partecipazione: L. 226.000.000.000.=
- N.ro azioni possedute: n. 38.840.319.=
- Valore unitario: L. 5818,696.=

Allora ecco spiegato l’arcano del perché quei “advisor” frettolosamente dichiarati “indipendenti” abbiano oscenamente superato ogni pudore, portato prima il valore di bilancio della BM di L. 1401,91 a L. 2.435 (un quasi mirabolante raddoppio) e poi a L. 3570 (siamo alla tripletta) e poi .. e poi essendo l’artificio ancora insufficiente si abbandona ogni pudore, ogni calcolo e miracolisticamente, come nell’evangelica moltiplicazione dei pani e dei pesci, si dice nervosamente che basta dire che il concambio è di 5 a 2, mandando al diavolo ogni parametrazione patrimoniale, ad onta ci pare del buon codice civile. Ma ipse dixit e l’ipse è di Milano, professore universitario, parla inglese (equity approach, target, cash flow, earning, book value etc,) , sa di algoritimi lunghi dieci centimetri con simboli complessi (multt, mults) in greco (, , ), esoteci (W, K”, ) e ti invoca l’egeico Guatri ed ancor di più il misterioso DAMORADAN. Tira anche il ballo, peggio del molieriano borghese gentiluomo, la Regola di Stoccarda sul risk free rate o (visto che non avevamo capito) sul price of time, in vista del CAMP (Capital Asset Pricing Model) nell’ambito, beninteso, del going concern value. Noi, signor Giudice, lo confessiamo: non ci abbiamo capito nulla (se non un menare un can per l’aia); ma noi siamo maldestri soci di minoranza. Certo, speriamo che nessun togato si faccia prendere per il bavero.
Ma quel 5 a 2 una cosa la dice: le azioni della Mediterranea al massimo varrebbero (pur così cervelloticamente enfiati) L. 5111,99. Quindi la Banca di Roma nel suo bilancio dichiara il falso. Siamo ben lontani dalle proclamate L. 5818,696; siamo lontanissimi da quel iattante passo secondo cui «il valore di concambio ai fini della prevista fusione per incorporazione attribuiscono alla quota di pertinenza della Banca di Roma un valore che eccede il valore di carico.» Ma noi soci di minoranza della BM non abbiamo strumenti giuridici per contestare un’affermazione espoliatrice dei nostri diritti societari, trattandosi di relazioni di bilanci alieni. Abbiamo solo lo strumento dell’art. 700 cpc per difendere un bene di valore assoluto: la correttezza negli affari; la sincerità nelle rappresentazioni delle valutazioni; la veridicità delle appostazioni di bilancio; l’onestà degli intenti nelle relazioni d’affari.

Quando, poi, si afferma (cfr. pag. 2 della Relazione BM al progetto di fusione) che si è inteso adoperarsi per «la salvaguardia dei diritti patrimoniali degli azionisti di minoranza» si è in smaccata contraddizione con i citati assunti del socio tiranno. Siamo in presenza di … . beh! chiamiamole in questa sede “superfetazioni”, eziologicamente rivolte ad espellere da una banca che solo nel 2000 prospererà (questo hanno detto, come sopra citato) i soci indesiderati per conseguire un vantaggio esclusivo per quello egemone che potrà traslare un attivo, in atto dubbio, in una costituenda nuova banca, tutta di sua proprietà, locupletando in proprio in correlazione al danno imposto, con la dismissione coatta, ai subalterni soci minoritari.

E tali soci minoritari mai sono stati ragguagliati dal socio egemone.

Il socio Taverna contestava vibratamente tutta la sequela di irregolarità che può cogliersi da quest’altro stralcio e le pressanti domande non vennero degnate da alcun chiarimento.

I Sindaci presenti avrebbero dovuto informare l’organo di Vigilanza. Ma l’intervenuta autorizzazione sembra escluderlo. Nel qual caso resterà da vedere se non sono scattati gli estremi dell’art. 134 TULB. Diversamente, l’Organo di Vigilanza avrebbe difettato nei propri doveri giuspubblicistici di controllo o in quelli della doverosità della segnalazione agli organi giudiziari.

 

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