giovedì 23 luglio 2015

la poco signorile caduta del gran filosofo




DIARIO MINIMO DI .....


Che mi combini? - ossessivamente me lo sento ripetere da una settimana. In effetti nulla agli altri, tanto a me.



Domenica mattina, ore 9, per accontentar mia moglie vogliosa di uno stenditoio in giardino, vedo se due occorrenti lunghi pali dovesse averli l'orefifice del luogo (un negozio di ferramenta sempre aperto e ben fornito ma a prezzi iperbolici ragion per cui il nomignolo di orefice al titolare).


Scendo giù dal conventino delle monache per la via dei locali signorotti e subito dal signor Renzo: aperto anche nel giorno del Signore e fornito delle aste alabardate a a me necessitanti.



Pago e prendo in mano gli assi ferrei appoggiati al muro del portone . Pesano, son distratto, i miei occhi strabuzzano guardando in alto, i piedi ornai stricano per terra- (Pe' li pedi strichi, muortu sì, era salacità del vecchio Circolo Unione di Racalmuto). Qui a Santa Luci musica diverso ma senso omologo. Non mi accorgo del gradino in appendice del muro d'ingresso. Paffti! Vi incoccio; saltello per due tre volte riproponendomi di non cadere. Alla fine dall'altra parte della strada, tutto giù per terra. Escoriazioni dappertutto, il labbro si enfia, i denti scricchiolano e fin qui transeat. Il guaio peggiore capito al mio dito medio della mano destra che stentava a tenere i ferri, peraltro cellofanati. Stordito, sanguinolento, sforzi disumani per sollevarmi da terra. Non passa anima viva. Rizzatomi cerco di sollevare i ferri. Uno sguardo al dito ed ho i raccapricci: quei maledetti ferri avevano tranciato la parte finale della falangetta mettendo a nudo persino la punta dell'osso.



Vicende successive: tra prime medicazioni di mia moglie che per poco non sviene schizzata dal tanto mio sangue, corsa alla guardia medica, uno simulacro di assistenza sanitaria nell'arco di una cinquina di chilometri, un riesumato dalla tomba per medico di guardia, una corsa al pronto soccorso di Avezzano, una cinquantina di chilometri distante. L'assegnazione di un codice verde e dalla prima mattina un distratto medico che manco mi guarda la ferita dà ordine ad una paciosa infermiera di portarmi in qualche buco libero per una prima medicazione dopo una decina di ore di attesa.



Pensiero filosofico: non riesco a formularlo. Banale dire che puoi sentirti l'uomo più salace del mondo, il genio più tetragono che si riesca a pensare, il satiro più satirico dell'universo, ma basta un piccolo sguardo al cielo per finire inerme, bacucco, basito, sballottato qui e là senza più decoro, privo di decenza alcuna. Sufficiente ciò per spiegare l'arcano Einsteiniano del miracolo della vita?

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