giovedì 30 luglio 2015


Dopo settimane telefonò addirittura il presidente democristiano della camera; consolò il direttore generale; gli accreditò la sua fiducia. Suggerì imperiosamente che non era il caso di querelare il giornalista di ABC. Il direttore ubbidì. A tempo debito ricevette una parcella plurimilionaria. Il presidente della camera esigeva la liquidazione della sua assistenza legale (mai richiesta). Erano i tempi antecedenti la prima repubblica.



Supra tuttu, s’iu vi futtu

Iu mi sentu furtunatu,

nun invidiu li ricchizzi

o la sorti d’autri pizzi,

ca li cunni chiù prigiati

si gudisciuni a michiati.





Non chiedetemi perché mi va di scomodare Domenico Tempio, il diverso Muzzicapassuli della “grammatica pilusa”, nel sentirsi fortunato se consegue l’osceno coito, mi richiama gli echi di quella era democristiana quando le propensioni anali erano figurate ma anche vere.



Capitolo secondo

L’osceno Aurelio

E per stare in armonia con la scurrilità di così spregevole richiamo letterario (ma in incomprensibile vernacolo), corre qui l’obbligo (come burocratese non è poi da buttar via) di rimembrare il secondo ceffone della vita del dottore Aurelio La Matina Calello.

Nel tedio delle sere del sabato, Aurelio, rimasto solo, amava raggiungere l’uggiosa Torino. Vi si annoiava ancor più ma non desisteva. Soddisfaceva invero un suo vizietto occulto: comprare riviste porno, complici ed invoglianti nelle sue solitarie masturbazioni nel vacuo lindore della stanza d’albergo, che pur era matrimoniale ed ampia. Comprarle ad Asti, si vergognava, temeva di essere riconosciuto.

Ed una volta l’attrasse un’inserzione osée: coppia disinibita accoglieva nel proprio talamo purché .‘dotato’. «Lui contemplativo», nel gergo di allora (come dire: nessun pericolo omosessuale … ed Aurelio odiava l’omosessualità virulentemente. “Garrusazzu”, restava per lui vituperevolissimo figuro).

Si lasciò adescare: “fermo posta”; foto riservata (andò da un valentissimo fotografo astigiano), etc. etc., tutto l’armamentario per siffatti incontri, insomma.

Quando un sabato sera, freddissimo ma terso e stellato, suonò alla porta di una signorile villetta di via Morgari Aureliò dilagò in vertigini, eccitamenti, sensi di colpa, smarrimenti. Venne accolto da un signore cinquantenne, brizzolato, composto, quasi ieratico.

  • si accomodi dottore, ma nell’androne-soggiorno, luci diffuse sì ma rivelatrici, il disappunto dell’ospite fu palese. Con piemontese autocontrollo, il moto ostile slabbrò subito in un sorriso affabile ed accogliente.
  • il drink glielò servo io, capisce la servitù l’ho lasciata libera, ed ovvio, fu inappuntabile.

Aurelio strabiliava: era un bell’uomo, charmant, ricco ed allora perché? Volle credere a qualche carenza fallica.

  • la signora sta facendo toilette. La scusi.

E qui l’anfitrione iniziò una loquela inarrestabile.

  • io sono ebreo, sa. Ma diverso. La mia è una schiatta nobile … molto nobile … ineguagliabile. Non so se sa di bibbia. Leggiamo Genesi, 19, 30 e successivi: «poi Lot partì da Zoar ed andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie, perché temeva di stare in Zoar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie. [L’immondo citava a memoria, con presumibili svarioni e licenze. Io, Meluccio Cavalieri di Giorgenti vado consultando gli “appunti autobiografici” di Aurelio e lì vi è solo il riferimento al passo biblico. Integro traslando da una “Marietti 1820”].

«Ora la maggiore disse alla più piccola: “il nostro padre è vecchio e non c’è nessuno in questo territorio per unirsi a noi … pater noster senex est, et nullus virorum remansit in terra qui possit ingredi ad nos iuxta morem universae terrae. Vieni facciamo bere del vino a nostro padre, e poi corichiamoci con lui … Veni inebriemus eum vino, dormiamus cum eo .. (oh quel dormiamus per coitiamo, quanto pudore nella ‘vulgata’), così faremo sussistere una discendenza da nostro padre.

«Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre … dormivitque cum patre (si chiavò il padre, siamo espliciti) .. ma egli non se ne accorse (o finse) né quando essa si coricò, né quando essa si alzò. All’indomani la maggiore disse alla più piccola: ‘ecco, ieri mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va’ tu a coricarti con lui.» E qui la reiterazione dell’incesto fecondo della figlia minore. Erano .. erano …. Erano vergini le due sorelle? Certamente no. Vero è che Lot, pur di salvare integro il deretano dei due angelici stranieri tentò di offrire l’imene delle due figliole ai vogliosi sodomiti. “Habeo duas filias, quae necdum cognoverunt virum”. Forse il vecchio non mentiva; i sodomiti non abboccarono, dunque sapevano … di furtive concessioni … forse di orge … non escluso il meretricio. Diversamente, dinanzi ad un virgineo banchetto (anzi duplice) come non assentire? Lot, in ogni caso, è vecchio sozzo: due avvenenti angeli valgono di più di due intatte (o credute tali) figlie. Esplodeva anche in lui l’attrazione contro natura? (Tanto non è mio padre, posso infierire.) Credo che Lot sapesse e vi speculasse .. il pretium sceleris gli faceva un comodo della madonna. ‘Pappone? A Roma, in sicilia come si dice? Non v’è lemmo equivalente … ruffianu .. beccu … mizzanu … non rende … non rende. Curnutazzu … sì curnutazzu … può andare … po’ jiri .. Pronuncio bene il suo dialetto? …. Ah! Ah! Ah! … po’ jiri ? … simpatico … spiritoso. Dunque dicevamo: da quegli incesti proliferarono i moabiti e gli ammoniti … due popoli infami, reietti, ma veri e prischi ebrei. Diffusi per il mondo, giungono sino a noi sono diffusi ovunque … anche in Italia .. anche in Sicilia. Già, quel popolo incuneatosi nelle più profonde latebre del tessuto sociale della Sicilia del XV secolo da dove vuole che discenda .. ma dai frutti incestuosi delle due figlie di Lot? E non è vero che Isabella di Castiglia sia riuscita a far sloggiare i figli dell’incesto dalle sue terre siciliane … sì nel 1492 appunto. Sappiamo di quel domenicano Torrecremata capace di terrorizzare la regina (il re, pare, era più laico e più propenso a preferire le trentamila auree onze di Sicilia alla postuma vendetta di un deificio mai provato: la regina condivise col domenicano le somiglianze esecrande tra i trenta denari del tradimento di Giuda e le trentamila onze dello scellerato patto con i deicidi di Sicilia.) Ascolti il suo paesano Giuseppe Picone (Aurelio ne ignorava allora l’esistenza, davvero, seppe poi, il Picone era quasi un suo compaesano, di Racalmuto appunto, nota mia): «.. stanchi gli ebrei del modo onde i regi ufficiali incrudelivano sovr’essi, partirono a trnt’uno dicembre del 1492, lasciando ai nostri avi i proclami di Carlo II e Carlo V, onde gli ebrei venivano richiamati in Sicilia. La nostra terra inospitale fu esacrata non solo dagli ebrei, che si sparsero in altre regioni, ma bensì da qualunque nazione commerciante. Essi partivano, e il nostro popolo ne fece baldoria, e vittima dei falsati principi , propagati da un governo ignorante ed ingordo, e da preti non meno ingordi e fanatici, ne tripudiò … ma ne pianse in seguito del pianto della miseria che gli sopravvenne.» E qui però il Picone erra, almeno in parte. Non tutti gli ebrei trasmigrarono (a Napoli, pare): solo quelli ricchi, abbienti … gli altri si mimetizzarono, presero nomi locali, banali … la licata … la matina (Aurelio arrossì, si guardò pero bene dal denunciare il suo cognome … ebreo secondo il Corrotto) … parisi … lintini …Guardi … guardi negli archivi parrocchiali e dovrà convenire con me.

Fu a questo punto che apparve finalmente la signora. Un miraggio, un incanto. Cerulea negli occhi, sciolti i capelli lunghi, in profluvio biondo sino al sorgere delle arcate in delicato modularsi nel retro del corpo minuscolo diafano angelico eppure ammiccante vivido sinuoso. In tulle di color purpureo, trasparentissimo per mostrare le carni del desiderio e la mise della lussuria. In pizzo i generosi involucri dei seni composti e compatti, senza osceni debordi. Invitante la guêpière. Niente giarrettiere, le calze fiorate cessavano sopra il ginocchio fissate da guigge a festoni di color citrino. Laggiù, invero, v’era contrasto le coperture dell’alto: quasi le ambiguità delle Pornokrates di Ferdinand Rops. Malizia e sberleffo: l’angelo scendeva nel bordello. Il tocco del dottor Ba’alzebub evidente, perfido.

  • Ofelia …, il dito esigeva risposta,
  • Lio.
  • Già Lio, che strano nome per un siciliano. Diminutivo di che?
  • Aurelio.
  • Notevole … notevole. Ma il suo nome non lo svelò.

Ofelia andò compassata a sedersi a fianco di Aurelio. Lasciò divaricare i lembi della veste. Bianchissimo il modularsi delle cosce. Per il momento impenetrabile alla vista il configurarsi del sesso.

  • Dicevamo .. dicevamo. Sì, voi siciliani non siete arabi, non siete normanni, non siete spagnoli, né greci né tampoco romani. Solo in minuscola parte. Sostanzialmente siete i figli delle incestuose figlie di Lot. Lei no, Lio. Lei .. vediamo … lei, ma è evidente lei è berbero. Ricciuto, rinsecchito, elettrico, sopra la media, lungo collo ma testa oblunga. E lì, lì in basso … lo vedremo dopo. Non ci avrà ingannato proclamandosi “superdotato”. E’ circonciso .. no, è vero? Diversamente con un glande scappucciatissimo chissà a quali lunghezze perverremmo? Sbaglio? Ofelia è gracile di costituzione e certe lunghezze non le recepisce. Le danno dolore. Si rifiuta. Capisce? Ma i cosi troppo piccoli non sono … fallici. Leda ed il cigno … va bene, ma con il pene adatto al coito sadico-anale.

Sarà stato per quel linguaggio, sarà stato per l’effluvio erotico che veniva dall’abbordabile Ofelia, Aurelio cominciò qui ad eccitarsi. Mirò la partner. Le toccò il ginocchio. Salì sopra la guiggia. La pelle fresca, liscia e linda dava sensi di ebbrezza. Salì ancora. Ofelia, impassibile. Ma il dottor Ba’alzebub dette segni di nervosismo. ‘Strano’, si disse Aurelio e proseguì sino a sostare sulla copertura del sesso. Ofelia, impassibile. ‘Fantasmatica’, pensò Aurelio venendogli alla mente un termine letto nei testi della psicanalisi che in quel tempo lo appassionavano.

  • Ofelia ebrea non è. Come del resto potrebbe esserlo, così eterea, così cerulea, tanto … immacolata? E disse quel termine con tono indecifrabile.
  • Io, sì … ma non sono figlio di quelle putride figlie? Non mi vede … non c’è compatibilità … Io sono figlio … Ma che fa?



Proprio in quel momento, Aurelio eccitatissimo aveva portato la mano di lei sul suo sesso gonfio sotto la patta. Il dottor Ba’alzebub si alzò di scatto e andò a mollare un gran ceffone sulla guancia di Aurelio. Il quale, confuso, smarrito ed anche indolenzito, farfugliò:

  • mi scusi dottore .. io non volevo ..
  • non volevo un corno. Non permetto a chicchesia che si manchi di rispetto a mia moglie.

Aurelio, allora, fece segno di alzarsi per andarsene.

  • ma dove cazzo va? Stia lì. Ogni cosa a suo tempo, ogni cosa a suo tempo.

Aurelio ubbidì, mansueto e basito.

  • Eppure sono figlio della mogile di Lot. – riprese il dottor Ba’alzebub col tono di prima, stralunato ma serafico. – Sì. Ha capito bene ….Quella della Genesi … Duo angeli advenientes in domum Lot … Surge , tolle uxorem tuam. Ed era bellissima la moglie di Lot … matura ma splendida nei suoi trentacinque anni …. Anche Ofelia ha trentacinque anni … Bruttissimo, lui … vecchio, cadente e cornutazzo … Seconda, terza, quarta moglie … non so. Brutalizzata appena quindicenne partorì la prima delle figlie … poi la seconda … poi il sesso bandito … lui impotente, non capace più di erezione alcuna. I due angeli l’abbagliarono. Erano angeli ma non serafini, anzi rigonfi di maschi attributi … Si insinuò tra loro nella notte successiva all’accecamento repressivo … et eos qui foris erant, percuserunt caecitate a minimo usque ad maximum, ita ut in ostium invenire non possent ... Ebbe eccitazione forte la moglie di Lot mirando le depravate voglie dei sodomiti … ebbe appagamento memorabile tra i due angelici maschi … davanti e dietro … e po dietro e davanti, scambiandosi gli angeli le fenditure del piacere della moglie di Lot. Da chi fui generato, se dal seme del primo o da quello del secondo, non so. Non mi è stato rivelato quella notte sul Tabor … Non ero ancora sposato. Sopra la collina di Yizre’el, la notte d’agosto, quando stelle a frotte solcavano il cielo sopra le rovine avvolte di vegetazione, nella parte della cima ellittica, spentosi lo scenario dello splendido panorama dei monti di Nazareth, resistente ancora ad ovest dopo ore dal calar del sole, nudo, crocifisso sulla nuda terra, il mio sesso ebbe ad innalzarsi sino a vette mai raggiunte prima. Mi apparve l’angelo, sì l’angelo mio padre … e tutto mi disse, tutto mi svelò … Non credete, scettici … Non credete! …Ma io so la verità. Ego sum veritas… Dopo, per non procreare più altri mirabili angeli, avendo in me ormai l’irrefutabile verità, il mio sesso scomparve … si prosciugò … neppure i testicoli resistettero … solo una enfiatura per la minzione … e sotto un prurito, simile forse al desiderio, inappagabile.

S’immalinconì il dottor Ba’alzebub. Sospeso nei suoi pensieri o ricordi, entrò come in trance. Ofelia, impassibile. Quindi il sussulto, il ritorno all’empio recitare … Una sigaretta accesa … d’odore strano … un’altra passata ad Ofelia.

  • a lei no, vero? Lei non fuma marijuana.

Lio, in effetti, all’epoca ne sconosceva persino l’esistenza. Il tempo dello “spinello” era ancora di là da venire.

Anche Ofelia sembrò rianimarsi. Brividi quasi impercettibili, specie là vicino. Lui si alzò.

  • ed ora all’opera. Vada in bagno, si mondi, si unguenti … e poi nudo in camera da letto. Ecco che gliela mostro.

Il dottor Ba’alzebub acquisì come d’incanto toni imperiosi cui non si poteva sottrarsi. Lio ubbidì remissivo e fu remissivo anche dopo per tutta la serata, per quasi un paio d’ore. Veniva addirittura plagiato da un eunuco.



* * *





Nel dondolarsi sopra lo sferragliamento del treno da Torino ad Asti, solo in uno scomparto di seconda, per risparmiare, nel succedersi di lampi di luce e di profondità buie, in penombra, quella fioca delle luci della notte, Lio rimembrava, il sonnecchiare era lancinante per il patire rimorsi: crudi, spietati, come vampe infernali dell’anima. Si era prostituito. Era divenuto il transfert di Belzebù senza ritegni, privo di ogni umana dignità, cui aveva abdicato miserevolmente, persino sconciamente. Belzebù seduto … assiso sul trespolo .. su una inconsueta poltrona adagiata su un alto podio in ferro battuto .. per vedere meglio .. godere meglio … dirigere imperioso … regolare luci, musica … amore .... sesso …

  • questo è il sublime Johannes Brahms, il concerto n. 2 per piano …. Ricominci …. Parti dall’avvio, un invito con un titillamento … sì sul suo clitoride … una toccata del piano … una risposta orchestrale della mano … sì, bravo … martelli … ma piano … come i passaggi del piano forte. Lei è il pianoforte …. maschio …. virile … ma dia fiato alle trombe … ella è casta … ella è pura … va svegliata … coi trilli delle trombe … ed ora in concerto … mani bocca ansimi sesso stringimenti ma cautamente. Ofelia non l’ama- Ama me, desidera me, ma io sto qua lontano, impotente eppure presente, prendo a prestito il suo coso, enorme, bestiale, disumano, voglioso, sovrabbondante …. Si è spento? Già come una pausa sinfonica, cioè un lieve sussurro, in cicalare tra piano ed orchestra. Il desiderio si appanna. Si lasci andare, si lasci andare. Il piano si anima … Vibri colpi col pene sulle sue grandi labbra … Il glande non entra … aspetti, aspetti perdio, non vede che è ancora asciutta, inaccogliente. Ma lei è quasi all’eiaculazione … si fermi e parti … entri .. entri.

Ofelia gridò di dolore, la sua apertura era ancora stretta per l’enorme priapo. Il piano dialogava, l’orchestra rispondeva. Sembrò corrispondere, ma si smarrì … il piano riprese voluttuoso … sinuoso …. Parve ritrarsi … labile … nel rutilare di note flebili … ma si andava dai bassi agli acuti, avanti e indietro, senza foga … bussava … picchiava … non veniva aperto … eppure paziente … non desisteva. Le anche si alzavano, si abbassavano, si alzavano. Ancora niente. Interrogativi del piano, pausa, silente l’orchestra … un singulto … una risposta piu estesa …. dolce ora il piano … Finalmente il grido liberatore. I due o tre gemiti dell’orgasmo … non sincronico … ma di entrambi.

Belzebù aveva cercato affannosamente il piacere … strofinando frenetico il bozzo fra gli inguini … ma nulla … ma nulla.

  • l’angelo mio padre non permette … non consente.





A quello sconcio squarcio della memoria, Lio sprofondò nella vergogna, nelle frustrazioni della sadica curiosità dei terapeuti analisti. Castrazioni, invidia del pene, pulsioni sadico-anali, e via discorrendo, ma in forma d’umano annichilamento, come il disprezzarsi fino alla voglia di morte. Antiche vergogne e freschi ricordi di un sesso senza amore, volgare, depravato, depravante.

Povero Lio! L’abbandono al suo intimo distruggersi. “Cupio dissolvi”, ma era acre soffrire. Leggo fra gli appunti rievocativi siti in files varie volte abrasi (e da me pervicacemente ripresi). Mi muove pietà. Quel giorno, di mattina, alla biblioteca centrale Lio aveva ripescato il vecchio testo del DIADECTICON. Ne riporto il titolo per come lo rintraccio nel suo computer:



MARCO ANTONIO ALAYMO - DIADECTICON - PALERMO 1636

(Dalla Biblioteca Nazionale - microfilm delle pagg.1-38 e 295 335)



W

DIADECTICON

SEU

DE SUCCENAREIS MEDICAMENTIS

OPOSCULUM

Nèdum Pharmacopulis necessarium, verum et Medicis,

Chimicisvè maximè utile, in quo nova, & admiranda Naturae Arcana reconduntur.

A U C T O R E

M A R C O A N T O N I O

A L A Y M O



Philosopho, &t Medico, Siculo, Racalmutensi, civeque Panormitano Ill. &t Prothomedici eiusdem Fel. Urbis Consultore, &t Deputationis Sanitatis Deput.

Indice locupletissimo tum capitum, tum rerum notabilium, tumquè Auctorum in opere Citatorum illustratum.

[Pertinet ad Bibliotecam S, Francisci tran Tiberim]



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PANORMI, Apud Alphonsum de Isola Impress. Curiae Archiep. M.DC.XXXVI. Superiorum Permissu.



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L’immagine di Ofelia, femminea angelica attraente, era scomparsa. Se era stata la villica della radura francese dietro il Monte bianco, se era apparsa normanna, bionda ed esile, residuo grazioso di nozze nordiche non promiscue, ora appariva deforme, demoniaca, asessuata mezzana, peccatrice, infernale. E Lio si ripetè i versi del Veneziano che quello strambo di suo paesano, il medico Marco Antonio Alaimo, dimentico delle sue frequentazioni con il padre La Naza, il santo gesuita nato da fedifraga copula, include maliziosamente nel suo medico trattato:



Per la quartana, ch'è sua malatia

Si cuverna di signi lu Liuni,

E per lu mal suttili, ed Ethicia

Cimici vivi s'agghiuttinu alcuni;

Lu mentri lu bisognu mi primia

Per longu spatiu di tridici Luni

Contra l'humuri miu gustai di tia

Cimicia in modi, e Signa alli fazzuni.



Lio, nel suo animo, ebbe talmente a vomitare di donne e di sesso con donne, che da quel d^ non si congiunse più con femmina alcuna, sino alla sua morte violenta. Non violentò più donne, … fu violentato da donna?

E qui rientro nei panni di improvvisato e letterario detective.





* * *



Non andava forte la dottoressa Evelina Adelaide Mangoni Mistretta, commissario capo della questura di Agrigento. Sulla Peugeot 306 rallentò ancora alla curva del bivio per Castrofilippo, mirò forse – non era superstiziosa – la villa in cima dei Bonadonna, paurosa per la diceria di “signureddi” ognor presenti. Rallentò ancor di più nell’inforcare la bretella per Racalmuto. Una motrice di un articolato stazionava ai bordi appena prima dell’inizio della rampa. Mi mise in moto, accelerò: sul cavalcavia speronò la peugeot che piroettò in area, si sfracellò di sotto, nell’area laterale del traliccio, ed infiammandosi s’incenerì. Questo, a dire di testi, quanto attendibili c’è proprio da dubitarne.

- da lu Chiuppu vinni, a lu Chiuppu turnà, ripeteva beota Liddu Marino, pazzo più che stupido, personaggio emblema di Racalmuto. Fascistissimo in memoria del padre, odiava comunisti ed i simboli della “falce e martello”. Alle elezioni, staccava gli odiati manifesti. Quando, inaccessibili, gli furono sfacciatamente ostensi nel balcone dinanzi il sagrato di S. Giuseppe, trillò, chiese, inascoltato, rimozioni, si impermalosì sino a rabbie che al limite potevano esplodere minacciose.

  • picchì? Picchì?, bofonchiava Franciscu, che da giovane, quando era sano di mente, comunista lo era stato.
  • Mi l’hannu a livari, mi l’hannu a livari….. entrambi non smisero però di sorseggiare le buatte di birra gelata.

Liddu Marinu non pisciava però sull’iperealistica statua bronzea di Sciascia, posta sul marciapiedi ‘di li galantuomini’. E ‘ddo’ Sciascia lo era stato, persino la carica di cassiere del ‘casino di li civili’ ebbe a rivestire, ma alla fine degli anni quaranta. Franciscu invece, con scandalo degli ‘adoratori perpetui’ dello scrittore, ci scialava proprio ad irrorare di biondo liquame, abbondantissimo per birra e vino trangugiato senza limiti, il piede sinistro dell’immagine bronzea.

Liddu Marinu non era attendibile .. non poteva esserlo. Alle prese con fascine di legna, che poi fiero portava a “lu chianu castieddu” per la ‘vampa’ di S. Giuseppe, in cerca di asparagi selvatici ed anche di “bbabaluci” “muntuna” e “judischi” - quando era il suo tempo – raramente varcava il recinto merlato dei pizzi del serrone .. e “lu chiuppu” era di là. E poi come credere ad un alienato di mente? A Racalmuto, il suonare la corda pazza è abitudine diffusa …. Ma Liddu Marinu, che poi loquace non lo era neppure, tutte le sue corde aveva pazze.

“A lu chiuppu” c’era un tempo villa sontuosa e misteriosa, quasi all’ americana, di un boss narese… ma quello era fallito e gazebi aiuole aranceti androni panchine foresterie marcirono ed intristirono sino alla sterilità sino dirupare sino a spallare. Se no, davvero si poteva pensare “al padrino” vindice di una poliziotta un po’ troppo ficcanaso nelle faccende postsindoniane, magari a rimorchio della vecchia ispezione che si attribuiva ad Aurelio La Matina Calello. E sulla morte di Aurelio La Matina Calello la dottoressa Evelina Adelaide Mangoni Mistretta alacremente inflessibilmente indagava. Sindona mafia ispezione bankitalia ed avvelenamento di Lio Calello erano per la poliziotta un cerchio unico in successioni causali. La chiamavano “la poliziotta” perché come tale accedette alla polizia. Il concorso a commissario, dopo, appena conseguita la laurea … in pedagogia. Era una virago, da poliziotta. Irruppe nel covo di Brusca ed alla Zingarella lo braccò con forza erculea. Faceva anche culturismo.

La presero carbonizzarla. Ce ne volle prima di identificarla. E così le sue carte sono passate a me.



* * *





Dopo Asti, il dottore Aurelio La Matina Calello imboccò una prestigiosa stagione ispettiva; pur con grado gramo fu capo-missione in quasi tutte le quattro o cinque ispezioni punitive permessesi dalla Banca Centrale. A volere il Calello era lo scorbutico vice direttore generale dell’epoca, gran massone ma puritano, inflessibile, napoletano e calvinista. L’apprezzamento per il giovane ispettore derivava dal fatto che non si era lasciato infinocchiare in una verifica ad una banca di Terzigno, decotta ed ammanigliatissima.

Non aveva conclusa l’ispezione ad asti il dottore La Matina: sul finire era stato incluso in un viaggio-premio nell’allora misteriosa Unione Sovietica. Di là degli steccati ideologici, le banche centrali dialogavano fraternamente fra di loro, anche quella sovietica. Dall’Italia partì uno stuolo di giovani e rampanti dirigenti. Da Via Nazionale a Mosca. Da poco introdotta la centrale dei rischi, sembrava un miracolo di efficienza bancaria. Cicciu Ciciru, volle interrogare il funzionario bancario russo dai ponti metallici sgangheratamente in risalto tra intartarati denti propri. «Avete anche voi la centrale dei rischi?» Il funzionario non capì ma con orientale furbizia aggirò brillantemente l’ostacolo. I colleghi di Ciccio ne trassero altri spunti per la usuale derisione del Ciciro.

Al ritorno dalla Russia, trovò il capo missione malconcio a Roma, in via dell’Acqua Bullicante, a casa sua, oltremodo gessato, il suo giovane collega. Andati a gozzovigliare a Cocconato, dopo abbondanti libagioni (carne cruda e barolo, insomma, ed altro), rimessisi in viaggio per il mero rito dei lavori ispettivi del pomeriggio, si addormentarono sulla pur robusta vettura “Lancia”, sbatterono contro un piliere sul ciglio della strada. Medicatosi appena, il capo raccolse le carte e tornò a Roma. L’ispezione fu chiusa. Ma non v’era “FAI” decente, i fogli di analisi ispettivi avevano sì e no i dati del Mod. 81 Vig. Un disastro. La questura tentò di indagare sull’incidente. Il direttore generale ricambiò la cortesia ed il caso fu archiviato, senza denunce alle superiori autorità (la magistratura penale).

Irridevano quelle tre o quattro paginette di “penna d’oro”. Eppure “Penna d’oro” non volle o seppe vendicarsi: prese il FAI e vi scrisse sopra, a lungo, doviziosamente, pungentemente. Ne trasse un ponderoso “rapporto”. Il capo firmò felice e sollevato. Non pensava che “Penna d’oro” potesse avere tanta proficua fantasia. Quel rapporto passò in Vigilanza come un modello da imitare. La vicenda dell’intreccio di assegni a vuoto e la sottesa grande speculazione edilizia dell’ex federale e del sussiegoso piemontese finì eclissata.

Dopo Asti, un paio di pause di riflessione: in subordine a Fabriano e Morciano in ispezioni di poco conto. Poi gli scottanti incarichi che un qualche strascico nella storia dei crack bancari del dopoguerra l’hanno avuto. Si pensi: echi persino in parlamento ed a S. Marcuto. Sono vecede su cui forse dovrò tornare, al momento vediamo di svelare il mistero della morte del mio ormai diletto Aurelio. Già, quasi dimenticavo di dirvi che il povero Aurelio defunse per cianuro, ma un cianuro strano, non in commercio: pare posseduto solo dai maldestri servizi segreti iracheni. Impressionante: anche Diodona, il banchiere del crack su cui indagò il mio ispettore della Banca d’Italia, cessò di vivere alla Pitrusa con l’identico strano ‘cianuro’. Non pensate a Pisciotta: non c’entra.

Per Diodona si parlò di suicidio: ma nessuno ormai ci crede, come per Sindona, come per Calvi, come per altri banchieri, finanzieri …. di moda ora parlare di “faccendieri”, come se poi vi fosse davvero differenza.

Sia fatta la volontà di Dio: affrontiamo codesto nodo gordiano. Il rag. Giorgio Diodona era nativo di Barcellona Pozzo di Gotto, tra Palermo e Messina ma sia nell’entroterra della provincia della città del faro. E non finiscono qui le somiglianze con l’altro celeberrimo banchiere, l’avvocato Sindona. Anche Giorgio Diodona si trasferì piuttosto giovane a Milano e riuscì a far fortuna nel mondo delle banche. V’era pur sempre quel Virgillitto che tra un diadema per la Madonna e qualche brillante per le madonne dei suoi amici politici determinò il salto di qualità degli affari di Cosa Nostra d’oltreoceano o dimorante di qua dello stretto. Navigò con gli inglesi. Amò gli svizzeri. Seppe delle isole Cayman. Non capì gli americani ma facendo grossi affari con loro credette di coglionarli. Ne fu coglianato. Con i russi, affari d’oro con la pesca le armi ed il grano americano. Col Vaticano, preghiere indulgenze opere pie denaro … e sesso per i vogliosi arcivescovi e si disse anche cardinali. Con il papa … Dio ne scansi e liberi … si sghignazzò di un giovanetto molto bello ed aggraziato … tanto femmineo, fu celebre latin lover del cinema italiano. Non mi va di proseguire: svilirei i fatti del mio giallo.

Col caso Sindona vi fu un’impressionante sinergia. Furono due crack alla carta carbone, una sorta di clonazione anzitempo ed extra moenia. Nel mondo dell’alta finanza può succedere, ogni umana fantasia è impari. Lo disse anche De Martino a S. Marcuto e lui fu sommo maestro, anche di storia del diritto romano. Presiedette indagini parlamentari bancarie, pur ignaro di partite doppie, accrediti, spot, swap, foward, outright, borsa, mercato parallelo, redditività, patrimonializzazione dei conti d’ordine, conti bilanciati, gergo dei ragionieri, quello degli agenti di cambio, quello borsistico.

Va ribadito qui con robusto tono che il dottor Aurelio La Matina Calello nulla ebbe a che fare con il caso Sindona: le sue incombenze, i suoi accertamenti, le sue allucinazioni, i suoi successi, il suo valore e la sua morte riguardano l’analogo e quasi coevo caso Diodona. Se qualcuno continuerà a confondere, io non ne rispondo. Non mi si potrà querelare. Distinzione .. distinzione, sia chiaro!

Il pasticcio della confusione s’origina forse dal fatto che, beffardo ed ironico, il dottore Aurelio La Matina Calello, sicuramente per invidia, si intromise negli sviluppi del crack Sindona prima aizzando Lotta Continua nel semestre finale del 1979 e poi cooperando – una cooperazione quasi integrale, tota ed ampla – nella stesura del pamphlet anonimo “Goodwill” a firma di un improbabile Colbert.

Detto fra noi, è scritta quasi tutta di suo pugno, di Aurelio cioè, la parte da pag. 37 a pag. 187. Le pagine di ‘premessa’, e quelle dell’«antefatto», e poi quelle sugli artefi

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