venerdì 3 giugno 2016

venerdì 3 giugno 2016

Caldo giugno allora come adesso, venerdì pomeriggio arriva un ordine da Via Nazionale 91: allertare tre ben specifici giovani ispettori della Vigilanza bancaria per un colloquio col signor Governatore nella mitica grande sala del San Sebastianino. Vengono chiamati il futuro direttore generale dottor Enzo De Sario, il siciliano dottor Calogero Taverna, l’impeccabile dottor Piero Izzo. E’ la fine di giugno del 1974. Cose vecchie di 38 anni fa si direbbe, ormai archiviati. Sì, se in questo afoso come allora giugno non avessimo un epilogo (in parte assolutorio, in parte scandalosamente accusatorio) di un viluppo conflittuale tra poteri costituzionali: magistratura e governo dell’economia.
Quel giugno del ’74 si chiuse con un compiacente decreto Sindona, assolutorio di uomini e cose; il corrente giugno ha tappe capovolte: un’assoluzione ormai non più riparatrice ed una salomonica riduzione di pena da parte di togati inidonei a comprendere le superiori leggi che governano i mercati, le borse, l’ordito bancario, la bilancia dei pagamenti, le sorti dell’economia nazionale. De jure condito e de jure condendo precipitiamo tra vacui e perniciosi lacci e laccioli, che miseramente di taglio privatistico soffocano la superiore salvaguardia dell’economia nazionale dell’intera comunità statuale (se lo Stato è ancora un valore).
Nel pomeriggio del venerdì di quell’altro giugno aspettammo a lungo prima di essere ricevuti dal Governatore: lo trovammo costernato oltre misura. La mattina la borsa inglese aveva rubricato le tre banche milanesi che facevano capo a Sindona come “inaffidabili”. A nulla era valso un elogiativo fondo sul Corrierone, a firma Enzo Biagi. Banca Unione e Banca Privata Finanziaria si erano ingolfate in un forsennato intreccio speculativo in cambi ed avevano accumulato perdite stratosferiche. Come?
Banca Unione veniva affidata all’ispettore dott. Enzo De Sario (che poi diverrà direttore generale B.I.). La “Privata” al sottoscritto, esodato anzitempo per incompatibilità politica. Al sottoscritto ebbe a presentarsi dopo pochi giorni dall’inizio della visita ispettiva un nobile banchiere dell’epoca: Clerici di Cavenago. Esibì una carpetta di carte, in parte fogli di un elaborato elettronico, in parte un rendiconto manuale a scalare di c.d. operazioni in cambi.
Mi fu detto che trattavasi di outright a catena andati in male alle varie scadenze, chiusi con swap i cui spot chiudevano l’operazione a termine mentre i forwod rinviavano a data futura gli outright risultati perdenti per irrazionalità dei cambi a termine. I nuovi cambi a termine gonfiavano quelli di mercato per l’inglobamento degli interessi maturati. Naturalmente il discorso mi risultò del tutto ostico. Per riprendermi andai a comprare il don Chischotte e così consolarmi col fatto che il povero Sancio ebbe a rifiutare l’argomento del suo principale il quale lo voleva convincere che non v’era sagrista di Spagna che osasse privare il suo pievano del gusto di infliggergli un buon numero di nerbate.
Resta il fatto che le banche poi finirono, come noto, in malora ma difficilmente riuscireste a trovare in una qualsiasi delle sentenze di condanna un qualche accenno a tali operazioni veramente esiziali per il patrimonio aziendale, causa precipua del dissesto fallimentare.
Eppure di trattava di una speculazione valutaria dell’ordine di $ 3.659.511.933, nonché di DM 2.905.097.000, di Lgs. 10.000.000 e di Frb. 175.000.000 di acquisti a termine contro $ 4.036.975.594, nonché di DM. 1.153.650.000 e di Lgs. 25.000.000 per vendite a termine. E ciò solo per la Banca Privata Finanziaria: vi erano poi le analoghe immani perdite della Banca Unione. Ne parlavo alle pagg. 46-47 del mio rapporto; ne discettava a lungo uno strano libro, SOLDI TRUCCATI, che la Feltrinelli pubblicà il primo gennaio 1980 e, pur andato a ruba, spari incomprensibilmente da tutte le librerie dopo solo pochi giorni. I magistrati di Milano lo ebbero in mano ma non ne fecero niente. Perché non riuscivano a comprendere l’ordito antidoveroso di forte rilevanza penale? Certo allora risultò patriottico non capire, tanto vi era la travolgente vulgata di uno strabiliante concerto mafioso. Sciascia, che un qualche pizzicotto lo ebbe a soffrire in questo dannato caso Sindona, scrisse, sempre sul Corrierone, di professionisti dell’Antimafia.
Senza mezzi termini ci va ora di affermare che quella caterva di operazioni speculative in cambi finiva col determinare alle scadenze un tale sconquasso valutario e borsistico che non poteva non venire registrato dalla Banca d’Italia e dell’UIC. Infatti, le Autorità sapevano. Tacevano? No. Non potevano che essere gli artefici occulti di ciò che ritengo una contro speculazione del concerto delle Banche Centrali (Unione Sovietica in testa). Ma ciò sarebbe acqua passata se la storia non si ripetesse. Ribadiamo che allora le Autorità riuscirono a fare apparire il tutto come una insana diavoleria mafiosa del Sindona. Non era un santo. Se fu suicidato, pace all’anima sua.
Quel che mi interessa è l’attualità. Allora di questa dissennata speculazione valutaria la magistratura non capì o non le fu fatto capre alcunché. Non vi è un accenno nelle sentenze delle varie condanne. Eppure avevano (tra l’altro) il mio rapporto ispettivo. Eppure potevano leggere il libro Soldi truccati, ove l’aspetto valutario del crack Sindona è tutto spiattellato.
Oggi una domanda si impone: perché allora tanta sonnolenza mentale della magistratura milanese e perché invece oggi si inventano colpe immaginarie di intelligenti, saggi, avveduti grand commis dello Stato. Il Governatore della Banca d’Italia ha mansioni costituzionali di difesa della moneta, e di avvedutezza nrl sovrintendere alla politica bancaria. Il Governatore è anche il banchiere dei banchieri: deve agire in armonia con le peculiarità dei mercati e delle borse, necessariamente aperti alle aggressioni speculative mondiali. Se è impari, perché astretto dai lacci e laccioli di cui parlava Carli, beh! povera economia finanziaria nazionale.
Ed un Governatore non può non servirsi di banchieri ultra abili e competenti, anche arditi nel contrastare i callidi giochi degli speculatori esteri e soprattutto “estero-vestiti”. La calata degli Unni non si rintuzza con l’ottusità del perbenismo togato. Non vi sarà più la Costituzione Materiale con cui inventare la “rilevanza” della Banca d’Italia a livello della legge suprema, ma ogni suo connesso fatto va visto alla luce del riflesso costituzionale visto che in definitiva si tratta di apicali Autorità monetarie. Un gretta osservanza di regolette di diritto privato possono significare inadempienza istituzionale ben più colpevole.
Calogero Taverna
Io non saprei come votare, infatti non andrò a votare. Se dico sì sbaglio da una parte; se dico no sbaglio dall'altra. Se dico sì Renzi smette e si va al voto coll'Italicum: un disastro; se dico no, Renzi condannato a restare perché non c'è legge elettorale cadendo anche l'Italicum.  Pensare ad un governo Renzi per altri due anni  condannato solo a fare un'altra legge elettorale che disastro!

La Madonna del Monte

sulle mutevoli deformazioni della saga della Madonna del Monte dal 1700 ad oggi non vi possono essere molti dubbi. E prima? Mi va di adre alla alla professoressa Isabella Martorana  che nella sua tesi di laaurea testimoniavaa la popolare credenza della Madonna venuta da Trapani e non dallo "scaro di Punta Bianca" come crede di sapere il Caruselli. 

La tesi della professoressa Martorna è di grande risalto storico e andrebbe pubblicata. Sicuramente lì vi sono dati e notizie Martorana. Ora si dà il caso che proprio il Catalanotto quella eretica versione martoraniana invece autorevolmente avalla.

Leggiamo insime la XII "coroncina" del frate agostiniano scritta  o meglio pubblicata nel 1764:

Quali Terra o Città si pò' vantari
d'aviri avutu pri Spusa a Maria
impignata a vuliri ristari
comu Racalmutiu genti pia?
Trapani, e Chiaramunti poi chiamari
ntra la tò cara amata cumpagnia
cu chissi Maria nun vosi fari
comu a lu Munti s'impignau pir tia. 

Ecco qui chiara la citazione di Trapani. Certo c'è poi Chiaramonte credo Gulfi che sembra come quel grido consiliare: ed ora chi ci trasi la carrozza di li muorti cu la la putia di Maruzzu?
Penso che il Catalanotto pensasse a quella che poteva essere la sua città natale. Ovvio, congettura la mia. ma non cervellotica.

Da qui il canto asimmetrico della Martorana.

Di Trapani affaccià Maria di Gesu
'n coddu li marinara lu purtaru
li munaceddi subitu scinneru
lu velu a Maria cci arrialaru,

E prima?
E' certo che nel 1543 (possibile che quel 4 nelle tradizioni orali successive sia diventato 0 ed ecco la data presunta del 1503) vi era una statua di marmo al Monte: le carte episcopali di Agrigento annotano che s'inventariava "una figura di Nostra Donna diomarmaro". Nel 1543 Racalmuto era sotto la signoria di Giovanni III del Carretto, era "una singolare figura per prudenza e per intemerata virtù" (vedi il Baronio da me citato a pag. 54 del mio "La Signoria racalmutese dei del Carretto, caro Pio Martorana), ma non era conte. Si dovrà aspettare il  28 giugno 5^ ind. 1577da in cui FORSE (e sottolineiamo forse) in un discendente di Giovanni III GIROLAMO I otttene l'incefrto titolo do conte. (Ne accenniamo nel nostro La Signoria racalmutese del del Carrettio, pag. 66 e segg.) E guarda caso alla fine del Settecento il padre Figliola sostenuto dall'arcipretre D. Stefano Campanella vinse a Napoli un ricorso di ridimensionamento di quel pomposo titolo di Conte (v. sempre il mio La Signoria racalmutese dei del Carretto, pag,145).  Caro Pio Martorana ho motivo di incazzarmi e di dileggiare quando si trascurano i miei scritti?

Ma torniamo a noi. Nella visita pastorale del 1543 viene annotato che quell'appariscente statua di marmo della Vergine Maria aveva "sopra un Pavigliuni di cuttuni cun sua finza di sita russa, et una cultra vecha".

Per il Nalbone ciò avrebbe "dimostrato la vetustà  e l'estrema povertà della chiesa certamente di piccole dimensioni e con trascurabile culto". Dove abbia attinto queste informazioni il Nalbone non so. Eppure pur essendo un radiologo più attento alla pignoleria scientifica  che propenso a grandi voli di fantasia qui mi pare che si sbizzarrisca a sproposito.

Quanto alle piccole dimensioni a me risulta l'opposto. Del resto non doveva sfuggire al Nalbone quello che avevamo trovato insieme nelle nostre scorribamde nei sotterranei dell'archivio vescovile di Agrigento. Nel 1543 nella chiesa di Santa Maria di lu Munti aveva "sede  l'omonima confraternita " con ricche dotazioni ("onze quattro e tarì 20 di reddito sopra alcune proprietà terriere (nostra traduzione dal latino).". E già il 20 luglio del 1609 (molto prima del Signorino dunque) il vescovo Bonincontro precisa che in quella chiesa si conservava il "sacramento eucaristico ed era chiesa Arcipresbiteriale". che nell'Altare Maggiore vi era la statua marmorea ornata e indorata e alla sua sinistra vi era l'altare di Santa Lucia  ove c'era l'immagine di stucco di detta .Santa indorata; rilevate anche le reliquie dei santi Crispino e Crispiniano.

Che tanta espansione tanta disponibilità di rivestimenti indorati fossero da racchiudere in appena mezzo secolo non è iòpotesi sostenibile. Di sicuro un crescendo del culto e dell'attaccamento del popolo racalmutese a questa credo unica statua di marmo esistente in paese. Tant'è che il Vescovo Rhini il 17 luglio 1686 afferma in suo Breve che ormai siamo alle soglie del miracolo: il Monte diviene Chiesa Sacramentale perché si è in presenza "della venerabile  Chiesa della Miracolosissima Immaggine di Santa Maria del Monte". Da qui il popolo pio e santo è legittimato a pensare che una così miracolosa Immagine della Madonna debba venire da lontano miracolosamente, miracolosamente fermarsi a Racalmuto, miracolosamente prediligerci, miracolosamente impedire ai buoi di portala a. Castronovo- Dopo nell'Ottocento la saga si riempie di miracolosi dettagli: inesistenti conti e inesistenti principi che scendono a singolar tenzone per aggiudicarsi la santa immagine marmorea. E infine nel Novecento il trio Messana-Macaluso-Carbone farne da dramma sacro un pasticcio di cappa e spada con servitù meneghina con contesse e damigelle. Aspettiamo che nella prossima rielaborazione "poetica"  vi si insinui anche una toccante storia d'amore magari con qualche prurito erotico-sessuale.

Ma io resto legato alla storica "cultra vecha": vecchia di quanto? di appena un quarantennio? Non ci credo. Vecchia di molti più anni e quindi quella statua giunge a Racalmuto, penso commissionata a Palermo, molto prima della signoria di Ercole del Carretto. Del resto di codesto Ercole, almeno io, so poco: mi limito a scrivere nel mio "la Signoria racalmutese del Carretto" pag. 49  "scarne sono le notizie che abbiamo su Ercole del Carretto. Non sappiamo quando nasce; la morte cade invece nel gennaio del 1517. Sposò tale Marchisia di cui ignoriamo il casato". Caro Pio: può essere che altri sappia più di me. Se documentati si facciano avanti. Saremmo tutti lieti e contenti. Non so cosa ha scritto in proposito l'ex genero di Sciascia il prof. Fodale. Non ho mai voluto mai leggere quello che ha scritto un Nocino (amico della Noce) che ebbe ad irridere il mio "La Signoria Racalmutese dei del Carretto " come proprio tu avesti a raccontarmi.

Certo se retrodatiamo la venuta della Madonna del Monte nell'ultimo ventennio del 'Quattrocento allora davvero potremmo parlare di Madonna di scuola gaginesca e magari arrivare allo stesso Gagìni. Ma una statua di marmo non si fa certo a Racalmuto e costa molto. Quindi di sicuro vi è presso qualche rollo notarile la solita "apocha". Se c'è prima o poi verrà fuori e cesseremo di fare cervellotiche congetture ed inventarci miracoli alquanto sacrileghi.

giovedì 2 giugno 2016

Secondo noi, il Catalanotto raccoglie la versione della leggenda popolare quale si era formata sino a quel tempo senza interferenze "dotte e pie". Una sorta di "vox populi". Tutte le superfetazioni comitali postume sono di là da venire ed ancora non abbiamo gli inquinamenti canonici che sboccano in quella LEZIONE del Vescovo Lo Jacono su cui tesse la sua arrogante tela quel supponente frate di Lucca Sicula, il francescano Caruselli.
E' nell'Ottocento dunque che la saga mariana racalmutese si inquina con tutti quegli intrugli feudali saturi di strafalcioni storici come quell'indefinibile Eugenio Gioieni che diventa poi addirittura "PRINCIPE di Castronovo" da semplice Signore o peggio come quel pasticciato "ERCOLE TERZO CONTE DEL CARRETTO Signore di RACALMUTO"-
Noi ci siam dannati l'anima per trovare traccia di un Gioieni Signore di Castronovo nel 1503 e nulla siamo riusciti a trovare. Quanto alla contea di un Ercole III del Carretto siamo davvero alla follia storica.
La versione popolare quale si era raggrumata in quella terribile prima metà del Settecento e che qui con accettabili ili versi in vernacolo il CATALANOTTO ci attesta quasi notarilmente spazza via dunque tutte quelle infiorettature ottocentesche o peggio novecentesche di precedenti chiesette intitolate a Santa Lucia, o di improbabili abbeveratoi lassù al Monte sopraelevando le acque della Fontana di un centinaio di metri e retrocedendole di un chilometro.
Qualcuno mi accusa di spingermi per spirito di contraddizione ad una vacua chiosa critica, a me pare di far dire schiettamente a carte e documenti quello che veramente dicono. Certo retrocedere i toscanismi del Caruselli di Lucca Siculo al tradizionale vernacolo racalmutese, al vernacolo se non del Catalanotto che s'ignorava e che invero genuinamente racalmutese non è, ad un dignitoso dialetto locale non fu cosa riprovevole. Noi invece stigmatizziamo tutti quegli inquinamenti persino irriguardosi di assurdi personaggi, di nomi apocrifi quali Arsenio o Ambrogio, di petulanti contesse damigelle e che so io. Fare di un dramma sacro una pièce teatrale non eccelsa con duelli sacrileghi e con tocchi narrativi di cappa e speda mi dà ai nervi. Una santa Vergine Maria madre di tutte le genti propensa a divenir faziosa prescegliendo come suoi figli prediletti i racalmutesi e quindi apostatando gli innocenti castronovesi oltre che storicamente assurda è cosa religiosamente vitanda da scomunica ipso facto.
Nulla di tanto eretico e deviante troviamo nelle scorrevoli versificazioni dialettali del padre Catalanotto. Altro che mia vacua chiosa critica.
Contra Omnia Racalmuto
Chiese a confronto
 
  
 
Il convento degli agostiniani centuripini sorse molto povero e per pochissimi frati dediti alla penitenza e alle elemosine. Diversa l'opulenza raggiunta nel '700, ai tempi in cui il P. F. Emmanuello Maria Catalanotto "agostiniano della Congregazione di Sicilia" scrisse il primo raconto, in bei versi siciliani, della Venuta della Madonna del Monte". Lo scrisse per aggraziarsi la novella Duchessa BUGLIO in Gaetani e per manigolderie giuridiche eziandio Contessa di Racalmuto.
 
 
 
 
 
Si vede che il convento centuripino cambia nome e possidenze e così il monaco poeta può farsi pubblicare versi come questi:

"Va dunca fistiggianti, e cu allegria
 purtannu in manu la palma, e lu gighiu
 cundiri ca sì fighia di Maria,
 e spusa cara di li beddu fighiu
 trema dunca l'Infernu in cumpagnia
 chi iu fra tantu a lu nomu m'appighu
 gridandu giubilanti cu armunia
 Viva La Matri du Lu Munti, e Fighiu. 
 
 
 
Non certo racalmutese il poeta ma quanto a giubilarlo con le parole dell'astioso padre Caruselli di Lucca Sicula (per il quale il suo originario ispiratore si sarebbe lasciato andare a "composizione malissimamente costrutta") ci sembra ardito e malevolo concetto.
Per il buon monaco Catalanotto la narrazione del portento della "imago miracolosissima" a dirla con un Vescovo agrigentino è meno grangrignolesca, quasi quasi credibile.
Così versifica:
 
"In chiddi tempi quannu succidiu
 di Racalmutu si truvau a passari
 certu divotu, dottu, santu e più
 chi in Castrunovu ci duvia purtari
 la bedda Matri di lu grandi Diu
 
 
 Chistu divotu s'era assai infiammatu
 di un certu Simulacru di Maria
 Beddu, chi sinn'era anchi innamuratu
 Lu nobili Conti di chista Cuntìa.
 Chistu Signuri lu vulia lasciatu
 dannu a lu Divotu quantu avia,
 ed avendu lu tuttu rifiutatu,
 la Statua purtari si vulia.
 
 Ma nenti lu mischinu potti fari;
 ristau scunsulato 'ntra la via
 Pirchì li Voi nun pottiru tirari
 lu beddu Simulacru di Maria,
 Signu evidenti, chi vulia ristari
 cu li Racalmutisi in cumpagnia/
Di fattu nun si vosi alluntanari
 da Racalmutu la Statua pia.
 
Videndu lu divotu stu stupuri,
 fici autri novi voi radduppiari
 affinchì cu gran forza, e cu viguri
la statua putissiru purtari;
 ma ristau lu mischinu cu duluri,
 chi mancu iddi lu pottiru tirari
 Chi permisi a la fini lu Signuri
 persi lu simulacru e li dinari.



E quindi codesto sconosciuto P. F, Emmanuello  Maria  Catalanotto che si dichiara "AGOSTINIANO DELLA CONGREGAZIONE DI SICILIA, fedele alla duchessa Gaetani e Buglio e quindi in quel tempo (1764) anche legittima contessa di Racalmuto, ma non sappiamo se monaco del sopravvissuto Convento di San Giuliano, ecco come prosegue:





"VIII

Dunca la Statua si vosi ristari
in Racalmutu Terra dotta, e pia
SUPRA d'UN MUNTI si vosi firmari
lu beddu Simularcu di Maria
e ddà si fici lu so Tronu alzari
cu gioia cu festini cu alligria.
E dalli genti si fici chiamari
Regina di lu Munti alma Maria.

Secondo noi, il Catalanotto raccoglie la versione della leggenda popolare quale si era formata sino a quel tempo senza interferenze "dotte e pie". Una sorta di "vox populi". Tutte le superfetazioni comitali postume sono di là da venire ed ancora non abbiamo gli inquinamenti canonici che sboccano in quella LEZIONE del Vescovo Lo Jacono su cui tesse la sua arrogante tela quel supponente frate di Lucca Sicula, il francescano Caruselli.

E' nell'Ottocento dunque che la saga mariana racalmutese si inquina con tutti quegli intrugli feudali saturi di strafalcioni storici come quell'indefinibile Eugenio Gioieni  che diventa poi addirittura "PRINCIPE di Castronovo" da semplice Signore o peggio come quel pasticciato "ERCOLE TERZO CONTE DEL CARRETTO Signore di RACALMUTO"-

Noi ci siam dannati l'anima per trovare traccia di un Gioieni Signore di Castronovo nel 1503 e nulla siamo riusciti a trovare. Quanto alla contea di un Ercole III del Carretto siamo davvero alla follia storica.

La versione popolare quale si era raggrumata in quella terribile prima metà del Settecento e che qui con accettabili ili versi in vernacolo il CATALANOTTO ci attesta quasi notarilmente spazza via dunque tutte quelle infiorettature ottocentesche o peggio novecentesche di precedenti chiesette intitolate a Santa Lucia, o di improbabili abbeveratoi lassù al Monte sopraelevando le acque della Fontana di un centinaio di metri e retrocedendole di un chilometro.

Qualcuno mi accusa di spingermi per spirito di contraddizione ad una vacua chiosa critica, a me pare di far dire schiettamente a carte e documenti quello che veramente dicono. Certo retrocedere i toscanismi del Caruselli di Lucca Siculo  al tradizionale vernacolo racalmutese, al vernacolo se non del Catalanotto che s'ignorava e che invero genuinamente racalmutese non è, ad un dignitoso dialetto locale non fu cosa riprovevole. Noi  invece stigmatizziamo tutti quegli inquinamenti persino irriguardosi di assurdi personaggi, di nomi apocrifi quali Arsenio o Ambrogio, di petulanti contesse damigelle e che so io. Fare di un dramma sacro una pièce teatrale non eccelsa con duelli sacrileghi e con tocchi narrativi di cappa e speda mi dà ai nervi. Una santa  Vergine Maria madre di tutte le  genti propensa a divenir faziosa  prescegliendo  come suoi figli prediletti i racalmutesi e quindi  apostatando gli innocenti castronovesi oltre che storicamente assurda è cosa religiosamente  vitanda  da scomunica ipso facto.

Nulla di tanto eretico  e deviante troviamo nelle scorrevoli versificazioni dialettali del padre Catalanotto. Altro che mia vacua chiosa critica.

Calogero Taverna

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