venerdì 26 agosto 2016

mercoledì 4 dicembre 2013


Quell'incerto signor T di Leonardo Sciascia

Lettura del Giorno - IL SIGNOR T PROTEGGE IL PAESE di Leonardo SCIASCIA. A dire il vero queste 28 pagine dattiloscritte non avremmo potuto leggerle se la Signora Maria Andronico non avesse fatto più arrendevole lettura delle troppo rigide volontà testamentarie del grande Nanà, tese a non rendere pubbliche tutte le sue carte e manoscritti ed anche articoli vecchi che lui per varie ragioni non riteneva doversi diffondere.
Ma tutto sommato abbiamo voglia di essere grati alla signora Andronico che così concede a noi di goderci pagine mirabili, magari eccessivamente rondiste come le pagine che il buon Paolo Squillacioti, esecutore testamentario di lusso, ci almanacca in questo libro postumo della Biblioteca Adelphi (n. 557) dal titolo IL FUOCO NELMARE ovviamente di Leonardo Sciascia.
Nel racconto scritto prima del'11 dicembre del 1947, Sciascia - giovane ma tanto immalinconito e già con funerea propensione a prematura morte - traccia sapido profilo di  paradigmatico galantuomo da Circolo Unione di Racalmuto. Ingannevole quella T che comunque noi leggiamo per Tulumello. Ma la T poteva essere benissimo una M e così avremmo detto Matrona e perché no? Mattina ma soprattutto una B per pensare al dottor L. Burruano.
Ne vien fuori una rapsodia in nero della Racalmuto uscita dalla guerra. Con personaggi che invero abbozzano quelli del Circolo della Concordia de 'le parrocchie di Regalpetra' ma sono ancora muschiati di retaggi troppo antichi per avere vivacità ed attualità. Mummificati, insomma, E vi serpeggia tanto malumore verso un paese che sa di gabbia  per avere l'apprezzamento di noi tutti, ormai legati a questo mito sciasciano quale ci ottunde cervello e ci immerge in panegirici alquanto melensi.
In quel tempo Nanà - come scrive a Vittorini - considerava Racalmuto "paese indicibilmente triste [ma vi era] legato per lavoro e anche un po' per affetto". Non da amare certo, solo un agglomerato di case "che scendono verso il fondo verde della valle con l'urgenza  di una folla assetata, in una gradinazione assurda, aggrovigliata."
Mi incanto  a questa definizione  planimetrica. quale  ricordo benissimo essere quella della mia infanzia passata all'imbocco della biforcazione  degradante dalla Barona alla Fontana dei nove Cannoli.
E sto cercando di dissodare dalla non sempre ordinata tessitura sciasciana scisti di veridica storia racalmutese, quale fu ed ora del tutto smarrita. Fa però da velo l'astiosa ripulsa che Sciascia ha verso questo paese suo natio a cui è disposto solo  elargire un po' di affetto. Senza amore, comunque. Del resto come s può amare uno "spazio vitale" che s'immerge in una Isola "verminaio di reazione affannata a raccogliere nomenclatura nuova che mascheri i vecchi vizi."
E tale vizio, questa dissennata nomenclatura mi pare di coglierla oggidì nell'intellighenzia piccola media e grande del mio paese, tutta presa a accapigliarsi in ingrata e perfida denigrazione di una cittadina che almeno io amo visceralmente.
Avrei voglia di inventarmi un crimine a pesante condanna del connesso vilipendio di una Racalmuto il più bello "piccolo lembo di paradiso" del mondo.

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