sabato 26 marzo 2016

Messana (Messina), consegnata dai Mamertini ai Romani nel 264 a.C., ottenne dopo la fine della guerra lo status di civitas libera et foederata (città libera ed alleata, formalmente indipendente), unica in Sicilia insieme a Tauromenium (Taormina). Il nome greco Messanion fu tradotto in latino con Messana. Durante l'età repubblicana subì ancora attacchi durante le guerre servili (102 a.C. Cicerone, nelle orazioni contro Verre, la definì civitas maxima et locupletissima (città grandissima e ricchissima). Pompeo attaccò nel 49 a.C. la flotta cesariana che si riparava nel porto della città. Successivamente divenne una delle principali basi di Sesto Pompeo, che vi sconfisse la flotta di Ottaviano e venne in seguito saccheggiata dalle truppe di Lepido. In seguito divenne probabilmente municipio. Delle vicende della città in epoca imperiale non sappiamo quasi nulla.
Secondo la tradizione, San Paolo approdò sulla costa ionica della città e vi predicò il Vangelo. Dopo la divisione dell'impero fece parte dell'Impero bizantino governata però da magistrati propri chiamati "Stratigoti". Nel 407, sotto l'Imperatore bizantino Arcadio, Messina fu costituita in "protometropoli" della Sicilia e della Magna Grecia.
Panormo (Palermo), rimase sotto il controllo cartaginese fino alla Prima guerra punica (264-241 a.C.). In particolare Palermo fu al centro di uno dei principali scontri fra Cartaginesi e Romani, finché nel 254 a.C. la flotta romana assediò la città, costringendola alla resa e rendendo schiava la popolazione che venne costretta al tributo di guerra per riscattare la libertà. Asdrubale tentò di recuperare la città ma venne sconfitto dal console romano Metello. Un ennesimo tentativo per recuperarla venne fatto da Amilcare nel 247 a.C., tanto da riuscire ad insediarsi alle pendici di Monte Pellegrino (all'epoca chiamato Erecta) tentando in più occasioni di riprenderne il comando, ma la città era ormai fedele ai Romani, dalla quale ottenne i titoli di Pretura, l'Aquila d'oro e il diritto di battere moneta, restando una delle cinque città libere dell'isola.
Syracusæ (Siracusa), divenne capitale della nuova provincia romana dopo il 212 a.C.. Dietro un arrogante malgoverno e le sistematiche spoliazioni del patrimonio artistico da parte del governatore Gaio Verre, Siracusa rimase la capitale della provincia siciliana e sede del pretore. Continuò ad essere un porto di grandi ed importanti scambi commerciali tra Oriente e Occidente. Qui soggiornarono S. Paolo e S. Marziano (primo vescovo di Siracusa), che soffermandosi in città per operare del proselitismo, vi radicò la religione cristiana, facendo diventare la città il primo avamposto d'Occidente. Con l'epoca delle persecuzioni dei cristiani, sino all'editto di Costantino nel 313, vengono costruite imponenti catacombe, seconde solo a quelle di Roma. Le successive scorrerie barbare, a partire da quelle dei Vandali nel 440, impoverirono ulteriormente la città, sino al 535 fu conquistata dal generale bizantino, Belisario, divenendo dal 663 al 668, residenza dell'Imperatore Costante II, nonché metropoli di tutte le chiese della Sicilia.





Anfiteatro romano di Siracusa





Catacombe di Siracusa





Catacombe di Siracusa





Pianta delle catacombe di Siracusa





Bagni romani (Siracusa)





Mappa dell'antica Siracusa

Tauromenion o Tauromenium (Taormina), che rimase sotto il dominio di Siracusa fino a quando Roma, nel 212 a.C., non dichiarò tutta la Sicilia provincia romana. I suoi abitanti sono considerati foederati dei Romani e Cicerone, nella seconda orazione contro Verre, accenna che la città fu una delle tre Civitates foederatae e la nomina "Civis Notabilis" (erroneamente tramandato, poi, come "Urbs notabilis"). In conseguenza di ciò non tocca ai suoi abitanti pagare decime o armare navi e marinai in caso di necessità. Nel corso della guerra servile (134 – 132 a.C.) Tauromenium fu occupata dagli schiavi insorti, che la scelsero come loro caposaldo. Stretti d'assedio dal console Pompilio, resistettero a lungo, sopportando anche la fame e cedendo soltanto quando uno dei loro capi, Serapione, tradì i compagni e permise ai Romani di prendere la roccaforte. Nel 36 a.C. nel corso della guerra fra Sesto Pompeo ed Ottaviano, le truppe di quest'ultimo, sbarcarono a Naxos e rioccuparono la città. Più tardi nel 21 a.C., per ripopolare la città dopo anni della guerra subita, Augusto inviò nuovi coloni romani a lui fedeli, espellendo quegli abitanti che a lui si erano dimostrati ostili. Strabone parla di Tauromenion come di una piccola città, inferiore a Messana e a Catana. Plinio e Tolomeo ne ricordano le condizioni di colonia romana.





Porta romana verso Messina (Tauromenion)





Teatro antico di Taormina

Thermai Himeraìai (Termini Imerese), nel corso della prima guerra punica, i Romani subirono presso la città una durissima sconfitta ad opera di Amilcare (260 a.C.), ma successivamente riuscirono a conquistarla, nel 253 a.C.. Da allora rimase fedele a Roma, e fu tra quelle soggette a tributo. Dopo la conquista di Cartagine, nel 146 a.C., Scipione Emiliano restituì a Terme le opere d'arte sottratte dai Cartaginesi ad Imera: tra queste vi era una statua di Stesicoro, che vi aveva soggiornato. C'è pervenuta la base di una di queste statue, con parte dell'iscrizione. Nel corso delle guerre civili la città parteggiò per Gneo Pompeo Magno (forse in essa vivevano molti di quei commercianti italici che costituivano una parte importante del partito mariano): Pompeo, nell'81 a.C., s'apprestava a punire duramente Terme, quando ne fu distolto dall'intervento del più influente cittadino, Stenio, che, da partigiano di Gaio Mario, divenne allora sostenitore ed amico di Pompeo (cfr. Plutarco); il che non impedì a Verre di spogliare la casa di Stenio delle sue opere d'arte e d'intentargli un processo. Dopo la guerra contro Sesto Pompeo, Ottaviano vi dedusse una colonia: è probabile che questo fatto costituisse una punizione per la città, che, per legami clientelari, aveva abbracciato probabilmente il partito pompeiano. La radicalità dell'operazione risulta dalle numerose iscrizioni latine che ci sono pervenute, e soprattutto dalla presenza massiccia in esse di nomi romani ed italici: il vecchio fondo della popolazione sembra praticamente scomparire all'inizio dell'età imperiale.
Tindari, durante la prima guerra punica, si trovava sotto il controllo di Gerone II di Siracusa. Fu base navale cartaginese, e nelle sue acque si combatté nel 257 a.C. la battaglia di Tindari, nella quale la flotta romana, guidata dal console Gaio Atilio Calatino, mise in fuga quella cartaginese. Con Siracusa passò in seguito nell'orbita romana (dal 212 a.C.) e fu base navale di Sesto Pompeo. Presa da Augusto nel 36 a.C., che vi dedusse la colonia romana di Colonia Augusta Tyndaritanorum, una delle cinque della Sicilia, Cicerone la citò come nobilissima civitas. Nel I secolo d.C. subì le conseguenze di una grande frana, mentre nel IV secolo fu soggetta a due distruttivi terremoti. Sede vescovile, venne conquistata dai Bizantini nel 535 e cadde nell'836, nelle mani degli Arabi dai quali venne distrutta.





Le mura di cinta di Tindari





Teatro greco di Tindari





La basilica romana di Tindari





Statua maschile loricata, opera romana di età traianea (Museo Archeologico Regionale Antonio Salinas)





Statua di Claudio-Giove, da Tindari

Cultura[modifica | modifica wikitesto]

Lingua[modifica | modifica wikitesto]




Gli scavi di Lilybaeum: la città più occidentale di Sicilia fu verosimilmente trilingue (latino-greco-punico) ancora in età alto-imperiale, come dimostra ad esempio il ritrovamento di alcune edicole sepolcrali[101]
In età repubblicana la lingua prevalentemente utilizzata in Sicilia rimase il greco, anche in virtù dell'assenza di una vera e propria politica linguistica romana[102][103][104]: ancora all'epoca di Cicerone il greco rappresentava la lingua in voga presso la classe alta e greci sono tutti i nomi dei siciliani menzionati dall'arpinate nelle Verrine[105]. In esse, inoltre, Cicerone descrive il calendario greco (all'epoca ancora in uso in tutta la Sicilia), le feste greche, i rapporti delle città siciliane con Delfi e altri santuari panellenici, i nomi degli atleti siciliani vincitori alle gare olimpiche, l'architettura sostanzialmente greca[106].

Le lingue anelleniche (sicano, siculo, elimo, punico) probabilmente venivano ancora parlate nelle campagne e adoperate nei culti religiosi fortemente tradizionali, ma erano sicuramente escluse da tutti i domini alti e dalla scrittura[107]. Soltanto del punico vi è una testimonianza diretta (una breve iscrizione del II-I secolo a.C. da Aegusa) e, stando alla testimonianza di Apuleio, potrebbe essere stato parlato fino all'età imperiale[108]. Alcuni mamertini conservarono verosimilmente il loro dialetto italico[106].

Anche la letteratura rimase fino a un certo punto quasi esclusivamente in lingua greca, con autori come Diodoro Siculo e Cecilio di Calacte ancora nel I secolo a.C.; il punto di svolta si ebbe nella fase imperiale, quando il latino andò affermandosi come lingua alta e cominciarono a essere prodotte opere nella lingua di Roma: Calpurnio Siculo, Frontino, Flavio Vopisco, Firmico Materno produssero in latino, sebbene non mancassero esempi di autori in lingua greca anche sotto l'impero (Panteno, Aristocle di Messene, Probo di Lilibeo, Citario)[109].

Con l'insediamento di sei colonie romane comparvero per la prima volta in Sicilia compatti nuclei latinofoni e iniziò a diffondersi un bilinguismo latino-greco che durerà fino all'età bizantina: in generale, nel periodo imperiale il latino sostituì in un numero sempre crescente di domini il greco e quest'ultimo, a poco a poco escluso dagli ambiti alti, fu confinato al rango di lingua bassa, seppur non priva di prestigio storico, e largamente usato dalla popolazione[110]. In questo periodo dovrebbero essere scomparse definitivamente le lingue anelleniche e viene attestata la lingua delle numerose comunità giudaiche e samaritane dell'isola (anche se nella maggior parte dei casi, pur dotati di una precisa fisionomia etnica e religiosa, esse utilizzavano il latino e il greco)[111].

Note[modifica | modifica wikitesto]

1.^ Finley, 2009, p. 144
2.^ a b c d e f g h i Guidetti, op. cit., p. 323.
3.^ a b c Geraci e Marcone, op. cit., p. 90.
4.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. I, p. 58.
5.^ Adam Ziólkowski, Storia di Roma, Mondadori, 2006, pp. 140sgg.
6.^ Geraci e Marcone, op. cit., p. 50.
7.^ Dreher, p. 92.
8.^ Dreher, p. 96.
9.^ Dreher, p. 90.
10.^ Dreher, p. 98.
11.^ Dreher, p. 105.
12.^ Zosimo, Storia nuova, II, 33.2.
13.^ Dreher, p. 108.
14.^ Finley, 2009, p. 143
15.^ ille M. Cato Sapiens cellam penariam rei publicae nostrae, nutricem plebis Romanae Siciliam nominabat, come riporta Cicerone nelle Verrine, II, 2, 5 (cfr. Giuseppe Carlucci, I Prolegomena di André Schott alla Biblioteca di Fozio, Edizioni Dedalo, 2012, p. 171, nota 182).
16.^ a b Finley, 2009, p. 141
17.^ Il sequestro di donne per procurarsi forzosamente delle mogli venne poi spesso associato da diversi scrittori (Polibio, 1, 7, 3-4; Diodoro, 21, 18, 1) all'"impresa" dei Mamertini a Messana, anche se dovette essere la norma in tutti i casi in cui i tiranni compensarono i propri mercenari autorizzandoli a impossessarsi di città o insediandoveli come coloni (cfr. Finley, 2009, p. 127).
18.^ Geraci e Marcone, op. cit., p. 86.
19.^ Finley, 2009, pp. 129-130
20.^ Finley, 2009, p. 132
21.^ Geraci e Marcone, op. cit., pp. 86-87.
22.^ Geraci e Marcone, op. cit., p. 87.
23.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. I, p. 59.
24.^ Citato in Finley, 2009, p. 132
25.^ Finley, 2009, p. 133
26.^ Finley, 2009, pp. 132-133
27.^ Finley, 2009, p. 134
28.^ a b c Geraci e Marcone, op. cit., p. 89.
29.^ a b Guidetti, op. cit., p. 322.
30.^ Michael Hewson Crawford, Coinage and Money Under the Roman Republic: Italy and the Mediterranean Economy, University of California Press, 1985, p. 104.
31.^ Voce "Questore" su treccani.it.
32.^ Provincia Sicilia: ricerche di storia della Sicilia romana da Gaio Flaminio a Gregorio Magno.
33.^ Citato in Guidetti, op. cit., p. 323.
34.^ Thomas D. Frazel, The Rhetoric of Ciceros "In Verrem", Vandenhoeck & Ruprecht, 2009, p. 197, ISBN 978-3-525-25289-5.
35.^ Plinio Fraccaro, decumani, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. URL consultato il 9 febbraio 2016.
36.^ Geraci e Marcone, op. cit., pp. 92-93.
37.^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 23.10.
38.^ a b c d Finley, 2009, p. 137.
39.^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 24.3.
40.^ Livio, XXV, 40.2.
41.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. I, p. 60.
42.^ Livio, XXVII, 4.1-2.
43.^ Livio, XXVII, 4.3-4.
44.^ Livio, XXVII, 5.1-2.
45.^ Livio, XXVII, 5.2-4.
46.^ Finley, 2009, pp. 137-138
47.^ Finley, 2009, p. 138
48.^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 56.9 e 58.8.
49.^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 59.2.
50.^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 69.7.
51.^ Civitates di Sicilia, instoria.it. URL consultato il maggio 2012.
52.^ a b IL COMPORTAMENTO DI ROMA NEI CONFRONTI DELLE CIVITATES DI SICILIA, instoria.it. URL consultato il agosto 2005.
53.^ Tra istituzioni e storia socio-economica: Salvatore Calderone e la Provincia Sicilia, academia.edu.
54.^ La citazione è ricordata ad esempio da Alberico Gentili nel suo De jure belli libri III del 1598 (cfr. il testo pubblicato da Giuffrè nel 2008, p. 6).
55.^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 89.2.
56.^ Finley, 2009, pp. 146-147
57.^ Appiano, Guerre mitridatiche, 93.
58.^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 98.3.
59.^ Floro, Compendio di Tito Livio, I, 41, 6.
60.^ Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXXVI, 22.2.
61.^ Floro, Compendio di Tito Livio, I, 41, 9-10.
62.^ Appiano, Guerre mitridatiche, 95.
63.^ Fezzi, Il tribuno Clodio, p. 44.
64.^ Finley, 2009, p. 169.
65.^ a b Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 123.1.
66.^ Finley, 2009, p. 170.
67.^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 128.1.
68.^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 127.5, 128.1 e 129.1-4.
69.^ Finley, 2009, p. 171.
70.^ Finley, 2009, p. 172.
71.^ a b Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. I, p. 64.
72.^ Colonia, al tempo di Augusto, non era una colonia in senso moderno, ma un centro in cui veniva collocato un consistente numero di veterani (cfr. Finley, 2009, p. 173).
73.^ Finley, 2009, p. 173
74.^ a b c Finley, 2009, p. 174
75.^ Finley, 2009, p. 175
76.^ In contrada Ventrelli-Cozzo Saitano, nei pressi di Ramacca, è stata ritrovata un'iscrizione in latino che ricorda un Abdalas, magister ovium ("capo pastore"), dipendente di Domizia Longina, moglie di Tito Flavio Domiziano, imperatore dall'81 al 96 (cfr. Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. I, pp. 65-66, La Sicilia romana tra Repubblica e Alto Impero - Atti del convegno di studi, p. 46, nota 13, e la scheda dell'epigrafe sullo Epigraphische Datenbank Heidelberg).
77.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. I, pp. 63-65.
78.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. I, p. 68.
79.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, pp. 1-2.
80.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, p. 2.
81.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, p. 7.
82.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, p. 6.
83.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, pp. 7-8.
84.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, p. 8.
85.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, pp. 9-10.
86.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, p. 10.
87.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, pp. 10-11.
88.^ Finley, 2009, p. 201
89.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, p. 11.
90.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, pp. 11 e 13.
91.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, pp. 12-13.
92.^ Benigno e Giarrizzo, op. cit., vol. II, p. 18.
93.^ Eutropio, II 19.
94.^ Plinio il Vecchio, Naturalis historia, VII 214.
95.^ Plutarco, Vita di Marcello, 30.
96.^ Strabone, VI 2, 6
97.^ Strabone, Geografia.
98.^ Paolo Orosio, V 13, 3.
99.^ Verrine, II 3, 10.
100.^ Treccani, Lilibeo in Treccani, treccani.it.
101.^ Varvaro, 1981, p. 27.
102.^ Varvaro, 1981, p. 33: «Nulla potrebbe essere più sbagliato dell'idea che la creazione della provincia romana di Sicilia abbia comportato, almeno dalla fine del secolo III a.C., la latinizzazione dell'isola. Non soltanto non esiste alcuna prova di ciò, ma tutto quel che sappiamo della politica linguistica dei Romani - e meglio sarebbe dire della mancanza di una loro politica linguistica - basta ad escludere qualsiasi intento di latinizzazione».
103.^ Finley, 2009, p. 155: «Fu il latino ad essere intruso ed estraneo fino alla fine della repubblica, cosa che i romani accettarono non cercando d'imporlo neanche a scopi amministrativi».
104.^ Rohlfs, 1984, p. 22: «[…] anche la grecità della Sicilia contrappose alla romanizzazione una forte, lunga e persistente resistenza. […] La resistenza della lingua greca era anche favorita dal fatto che Roma, nei confronti del greco, non applicò mai un'attiva politica linguistica».
105.^ Con poche eccezioni, che Scramuzza ricondusse agli Italici piuttosto che ai Romani: cfr. Varvaro, 1981, p. 35.
106.^ a b Finley, 2009, p. 155.
107.^ Varvaro, 1981, p. 38.
108.^ Apuleio, Metamorphoseon libri XI, XI,5.2: «Siculi trilingues», che dovrebbero essere latino, greco e punico.
109.^ Varvaro, 1981, pp. 45-46.
110.^ Finley, 2009, p. 189: «Il grosso della popolazione rimase di lingua greca, mentre le classi amministrative e colte parlavano latino, o per essere esatti, erano bilingui».
111.^ Varvaro, 1981, p. 50.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti antiche(GRC) Appiano di Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά), VII e VIII. (traduzione inglese).
(LA) Cicerone, In Verrem. (testo latino Wikisource-logo.svg e versione inglese Wikisource-logo.svg).
(LA) Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, vol. III. (testo latino Wikisource-logo.svg e traduzione inglese Wikisource-logo.svg).
(LA) Livio, Ab Urbe condita libri. (testo latino Wikisource-logo.svg e versione inglese Wikisource-logo.svg).
(LA) Livio, Periochae, 21-30. Wikisource-logo.svg
(GRC) Plutarco, Vite parallele, Pelopida e Marcello. (testo greco Wikisource-logo.svg e traduzione inglese).
(GRC) Polibio, Storie (Ἰστορίαι), III-XV. (traduzione inglese qui e qui).
(GRC) Strabone, Geografia. (traduzione inglese).
Fonti storiografiche moderneArnaldo Momigliano e Arthur Geoffrey Woodhead, Sicilia, in Nicholas Hammond e Howard Scullard, Dizionario di antichità classiche, Milano, Edizioni San Paolo, 1995, ISBN 88-215-3024-8.
Claire L. Lyons, Michael Bennett, Clemente Marconi (a cura di), Sicily: Art and Invention between Greece and Rome, Getty Publications, 2013, ISBN 978-1-60606-133-6.
Giacomo Manganaro, La provincia romana, in Rosario Romeo (a cura di), Storia della Sicilia, vol. 2. La Sicilia antica, 2ª ed., Roma, Editalia, 1997 [1979], pp. 309-363.
Alberto Varvaro, Lingua e storia in Sicilia, Palermo, Sellerio, 1981.
Moses Israel Finley, Storia della Sicilia antica, 8ª ed., Roma-Bari, Editori Laterza, 2009 [1970], ISBN 978-88-420-2532-0.
Gerhard Rohlfs, La Sicilia nei secoli. Profilo storico, etnico e linguistico, Palermo, Sellerio, 1984.
Francesco Benigno e Giuseppe Giarrizzo, Storia della Sicilia, vol. 1, Roma-Bari, Laterza Editore, 1999, ISBN 88-421-0533-3.
Francesco Benigno e Giuseppe Giarrizzo, Storia della Sicilia, vol. 2, Roma-Bari, Laterza Editore, 1999, ISBN 88-421-0534-1.
Giovanni Geraci e Arnaldo Marcone, Storia romana, Firenze, Le Monnier, 2004, ISBN 88-00-86082-6.
Massimo Guidetti (a cura di), Storia del Mediterraneo nell'antichità, Editoriale Jaca Book, 2004.
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Martin Dreher, La Sicilia antica, Bologna, il Mulino, 2010, ISBN 978-88-15-13824-8.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Isola di Sicilia
Provincia romana
Fornitura di grano per la città di Roma
Mamertini
Prima guerra punica
Gerone II
Manio Valerio Massimo Messalla
Battaglia delle Isole Egadi
Seconda guerra punica
Assedio di Siracusa (212 a.C.)
Marco Claudio Marcello
Archimede
Marco Valerio Levino
Via Valeria
Latifondo in Sicilia
Lex Rupilia
Prima guerra servile
Euno
Seconda guerra servile
Gaio Licinio Verre
Marco Tullio Cicerone
Verrine
Diodoro Siculo
Sesto Pompeo
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Santa Lucia
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Belisario
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Villa del Tellaro
Moses Israel Finley

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