sabato 7 dicembre 2013

PER UNA VERIFICA STORICA DELLA RACALMUTO DI FINE XVI SECOLO


In paese, a fine del secolo XVI, non è del tutto ignota la schiavitù.  Il magnifico Giacomo Piamontisi di anni 44 e sua moglie Beatricella tengono una “scava” nella loro abitazione di S. Agata.

La loro vicina Antonella, vedova del quondam Leonardo La Licata, ricchissimo per i suoi tempi, emula il singolare rapporto e tiene “Cristina sua serva seu scava” a farle compagnia.

Del resto a quei tempi anche l’altezzosa donna Aldonza del Carretto manteneva una schiava addirittura dentro il convento che l’ospitava.

Sono invece ben 17 le famiglie che possono permettersi una “citella”, una serva:

1.              AFFLITTO (D')  CARLO MAGNIFICO

2.              AGRO'(DI) PETRO

3.              ALAIMO (DI) LU M.co PETRO

4.              BALDUNI M.co FRANCESCO

5.              CATHALANO MICHELI

6.              CHICCARANO ANTONINO

7.              GUELI (DI) JOSEPPI

8.              GUELI (DE) GIUSEPPE DI JORLANDO DI ANNI 29

9.              LA LOMIA JOSEPPI

10.           MACALUSO NICOLAO

11.           MACALUSO PETRO

12.           MONTILIUNI Not. Mco COLA

13.           PAXUTA (LA) MATTHEO

14.           PROMONTORO BALDASSARE LO S.r

15.           SALERNO JO:

16.           TODISCO Sp. ARTALI

17.           TODISCO Sra SALVAGIA

 

Sul finire del secolo piuttosto diffuse sono le maestranze: abbiamo contato  52 mastri (il % dei fuochi). Non sono tantissimi ma rappresentano sempre una discreta forza sociale, anche se “li jurnatara” e li “burgisi” (per la gran parte contadini poveri) costituiscono la massa della popolazione, a sfondo quindi proletario e spesso miserabile. I cinquantadue “mastri” sono:

 

 

1.              ALAIMO (DI) M.° ANTONINO

2.              ALLIGRIZZA M° CARLO

3.              AMICO (D') MASTRO PAOLO

4.              ARRIGO M° HYERONIMO

5.              BARBERI M° JOSEPPI

6.              BARUNI M° FRANCESCO

7.              BLUNDO MASTRO GRIGOLI

8.              BOCCULERI M° FILIPPO

9.              BONOANNO HYRONIMO M°

10.           BUFALINO M.° BENEDITTO

11.           CACHIATURI M.° FRANC.

12.           CACHIATURI M° PAULO

13.           CANSUNERI M° GERLANDO

14.           CAPOBLANCO NICOLO M°

15.           CATHALANO M° FRANCESCO

16.           DAIDUNI M° PETRO

17.           DI NOLFO M° HYERONIMO

18.           DILIBRICI MASTRO GIUSEPPE

19.           FACHIPONTI M° PAOLO

20.           GENTILE M.° LUCIANO

21.           GIGLIA (DI) M.° PIETRO

22.           GIGLIA (DI) MASTRO ANTONINO

23.           GIGLIA M.° ANTONINO

24.           GIGLIA (DE) M.° MARCO

25.           GISULFO M° SILVESTRO

26.           GUELI (di) M° ANT.no

27.           GULPI ANTONINO MASTRO

28.           JACONA (LA) M° MASI

29.           LA SCALIA M° ROGERI

30.           LO PILATO M° BARTHULO

31.           MANGIA M° JOANNI

32.           MANGIAMELI  Mastro HETTARO

33.           MEDIORA ? M° ANGILO

34.           MILACZO (DI) M° MATTEO

35.           MONASTERI M° BASTIANO

36.           MONTANA (DI) M° XANDRO

37.           MORREALI  M° MARIANO

38.           NOBILI (LO) M° FRANC.°

39.           NOBILI (LO) M° GIULIO

40.           NOBILI (LO) M° HORATIO

41.           NOBILI (LO) M° MASI

42.           NOBILI (LU) M.° PETRO

43.           PUMA (DI) M° FILIPPO

44.           PUMA (DI) M° LISI

45.           RAGUSA (DI) M° JULIO

46.           RIZZO M°  FRANCESCO

47.           SALVO (DI)  M° PETRO

48.           SANGUINEO M° MASI

49.           SPATAFORA M° PETRO

50.           TAIBI M°  FRANCESCO

51.           VILARDO ANTONI M.°

52.           XANDRA M° HYERONIMO

 

*     *    *

 

 

Fine di Giovanni IV del Carretto

 

 

Giovanni IV del Carretto fu trucidato in Palermo nel 1608: tanti diaristi annotarono quel fosco delitto.

La cronaca, fra l’altro, la troviamo nei Diari della Città di Palermo, pubblicati nel 1869 da Gioacchino di Marzo.  Eccola:

 

«A 5 di  maggio 1608, Lunedì sera, a ora una di notte. In questa città di Palermo, nella strada Macheda, alla calata a mano dritta dove si va alli Ferrari, successi uno orrendo caso, che venendo in cocchio lu ill.e conte di Racalmuto, chiamato D. Ioanni del Carretto, insemi con un altro gentilomo nominato D. Ioanni Bonaiuto (quali sempre era solito di andare con lui), come fu alla detta strata, ci accostorno dui omini, li quali non si conoscro, allo palafango [parafango]di detto; e ci tirarono dui scopettonate nel petto a detto conti, chi a mala pena potti invocare il nome di Jesù, con gran spavento di quello che era con detto conti, e con gran maraviglia di tutti li agenti; e finìo.

 

« A 7 detto, mercori, ad uri 22. Si gittao un bando arduissimo della morti del ditto conti di Racalmuto: chi cui sapissi o rivilassi cui avissi occiso a detto conti, S.E. li donava scuti cincocento, dudici spatati, quattro testi, sei destinati [nota del di Marzo: .. non è agevole intendere il significato di spatati e testi, che davansi in premio a chi rivelasse.

 

«De’ sei destinati però (qual voce in siciliano vale esuli, relegati) intendo facilmente, che accordavasi facoltà al denunziante di ottenere per sei di loro la grazia del ritorno], purché non sia lu principali ci avissi fatto  detto delitto, et anco la grazia di S. M.».

 

Ci dispiace per il nostro Tinebra Martorana: è del tutto destituita di fondamento la notizia che riporta a pag. 123 e cioè: «..il conte di Racalmuto tornava al suo castello, seguendo con la sua carrozza la via che attraversa la contrada Ferraro, sita nel nostro territorio ed a quattro chilometri dal Comune.»

 

 Nello stesso Diario, pubblicato dal di Marzo (pag. 30-31),  leggesi che successivamente:

 

 «A 20 ottobre 1608. Fu martoriato il sig. Baruni dello Summatino. Lo primo iorno happi quattro tratti di corda, e lo secundo tre, ed il terzo dui, e li sùccari [Sùccari in sic. canape o fune, con cui si collava, ed era proprio per uso della tortura. Colla ] soliti; e tinni [intendi che tenne forte a non confessare]: avendo stato carcerato del mese di agusto passato.

 

«E fu perché il giorno che sindi andli galeri di Franza, andando Scagliuni a vidiri cui era supra detti galeri, trovao uno calabrisi quali era di Paula, e travovauci certi faldetti che avia arrubati allo Casali.

 

«E pigliandolo, ci disse, che non ci facissero nenti, ché isso volìa mettiri in chiaro uno grandissimo caso.

 

«E cussì Scagliuni ci lo promisi; et isso dissi, che isso con il sig. D. Petro Migliazzo aviano tirato li scupittunati al conti di Racalmuto, essendoci ancora in loro compagnia  alli cantoneri il sig. D. Petro e il sig. D. Vincenzo Settimo; e che il detto di Migliazzo avia tirato il primo; e che il baroni del Summatino ci avea promesso onzi cento per fari detto caso. E chiamao ancora diversi personi».

 

 

In una pubblicazione dell’Archivio di Stato di Palermo  vengono fornite notizie sulla dovizia di documenti relativi al processo del presunto mandante dell’omicidio del conte Giovanni del Carretto.

 

Sono documenti che si trovano  nell’ «Archivo General» di Simancas e precisamente:

 

-  nel legajo n.° 254 è contenuta la copia del  "PROCESSO CAUSADO EN LA GRAN CORTE SOB RE LA MUERTE DEL CONTE DE RECALMUTO" CC. 123  - ANNO 1608 - VISITAS DE ITALIA 1) SICILIA.

 

Riportiamo integralmente quanto si legge nella pubblicazione dell’A.S.P.:

 

 «Si tratta degli accertamenti disposti dal visitatore ad istanza di don BLASCO ISFAR e CRUILLAS, barone di Siculiana, e don GASPARE LO PORTO, barone di SOMMATINO, suo nipote, nel processo subito da quest'ultimo, come presunto mandante dell'assassinio di Giovanni DEL CARRETTO, conte di Racalmuto. I due baroni sostengono che il processo fu messo su in base a false testimonianze dal procuratore fiscale della Corte capitanale di Palermo, GIACOMO SCAGLIONE, con la complicità del Presidente della Gran Corte RAO.

 

Il successivo Leg. 255.1. 1579-1611 contiene i discarichi di Giacomo Scaglione e vi sono le difese del funzionario in ordine alle accuse mossegli a proposito del processo contro i presunti mandanti dell'omicidio del conte Giovanni del Carretto.»

In quei “legajo” di Simancas v’è dunque il seguito della storia. Sembrerebbe un delitto in famiglia: gli Isfar sono poi gli eredi di quel genero di Giovanni I del Carretto che a dire del Bresc lo avrebbe depredato dei feudi racalmutesi; a distanza di due secoli un altro Isfar avrebbe trucidato Giovanni IV del Carretto, evidentemente per interessi.

Ma è storia di famiglia che a noi non importa gran che. E’ in definitiva storia della nobiltà palermitana, verso cui nutriamo altrettanta indifferenza.

 

La comunità ecclesiale di Racalmuto nei primi anni del Seicento.

 

Il nuovo secolo, il XVII, si apre a Racalmuto con un vuoto: non c’è ancora il nuovo arciprete. Questi viene solo dopo alcuni mesi e si tratta di

 

Andrea d’Argomento.

 

Questo nuovo arciprete di Racalmuto è comunque esaminatore sinodale ad Agrigento, ed è dottore in utroque iure; giunge nel marzo del 1600, il giorno della festività di San Tommaso dottore della chiesa, prende possesso della chiesa arcipretale di S. Antonio, anche se forse anche lui preferisce la più centrale chiesa suffraganea della Nunziata. Questo pozzo di scienza immigra a Racalmuto, oriundo da non si sa quale parte della Sicilia. Forestiero, di sicuro, ma almeno in paese ci viene e rispetta le novelle costituzioni tridentine. Non muore però come arciprete del paese; si trasferisce o viene mandato altrove. Ma per l’intero triennio 1600-2 lo ritroviamo annotato qua e là nei registri parrocchiali. In quelli dei morti del 1601 rimangono rivelatrici annotazioni come “detti fra Paulo [pensiamo a fra Paulo Fanara] la palora a l’arciprete; all’arciprete; palora al s. arcipreti”. Il senso è evidente; non può che trattarsi del regolamento dei conti della cd. quarta dei “festuarii”; in altri termini la quota di spettanza per i funerali (che costavano per le spese di chiesa, 5 tarì e 10 grani per gli adulti ed un tarì e dieci grani per le “glorie”, i bambini). Negli esempi che qui sotto riportiamo, le sepolture avvengono “a lo Carmino” (ed ecco il riferimento al celebre priore fra Paulo Fanara, di cui abbiamo fornito cenni biografici), a Santa Maria (di Giesu) - e vi viene tumulato un pargoletto della racalmutesissima famiglia Mulé, ed a S. Giuliano (accompagnata da tutto il clero vi è sepolta una tale Angela Turano, ceppo poi emigrato da Racalmuto). Sia però chiaro che non abbiamo elementi di sorta per sospettare di questo arciprete dottore in utroque. Crediamo, anzi, che sia stato bene accetto e rispettato: un “signore arciprete”, dice il chiosatore dell’archivio parrocchiale.

 

 

Dopo il 1602 sino al 10 gennaio 1606, l’Horozco ha traversie giudiziarie, contese con Roma, deve vedersela con il conterraneo - ma non per questo meno ostile - vescovo di Palermo, Didacus de Avedo (Haëdo). Perseguitato dai nobili, è costretto a fuggire in un convento amico di Palermo. Artefice di obbrobri giudiziari per il tramite del suo manutengolo, don Francesco Zanghi, canonico percettore della prebenda di S. Maria dei Greci, soccombe presso la Sacra Congregazione dei Religiosi e dei vescovi nella persecuzione contro i canonici cammaratesi don Francesco Navarra, titolare della prebenda di Sutera, e don Raimondo Vitali: il primo era accusato di pederastia; il secondo di relazione peccaminosa con la vecchia madre del primo.

La diocesi sbanda e così Racalmuto. Certe carenze d’archivio parrocchiale ne sono un indice. Il nuovo vescovo Vincenzo Bonincontro, che si insedia il 25 giugno 1607 e durerà a lungo sino al 27 maggio 1622, dovette mettersi di buzzo buono per riordinare la sua turbolenta e disastrata diocesi.

Il 18 giugno del 1608, il novello vescovo da Canicattì si porta a Racalmuto per la sua visita pastorale. Ne tramanderà una relazione minuziosa, ricca di riferimenti a persone, chiese, istituzioni, fatti e misfatti, tale da rappresentare una preziosissima fonte per la storia di Racalmuto, e non solo quella religiosa.

 

L’anno successivo, il Bonincontro ritorna a Racalmuto e completa la vista..

 

 

Il Bonincontro trova a Racalmuto una situazione che doveva essere anomala sotto il profilo del codice canonico del tempo. Il figlio legittimato - era stato concepito fuori dal talamo coniugale dall’irrequieto Giovanni IV del Carretto - don Vincenzo del Carretto si era insediato nella chiesa di S. Giuliano, elevandola a sede parrocchiale. Dove e quando e se fosse stato consacrato sacerdote, l’Ordinario diocesano non sa ma si guarda bene dall’indagare. Il potente e collerico figlio del prepotente Giovanni IV non consente insolenze del genere. Neppure il titolo arcipretale e l’appropriazione di San Giuliano hanno i crismi della legalità canonica. Il Bonincontro sorvola: ratifica il fatto compiuto. Solo, divide la terra in due parti approssimativamente uguali: la bisettrice parte dal Carmino ed arriva a la Funtana lungo un percosso che per quante ricerche abbiamo fatte non siamo riusciti a tratteggiare con sicurezza. Non passava di certo per la discesa Pietro d’Asaro, al tempo un vadduni pressoché impraticabile, ma lungo un dedalo di viuzze a sud-ovest. Lambiva la chiesa di Santa Rosalia, posta al centro del paese, ma dalla parte di S. Giuliano, per irrompere nella parte terminale della vecchia via Fontana.

La parte a sud-est viene lasciata a questo strano arciprete; quella a nord-ovest, in mancanza di anziani ed autorevoli sacerdoti, viene assegnata al giovane - è appena ventisettenne - fratello del pittore Pietro d’Asaro, don Paolino d’Asaro. Di sfuggita annotiamo che il pittore nel 1609 è già affermato ed una sua tela - oggi purtroppo irrimediabilmente perduta - viene apprezzata, come abbiamo visto, in occasione della visita a Santa Margherita, la chiesa congiunta e collegata con quella di Santa Maria (Visitavit Altare, supra quo est pulchrum quadrum dictae S. Margaritae  depictum in tila manu pictoris Monoculi Racalmutensis, annota il segretario del vescovo).

 

Giovanni IV del Carretto, familiare del Santo Ufficio, ma per interessi e per sottrarsi a tribunali laici molto meno accomodanti, non dovette essere molto religioso. Quel figlio legittimato che faceva il prete nel suo lontano feudo di Racalmuto doveva apparirgli come un povero diavolo che si arrabattava per superare le umiliazioni del suo essere stato concepito in toro non benedetto. Gli echi della vita religiosa della sede della sua contea gli saranno pervenuti, ma molto affievoliti, lasciandolo nella totale indifferenza. Non vi è documento che comprovi la sua presenza, anche saltuaria, a Racalmuto. Ma appena seppellito quel truculento conte, il figlioletto deve raggiungere la lontana dimora di Racalmuto, così diversa dai fasti di Palermo.

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