31/10/2017 Roma, 93 Giornata Mondiale del Risparmio, Ignazio Visco e Giuseppe Vegas - Armando Dadi / AGF
Il 9 novembre, a partire dalle 10.30 del mattino, davanti alla Commissione d’inchiesta bicamerale sulle crisi bancarie, si è combattuta la seconda puntata della battaglia che vede Consob, guidata da Giuseppe Vegas, e Bankitalia, capitanata da Ignazio Visco, su fronti contrapposti. Già la settimana scorsa la Commissione presieduta da Pier Ferdinando Casini aveva registrato tutta una serie di incongruenze tra la versione fornita dalle due istituzioni riguardo alla crisi di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Questi ultimi due istituti di credito, dopo essere finiti sull’orlo del baratro, lo scorso giugno sono stati posti in liquidazione, mentre Intesa Sanpaolo ne ha rilevato al prezzo simbolico di 1 euro solo la parte “buona”. Di fatto, chi aveva in mano le azioni delle banche venete non si è ritrovato più nulla in portafoglio. Anche da qui la necessità della Commissione di fare luce sul caso, cercando di attribuire delle responsabilità specifiche.
Roma 27/09/2017, prima seduta della Commissione congiunta di inchiesta sul sistema bancario ed elezione del presidente. Nella foto al centro il neo presidente Pier Ferdinando Casini – Pierpaolo Scavuzzo / AGF
Quelle stesse responsabilità che Consob e Bankitalia, nelle audizioni separate della scorsa settimana, si sono rimpallate. I rappresentanti delle due istituzioni, allora, il 9 novembre sono stati sentiti con la formula della testimonianza separata. Ci sarebbe dovuto essere anche un “faccia a faccia” che però poi è saltato, perché la Commissione ha ritenuto di avere acquisito informazioni sufficienti a eliminare le incongruenze precedentemente riscontrate. Ha iniziato il direttore generale della Consob, Angelo Apponi, mentre il capo della Vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, è stata fatto accomodare fuori dall’aula, salvo poi rendersi conto all’interno della Commissione che quest’ultimo poteva comunque sentire l’intervento del collega “antagonista” dalla televisione via web. Piccoli equivoci a parte, in estrema sintesi, Apponi ha ribadito che, nel caso di Veneto Banca, l’autorità presieduta da Giuseppe Vegas ha ricevuto da Bankitalia le informazioni riguardanti il prezzo delle azioni troppo alto (tra i nodi centrali della questione, poiché su questo prezzo si stabiliva per la banca un valore complessivo molto più elevato di quello effettivo) soltanto nel 2013, senza che però fosse tratteggiata una “situazione di sofferenza”, mentre nel 2015 vengono trasmessi i rilievi dell’ispezione, che consentono di stabilire che il modello su cui quello stesso prezzo si basa è “frutto di proiezioni ottimistiche”.
Sempre secondo la versione di Consob, peggio ancora è andata per la Popolare di Vicenza, perché in questo caso Bankitalia non ha mai manifestato alcuna preoccupazione sul prezzo delle azioni alla “collega”. Apponi sostiene che a Consob sia stato trasmesso il quadro completo della situazione sulla Popolare un tempo governata da Gianni Zonin solo nel 2017, con la sanzione della Bce (che dal 2014 ha raccolto il testimone della vigilanza da Bankitalia). Perché sarebbe stato importante che Consob sapesse è presto detto: perché magari avrebbe evitato di autorizzare prospetti informativi connessi agli aumenti di capitale basati su un quadro di informazioni non corrispondente alla realtà. “Come abbiamo poi segnalato alla magistratura – ha detto Apponi – i dati riferiti dalle banche erano falsi”.
ASSEMBLEA CONSOB 2017, GIUSEPPE VEGAS, PRESIDENTE, 08-05-2017, MILANO – foto di SERGIO OLIVERIO / Imagoeconomica
Accuse pesanti, insomma, che tuttavia non mettono Consob al riparo da un interrogativo: volendo prendere per vera la versione secondo cui Bankitalia non ha fatto nulla per mettere al corrente la “collega” della situazione di semi dissesto delle banche venete, la Commissione guidata da Vegas, in tutti questi anni, non è stata in grado di rendersene conto da sola? Eppure c’è chi in Commissione bicamerale ha sottolineato come l’autorità rappresentata da Apponi possa, se necessario, ricorrere a strumenti di indagine “forti” come perquisizioni e l’acquisizione di tabulati telefonici. Tanto più che – è emerso dai lavori della Commissione di inchiesta – la prima volta in cui Palazzo Koch, a seguito di un’ispezione, si rende conto che qualcosa non funziona nel prezzo delle azioni della Popolare di Vicenza corre addirittura l’anno 2001: sedici primavere fa.
In ogni caso, quelle mosse da Apponi si sono rivelate accuse pesanti da cui nel pomeriggio, dopo una pausa di una ventina di minuti per il pranzo (“andiamo a mangiarci un panino”, ha sollecitato Casini), ha tentato di difendersi il capo della vigilanza di Bankitalia, Barbagallo. Lo ha fatto, sempre con la procedura della testimonianza, innanzi tutto sottolineando che la collaborazione tra le due autorità si è intensificata negli ultimi anni, soprattutto grazie al protocollo del 2012, che regola lo scambio di informazioni ma in riferimento alle obbligazioni (e non quindi alle azioni). Barbagallo ha inoltre spiegato che non è materialmente possibile consegnare a Consob gli esiti di tutte le ispezioni sulle banche: “Ne facciamo circa 250 l’anno. Se inondassimo Consob dei nostri rapporti la metteremmo in forte difficoltà”. Allora – viene da domandarsi – anche nei casi più estremi, come appunto quelli delle venete, si evita di trasmettere informazioni per evitare di sovraccaricare Consob di lavoro?
Nella foto Antonio Patuelli, Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, Giuseppe Guzzetti e Ignazio Visco. Armando Dadi / AGF
Non solo. Barbagallo, mettendo insieme gli interventi anche separati nell’ambito della sua testimonianza, ha spiegato che i titoli di capitale, e quindi le azioni il cui prezzo elevato è al centro della questione, non rientrano tra gli strumenti “normati con il protocollo” del 2012(come a dire che non esiste un obbligo di legge  a comunicare a Consob eventuali criticità a riguardo). In ogni caso, Barbagallo ha poi aggiunto che non sono state fornite informazioni ai “colleghi” di Consob “perché ritenemmo i problemi superabili”, senza contare che l’ispezione del 2001 è avvenuta in “un’epoca molto lontana, erano tempi in cui io ero un semplice ispettore di campagna”.
Da parte sua, anche Barbagallo ha fatto pervenire qualche frecciatina all’indirizzo di Consob. In questo caso, al centro della questione c’è il passaggio di informazioni su Veneto Banca, che avviene nel 2013 ma a seguito del quale Consob autorizza comunque un aumento di capitale, pur evidenziando – ha sottolineato Apponi – che il prezzo delle azioni rispetto al valore di libro risultava elevato soprattutto in confronto alle banche quotate in Borsa (le venete non erano negoziate a Piazza Affari). Secondo Barbagallo, la segnalazione sull’incoerenza del prezzo dell’aumento di capitale “era più che sufficiente per far scattare un warning dell’altra autorità”. Se questa “poi non agisce non so, non so cosa sia successo nei comitati tecnici. Nel momento in cui Consob ritiene di non avere i mezzi per poter fare una verifica può chiedere a noi, e non lo ha fatto. Se avesse voluto una collaborazione per un accertamento congiunto avrebbe potuto chiederlo”, ha concluso il capo della vigilanza di Bankitalia. Insomma, dalle risposte dei rappresentanti delle due autorità emerge tutta una serie di reticenze e falle che segnala come il sistema di vigilanza e di controlli sulle banche sia andato letteralmente in corto circuito. E’ forse da qui che occorre partire per trovare la reale soluzione a una crisi evidentemente ancora in corso.
21/03/2015 Roma. Rai. Trasmissione televisiva 2 Next economia e futuro. Nella foto Gianni Zonin produttore vitivinicolo e Presidente della Banca Popolare di Vicenza – Maria Laura Antonelli / AGF
Polemiche anche per le due emissioni di obbligazioni subordinate risalenti al 2015 da parte sia della Popolare di Vicenza di Vicenza sia di Veneto Banca. Il direttore generale di Consob, rispondendo a domande precise, ha dichiarato che, per quanto possa ricordare, i prospetti informativi relativi a quegli strumenti non sono stati approvati dall’istituzione presieduta da Vegas. “Per gli strumenti non equity (cioè che non siano azioni, ndr) c’è la possibilità di ottenere autorizzazioni di altre autorità”, come appunto avvenuto in questo caso. Il tema è rilevante perché in Italia molte obbligazioni subordinate, nonostante il grado di rischio che le colloca a metà strada tra le azioni e le obbligazioni tradizionali, sono finite nei portafogli dei piccoli risparmiatori (e sono state, tanto per ricordarlo, azzerate nell’ambito dei crac dell’Etruria e delle venete o convertite in azioni nel caso di Monte dei Paschi di Siena).
Quindi emerge quella che sembra essere una contraddizione: il protocollo del 2012, come spiegato da Barbagallo, “norma” gli incontri e la comunicazione tra Consob e Bankitalia sulle obbligazioni e non sulle azioni, ma i prospetti delle obbligazioni subordinate non necessariamente devono essere autorizzati da Consob, come accade invece per gli aumenti di capitale con emissioni di azioni. A ogni modo, sulla questione delle obbligazioni subordinate in mano ai piccoli risparmiatori, Barbagallo ha proposto una soluzione: impedire agli investitori retail di acquistare questi strumenti in sede di collocamento. “Non credo serva una legge – ha detto il capo della vigilanza di Bankitalia – si può fare se Consob è d’accordo”. In attesa di capire se le due autorithy riusciranno a trovare un punto di contatto almeno su questo terreno, non si può non rilevare che, con l’introduzione di questo criterio, ci si troverebbe nella situazione in cui i piccoli risparmiatori possono comprare titoli azionari di banche in collocamento ma, con la stessa modalità, non possono acquistare meno rischiose obbligazioni subordinate.