lunedì 18 dicembre 2017

domenica 27 dicembre 2015


mio nonno Calogero Taverna

 

Ho in mano questa dichiarazione di irreperibilità che il comandante Gaetano Fortunato con una velata prudenza dichiara mio nonno Calogero Taverna del 142° Reggimento Fanteria, n. 10.434 di matricola ancora vivente a quota 238; ma dopo egli "scomparve e non venne riconosciuto tra i militari morti o e che risultino fra i militari prigionieri".

 

 

 E dopo tre anni forse avevano ancora dubbi che sul fronte a quota 238 nell’infausto  24 maggio 1917 davvero potesse essere ancora vivo.

 

 

Bontà loro, il Fortunato firma la formula di rito:  viene legalmente riconosciuta la morte, 

 

 

Eugenio Napoleone Messana affastella mio nonno con altri 31 (in ultimo incorre in una duplicazione, disperso più disperso meno che importanza poteva avere.)

 

 

In questo elenco che proviene dall'Ufficio Leva di Racalmuto (finchè ci fu) mio nomìnno è il 28°, il fratello di mia nonna Falci Calogero l'11°.

 

 

A scorrere quei nomi non ne trovate uno ci quelli che a suo tempo erano i ìfigli dei galantuomini, E il motivo? erano riuscito alla leva di farsi dichiarare dai loro parenti medici militari manco rivedibili ma riformati anche se si era fusti, alti e nerboruti (a dire il vero piuttosto rari con quei coniugi tra parenti).

 

 

Mio nonno nato nell'aprile del 1880 e morto il 24 maggio del 1917 aveva oltre 37 anni. Era militare da un paio di mesi. Non doveva andarci, ma Cadorna necessitava di carne umana per quella sua strana guerra fratricida (si dice che oltre 600.000 soldati italiani ci misero la pelle per i mitrai del carabinieri che aravano a chi osava tentare di disertare.

 

Mio zio Calogero Falci aveva solo 20 anni, credo che di lui neppure questa sconce dichiarazioni insinuanti un tentativo di fuga esiste. I genitori non avevano bisogno di pensione di guerra o non gliel'hanno accordata.

 

 

Mio nonno dal fronte in quei 24 giorni che vi dimorò scrisse dalle luride trincee tragiche lettere alla moglie perché pregasse sua madre a farlo ritornare a casa: era anziano, aveva cinque figli, tre fratelli in guerra ed un paio già morti.

 

Invece non solo lo chiamarono a 37 anni alla guerra ma lo intrupparono nella brigata Catanzaro, una tragica brigata, e fatto un fugace addestramento ad Adernò lo spedirono a morire in Slovenia, visto che si doveva liberare Trento e Trieste. La brigata Catanzaro doveva essere di complemento , vi dovevano essere militari addetti alla sussistenza e alla sanità. Ma Cadorna doveva riempire le famigerate doline di Hudi Log e là finì (e morì) mio nonno. Come? impallinato da qualche cecchino austriaco. Una foto austriaca immortala quella ripresa delle doline di Hudi Log come nel foglio che riportiamo. Nessun assalto. Gli italiani si erano dati alla ritirata precipitosa quel 24 maggio del 1917. Mio nonno non era un montanaro, era inceppato da quella lurida divisa, era goffo, sarà stato un divertimento per quegli addestrati soldati austriaci mirarlo centrarlo colpirlo. E i suoi commilitoni lì lo lasciarono in montagna e lì vi rimase non seppellito sotto coltri di neve invernali e forse in pasto di lupi e di cani. Il burocrate in divisa manco legge la formula di rito. Vi era pure il dubbio che mio nonno avesse disertato. Chissà come faceva tra quei monti dopo quasi un mese acquattato in quelle disumane doline.

 

Eppure ogni sera mio nonno, analfabeta, dal prete cappellano o da commilitone che sapeva scrivere dettava le sue sgangherate strazianti lettere alla moglie. Erano invero cartoline postali militari. Ora le ho io. Le vado pubblicando a dileggio di tutto questo apparato militare italiano che trattava i soldati come spregevoli numeri matricola. Quella matricola n.° 10.439 che mio nonno portava al  collo e che mani pietose mai raccolseroe sulle radure delle doline slovene.

 

E dopo morto mio nonno ancora deve avere una lapide o una via o un cippo che lo ricordi assieme ai suoi 31 sfortunati commilitoni trucidati dalla incapacità di Cadorna in quei morti  di là persino da Trento e Trieste.

 

 

Forse ora il Sindaco Messana si è deciso di ricordare quei suoi concittadini che secondo l'ancor trionfale retorica  hanno dato la Vita per la Patria, che si è scordata persino di assicurarne un corretto sia pur disadorno ricordo.

 

 

Mio Zio Falci Calogero perse la vita non so dove il 5/12/1915 a neppure 20 anni e undici mesi, nello stesso anno in cui l'Italia dichiarava guerra.

 

 

Quanto agli altri30 racalmutesi, evidenti figli del popolino non so nulla. Avevo sollecitato che si cercassero almeno i fogli matricolari. Mi hanno corbellato dicendomi che non li fornivano se non ai parenti stretti, ormai dopo cento anni tutti in paradiso. Avevo domandato che cosa era avvenuto nei registri di Leva. Spariti anche quelli con la scusa che dopo più di un secolo devono mantenere il rispetto della rodotesca privacy. Invece avevano avuto soldi e destro per celebrare fascistamente per la par conditio in quel di Racalmuto gli inesistenti caduti della patria, l'eroismo di chi andò a trucidare italiani in Sagna per conto di Franco e poi poté tornare integro con buona pensione e gratificato da un lavoro in 000patria ben retribuito, ogni onore e gloria..

 

 

Per costoro strade ed onore addirittura da amministrazioni comuniste, neppure il più vago ricordo; per mio nonno, per mio zio, per questi altri 30 "dispersi" nel 15-18 neppure un ricordo, una citazione, figurarsi un avello, uno stelo.

 

 

Pare però che il Sindaco Emilio Messana voglia ora riparare. Sia benedetto.

 
 
 
perso meno ce importnza poteva avere.)



















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