domenica 27 gennaio 2013

La spartizione dei beni della chiesa racalmutese tra il 1868 e il 1875


Un prete – ovviamente un prete – che si camuffa ma si firma  con nome e cognome SALVATORE CUCINOTTA dà alle stampe un grosso volume, fitto di notizie avremmo voglia di scrivere prendendo a prestito un guizzo ironico di Sciascia. SICILIA E SICILIANI s’intitola e per sotto titolo: DALLE RIFORME BORBONICHE AL “RIVOLGIMENTO” PIEMONTESE – SOPPRESSIONI.

Non so se vale sotto il profilo storico, vale comunque come ricerca archivistica sia pure in disinvolta trascrizione. Investe Racalmuto e quindi ha tutta la mia attenzione.  Con mezzi non proprio raffinati il prete si imbarca nella enucleazione  dei dati post-unitari di quella faccenda di travolgente ampiezza che fu la requisizione della manomorta ecclesiastica e della assegnazione a pagamento più o meno dilatato a faccendieri e soprattutto galantuomini che poco ebbero a curarsi della scomunica che sacerdoti e anime pie dispensavano o temevano.

Quale fu il patrimonio ecclesiastico racalmutese finito in voraci mani di signorotti locali? Troviamo di tutto e di più. Seguiamo l’ordine del Cucinotta. Esordisce Alfonso Farrauto che riesce ad accaparrarsi un ettaro di vigne in contrada Larga, già del convento di S. Francesco di Assisi: base d’asta Lire 1396; offerta definitiva Lire 2.500.  Michelangelo Alaimo acquista 1.300 metri quadri di terre ad ortaggi in contrada  Santinella (?) per 1.834 lire.  L. Falletti ha un “terraneo in via S. Francesco (il prezzo non viene indicato). Stranamente, Teresa Tirone una  bigotta non teme la scomunica e si impossessa di un ettaro di terre con alberi da frutta per 832 lire in una contrada che il Cucinotta indica come “Motati”. Tutti questi beni appartenevano al Convento di S. Francesco.

Case terranee, abitazioni con tre e quattro stanze ed una bottega site in v. Collegio, in via del Grillo, in via Anime Sante e in Piazza Carmelo, dote del Collegio di Maria, passano a Calogero Romano, a Giuseppe Presti, a Calogero Picone, a Leonardo Alfano e infine a Giovanni d’Alba e socio.

Torna alla carica  Michelangelo Alaimo che per sole 658 lire acquisisce un ospizio di 6 stanze in via Tulumello che era appartenuta ai Cappuccini di Girgenti.  Inizia la svendita dei beni del Convento del Carmine: vigne in contrada Cameli (pensiamo Cometi) a Giuseppe Presti; case al Carmine a Giuseppe Presti e Calogero  Lauricella; Teresa Picone e il sacerdote Giovanni Bartolotta se ne infischiano della scomunica: potere acquistare  per pochi soldi case più o meno terranee è molto vantaggioso per lasciarsi sfuggire la ghiotta occasione; un altro terraneo se lo accaparra il solito M.lo Alaimo.

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