giovedì 14 gennaio 2016

Archivio di Stato di Agrigento
Da Inventario n. 32

Conto di Racalmuto del 1878 presentato da Nalbone Luigi.

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 Fascicolo n. 403 (Inventario n. 32)
 - Conti Racalmuto 1869-1887
«Conto entrata ed uscita per l'esercizio 1886.
reso dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.»

- Anno 1885

reso dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.
















[Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.) - Busta 80 sf. C 1]
Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)  1925 - Busta 80 sf. C 1]
Espresso del 30 luglio 1925.
«il 15 andante circa 120 operai della miniera di zolfo Terrana di racalmuto e Grotte si astennero dal lavoro pretendendo l'aumento del salario in seguito dell'avvenuto aumento del prezzo dello zolfo. Alle ore 9,30 dello stesso giorno operai predetti recaronsi quello scalo ferroviario assistere passaggio On. Farinacci, che fermatosi pochi minuti promise suo intervento favore operai stessi. Però giorno 20 successivo tutti zolfatai bacino minerario Racalmuto e Grotte, segno solidarietà e per analogo scopo si astennero pure lavoro. Di seguito laboriose trattative .... fu raggiunto accordo sulla base  ... dell'aumento del 10 % sui salari attuali a decorrere dal 1° Agosto p.v. ..»
Testo accordo:
«L'anno 1925 addì 28 luglio nell'Ufficio di P.S. di racalmuto alle ore 12.
 «Sono presenti i sigg: Comm. Angelo Nalbone esercente miniera Cozzotondo, Cav. Rosario Falzone esercente miniera Giona G. e P. Galleria, Mattina Salvatore di Gaetano in rappresentanza degli esercenti della miniera Giona-Salinella N.°3-6; il cav. Baldassare Terrana esercente della miniera Dammuso, il Cav. Vassallo Ernesto esercente miniera Quattrofinaiti  Vassallo, il sig. Ricottone Giuseppe fu Giuseppe in rappresentanza  per la  sua parte della miniera Gubellina  ... e dall'altra parte il sig. Lo Sardo Giuseppe fu Nicolònella qualità di presidente del locale Sindacato Fascista Zolfatai, Piazza Salvatore di Salvatore nella qualità di Vice Presidente, il sig. La Mastra Giuseppe di Nicolò nella qualità di Segretario, i sigg. Guastella Vincenzo fu Antonino, Taibi Salvatore fu Giovanni, Mattina Giuseppe di Nicolò, Bartolotta Michelangelo fu Raffaele, Arturo Gioacchino fu Gioacchino nella qualità di consiglieri di detto Sindacato, i quali per non prolungare uno stato di cose nocivo ai reciproci interessi e anche alla Economia Nazionale sono di pieno accordo addivenenti mercè l'opera del locale funzionario di P.S. con l'ausilio dell'Avv. Burruano Salvatore membro del Direttorio Provinciale fascista alle seguenti convenzioni da avere vigore in tutte le forme di legge a datare dal 1° Agosto 1925.
«Gli esercenti tenuto conto presente l'ultimo listino del Consorzio zolfifero siciliano n. 118 ove è segnato un aumento del prezzo di vendita in ragione di L. 5 a quintale, concedono alle maestranze, che accettano, un aumento del 10% sul prezzo base pagato sin oggi.
«Tale aumento unito ai precedenti aumenti dell'8 e del 6 per centosommano un totale del 24% sul prezzo base.
«[.......]
«I rappresentanti delle maestranze si impegnano a fare riprendere il lavoro a cominciare da domani 29 andante.»


Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza (P.S.)  1932 - Busta 41 sf. C 1]


30.6.1932
«29 corrente Racalmuto - Nalbone Luigi proprietario esercente miniera Cozzotondo - per nota crisi industria zolfifera - ha sospeso estrazione minerale lasciando disoccupati 74 operai Racalmuto - Comandante Tenenza Ten. Lo Monaco.»


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Da una lista a stampa dell'Archivio di Stato di Agrigento
«Lista della sezione elettorale di Racalmuto.
«N.ro d'ordine  - Elettori Cognomi e nomi - PATERNITA' - data nascita - titolo o qualità che gli
lista   lista                                                                                                                        conferisce il diritto  
com  politica                                                                                                                  elettorale commer-
mer   comuna                                                                                                                le
ciia    le
le    
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181     316       - Nalbone Giuseppe      di Luigi     - 28 marzo 1857 - negoziante di zolfo.
182     317       - Nalbone Angelo          di Luigi      - 2 giugno 1863 - negoziante di zolfo.





Lo storico locale E.N. Messana (op. cit. pag. 358) retrodata sentimenti antifascisti del dopoguerra con evidente falsificazione della realtà, quando storicizza le sue personali fantasie sul tiennio racalmutese 1919-1922.  «A Milano intanto, - annota - nel marzo dello stesso anno [1919], fu fondato il fascio di combattimento. La borghesia e specialmente i capitalisti presero respiro di quella forza antirivoluzionaria e violenta che subito cominciò a bravacciare nelle città e nei comuni. A Racalmuto, il partito nazionalista, di già menzionato, aveva accampato le pretese di rappresentare la conservazione contro la evoluzione affiorante, sebbene con metodi inesperti e puerili. Le notizie dei fasci e dello squadrismo si raccontavano al circolo Unione ed al circolo degli Amici. Qualche do’ esultava a quelle nuove e non nascondeva il desiderio che anche a Racalmuto venissero i prodi in camicia nera a bastonare gli zolfatai e i contadini.» Ma la questione - come vedremo in seguito - era ben altra, più complessa e  più gravida di conseguenze sociali.


Il biennio 1923-1924 è denso di avventimenti che sicuramente moficano lo scenario nazionale: è però erroneo ritenere che si apra una parentesi destinata a chiursi a conclusione della guerra, adottando il criterio interpretativo del Croce. La storia non procede per salti. Solo alcuni processi modificativi hanno sussulti di accelerazione. E la consegna dei pieni poteri a Mussolini alla fine del 1922 è una di queste fase. Peculiare diventa l’acquisizione di una sensibilità delle masse in senso nazionale che, sicuramente prima difettava, specie in Sicilia.
Per il pensiero ufficiale




In quegli anni egli [il sacerdote cui Ben Morreale dà l’improbabile nome di Giufà, n.d.r.] si rallegrò dell’aria festosa assunta dal paese. Tutti indossavano splendide uniformi e il capostazione aveva ricevuto l’ordine d’indossare sempre la sua, che aveva quattro o cinque galloni sul braccio. Il postino, il personale delle ferrovie, il caposquadra delle miniere, gli impiegati, gli amministratori, tutti possedevano l’uniforme ed erano istruiti dal capo centurione, un uomo grande e grosso che diceva loro con voce severa, mentre stringeva le mascelle e li guardava con occhio truce: - Dobbiamo salutarci reciprocamente, ovunque l’uno veda l’altro. Capito?
«Il capostazione sogghignava ogni volta che salutava Giufà e quando era al circolo dei nobili alzava il braccio per salutare e poi lo ripiegava di colpo sull’altro emettendo con la bocca un suono osceno: era un residuo del principio a cui si ispiravano gli uomi d’onore: qualsiasi autorità, che non fosse la propria, doveva essere messa in ridicolo.» (6)


Il Circolo degli Amici si chiuse in quel periodo perché i suoi soci in maggioranza non si tesserarono al fascio. Nuovi soci non ne entrarono più per paura del libro nero e si esaurì lentamente. Macaluso fu infatti l’uomo del libro nero, lo diceva sempre di annotarsi il nome di chi gli faceva sgarbo, per saperlo colpire al momento opportuno. E siccome faceva sul serio seccava ai più di finire scritto là e si preferiva ingoiare e stare alla larga, quando non si riusciva o non si sentiva di fare il codino come gli altri. Non mancarono i ricorsi contro don Enrico, spesso anonimi, avevano paura di farsi conoscere gli autori, anche se, a dire della gente, si lasciavano individuare e risultavano buoni professionisti con un decoroso passato politico alle spalle. Si attribuì all’avv. Carmelo Burruano un ricorso, l’altro al farmacista Argento.
«Sindaco Don Enrico lo fu poco, perché nel marzo del 1927 si sciolsero tutti i consigli comunali d’Italia ed i comuni furono affidati ai podestà di nomina governativa, che si riduceva a nomina del capo del fascio della provincia. Il podestà  doveva rinnovarsi ogni quattro anni e doveva essere collaborato dalla consulta podestarile nei centri grossi, nominata da lui stesso, a cui venivano conferite le funzioni della giunta comunale. Nei piccoli comuni il podestà aveva facoltà di delegare alla firma un cittadino di sua fiducia per la continuità della vita amministrativa in caso di sua assenza. La prima deliberazione podestarile di Racalmuto, come si rileva dagli atti d’archivio del municipio, porta la data del 9 aprile 1927. Enrico Macaluso fu sindaco per meno di nove mesi, poi diventò podestà per intrigo e raccomandazione di Abisso. Alla firma delegò l’ins. Giuseppe Mattina fu Gaetano il 5 novembre dello stesso anno. Da podestà diede meglio sfogo al suo carattere  singolare, incline al ripicco ed alla vendetta, pronto al pettegolezzo ed implacabile nell’odio e nell’amore, pretenziodo di continue umiliazioni e di sciocche e melliflue deferenze, fanatico e puerilmente capriccioso.
«Se ebbe dei difetti gravi ed incancellabili, ebbe anche dei pregi encomiabilissimi. Fu onesto fino allo scrupolo. Non rubò nè permise che si rubasse. Ebbe sacro rispetto per l’erario e per tutto ciò che fosse patrimonio del pubblico. Non trasse profitto alcuno dalla carica di podestà e di altre che ne ebbe. Fu infatti presidente del Consorzio delle ‘tre sorgenti’ per molti anni, consigliere del Banco di Sicilia, sciarpa littorio del partito nazionale fascista e console del Touring Club italiano. Ebbe amicizia con tutte le autorità del suo tempo, sia civili, sia militari, sia religiose, relazioni che seppe cattivarsi con la sua straordinaria generosità nel donare. Non calcolò interesse pur di emergere e di acquistare rispetti. In questo campo fu tale la sua prodigalità che può dirsi di aver diviso il suo patrimonio, ed era considerevole, alla gente. Nessun racalmutese può vantarsi di non essere stato un suo debitore. A chi andava a comprare medicinali o radio, o, più tardi elettrodomestici, prima cucine, sedie ed altro, quando chiedeva il conto lui rispondeva ‘Po si nni parla’. Il cliente in altra occasione si dichiarava pronto a pagare e lui ancora rifiutava. Guai ad insistere. Cambiava espressione e grave diveca: ‘I conti a casa mia li debbo fare io’. Era la premessa di una rottura. La gente così facendo, volente o nolente, gli restava vincolata, anche se non mancavano persone che si urtavano di questo vincolo a cui venivano costrette senza la loro volontà. Lui però era felice di poter dire che tutti gli dovevano o, nominando qualche persona che gli mancava di rispetto, dire in farmacia davanti al pubblico, ‘perché nun mmi veni a pagari primu’, quando non la mandava a chiamare e gli intimava l’immediata soluzione del credito. Questa prodigalità sui generis finì col ridurlo in cattive condizioni economiche e sarebbe morto all’elemosina se non avesse posto riparo una ragazza, che a tarda età rese sua figlia adottiva e salvò il salvabile. Il grosso però fu tutto venduto e i soldi divisi ai clienti del suo esercizio e della sua farmacia.
«Nell’attività amministrativa don Enrico pensò prima di portare a conclusione le opere avviate dai suoi predecessori, ma con scarso risultato, perché, non ammettendo interferenze nell sua volontà, finiva col provocare passiva reazione negli uffici o fra coloro che dovevano necessariamente portare avanti le cose, quando non incontrava opposizione dura, da cui scaturivano lunghi processi civili. Il progetto per le fognature, per l’ammontare di L. 900.000 lo approvò il 19 marzo del 1927, ma le fognature si fecero nel 1956, quando il fascismo era morto e sepolto e lui relegato alla sola attività professionale. Collaudò l’esecuzione del contratto con l’impresa elettrica Siculo Lombarda, redatto l’11 febbraio 1925, secondo il quale si costruì in paese la centrale elettrica, nei pressi della stazione, con motore generatore di corrente. Tale motore sfruttava l’acqua della Fontana a mezzo di una pompa aspirante, che in fase eduttiva provocava una cascata sufficiente alla generazione dell’elettricità necessaria a fornire luce agli abitanti ed alimentare 384 lampade ad incandescenza sparse nelle vie dell’abitato, di cui 14 nel corso Garibaldi. Tentò di realizzare il vecchio progetto dell’edificio scolastico, redatto nel 1913 dall’ingegnere Stefano Bianco per una spesa di L. 335.000, aggiornata nel 1919 e portata a L. 735.000, nel 1922 ad 1.300.000, ma non vi riuscì perché provocò un giudizio civile col proprietario del fondo ove doveva essere ubicato, nello spiazzale Palma. L’edificio infatti potè sorgere solo nel 1936, dopo la sua caduta.
«Subito dopo la prima guerra mondiale in Racalmuto si era costituito il comitato pro monumento ai Caduti, stabilendo a presidente il sindaco pro tempore. Si erano raccolte selle somme sufficienti alla costruzione mediante sottoscrizioni civiche ed offerte degli emigrati di America. L’opera era in corso di realizzazione quando subentrò Macaluso a presidente del Comitato. Egli cominciò a rivoluzionare il programma precedente e si venne ad una clamorosa divisione fra i componenti in merito alla forma ed all’ubicazione dell’opera. Questa divisione durò per sempre. Don Enrico non mollava e quelli intralciavano il suo operato. Gli anni passavano ed il paese era rimasto uno dei pochissimi d’Italia a non avere un ricordo degli infelici giovani morti sul campo di battaglia.
«Intanto il 10 settembre del 1929 il podestà deliberava l’offerta di L. 100 del comune per contributo alla lampada votiva per i caduti in guerra di Agrigento, non potendolo fare per i racalmutesi sprovvisti di monumento.
«Quando si fece la nuova strada di circonvallazione, oggi Filippo Villa, Macaluso comprò con i solde del comitato e per conto del comitato un po’ di suolo edificabile di proprietà dei Baiamonte a San Gregorio, prima adibito a mulino per l’epurazione della feccia di mosto. Nel punto d’incontro fra la strada di circonvallazione ed il cosro Garibaldi fece fare un recinto in filo spinato, che sarebbe dovuto diventare, ma non lo fu mai, un’aiuola spartitraffico. Nel mezzo di questo recento vi fece piantare un albero di pino, dedicato ad Arnaldo Mussolini, ma non crebbe e fu estirpato secco nel 1950. Contava di costruire, ove oggi è l’Esso, sul suolo edificabile dell’ex mulino, la casa del fascio ed il monumento ai Caduti. Gli anni passarono e non sorse mai niente. Negli ultimi tempi della dittatura soltanto le basi di un edificio. [...]
«Durante il podesterato del Macaluso, i lavori pubblici furono curati dal di lui fratello Cesare, dottore in agraria, addetto ai sindacati fascisti. Don Cesare era stato in Tripolitania ed aveva visto le strade di là com’erano fatte, le famose strade a mac adam con sottofondo in breccia aggregata con polvere di cava. Pensò d’introdurre questo sistema a Racalmuto, furono divelti quasi tutti i selciati a ciottolato delle strade e cambiate in mac-adam. La riforma ben presto risultò inidonea. La friabilità delle pietre sabbiose ed il clima dell’Africa agevola la durata delle vie fatte con questo sistema. Le rocce di Racalmuto non essendo nè sabbiose nè friabili, non resistettero all’uso, si frantumarono e si cambiarono in polvere di estate ed in fanfo d’inverno. In via R. Margherita e in Via Asaro d’inverno era un problema passarvi. Se si andava su si dava un passo in avanti e tre all’indietro con i piedi affondati nella mota. Se si andava giù si rischiava di finire a terra con qualche scivolone. Meno male che macchine non ce n’erano tante, se no gli sbandamenti sarebbero stati frequenti e disastrosi. Le macchine allora erano rarissime, le prime Balilla e le Ardita le ebbero Giuseppe Mattina, l’avv. Carmelo Burruano e l’avvocato Luigi Cavallaro, che era funzionario del Banco di Sicilia. Poi si fornirono di macchina i Nalbone e si fecero i primi autisti di piazza, Di Marco e Don Pietro Sedita.
«Macalus ebbe il culto degli alberi e si devono a lui gli alberi che costeggiano la strada che va al padre Eterno e la via Filippo Villa. Altri alberi costeggiano la via Macaluso e Ferdinando Martini, fino al ponte Carmelo e fino alla Stazione ferroviaria. Ne restano pochi perché sono stati, purtroppo, distrutti dai frontisti della strada, dimostrando scarso senso civico. Lo spiazzale Canalotto, oggi occupato dalle case degli zolfatai, sotto Macaluso fu attivato a Palco della Rimembranza e vi sorsero tanti alberi dedicati ai Caduti. Durante l’estate vi si eseguiva ogni Domenica sera un concerto bandistico e spesso proiezione cinematografica muta delle pellicole in voga. La musica non suonò più al Canalotto, che cessò di essere meta e ritrovo delle passeggiate estive, verso il 1935, in seguito ad un fatto di sangue avvenuto proprio ai piedi dell’icona attaccata al muro di fronte, lato Ovest. Vi fu assassinato il procuratore del registro Sciascia ed il delitto rimase impunito, perché non si individuarono i colpevoli.
«Don Enrico fece restaurare il teatro riportandolo alla primiera sontuosità, ma non riuscì ad evitare che fosse adibito a sala di proiezione cinematografica. Dapprima era il comune a gestirlo direttamente, poi si diede in appalto, sotto Mattina, a Parisi, indi a Collura e a Bordonaro. Con gli appalti cominciò a rovinarsi il locale. I gestori non avevano interesse a custodire l’iimobile, il quotidiano uso e la vetustà a poco a poco lo resero inagibile.
«Curò il riattamento del municipio, disimpegnando tutti gli ambienti a mezzo del corridoio che collega al salone del lato sud, rimettendoci soldi di tasca propria ed impegnando architetti ed artisti di vaglia. Dopo i patti lateranensi, nella consegna della congrua parte alla chiesa, riuscì a tacitare l’arciprete di allora, Giovanni Casuccio, con la restituzione dell’intero locale di S. Giovanni di Dio a soluzione dei diritti su altri edifici del comune. Tale atto fu abbastanza lodevole perché servì a conservare integra la proprietà al comune del municipio, del cimitero e della chiesa di S. Maria e dell’ex orto delle clarisse, area oggi occupata dal teatro. [...]
« Fra le opere meritorie della sua amministrazione va ricordato l’acquisto dei locali dell’ex Castello del Conte, Lu Cannuni, o palazzo Chiaramontano. Questo edificio era finito in mano ai privati. Alla famiglia Presti la parte di sud est e di sud ovest; l’ingresso, la porta centrale, il salone delle adunanze della Signoria, tutto il versante di nord e le due torri in mano di Padre Cipolla. Ciò dopo che non fu più adibito a carcere. Padre Cipolla ne voleva fare un educandato femminile affidato alle suore domenicane, ma quando nel 1930 fallì, l’immobile, venduto all’asta per L. 2000 (duemila), l’acquistò il Comune.
«Con gli impiegati non fu mai in confidenza. Mantenne il distacco, ma ebbe garbo nei rapporti personali. Tutte le mattine arrivava il primo al Municipio, entrava nel suo abinetto, lasciava la porta aperta e così impegnava i dipendenti ad essere scrupolosi nell’osservanza dell’orario. Col pubblico non fu mai tenero. Usò il confine e l’isola, le vili armi della dittatura fascista, a discrezione [...]
«Un bel giorno .. dovette ingoiare un rospo:  venne privato della segreteria politica e fu nominato in sua vece Tito Tinebra. Mobilitò le sue forze ed ingaggiò battaglia. Cadde Tinebra e fu nominato il suo amico Giuseppe Mattina. Si sentì appagato e riprese fiato ad esercitare le sue funzioni di tirannello paesano.
«Il fascismo intanto si realizzava con la sua pesante struttura anche nel paese. Nata l’opera Nazionale Balilla, don Enrico si affrettò ad iscrivere socio perpetuo il comune l’8 gennaio 1928. Nel 1930 l’iscrizione all’opera Nazionale Balilla diventò obbligatoria per tutti i fanciulli e le fanciulle che dovevano frequentare le pubbliche scuole elementari e per gli studenti di ogni ordine e grado. Cominciarono le fastodiose adunate del Sabato e della Domenica, le sfilate estenuanti e le parate stupide fra le vie imbandierate fitte e le bestemmie degli anziani. Le donne scesero pure a sfilare, le maestre e le giovani. A Racalmuto la dirigenza dei fasci femminili la ebbe sempre, nella qualità di fiduciaria, collaborata dalle figlie del farmacista Argento, la maestra Piera Taibi. Le divise omogeneizzarono apertamente i cittadini. L’opposizione però continuava nel segreto a vivere, pur se divenne presto innocua all’arbitrio fascista. Il giornale ‘L’Unità’ arrivava da parigi in un pacchetto con la scritta profumi. Il fattorino postale Salvatore Morreale lo sapeva e portava il pacco a Giovanni Facciponti, in un salone sopra l’attuale negozio di Falco. L’Unità si vendeva una lira la copia, prezzo iperbolico per i tempi e la comprava Vincenzo Vella, Eduardo Romano, Vincenzo Macaluso, Giuseppe Cutaia e qualche altro di nascosto, sapendo che se fossero stati scoperti il confine non glielo avrebbe tolto nessuno.
«Durante tutto il periodo fascista continuarono ad essere comunisti, subire discriminazioni violente e non piegarsi, affrontando fame e disagi, ma rimanendo a Racalmuto Vincenzo Macaluso fu Stefano falegname, Salvatore Jacono calzolaio, Salvatore Dell’Aira muratore, Eduardo Romano, muratore, Giovanni Lo Forte, Di Liberto Carlo, Luigi Leone, Leonardo Abramo Vizzini, Alfonso Tirone Tiberio e qualche altro. Mantenersi iscritto clandestinamente al partito comunista durante il fascismo era una impresa non facile, si trattava rischiare la galera ad ogni istante e la rovina della propria famiglia. Loro furono in continuo contatto con Cesare Sessa a Raffadali. Per lo più vi si recava Eduardo Romano, col pretesto che andava a badare alla campagna dell’avv. Vincenzo Campo, cognato del Sessa. Solo Sessa rimase nell’Agrigentino a reggere le fila del partito comunista. Il dirigente Scarfidi, in seguito ad un’aggressione subita a casa dalle squadre fasciste, dalla quale scampò mediante l’intervento di un alto magistrato, al quale era amico, che, quel giornoper caso, era andato a fargli visita e fu presente, era fuggito e si era rifugiato in un convento. I comunisti di Racalmuto, spesso Romano ed una volta anche Abramo, durante la dittatura andavano anche a presenziare riunioni segrete a Palermo. Avvenivano in una casa in via Albergheria ed erano presiedute dall’onorevole Pilato.
«Ad Eduardo Romano infine è da attribuirsi il merito di avere salvato il grosso del partito, che poi furono quelli che in maggioranza fecero l’abiura a don Enrico, dalle persecuzioni. Infatti, allorchè alla caserma gli chiesero l’elenco dei tesserati, egli fornì un elenco in cui comparvero i notabili e tutti i morti e gli emigrati. Un plauso solenne vada pertanto a costoro vivi e defunti, che ebbero il coraggio di professare le proprie idee affrontando ogni rischio. E ben ha fatto il partito comunista nel 1961 ad offrire una medaglia di bronzo ed il diploma degli otto lustri di fedeltà ai superstit, perché le nuove generazioni potessero conoscere ed ammirare gli uomini tenaci e fermi nel loro credo anche in clima di difficoltà e divieto. Da Racalmuto poterono avere quest’attestato di riconoscenza, Salvatore Dell’Aira, Di Liberto Carlo e Vincenzo Macaluso. Quest’ultimo alla memoria, per essere deceduto giorni prima. Don Enrico non seppe mai queste cose e dire che aveva sempre fra i piedi Carmelo Romano, il fratello di Eduardo che gli faceva l’amico e badava a tener lungi i sospetti dalla sua casa.
«Lui seppe solo il borbottio della bottega Giudice e del salone Bellavia, ma non potè mai eccpire alcunchè per colpire con carcere e confine il titolare ed i frequentatori. [..]
«Il giovane che sin qua ci ha seguiti ci darà, credo, dell’esagerato, ma prima di giudicare si informi e saprà che il fascismo aveva un decalogo, i cui primi articoli o comandamenti così dicevano - 1) Mussolini ha sempre ragione; 2) le punizioni sono sempre meritate; 3) la Patria si serve anche facendo da guardia ad un bidone di benzina, ecc. ecc.
«Quando vedrà che il governo fascista imponeva il domma dell’infallibilità del suo capo, costringeva la supina accettazione di ogni pena e poneva tutte le attività lavorative al servizio della Patria, per attribuire il delitto di attentato alla sicurezza dello Stato contro ogni inadempienza, si accorgerà che non siamo esagerati e si meravigliera che un popolo di circa 45 milioni di componenti ha sopportato per venti anni tanto obbrobrioso sistema. Coloro che avevano assaporato la libertà democratica mal sopportavano tanta opprimente vuotaggine, ma guai a manifestare la loro avversione, si rischiava il confine o la galera, il domicilio coatto o una serie di legnate e sevizie nelle caserme. Ebbe considerevoli guai Edoardo Romano, per esempio, perché a Giovanni Agrò che gli ingiunse un giorno al campo sportivo di credere, obbedire e combattere, rispose: - Combattere sì, perché se mi chiamano alle armi non mi posso rifiutare, obbedire altrettanto perché se non ubbidisco mi costringono a farlo, ma credere no, perché nessuno può impormi una fede. [...]
«Si nasceva figli della lupa e si aveva una divisa da portare ed un moschetto. Si diventava balilla e la stessa cosa, poi avanguardista, giovane fascista, camicia nera ecc. L’opera nazionale Balilla era stata sostituita dalla Gil, gioventù italiana del littorio, che inquadrava tutta la gioventù della nazione in un casermone rigurgitante odio ed abuso, soverchieria e sbronzerie dei tanti megalomani dell’epoca. Per andare a scuola si doveva presentare la tessera Gil, sia per le elementari che per le medie o superiori, comprese le università, dove oltre al diploma di maturità si doveva esibire il certificato di iscrizione al G.U.F., gioventù universitaria fascista, e l’attestato di avere superato il brevetto sportivo. Senza la tessera Gil non si poteva nemmeno lavorare. A Racalmuto potè rifiutarla un solo giovane, Calogero Macaluso, figlio di un cugino di don Enrico, il quale da solo, o per contatti con Eduardo Romano, diventò comunista. Costui fu raggiunto dai tentacoli della piovra nera del fascismo e fu chiamato in caserma dai carabinieri. Il maresciallo gli disse, fra l’altro, che lo avrebbe arrestato se non prendeva la tessera. Lui ebbe il coraggio di ripondere: - mi arresti pure, è necessario che i nostri compagni in galera ricevino il conforto delle nuove generazioni. - Non fu arrestato perché don Enrico non volle subire l’affronto di far sapere ovunque che un suo omonimo parente non era fascista.
«Nelle scuole si studiava dottrina fascista e cultura militare fino alla università dove pure era la materia obbligatoria di mistica fascista. Prima di andare soldati c’era il premilitare obbligatorio, e qui a suon di nerbo i giovani diciottonni, ogni Sabato pomeriggio, per ore ed ore dovevano stare a fare marce ed istruzioni. A Racalmuto il premilitare si faceva al campo sportivo, lo faceva fare il geometra Luigi Falletti, coadiuvato dal cadetto della milizia Luigi Di Marco e qualche altro. Non so altrove, ma a Racalmuto la borghesia aveva un privilegio, non faceva le istruzioni. Noi studenti facevamo gli elenchi al geometra Falletti e stavamo ogni sabato a guardare. Ricordiamo la nausea e la ribellione che provavamo quando vedevamo schiaffeggiare sonoramente i poveri giovani contadini ed a volte anche bastonare, perché si muovevano sull’attenti o per altro. La nausea ci veniva perché già ai nostri diciotto anni eravamo organizzati da circa due anni nelle file clandestine antifasciste. Alla formazione del nostro pensiero politico, impreciso partiticamente, ma decisamente ugualitario, di sinistra e di pronta opposizione al fascismo, contribuì, oltre la famiglia sempre antifascista alla quale apparteniamo, il nostro insegnante di filosofia Ettore Centineo, che ci schiuse la mente alla democrazia ed alla critica. Siamo entrati nelle organizzazioni allora operanti in Italia per mezzo di Leonardo Sciascia [..] A lui si deve la formazione di un gruppo di studenti antifascisti in Racalmuto e la coscienza della brutalità di quel partito, nonchè della sua carenza ideologica fra gli studenti di ieri e professionisti di oggi in questo paese. Leonardo Sciascia, convinto comunista nel 1938 e 39, quando aveva 17 e 18 anni, riuscì a fare preziose cellule nel paese, si ricordano Angelo Picone, Diego Paradiso e Salvatore Cavallaro, oltre noi e qualche altro fra coloro che collaborarono nei limiti delle loro capacità, compromettendosi magari, a prepare la resistenza contro il fascismo ed a sabotare le organizzazioni della dittatura. [...]
«Feste nazionali sotto il fascismo erano: il 23 marzo, anniversario della fondazione del fascio, il 21 aprile, natale di Roma, l’11 febbraio anniversario del Concordato con la Chiesa, il 24 maggio, entrata in guerra, il 28 ottobre anniversario della marcia su Roma ed il 4 novembre festa della vittoria. [..] Una mattina di festa nazionale il dottor Giuseppe Cavallaro ebbe inferto dai fascisti racalmutesi un colpo terribile, tale che tarò per sempre la sua salute. Il dottor Cavallaro era un vecchietto senza figli, che ogni giorno con la moglie andava a trovare il suocere e i cognati. Un giorno fu fermato in Via R. Margherita, davanti di Pavia dai militi. Gli chiesero perché non portava la camicia nera quantunque festa nazionale. Il povero dottore rispose di averlo dimenticato, essendo uscito di premura per fare una visita di urgenza. I militi fecero l’addebito e riferirono al segretario politico. Il dottor Cavallaro ebbe ritirata la tessera d’iscrizione al partito nazionale fascista. Tale provvedimento significava la rovina, infatti senza tessera non si poteva esercitare la professione sanitaria, perché l’ordine dei medici lo vietava. Il dottor Cavallaro, sospeso dall’esercizio professionale, si dispiacque tanto, anche se stava economicamente bene, che si ammalò. Non si guarì più e morì alcuni anni dopo. [...]
«La delinquenza però è bene che si dica non finì proprio sotto il fascismo, e la stessa mafia non fu eliminata, infatti ad essa, strumento di repressione contadina, si sostituì lo stato autoriatario fascista, cioè non ve ne fu più bisogno e sembrò essere stata debellata, ma debellata non fu tanto che rinacque così rigogliosa alla caduta del regime, cessarono soltanto le efferatezze del dopo prima guerra mondiale non la criminalità vera e propria. Al fascismo si diede a torto quel merito. Si dimenticò che Sciascia, il ricevitore del registro fu assassinato nel 1935 e c’era il fascismo, Federico Giancani ammazzato barbaramente nel maggio del 1937 e c’era il fascismo, il latitante Ciciruneddu, Rizzo, non potè mai essere preso dalle forze dell’ordine e fu ucciso da uno per la regola del tagione che gravava sulla sua morte ed erano gli anni dal 1936 al 1939 e c’era il fascismo, l’orificeria di don Carmelo Rosina fu scassinata, una prostituta fu trovata con la gola recisa da un rasoio nella sua casa in Via Madonna della Rocca, l’altra fatta a pezzi alla Acqua Amara presso la Torre di Baeri in pieno fascismo. Abbiamo voluto citare i misfatti più eclatanti del periodo fascista, sorvolando i minori, per dimostrare l’infondatezza di quest’affermazione, che, purtroppo, si sente ancora ripetere nelle discussioni di piazza. Il fascismo usò metodi repressivi atroci e questo è vero, mise la pena di morte e la esercitò e questo è pure vero, ma l’una e l’altra non gli fanno onore. Non si scherza con la vita degli uomini, ed essa è sacra e nessuno può toglierla per nessuna ragione. La società può relegare fuori del proprio consorzio il tarato, il reo, ma non sopprimerlo, non ne ha nessun diritto. La repressione poliziesca del fascismo poi era peggio della fucilazione, si trattava delle torture di medievale memoria, praticate nelle caserme dei carabinieri: nerbate fino al sangue, scosse elettriche, fare ingerire acqua satura di sale, legare alla cassetta e tante e tante altre barbarie. Basta dire che l’omicidio di Federico Giancani se lo accollarono parecchie persone incapaci ed innocenti pur di non patire più le torture e poi si vennero a trovare i colpevoli fuori dell’Italia, in Africa dove erano riusciti ad imboscarsi.» (10)

La traballante prosa del Messana traccia un quadro della situazione politica a Racalmuto duntante il fascismo che va preso - lo ripetiamo - con le molle. Ma qualche elemento di prima mano ce lo fornisce. Sappiamo solo così di antifascisti operanti a Racalmuto. Le loro vicende sono palesemente enfiate. Un riscontro possiamo coglierlo dale schedature della polizia, oggi consultabili presso l’Archivio Centrale dello Stato in Roma.
Secondo il Messana, il maggiore esponente comunista dell’epoca fu Edoardo Romano



Prodromi, avvento ed affermazione del fascismo a Racalmuto.

Risulta alquanto singolare che il primo momento d’interesse per il fascismo si consumi, a Racalmuto, nell’esclusivo e nobiliare circolo Unione. Era il sedici gennaio 1921. Nel sodalizio reso celebre da Sciascia nelle sue Parrocchie di Regalpetra si volle l’abbonamento al giornale di Mussolini “Popolo d’Italia”. Quali movivi vi sottendessero non è dato di sapere. Il verbale n. 4 recita testulamente:
«Abbonamento al giornale Popolo d’Italia: Indi [il 16.1.1921] postoa in discussione l’abbonamento al giornale “Popolo d’Italia”, esperitasi la votazione, riesce approvato a maggioranza di voti. Previa lettura e conferma il verbale si sottoscrive. Il presidente: Bartolotta; I soci: G. Grillo e S.Messana - Il Segretario: Sciascia.»
Non si raggiunge l’unanimità, come di solito. Si fa firmare il verbale, inconsuetamente a due soci. Il presidente è Bartolotta, all’epoca potente vicesindaco e notabile del luogo che l’opinione pubblica accreditava come referente della mafia del territorio.
La verbalizzazione del Circolo Unione - diversamente, ad esempio, da quella del Muotuo Soccorso - è estrememante succinta ed è del tutto rituale: ciò conferisce maggior risalto a questa nota sull’abbonamento al giornale di Mussolini agli albori del fascismo. Pensiamo che quell’atto da parte dei ‘galantuomini’ racalmutesi si debba alla svolta, notatasi anche in paese, dell’opinione pubblica, in accentuata fase di disaffezione verso il movimento socialista, in auge nel biennio precedente.




Per avere un’altra testimonianza della propensione del Circolo Unione verso il fascismo dobbiamo, invece, attendere (18) il 1932. E’ di risalto per la nostra ricerca questo verbale:
«Nomina a Soci Onorari: L’anno millenovecentotrentadue il giorno 26 del mese di giugno alle ore 20,30 nella solita sala delle adunanze si è riunita l’assemblea generale straordinaria dei Signori Soci per discutere e deliberare sul seguente:/ Ordine del giorno/ Nomina a Soci Onorari./ Il Presidente/ constatato il numero legale dei Soci presenti in n. 35 dichiara aperta la seduta ed invita l’assemblea a procedere alla nomina a Socio Onorario del concittadino Sansepolcrista Comm. avv. Giuseppe Pedalino.
«Il Socio Rag. Sciascia Vincenzo a questo punto domanda la parola, ed avutone l’assenso dal Presidente dichiara non solo di aderire toto corde alla proposta per la nomina del Comm. Pedalino a Socio onorario di questo Sodalizio, ma di nominare anche, con lui, gli altri nostri illustri concittadini, Generale Egidio Macaluso, il gesuita Padre Francesco Paolo Nalbone, e il gesuita oratore insigne, Padre Antonio Parisi.
«L’assemblea per acclamazione approva la proposta del Presidente e del Rag. Vincenzo Sciascia e dà incarico al Presidente di comunicare tale deliberato agli illustri nuovi Soci onorari. Dopo di che l’Assemblea si scioglie. Previa lettura e conferma il verbale è approvato e sottoscritto. Il Segretario: Vinci. - Il Presidente: Mendola».
Il Pedalino aveva nel 1930 brigato per farsi riconoscere ‘Sansepolcrista’. Nel 1929 v’era stata la celebrazione del decennale dell’adunata del 23 marzo 1919 di piazza S. Sepolcro. I giornali avevano pubblicato l’elenco dei sansepolcristi desunto dal numero del “Popolo d’Italia” del 24 marzo 1919” ed il Pedalino non c’era. (Cfr., ad esempio, L’Impero - quotidiano fascista della sera, Sabato 23 marzo 1929 - VII). (19 ) L’anno successivo, 56 milanesi - tra i quali il nostro Giuseppe Pedalino - mostravano di avere vinto la loro piccola battaglia per il riconoscimento ufficiale si sansepolcristi, come attesta questo telegramma:
«A S.E. Mussolini roma - ricevuto il 23 marzo 1930 ore 19,18 da Milano 89399 - Presenti alla seduta del 21 marzo partecipanti all’adunata gloriosa del 23 marzo 1919 stop Esprimiamo cordiale devoto ringraziamento pel Vostro pensiero benevolo verso di noi stop Avere posto la vecchia guardia accanto autorità ci commuove ed esalta stop Noi chiediamo di servirVi in ogni ora come nella primissima col giuramento con la fede con l’opera con tutto noi stessi stop Pronti alla buona causa[seguono firme: Giuseppe Pedalino è al quindicesimo posto].»
La retorica dei firmatari non era valsa ad impedire una poliziesca attenzione sul loro conto. Viene annotato  con matita rossa:”tenere in evidenza tutti nomi”, e con matita nera: “Fatte copie per i fasc. rispettivi di tutti i firmatari dell’accluso telegr. -  27.3.1930 VIII”.
*   *   *

Un episodio del ocale consiglio comunale desta l’ilare ironia di Leonardo Sciascia e la corrusca pedanteria di Eugenio Napoleone Messana: l’attribuzione della cittadinanza onoraria nel 1923 a S. E. Benito Mussolini. Annotata Sciasca: (20 )
«Dopo il declino dei Lascuda [vale a dire dei Tulumello, n.d.r.] si formarono due fazioni guidate da professionisti, dominavano i medici, ché allora diversa era la professione del medico, a Regalpetra [alias Racalmuto, n.d.r.] dico; [...] Le due fazioni elettorali non si distinguevano tra loro né per colore politico né per programmi; l’unica distinzione stava nel fatto che una fazione lottava senza la mafia el’altra alla mafia si appoggiava, le possibilità di vittoria stavano dalla parte dei mafiosi, ma un risultato imprevisto poteva avvenire che scattasse, sicché i mafiosi non giuocavano aperto pur gettando tutto il loro peso su una parte. I socialisti, come si dice delle puntate a cavallo nel baccarà, quando il banco né tira né paga, non facevano giouco; l’avvocato [Vincenzo Vella, n.d.r] che al tempo dei Fasci Siciliani aveva coraggio e speranza, mugugnava amarezza e delusione.
«Questa arcadia da cui ogni tanto scappava fuori l’ammazzato prosperò fino al 1923, degnamente chiuse la sua vita con questa deliberazione del Consiglio Cominale:
«”L’anno millenoventoventitre nel giorno quattordici del mese di dicembre alle ore diciotto. Il Consiglio Comunale di Regalpetra [Racalmuto, n.d.r.] in seguito ad avvisi di seconda convocazione, diramati e consegnati ai sensi degli articoli 119, 120 e 125 della legge, si è riunito in adunanza straordinaria nella solita sala municipale con l’intervento dei signori ..., ed all’appello nominale  risultarono assenti gli altri diciannove consiglieri di cui uno morto, ed essendo in numero legale per validità della deliberazione ... PROPOSTA  - Conferimento della cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini - Il presidente rammenta all’onorevole consesso la viva lotta che molti Comuni Siciliani, compreso il nostro, hanno sostenuto presso i passati governi per la soluzione dell’annoso problema idrico. Finalmente, soggiunge, solo il Governo Fascista ha saputo sollecitamente e pienamente accontentare i voti di quanti di quel dono della natura vanno privi. Di fronte a sì alto beneficio, questo Consiglio Comunale, interprete dei sentimenti di tutto il popolo di Regalpetra, non potrà diversamente esprimere la sua riconoscenza e devozione al Governo Fascista che conferendo la cittadinanza onoraria al suo Capo Supremo S.E. Benito Mussolini - IL CONSIGLIO - a voti unanimie con entusiastiche acclamazioni, ripetute dal pubblico assistente, ha conferito la cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini.”
«Così sollecitamente e pienamente il governo fascista risolse il problema idrico che i tubi che dovevano portare l’acqua a Regalpetra giunsero a questo scalo ferroviario nel 1938, furono ammucchiati dietro i magazzini, da principio se ne interessarono i ragazzi, per giuoco vi si inconigliavano dentro, poi l’erba li coprì, restarono dimenticati nell’erba alta. L’acqua arrivò nel 1950, fu festa grande per il paese. In quanto agli undici consiglieri che avevano deliberato per la cittadinanza a Mussolini, un paio restarono nella rete di Mori, gli altri non si iscrissero mai al fascio, masticarono amaro per vent’anni. In compenso furono fascisti quei diciotto (facevano diciannove col morto) che risultarono assenti, e si erano evidentemente assentati per protesta, il giorno della deliberazione.
«Il sindaco quella proposta aveva fatto per guardarsi le spalle, così si illudeva; dopo il telegramma che annunciava a Mussolini la deliberata cittadinanza onoraria, un altro ne fece che denunciava il prefetto come protettore della delinquenza, voleva dire della delinquenza dei fascisti non di quella della mafia: come un fulmine giunse l’ordine di scioglimento del Consiglio comunale, fu nominato commissario il capo dei fascisti regalpetresi. [...]
«Dopo il 23, il diagramma degli omicidi si avalla; poi Mori, con metodi già noti, ramazzò mafiosi e favoreggiatori, ma non si creda riuscisse ad estirparli definitivamente, soltanto nella nostalgia per il fascismo si può credere una simile cosa. Per quel che io ricorso, e più indietro i miei ricordi non vanno, negli anni più euforici del fascismo c’era a Regalpetra, nelle campagne intorno, un latitante cui per comodo tutti i furti e gli incendi di case di campagna, che in quel tempo furono numerosissimi, venivano attribuiti. Fu messa una taglia sul bandito (che era un proveruomo che doveva scontare una condanna per furto, e a costituirsi non si decideva; viveva con le magre tassazioniche ai galantuomini imponeva); e per la taglia lo ammazzarono, gli diedero alloggio e poi l’ammazzarono: e il fratello del bandito sparò poi, in piazza e a mezzogiorno, all’uomo che quel servigio aveva reso alla società, nell’opinione dei regalpetresi fece giusta vendetta. »
Il Messana (21) spoglia del velo della fantasia l’episodio ed il contesto storico della pagina sciasciana, e con il suo solito approccio politicamente fin troppo scoperto, così ricostruisce la vicenda:
«Il Commendatore Bartolotta, ad un certo punto, cominciò a sentirsi in pericolo personale e sentì bisogno di difesa. Era lui il capo gruppo di maggioranza, l’uomo che aveva da tempo un seguito nel paese e che era riuscito a conquistare il comune nel 1920. I capipopolo erano il bersaglio preferito dei gregari del fascismo. Da ciò la persecuzione a Racalmuto e lo sgomento del commendatore. C’era da cercare un pretesto per allontanare l’occhio grifagno dei fascisti dalla compagine consiliare del paese. L’occasione sembrò trovarsi allorchè Mussolini, già nelle sue qualità di capo del Governo del regno d’Italia, s’interessò del problema idrico della Sicilia. Prima del fascismo erano nati, noi l’abbiamo già visto per il paese che trattiamo, molti consorzi fra comuni per l’approvvigionamento idrico delle popolazioni. Tali consorzi però non avevano potuto iniziare la costruzione degli acquedotti, se non tutti, parte di essi, per mancanza di anticipazione di fondi della cassa Depositi e prestiti e per le remore burocratiche nella approvazione dei progetti. A un certo punto Mussolini promosse una legge che snelliva l’iter per lo sviluppo dei consorzi e ne semplificava le operazioni di finanziamento e quindi di realizzazione delle opere. Siccome Racalmuto era un paese già consorziato nelle ‘Tre Sorgenti’, venne ad essere beneficiato da tale provvedimento legislativo. Il commendatore Bartolotta, prese la palla al balzo e chiese al sindaco Scimè di conferire la cittadinanza onoraria del paese a Benito Mussolini. Egli pensava che ciò avrebbe fatto desistere il prefetto dal perseguitare il consiglio ed avrebbe anche allontanato le insidie che si tendevano contro la sua persona. Il sindaco Scimè convocò il consiglio per il 13 dicembre 1923 alle ore 18 con un solo argomento all’ordine del giorno: Conferimento della cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini per avere risolto l’annoso problema idrico della Sicilia.
«Malgrado le pressioni e le preghiere di Bartolotta, il 13 dicembre di quell’anno la seduta rimase deserta. non si potè in modo assoluto raggiungere il numero legale di consiglieri presente. Il 14 dicembre alla stessa ora ebbe luogo la seconda convocazione. Non c’era più bisogno delle presenze della metà più uno dei consiglieri in carica per essere valida l’adunanza, per cui ai sensi degli articoli 119,120, 125 della legge comunale allora vigente, essa ebbe luogo. Il commendatore Bartolotta aveva personalmente pregato tutti i consiglieri di essere presenti, molti avevano promesso di accontentarlo, ma all’appello risultarono presenti solo dieci e precisamente, lui, che venne il primo, il sindaco Nicolò Scimè, Giovanni Macaluso, Nestore Falletti, Salvatore Falcone, Carmelo Licata, Enrico Grisafi, Calogero Scimè, Calogero Bellavia e Luigi Messana. Nelle more per l’inizio della discussione si sguinzagliarono alla caccia di consiglieri tutti gli amici di Bartolotta, non trovarono nessuno, solo Messana Pio, che faceva la siesta a casa nella sua poltrona. Invano tentò di evitare con pretesti di recarsi al consiglio, l’insistenza fi tale che dovette andarci. Quando giunse in aula la votazione era già avvenuta, ma invitato dal Sindaco dovette associarsi, sicché Mussolini diventò cittadino onorario di Racalmuto con undici voti su undici consiglieri presenti e contro diciannove assenti. Le cose sono andate poi in modo alquanto strano: gli undici che votarono sì per la cittadinanza onoraria a Mussolini non divennero mai fascisti, anzi molti di essi rimasero i depositari dell’antifascismo locale, i protestatari, i nostalgici della libertà e furono definiti borbonici, si estraniarono completamente dalla vita pubblica, rimasero a maledire e ad attendere la caduta dell’avventuriero, rinunziando a possibili sistemazioni, non pochi dei diciannove assenti invece si accodarono e scesero in piazza in “giummo” e stivali.
«Il problema idrico Mussolini lo risolvette solo a parole, l’acqua delle Tre Sorgenti, ripetiamo, giunse in paese ben sette anni dopo la caduta del suo governo e cinque anni dopo la sua fucilazione. Non avrebbe potuto impiegare certamente di più se il suo avvento al potere non ci fosse mai stato. Egli si limitò a mandare a Sciacca a spese dei vari comuni S.E. Teruzzi, ministro del suo governo, nel 1925, per mettere la prima pietra dei costruendi acquedotti, in parata tanto solenne che solo a Racalmuto costò L. 1000 di allora. Dopo, vennero le lungaggini, le difficoltà senza possibilità di ricorrere o di parlare.
«Il commendatore Bartolotta, rassicurato dagli applausi dei fascisti presenti in aula allorchè si proclamò in consiglio l’esito della votazione per il conferimento della cittadinanza a Mussolini, tentò anche di costituire lui un fascio di combattimento, sperando di abbattere i fascisti locali.
«Nello stesso tempo indusse il Sindaco Scimè a ricorrere al Ministero contro il prefetto per certe irregolarità commesse in provincia. L’esito di tale azione fu drastico. Il consiglio comunale fu sciolto appena tre settimane dopo il conferimento della cittadinanza al Capo del Governo. Il 7 gennaio si insediò il commissario prefettizio ragionere [sic] Angelo Zambuto. Il commendatore finì in carcere la sua attività politica.»
Tra la versione dei fatti dello Sciascia e quella del Messana vi sono piccole divergenze: certo Messana è più informato, ma la sua prosa e troppo barcollante per effere più efficace. La realtà storica appare, però,  più intricante di quella resa dai due intellettuali antifascisti di Racalmuto. Gli archivi di Stato forniscono ai volenterosi fonti informative puntuali e oltremodo precise. Le carte dell’archivio centrale romano (22) , da noi consultate, consentono questa ricostruzione:
«R. Prefettura di Girgenti - Gabinetto n.° 1266 del  19. 12. 1923. - L’amministrazione comunale di Racalmuto sorta dalle elezioni generali del 1920 con carattere prettamente demosociale, per mancanza di una vigile ed attiva opposizione, si abbandonò ben presto alla inerzia più assoluta, sicura di poter vivere tranquillamente per le condizioni della politica locale e per la protezione che alla stessa veniva accordata dagli esponenti della democrazia in Provincia. Sindaco del Comune fu eletto il Dr. Scimè, ma anima dell’Amministrazione è stato sempre il Dr. Bartolotta Giuseppe, che ha assunto la carica di assessore anziano, e che rappresenta in Provincia uno dei campioni più forti e fedeli della democrazia sociale.
«Con l’avvento del Fascismo al potere cominciarono a muoversi delle timidi e lievi lagnanze contro la detta amministrazione, ma finora ho creduto opportuno di soprassedere dall’adottare alcun provvedimento, stimando doveroso procedere prima alla liquidazione delle amministrazioni a carattere socialista ed anticostituzionale, che non funzionavano o funzionavano male. Esaurito questo compito, credetti di rivolgere il mio pensiero al Comune di Racalmuto e disposi un’inchiesta a carico [.... E’ emerso:]
«- Scarsissima attività del Consiglio: 15 sedute nel 1921; 10 nel 1922 e 7 nell’anno in cors;
«Quasi abbandonato l’ufficio di polizia rurale, lasciando piena libertà alla maffia di scorazzare ed agire impunemente per le campagne, perché le guardie rurali sono adibite ad altro. [...]
«A tutto questo è da aggiungere che la parte migliore della cittadinanza ed il Fascio locale ha sempre intensificato la campagna contro l’attuale Amministrazione della quale sono pure noti i rapporti sia pure indiretti con la maffia, la quale viene se non protetta apertamente, certo lasciata indisturbata a compiere le sue gesta. Tant’è vero che le guardie campestri, anzichè prestare servizio in campagna come dovrebbero, vengono adibite a servizi interni. Trattandosi di un importante comune, sarebbe opportuno che venisse designata come R. Commissario persona capace ed energica, estranea all’ambiente locale [..] Il Prefetto: Reale.
«10 gennaio 1924: Appunto per S.E. il Ministro: Comune di Racalmuto.- Proposta scioglimento Consiglio comunale; popolazione 15.000 - motivi della proposta: ragioni d’ordine pubblico per il pericoloso malcontento della popolazione contro gli amministratori. Numerose irregolarità e deficienze accertate da una recente inchiesta. Non risultano interessamentei.
«Il Prefetto della Provincia di Girgenti, veduto il R.D. 24 gennaio 1924 col quale venne sciolto il Consiglio Comunale di Racalmuto [...] Ritenuto che il Commissario non ha potuto completare la sistemazione della Finanza comunale e dei pubblici servizi e che la situazione dei partiti locali non consente d’altro lato, d’indire subito le elezioni [..] decreta: il termine per la ricostituzione del Consiglio Comunale di Racalmuto è prorogato di tre mesi. Girgenti 16 maggio 1924. Per il Prefetto: F.to Giordano.
  « 19 marzo 1924: Indennità al Commissario straordinario: L. 50 - Il Cav. Enrico Sindico, ex colonnello nel R. Esercito, si è appositamente trasferito da Spezia a Racalmuto [...]
«Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 73 del 26 marzo 1924.
«”Relazione di S.E. il Ministro Segretario di Stato per gli affari dell’Interno, Presidente del Consiglio dei Ministri, a S.M. il Re, in udienza del 24 gennaio 1924, sul decreto che scioglie il Consiglio comunale di Racalmuto, in provincia di Girgenti, MAESTA’, sul funzionamento dell’amministrazione comunale di Racalmuto, sorta dalle elezioni generali del 1920, è stata recentemente eseguita un’inchiesta che ha accertato numerose irregolarità. L’Ufficio comunale è disorganizzato, privo d’inventario e con scritture contabili deficienti, la situazione finanziaria non è esattamente accertabile, per la trascurata esecuzione delle verifiche di cassa, e per il mancato esame dei conti, non è stato effettuato il passaggio dei fondi dal cessato al nuovo tesoriere. Le tasse, applicate con criteri partigiani, danno un gettito notevolmente inferiore alle previsioni del bilancio, mentre le spese vengono erogate in eccedenza agli stanziamenti e talora senz’alcuna autorizzazione; il dazio è concesso in appalto a condizioni onerose, è stato omesso il reimpiego di somme provenienti da alienazione di patrimonio; lavori e forniture sono state eseguite irregolarmente in economia ed in esse hanno spesso avuto interesse gli stessi amministratori.
«Tra i pubblici servizi sono assai trascurati la nettezza urbana, la pubblica illuminazione, la vigilanza annonaria e la polizia rurale. La disordinata gestione della civica azienda ha provocato nella popolazione un vivissimo malcontento e l’eccitazione degli animi è tale da far temere turbamenti per la pubblica quiete.
«Anche ragioni di ordine pubblico, oltre che la necessità di provvedere senza indugio al riordinamento amministrativo e finanziario della civica azienda, rendono quindi indispensabile lo scioglimento del Consiglio comunale con la conseguente nomina di un Regio commissario, ed a ciò provvede lo schema di decreto che ho l’onore di sottoporre all’Augusta firma della Maestà Vostra.
«Vitt. Emanuele III [..] visti gli articoli 323 e 324 del t.u. della legge comunale e provinciale, approvato con R. d. 4.2.1915 n. 148, nonchè il R.d. 24.9.1923, n. 2074: il consiglio è sciolto [...] il sig. cav. Enrico Sindico è nominato Commissario straordinario con i poteri del R. d. 24.9.1923, n. 2074. Dato a Roma il 24.3.1924. V.E. III re d’Italia- Mussoluni.»
  Il colonnello Sindico non diede buona prova: nel dicembre di quell’anno veniva destituito:
«26.12.1924, risposta a 26.11.1924. - Prefettura diGirgenti n. 600 Gab. - [...] dimissioni presentate dal Colonnello Enrico Sindico [..] la relazione non rappresenta nulla di notevole, anzi [..] non ha provveduto alla formazione del bilancio [..] Giudizio: mediocre.»



inesperti e puerili. Le notizie dei fasci e dello squadrismo si raccontavano al circolo Unione ed al circolo degli Amici. Qualche do’ esultava a quelle nuove e non nascondeva il desiderio che anche a Racalmuto venissero i prodi in camicia nera a bastonare gli zolfatai e i contadini.» Ma la questione - come vedremo in seguito - era ben altra, più complessa e  più gravida di conseguenze sociali.
Il Circolo Unione di Racalmuto ed i suoi folkloristici soci del primo dopo-guerra passano alla storia (letteraria) per l’ironica attenzione che vi rivolse Leonardo Sciascia. Abbiamo citato già le Parrocchie di Regalpetra. Lo scrittore racalmutese non si limitò però a quelle note. “Galleria” - la rivista di Caltanissetta che dirigeva - ospitò Paese con figure (Galleria, I - 1949, 1, pp. 21-24) e Arrivano i nostri (Galleria, anno XIII, n.° 1 - gennaio-febbraio 1963, pag. 8 e segg.:  “don Giuseppe Savatteri .. imbecille detestabile”;  “don Ignazio Grillo .. col suo bastone .. vibrante come una bacchetta di rabdomante ad ogni sotterranea malignità”; il signor Munisteri con una voce “che la mancanza di denti rende come ovattata”; il barone Trupia che “muove le mani leggere come farfalle, a foggiare nell’aria un gran corpo di donna”, sono i galantuomini del Circolo Unione, appena appena velati da nomi di fantasia, ma non tali da non consentire ai più anziani del paese di fornirne ancor oggi i veri dati anagrafici. La beffa di Arrivano i nostri - una manipolazione radiofonica per una falsa notia sulla conquista dell’Italia da parte dei bolscevichi a fine anni ‘50 - è una vicenda realmente accaduta sempre al Circolo dei galantuomini. Il Circolo Unione ha una storia di quasi due secoli. Il suo statutorisale al 1839 come può leggersi nel Notamento dei Così detti Caffè e luoghi di riunione esistente nei vari Comuni di questa Provincia .., Girgenti, 26 agosto 1839, in Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il Luogotenente generale, Polizia, vol. 412 (Cfr. Carmelo Vetro - L’associazionismo borghese dell’800: le case di compagnie, in Il Risorgimento - rivista di storia del Risorgimento e di storia contemporanea - Anno XLVI n. 2-3 - Milano 1994 - pag. 301)








6 ) Ben Morreale - Uomini d’onore (Li cornuti) - Mursia Milano 1976 - pag 56 e segg.
10 ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia  della Sicilia - Canicattì 1969, pag. 368 e segg.
18 ) Il Circolo Unione di Racalmuto ed i suoi folkloristici soci del primo dopo-guerra passano alla storia (letteraria) per l’ironica attenzione che vi rivolse Leonardo Sciascia. Abbiamo citato già le Parrocchie di Regalpetra. Lo scrittore racalmutese non si limitò però a quelle note. “Galleria” - la rivista di Caltanissetta che dirigeva - ospitò Paese con figure (Galleria, I - 1949, 1, pp. 21-24) e Arrivano i nostri (Galleria, anno XIII, n.° 1 - gennaio-febbraio 1963, pag. 8 e segg.:  “don Giuseppe Savatteri .. imbecille detestabile”;  “don Ignazio Grillo .. col suo bastone .. vibrante come una bacchetta di rabdomante ad ogni sotterranea malignità”; il signor Munisteri con una voce “che la mancanza di denti rende come ovattata”; il barone Trupia che “muove le mani leggere come farfalle, a foggiare nell’aria un gran corpo di donna”, sono i galantuomini del Circolo Unione, appena appena velati da nomi di fantasia, ma non tali da non consentire ai più anziani del paese di fornirne ancor oggi i veri dati anagrafici. La beffa di Arrivano i nostri - una manipolazione radiofonica per una falsa notia sulla conquista dell’Italia da parte dei bolscevichi a fine anni ‘50 - è una vicenda realmente accaduta sempre al Circolo dei galantuomini. Il Circolo Unione ha una storia di quasi due secoli. Il suo statutorisale al 1839 come può leggersi nel Notamento dei Così detti Caffè e luoghi di riunione esistente nei vari Comuni di questa Provincia .., Girgenti, 26 agosto 1839, in Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il Luogotenente generale, Polizia, vol. 412 (Cfr. Carmelo Vetro - L’associazionismo borghese dell’800: le case di compagnie, in Il Risorgimento - rivista di storia del Risorgimento e di storia contemporanea - Anno XLVI n. 2-3 - Milano 1994 - pag. 301)
19 ) Archivio Centrale dello Stato - Segreteria particolare del Duce “Carteggio Riservato” - Busta n.° 36 - fascicolo 242/r
20 ) Leonardo Sciascia - Le parrocchie di Regapetra - in Opere vol I Bompiani Editore, Milano,  IV Edizione giugno 1990, pag. 29 e segg.
21 ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia  della Sicilia - Canicattì 1969, pag. 364 e segg.
22 ) Archivio Centrale dello Stato - Ministero Interno - Amministrazione Civile - Comuni - - Busta n.° 2069.

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