domenica 1 novembre 2015

Prima di Girolamo II Del Carretto aRacalmuto era pegio

Peste e tasse a Racalmuto
Il carteggio illumina sull’esoso fiscalismo spagnolo ai danni dell’università feudale ed ha tratti inquietanti circa la disumanità viceregia.
Nel 1576 si era abbattuto su Racalmuto quella immane pestilenza che colpì l’Italia intera.
Del pari sconvolgente dovette essere lo scenario racalmutese: leggiamo nel carteggio che «per lo contaggio del morbo che in quella s’ha ritrovato che sono stati morti da tre mila persone [a Racalmuto]  restano solamente ... due mila e quattrocento delli quali la maggior parte sono fuggiti assentati e rovinati ...».
Nel precedente Rivelo del 1570  Racalmuto in effetti contava 5279 abitanti; ma in quello del 1583 scenderà ad appena 3823: una flessione che sinora nessuno era riuscito a spiegarsi e che Sciascia scarica sui del Carretto e sulle  sue tasse enfiteutiche del terraggio e del terraggiolo [Morte dell’Inquisitore, pag. 181].
Confesso che anch’io ero scettico su questo crollo demografico di Racalmuto prima della consultazione dei documenti del Fondo Palagonia. Ancor oggi non è che creda in pieno in questo tracollo: ci fu un’opportunità per sgravi fiscali e si cercò di scontare la tragedia della peste racalmutese del 1576 con qualche beneficio tributario.
Tuttavia, la flessione vi fu e forte. I nostri antichi progenitori parlano di un dimezzamento della popolazione nel vano intento di intenerire gli agenti delle tasse palermitani; ma per bocca del viceré don Carlo d’Aragona e della sua corte Sucadello, De Bullis ed Aurello, costoro non se ne diedero per intesi. Le “tande” - o più graziosamente “donativi” - andavano pagate sino all’ultimo grano a Sua Maestà Cattolica il re di Spagna. Ed andavano pagate anche le tasse arretrate, senza ulteriori indugi.
V’è agli atti una secca e perentoria negativa alla seguente perorazione dei Giurati racalmutesi:
«Ill.mo et Ecc.mo Signore, li Giurati della terra di Racalmuto exponino à vostra Eccellenza, dovendosi per l’Università di quella Terra molta quantità e somma di denari alla Regia Corte cossì per donativi ordinarij, et extraordinarij et altri orationi [per oblationi ?] fatti per il Regno à Sua Maestà,  come per le tande della Macina, non havendo quelli possuto satisfare per lo contaggio del morbo che in quella s’hanno ritrovato  ... ,  à vostra Eccellenza l’esponenti hanno supplicato che se li concedesse à pagare quel tanto che detta università deve alcuna dilattione competente [e che ] à detta Università fossero devenute [condonate] li tandi maxime quella della macina che si doveva pagare ..»
La burocratica risposta palermitana è spietata: la decisione (provista) di Sua Eccellenza si compendia in un “non convenit” “non conviene”. La tragedia racalmutese agli occhi palermitani si traduce in una gretta questione di convenienza. L’abbuono di tasse non è ammesso, non conviene alle esigenze del bilancio dello stato. Una storia dunque che si ripete; un localismo, il nostro, quello di Racalmuto,  che ha valenza oltre il tempo, oltre la landa municipale. Altro che isola nell’isola ..
Remissivamente i giurati di Racalmuto nel 1577 accettano il loro fato e fatalisticamente annotano:
[Ma tale petizione non ha avuto esito] “per lo chi attendo [attesa] la diminutione delle persone morti è stato per vostra Eccellenza provisto quod non convenit quo ad dilactionem [ f. 228] e poiche l’esponenti per li Commissarij che alla giornata si destinano contro loro, e detta città per l’officio del spettabile percettore s’assentano, e non ponno ritrovare modo alcuno di satisfare à detta Regia Corte e se li causano eccessivi danni, et interessi supplicano Vostra Eccellenza resta servita concederli potestà di poter fare eligere persona facultosa, poiche pochi vi sono in detta Terra di poter vedere augumentare, e raddoppiare alcune delle gabelle di detta università, e fare quel tanto che per consiglio si concluderà, acciò potersi sodisfare nullo preiudicio generato ad essa università circa detta diminuttione, e difalcatione che hanno supplicato doversi fare à detta Terra per detta mortalità, e mancamento di persone, e resti servita Vostra Eccellenza  sia quello mezzo che si concluderà quello che di sopra si è detto per detto consiglio concederli dilattione almeno di mesi due, altrimente stando assentati non potriano effettuare cosa alcuna e detta Regia Corte non verria ad esser sodisfatta ne tenendo detta università modo alcuno di sodisfare, ne tener altro patrimonio ut Altissimus. ..”»
La messa in mora  della locale amministrazione per ritardo nel versamento delle tande sulla macina scatena dunque la cupidigia di commissari palermitani sguinzagliati nel malcapitato paese moroso ad esigere, oltre alle imposte, pingui “giornate” (le attuali diarie per missioni) e ad aggravare le esauste finanze locali  «con eccessivi danni ed interessi».
Si accordino - si chiede da Racalmuto - due mesi di dilazione per trovare un sistema di reperimento dei fondi ed assolvere il cumulo tributario.
Questa seconda istanza viene accolta. Ma l’invadente autorità viceregia detta una serie di disposizioni sui modi, tempi e luogo delle procedure per un nuovo sovraccarico fiscale sulla cittadinanza racalmutese.
Il carteggio qui va attentamente studiato raffigurando istituti, costumi, organizzazioni pubbliche e territoriali del primo secolo dell’epoca moderna. Hanno una originalità che non mi pare sia stata debitamente messa in luce dalla cultura storica degli accademici.
Viene fuori uno spaccato dell’organizzazione statuale che non può ridursi al mero dato tributario (la gabella per assolvere gli oneri fiscali) ma che fa trasparire una vocazione democratica impensata. Per sopperire alle necessità tributarie, Racalmuto assurge al ruolo di Comune libero, democraticamente organato, con una sua assise plebiscitaria, avente poteri decisionali.
L’ordine, certo, arriva da Palermo, dall’autorità centrale, ma è ordine volto ad attivare le istituzioni democratiche comunali. Con aperture sociali che gli attuali consigli comunali sono ben lungi dall’avere, è il popolo che viene chiamato a raccolta, è il popolo che decide sui propri ineludibili gravami tributari, ovviamente sotto la guida e la direzione di quella che oggi chiameremmo la giunta comunale: la giurazia.
Affascinano questi passaggi delle carte palermitane:
vi diciamo, et ordiniamo che debbiate in giorno di festa e sono di campana come è di costume congregare il vostro solito consiglio sopra le cose contenute nel preinserto memoriale, e quello che per detto conseglio seù maggior parte di quello sarà concluso, et accordato, e sigillato lo trasmitterete nel Tribunale del real Patrimonio acciò di quello fattone relatione possiamo provedere come conviene. - data Panormi 11. Martij 5^ ind. 1577. Don Carlo d’ Aragona - Petrus Augustinus Sucadellus  ... conservatore [f. 229] Marianus Magister Rationalis, de Bullis Magister Rationalis, Franciscus de Aurello Magister Notarius, ..»
Il Consiglio comunale si svolge nella chiesa dell’Annunziata - che anche allora, molto prima che nascesse don Santo d’Agrò, era bene operante a Racalmuto -  ed abbiamo anche il verbale consiliare che mi pare opportuno rileggere, almeno nelle sue parti essenziali:
Racalmuti die 25. Aprilis 5^ Ind. 1577.
Die festivo Supradicti Martij in Ecclesia Sanctae Mariae Annuntiatae dictae Civitatis existens in platea publica.=
Perche ritrovandosi l’università di questa Terra di Racalmuto debitrice in molta somma cossì alla Regia Corte
è stato supplicato da parte di detta Università per li Giurati di quella à Sua Eccellenza che per li detti debiti se li concedesse dilatione competente per potersi ritrovare il modo di quelle sodisfare, et in quanto à quelli della macina poiche avendosi fatto offerta à Sua Maestà, et ordinatosi quella dovere pagare per poche di persone di tutte città, e terre del Regno à raggione di denari novi per ogni tummino [f. 230] che per il ripartimento e numero di persone che allora vi erano in detta terra tocca à detta Università pagare in due tande once 24.5.11.2.
e vedendosi che tuttavia detta Università non si vederà libera à tal debito supplicano detti Giurati un’altra volta à Sua Eccellenza che resti servita concederli potestà di poter eligere persone facultose, ò vendere et augumentare, e raddoppiare alcune delli gabelle di detta Università, e fare quel tanto che si potesse per consiglio concludere acciò si potesse detta Università liberare di tal debito et interesse nullo prejudicio generato à detta Università sopra la diminutione, e difalcatione che se li deve fare per detta Regia Corte stante le raggioni predette come si contiene per memoriale alli quali s’abbia in tutto relatione [f. 231] et essendo stato provisto per la prefata Eccellenza Sua e Tribunale del Real Patrimonio che si congregasse sopra le cose contente in detto memoriale consiglio, e quello si trasmettesse per poter provvedere come convenisse, per ciò s’ha devenuto alla congregatione del presente consiglio come intesa la presente proposta habbiano sopra le cose prenominate ogn’uno possi liberamente dire il suo voto, e parere.
Il Magnifico Vincenzo d’Randazzo uno delli Magnifici Giurati di detta Terra, e locotenente del Magnifico Capitano di quella, è di voto, e parere che s’aggiongano onze quaranta di rendita da pagarsi quolibet anno come meglio e per manco interesse di detta Università si potrà accordare con quelle persone che vorranno attendere à tal compra di rendita,
E pertanto
le gabelle ... averanno da raddoppiare, et accrescere
sopra le quali s’haverà d’imponere il novo imposto il quale sarà per il corpo, e capitale della detta rendita
E prima sopra la gabella del vino
[f. 233] Sopra la gabella dello Pani, fogli, fiori, e frutti virdi, e sicchi,
Sopra la gabella delli panni, arbascie, cannavazzi, e cordi
Sopra la gabella dello linu cànnavu (canapo), ferro, e ramo rustico, e lavorato, e legname d’ogni sorte rustica, e lavorata
Sopra la gabella delli Pisci, e Salsizzi,
Sopra la gabella delli Pani, formaggi, cascavalli, Meli, e cera
.
Per le quali gabelle, e loro pagamenti s’haveranno da fare li capitoli per li Magnifici Jurati, e con l’impositione delle pene solite come sono l’altri capitoli.
Il Magnifico Jacobo Piamontese Giurato è del sopra parere.
Il Magnifico Jacobo Sciurtino ut supra.
Il Magnifico Signor Giovanni Artale Tudisco ut supra.
Il Magnifico Giuseppe d’Ugo ut supra.
Petro Barberi ut supra.
Martino Rizzo ut supra.
Magistro Antonio Vulpi ut supra.
Il Mastro Notaro Giovan Vito d’Amella è di parere come di sopra, et si, et quatenus lo raddoppiamento raccrescimento che si farà alli gabelli predette non bastassero per la sodisfatione di quello che si deve alla Regia Corte quolibet anno, e per la soggiugatione che si farà quod utique dette gabelle s’habbiano da aggumentare, e raddoppiare, et accrescere, tante volte, quante sarà f. 235] di bisogno  in modo che si complisca il pagamento predetto, e che s’habbiano d’imporre altre gabelle essendo di bisogno in modo che detta Università non venghi a pagare al minuto, e per tassa, e che si debbia fare thesaureri persona sicura, d’eligersi per li giurati quolibet anno  per li pagamenti predetti e suoi spisi, con salario d’onze vinti l’anno il quale s’habbia d’obligare nomine proprio et à fare li pagamenti predetti con li debiti cauteli per atto publico come à detti Giurati parerà.
  *     *    *
Per inciso, richiamiamo l’attenzione sul menzionato giurato racalmutese del 1577 Vincenzo Randazzo che sembra farla da presidente della giurazia. Viene indicato con il titolo di Magnifico, ma è plebeo, forse appartenente alla piccola borghesia agricola, un “burgisi” come si direbbe oggi. La madre di Diego La Matina era una Randazzo, famiglia questa genuinamente racalmutese. Il padre di Diego La Matina, Vincenzo era invece figlio di un oriundo da Pietraperzia.
Ritornando al nostro tema del carteggio del 1577, resta evidente che vi si trova uno spaccato della vita pubblica comunale, dal taglio democratico, con istituzioni pubbliche che esulano dal diritto romano e da quello del sorgere dello stato moderno; affiora qualche dato che fa pensare alla tipica organizzazione greca della Polis, con la sua Ecclesìa, e con il ricorso al voto cittadino espresso in una solenne adunanza tenuta nell’Ecclesiastérion.
Al suono della campana della Ecclesia dell’Annunziata, sita nel centro della grande piazza di Racalmuto che dal vecchio Santissimo si allargava nello spiazzo ove ora sorgono le torri campanarie della Matrice e si riversava nell’attuale Piazza Castello per risalire nel largo ove ora sorgono i palazzotti degli invadenti Matrona [la vaniddruzza di Matrona].
Nel confrontare l’attuale assetto urbanistico con  quello che l’ex voto del Monte ci fa intravedere, c’è da esecrare la mania piccolo borghese degli arricchiti di Racalmuto dello secolo XX di piazzarsi con i loro casamenti sopraelevati sulle case terrane (o al massimo solerate) nel bel mezzo della storica piazza dell’Università di Racalmuto. E dire che riuscirono a farsi credere anche dalle menti più elette del nostro paese  come dei benemeriti filantropi!
Certo marginale appare il ruolo dei del Carretto in questa vicenda fiscale. Quel che rileva è il ricorso pubblico al prestito, quello cioè che oggi avviene tra i Comuni e la Cassa Depositi e Prestiti. Solo che allora per Racalmuto siffatta Cassa DD.PP. era nient’altro che uno strozzino di Agrigento, tal Caputo, superriverito ed adulato dal pubblico notaio.

Popolazione racalmutese nel 1577

Sembra opportuno tracciare il grafico della popolazione di Racalmuto che tenga conto dei dati del carteggio del 1577.
La curva dell’andamento demografico della Racalmuto del ’500 si avvalla vistosamente, come è ovvio, nell’anno della peste del 1576, e così si dispiega:






Il crollo demografico del 1576, come si vede, sembra irreversibile (anche se fu dovuto                                                             più alla fuga che alla morte dei racalmutesi: i superstiti quindi ebbero poi modo di ritornare nelle loro case di paese, lasciando - riteniamo - quelle di campagna). Occorrerà aspettare il 1658 (un secolo) per risalire a quota 5.165 e solo nel 1660 la popolazione supererà quella del 1570 assestandosi a quota 5488.

Quanto alle finanze locali, la crisi del 1577 fu in qualche modo tamponata; il bilancio comunale toccherà nel 1593 un disavanzo di appena 28 onze, un tarì e quattro grani (460 onze  d’introito ed onze 488, tarì 1 e grana quattro d’esito). La forte pressione fiscale - tutta basata sulle imposte indirette - portarono ad una asfissiante strozzatura dei consumi da parte dei poveri. I proventi dalle rinomate salsicce racalmutesi furono pressoché nulli: pane, foglie, pilo, vino, formaggio, legname, pesci e qualche altra voce diedero un gettito tributario che si volatizzò essenzialmente per le spese militari e per oltre la metà per ciò che era dovuto alla regia Corte a titolo imprecisato. Per di più  si pagavano sei onze annue per “tande”.

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