venerdì 30 dicembre 2016


Capoccio arciprete di Racalmuto

 
Il Vescovo Horozco, usa ed abusa dei benefici ecclesiastici di Racalmuto, anche per le sue velleità letterarie. Del resto, aveva nominato arciprete di Racalmuto il suo segretario particolare Alessandro Capoccio che non aveva neppure il tempo di prendere possesso di persona dell’arcipretura ed ebbe perciò a mandarvi due suoi rappresentanti, muniti di formalissimi  atti notarili. [1]
Tre anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del Covarruvias, per prosternare la prima relazione ‘ad limina’ dei Vescovi di Agrigento al Papa[2].
Mons. Domenico de Gregorio parla del Capoccio nel lavoro prima citato (pag. 69) come uno dei due testimoni nel processo canonico del febbraio 1594 per la nomina dell’Horozco[3] a Vescovo di Agrigento presso il nunzio pontificio in Spagna, Camillo Gaetano. In particolare, la testimonianza del Capoccio fu preziosa quando si trattò della situazione della Chiesa Agrigentina, dato che costui  aveva «dimorato circa due anni nella .. città» di Agrigento.  Peraltro, il Capoccio a quel tempo solo «da due mesi conosceva l’Horozco».
Si dà il caso che con tali testimonianze passò inosservata la mancanza della “limpieza de sangre”,  avendo il designato sangue ebreo nelle vene, che era all’epoca d’ostacolo alle cariche ecclesiastiche. Il Capoccio venne poi compensato con la lauta arcipretura di Racalmuto.
Il De Gregorio è comprensibilmente circospetto e si limita ad annotare: «Il Covarruvias portò con sé alcuni ecclesiastici spagnoli che poi fornì di benefici come Ferdinando Rodriguez, nominato nel 1596 arciprete di Cammarata, il suo familiare Giovanni Aleyva cui nel 1602 diede il beneficio della Madonna dei Miracoli di Cammarata, il dr. Antonio Perez de Bobadilla nominato canonico, Alessandro Capoccio che fu arciprete di Racalmuto (1597) e Vicario generale».
Per quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che subentrò l’Argumento, nominato arciprete di Racalmuto nel marzo del 1600.[4]
Di lui v’è cenno nel Sinodo del Vescovo Covarruvias del 1600-3. Tra gli altri viene nominato esaminatore sinodale. [5] Resta oscuro se la successione nell’arcipretura sia avvenuta per morte o per caduta in disgrazia del Capoccio[6].

ANTICHE CHIESE

 

CULTO DI S. ROSALIA

Nella visita pastorale fatta a Racalmuto vi è un accenno ad una chiesa dedicata a S. Rosalia, ubicata nella bisettrice Carmine-Fontana.  A leggere la storia di Sicilia di  Denis Mack Smith - lo storico amico di Leonardo Sciascia  - , si sarebbe portati a credere che Santa Rosalia sia stata un’invenzione del Cardinale Giannettino Doria. Fu questi in effetti che trasformò il  rinvenimento di ossa nel Monte Pellegrino, il 15 luglio 1624,  in un miracoloso rinvenimento della salma di Santa Rosalia.
Resta, invece, assodato che a Racalmuto il culto di Santa Rosalia è ben più antico. Non sembra che vi sia qualcosa su S. Rosalia nelle primissime visite pastorali agrigentine del 1540-3, dato che in quella del 1543 si accenna alle seguenti chiese racalmutesi:
1)    Chiesa Maggiore, sotto il titolo di S. Antonio;
2)    “Ecclesiola” sub titulo Annuntiationis Gloriose Virginis Marie, da tempo sede di una Confraternita e dove era stato trasferito il Santissimo, chiesa adibita ormai al posto di quella Maggiore, a quanto pare fatiscente;
3)    Chiesa di Santa Maria del Monte;
4)    Chiesa di santa Maria di Gesù;
5)    Chiesa di Santa Margherita;
6)    Chiesa di San Giuliano;
 
Nella precedente visita del 1540 abbiamo:
1)    Chiesa della “nuntiata
2)    Chiesa di Santa Maria di Gesù (Jhù)
3)    Chiesa di Santa Margherita
4)    Chiesa di “Santa Maria di lo Munti
5)    Chiesa di S. Giuliano. [7]
 
Il silenzio delle fonti - si sa - storicamente non comprova  molto; ma è certo che a quel tempo quella chiesa, se vi era, non rivestiva agli occhi della curia vescovile grande importanza. Passando alla visita pastorale del 1608, la Chiesa di Santa Rosalia è posta nell’interno dell’abitato di Racalmuto. Il 22 giugno VI Ind. 1608, il vescovo Bonincontro la indicava in modo piuttosto esplicativo come meglio vedremo dopo.
Ribadiamo l’antichità del culto di S. Rosalia, di certo provabile sin dal primo decennio del 1600, un quarto di secolo almeno anteriore alla discutibile invenzione delle spoglie mortali in Monte Pellegrino se non da parte almeno sotto il cardinale Doria. [8]
*  *  *
 
 
Senza dubbio la fonte storica sulla Chiesa di Santa Rosalia più antica ed accreditata è quella del PIRRI.
« Rahyalmutum - scrive a pag. 758 - [...] Pervetusta erat aedes ab anno 1400 circiter ubi ad annum 1628 dipincta videbatur  S. Rosalia Virginis in habitu heremitico, sed incuria aliquorum ob novum aedificium dicatum eidem Virgini, cuius colunt reliquias, cum societate animarum Purgatorii, habennte uncias 70, deleta est.»
Può così tradursi il passo latino del Pirri: «A Racalmuto v’era una chiesetta [aedes] - antichissima - che risaliva all’anno 1400 circa. Fino al 1628 vi si poteva vedere dipinta un’immagine di santa Rosalia in abito d’eremita e portante una croce ed un libro tra le mani.. Purtroppo, è andata distrutta  per incuria di alcuni,  ormai tutti presi dalla nuova chiesa dedicata alla medesima Vergine, di cui venerano alcune reliquie con una confraternita denominata delle Anime del Purgatorio dotata di rendite per 70 once.»
Non si sa se la nuova chiesa di Santa Rosalia sia sorta in altro posto oppure sopra quella vecchia. Quella vecchia, nel 1608, collocavasi nel mezzo della bisettrice Carmine-Fontana. In dettaglio sappiamo che travavasi dalla parte della parrocchia di S. Giuliano: per giungere alla vecchia chiesa di Santa Rosalia, posta dalla parte di S. Giuliano, si partiva dal:
·     Carmino et  tira a drittura  strata strata alli casi di Antonino Curto La Mantia;
·     e tira  strata strata per la cantonera delli casi et potya d. m.o Gregorio Blundo;
·     et tira all’altra cantonera della Casa di Vincenzo Brucculeri affacci frunti la potya di M.o Gregorio  Blundo;
·     e dilla  scindi a drittura alla Chiesa di Santa Rosalia
La linea divisoria prosegue, quindi, per le seguenti  strade per giungere fino alla Fontana.
·     dilla scindi alla Cantonera delli casi del quondam Carlo d’Afflitto parimente puntone della propria strada -  et dilla tira per la medesima strada alla Cantonera delli casi del quondam Francesco di Liu
·     et dilla tira dritto per l’orto di Cavallaro fino allo loco dov’era la chiesa di San Leonardo lo vecchio.
La chiesa dunque è proprio al centro, con tre strade sopra e tre sotto in quel congiungimento del Carmine colla Fontana.
Ripercorrendo il tratto dal versante della Matrice, ne abbiamo ovviamente la riconferma. Ecco i dati:

Si parte dal Carmine e di là

·     si tira a drittura alla grutta di Pannella restando d.a grutta nella d.a parocchia della nunziata
·     et scende allo capo della strada, per la cantonera della casa di Pietro Rizzo e per la cantonera della    Casa di Antonino Curto La Mantia
·     e tira strata strata per la cantonera della casa di Augustino la Lumia circa
·     circa all’altra cantonera della casa di Giacomo di Puma  affacci frunti della Chiesa di Santa Rosalia 
Del pari, si scende:
·     sino alla cantonera delli casi di Antonino Lo Brutto in un puntone della strada
·     e per la ditta strada tira alla cantonera della potya di Vito di Salvo e tira alla Cantonera delli Casi di Anibali Piamontisi,
·     e per la ditta strada tira alla cantonera della potya di Vito di Salvo e tira alla Cantonera delli Casi di Anibali Piamontisi,
·     et dilla tira alla cantonera di Paulo Macaluso confinante con li casi di Geronimo di Nolfo et li casi di m.o Oratio lo Nobili fino alla fontana.
P. Morreale fornisce varie notizie sulla chiesa, ma non tutte, a mio avviso, sono accettabili. Nel volume maria ss. del monte di racalmuto - Racalmuto 1986 - per il gesuita - «E’ posteriore la notizia di una chiesa dedicata a S. Rosalia in Racalmuto negli anni 1320-1330» (pag. 23);
·     «I Racalmutesi non pensarono solo alle case;  [..] anche alle chiese. Rocco Pirri chiama «antichissima, circa dell’anno 1400, che durò fino al 1628» la chiesa di S. Rosalia, dove la santa era dipinta  «in abito eremitico, tenendo in mano la croce ed il libro». La notizia del dipinto la troviamo anche nel p. Cascini S.J. Nella sua opera  «Santa Rosalia, vergine palermitana»; riferendosi alla chiesetta di Racalmuto dedicata alla Santa dice, ‘V’era l’effige della santa dipinta nel muro ... di questa prima immagine restandosi ben fissa nella mente ... Pietro d’Asaro, n’ha dato fuori un bell’esemplare’» (pag. 24) [Il testo del Cascini è del 1651, n.d.r.].
·     «Il Cascini fa scendere la data di costruzione della chiesa, dal 1400 come vuole Rocco Pirri, alla fine del 1300.
«Per quanto riguarda l’ubicazione pare che sorgesse in fondo alle attuali vie Cavour e Baronessa Tulumello e che fosse di piccole dimensioni come affermano le carte del ‘600 e ‘700.» (pag. 24)
·     «Santa Rosalia [...] fin dal 1320-1330 era onorata in una chiesetta a lei dedicata» (pag. 97);
·     «Santa Rosalia riscuoteva venerazione e culto non solo nell’antica chiesa di Casalvecchio, ma anche in quella a lei dedicata nella nuova Racalmuto, sita tra l’Itria e il Collegio di Maria» (pag. 98). 
 
Non so come il P. Morreale arrivi a collocare la chiesa di Santa Rosalia ‘tra l’Itria e il Collegio di Maria’. La chiesa del 1608 poteva benissimo essere colà ubicata, anche se i dati prima riportati farebbero pensare ad un posto più a sud, forse a monte di via M.A. Alaimo.
Il padre Antonio Parisi - secondo le note manoscritte che attribuisco all’arciprete Genco - sosteneva che «Racalmuto la patria mia fu la prima in tutta la Sicilia ad innalzare un tempio a S. Rosalia già sin dal 1238». Il P. Morreale - che mostra di conoscere quel manoscritto - parla invece del 1320-1330, dando pieno credito al p. Asparacio Domenico O.F.M. Conv. ed a quanto questi scrive in proposito a pag. 22 del suo libro «La Santuzza ossia S. Rosalia», Palermo, 1924. L’erezione della chiesa nel secolo XIII o nel Secolo XIV è frutto - secondo me - di una cattiva lettura del testo del p. Cascini quando accenna al muro cadente con sopra la residua scritta MCC.    Il Cascini, invero,  - come del resto dice lo stesso P. Morreale (op. cit. pag. 69) -  «non fa distinzione tra l’antica e nuova Racalmuto; per cui la chiesa del 1320-1330 è quella della nuova Racalmuto, servita dai confrati del SS. Sacramento. [cfr. Cascini Giordano, S. Rosalia Vergine palermitana, pag. 14-15]»
Per mera congettura, sembra quindi che il gesuita P. Morreale s’induca a porre quella chiesetta a Casalvecchio. Secondo le credenze locali, finora mai smentite, si opina che in quel tempo Racalmuto fosse dislocato in quella contrada. Tinebra-Martorana non ha dubbi: sino al 1355 Racalmuto «occupava i luoghi ora detti Saraceno e Casal Vecchio» (pag. 68 e ss.). Ma, reputo del tutto infondata questa credenza per le ragioni e le letture che riporto in nota [9]: escludo pertanto che la vecchia Chiesa di S. Rosalia - anziché lungo la bisettrice Carmine-Fontana - potesse ergersi a Casalvecchio, come vorrebbe il P. Morreale.
Il gesuita nostro compaesano è pregevole per ricerca storica ed archivistica e per sobrietà di stile: non ebbe però modo di accorgersi dei dati sulla chiesa di S. Rosalia contenuti nella Visita Pastorale del 1608. Men che meno, Eugenio Napoleone Messana, che ignorò del tutto gli archivi della curia agrigentina. Entrambi incappano, quindi, in topiche storiche circa il dislocamento di una chiesa a Casalvecchio. Sia S. Rosalia sia S. Margherita erano chiese antichissime, ma sempre poste all’interno dell’attuale perimetro edificatorio racalmutese, come le carte vescovili inconfutabilmente comprovano.
Le carte vescovili ed i dati del Pirri consentono una ricognizione, sinora mai effettuata, del numero delle chiese in Racalmuto, prima del ‘600.
Oltre alle n. 6 chiese rinvenibili nella visita pastorale del 1542-43, sono da annoverarne altre tre:
·     l’antica chiesa di santa Rosalia;
·     la chiesa di S. Leonardo ‘lo vecchio’, sita nei pressi della Barona, vicino la Fontana, e totalmente distrutta nel 1608;
·     la chiesa di S. Benedetto (il Coenobium cum Ecclesia del Pirri), verosimilmente operante nel vecchio Campo Sportivo.
Non so se nel 1596 sorgesse nel Beneficio di S. Agata una qualche omonima chiesa di cui è comprovata l’esistenza in carte vescovili del XVIII secolo. Nell’ «archivio storico siciliano» del 1908 , Nuova Serie, Anno XXXIII, F. M. Mirabella pubblicava un articolo su «Sebastiano Bagolino, Poeta latino ed erudito del Sec. XVI» (pag. 105 e ss.). Vi si parla anche dei difficili rapporti del poeta ed il vescovo di Agrigento Giovanni Orozco Covarrusias e Leyva di Toledo. Leggo a pag. 188: «Certo è che della sua traduzione [fatta dallo spagnolo in latino di alcune opere del vescovo] il Bagolino non si tenne adeguatamente compensato. Aveagli il vescovo fatto l’onore di ammetterlo alla sua mensa; aveva anche conferito a don Pietro Bagolino, fratello di lui, prima i beneficj di Santa Lucia e di S. Margherita in Castronovo, di S. Agata in Racalmuto, di S. Maria Maddalena in Naro, di S. Leonardo fuori le mura di Girgenti, e poi quello di S. Pietro nella stessa Girgenti col reddito annuo di 250 ducati. Ma questo al poeta non pareva un guiderdone condegno.» [10]

LA NOVELLA CHIESA DI S. ROSALIA.

Efficace il Pirri nel parlare del fervore della confraternita delle Anime del Purgatorio nel costruire o riedificare la Chiesa di Santa Rosalia. L’anno è il 1628, qualche tempo dopo la tremenda peste che a Racalmuto infierì nel 1624 [11], anno del  rinvenimento del corpo di S. Rosalia nella grotta di Monte Pellegrino, giusta appunto il giorno dell’Ascensione.
Nel manoscritto attribuibile al Genco è significativo il presente passo:  «Poi a pag. 373 [il Cascini] narra che Racalmuto fu devoto di S. Rosalia tanto che narra: “Ne si mostrò poco divota verso S. Rosalia la terra di Rahalmuto, la quale come si è detto nel primo libro, fin dal suo principio, nacque sotto la protettione di questa Santa e vi dedicò  la sua prima chiesa, havendola hora rifatta di nuovo; è incredibile la divotione, con che viene visitata a piè scalzo ogni sera non da pochi, ma d’una moltitudine grande. Però con molto maggior mostra di pietà, e humiltà ciò fecero il  giorno quando accompagnarono la sua Santa reliquia, che fù l’ultimo di Agosto 1625, erano andati a portarla da Palermo, ben 80. a cavallo, e quella mattina, che fù Domenica, si cantò prima [pag. 375] la Messa nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti colla solennità solita; e si liberò una spiritata; dopo il  Vespro pur solenne si fece la processione, nella quale, benché vi fosse molta pompa d’apparato con tre archi trionfali,  di luminarie per tre giorni, di concerto di Musiche, e salve di schioppi, nondimeno superava ogni cosa la devotione, che s’udia delle voci, e sospiri, e pianti, e si vedea della moltitudine tutta a piè scalzo.
Accettò la Santa la pietà loro, e gli mostrò a chiari segni, che la sua protettione l’havea liberati dalla pestilenza; imperoché havendo la terra delle Grotte presso à due miglia molto mal menata da quel morbo, colla quale così infetta per un buon pezzo, prima che fosse dichiarata, vi fù pratica stretta, per essere in buona parte parenti fra loro e haver molta communicatione, non si attaccò però male veruno; anzi entrandoci dentro appestati diversi, si di questa terra, come d’altre, i medesimi che la portavano poi in altri luoghi, quivi non vi lasciarono vestigio alcuno.»
Facendo la collazione con il testo originale, sono sate necessarie alcune rettifiche. (Si è consultata l’edizione del 1651 del volume del p. Giordano Cascini «S. Rosalia, Vergine Romita palermitana, palesata con libri tre dal M. R. P. Giordano Cascini della Compagnia di Giesù»). Il manoscritto racalmutese (ed anche p. Morreale) attinge  a questa pubblicazione palermitana del 1651. Il p. G. Cascini era morto sin dal 1635 quando fu pubblicato questo volume. E’ stato il p. Pietro Salerno S.J. a riprendere gli appunti del Cascini ed a rimaneggiare altri due testi già pubblicati tra il 1627 ed il 1635 per fare questo ponderoso tomo. Per di più rettifica ed immette notizie posteriori, ragion per cui non si sa quali notizie  siano originali del Cascini e quali interpolate successivamente dal Salerno. Nell’analisi critica dei padri autori degli «acta sanctorum» del 1748 queste anomalie sono puntigliosamente messe in rilievo. Certo, anche per la storia di Racalmuto, alcune interpolazioni del Salerno - tipo, secondo me, quella del riferimento al Monocolo - disorientano. [12]
Notizie interessanti sulla Chiesa di S. Rosalia di Racalmuto - anche se forse non proprio fondate - si scoprono nel “saggio storico-apologetico  sulla vera patria del celebre medico D. Marc’Antonio Alaimo di Racalmuto dell’Abate d. s. acquista  Napoli 1852 (cfr. copia fornitaci da P. Biagio Alessi). «... Andrea Vetrano - scrive Acquisto a pag. 7 -, discepolo di Marco Antonio Alaimo, recitò nel novembre del 1662 le lodi funebri del dotto Maestro [...e] proseguendo [..] in conferma  dell’assunto, e della pietà, che sempre più gelosamente si coltivò nella famiglia Alaimo, il medesimo scrive; che Aloisia Alaimo, dalla quale Marc’Antonio trasse sua origine, gettò in Racalmuto le fondamenta della Chiesa di S. Rosalia , unicamente a di lei spese, circa il 1200. [13]
*  *  *
Nelle varie fonti prima citate si rinvengono briciole della storia locale di Racalmuto. Non vanno disperse. A parte qualche tocco di satanismo secentesco (la vicenda della spiritata), il vivere paesano, la sua religiosità, la sua organizzazione vi trovano riscontro sinora non adeguatamente messo in risalto. Le reliquie di S. Rosalia, comprate in Palermo e traslate in pompa magna nella chiesa di S. Maria dei frati minori osservanti, da ottanta cavalieri, assurgono a momento di grande rilevanza storica. Una conferma la ritrovo nel Diploma custodito in Matrice (che però è parziale e non mi consente di leggere l’ultima parte di destra.)
Ecco ciò che riesco a decifrare:
In alto, nello svolazzante nastro:
IOANNETTINUS DORIA ET C [/]
Nel rosone, attorno ad un’interessante immagine di S. Rosalia,
Sancta Rosalia Virgo eremitica panormitana
Sotto l’aquila nobiliare
NOS  D: FRANCISCUS DELLA RIBA S. T [/]
Prothonotarius Apostolicus, Archidiaconus Maioris Panormitanæ E [/]
D.ni Nostri Utriusque signaturæ Referendarius  .. & Reverend.mi D [/]
IOANNETTINI DORIA S.R.E. Titoli Sancti Petri in Monte Aureo [/]
& Archiepiscopi Panormitani [......] V [icarius] Generalis.
Omnibus ad quos hæ litteræ pervenerint fidem facimus, & testamur
fragmenta Ossis Costæ, quæ funi penes Fratrem IOANNEN BATTISTA [/]
Montis Carmelis esse ex Reliquiis SANCTÆ ROSALIÆ V[...] [/]
Urbis Patronæ; cuius Corpus nuper est inventum in Antro Montis [/]
mirabiliter inclusum ut autem duo fragmenta, ut supra, liceat universis [/]
[..] ac religiose venerari; in huius rei testimonium presentes dedimus nostra fut [/]
præfati Ill.mi Dni Cardinalis obsignatas. Panormi Die X.. Augusti VIII Ind. [quindi 1625] MDCXX[/]
Firme illeggibili
e in basso, nell’ovale sotto gli angeli
Lilia præstanis encedunt alma rosetis,
Ignea pestis adest, hac rutilante Rosa
O felix, faustumque solum cui sacra [...]
Pignora, tabificum despicit [..]
   
 
 
 
L’altro diploma in caratteri gotici, sempre custodito in Matrice, non dovrebbe riguardare  proprio S. Rosalia, anche se  la santa vi è citata:  al 17°  e 18° rigo leggerei “in Sancte Anne et Sancti Joachini ac Annuntiantionis Beate Marie Virginis nec non  Sancte Rosalie festivitatibus et devote visitaverint  ..”. Lo stato dell’originale e  le ampie abrasioni impediscono una più precisa lettura. Dovrebbe però riguardare una bolla pontificia di concessione di indulgenze connesse ad una confraternita che credo essere quella di S. Francesco. Reca infine la data del 1630 [Anno incarnationis dominici Millesimo Sexcentesimo tricesimo Januarij], se non erro.  E’ postuma la visita fatta «in hac terra Regalmuti sub die 26 novembris 1726» da parte di un canonico.
Facendo una digressione nella digressione, l’episodio degli 80 cavalieri che portano in piena peste le reliquie di S. Rosalia da Palermo nella chiesa di S. Maria nell’agosto del 1625, dovette restare ben impresso nella memoria dei racalmutesi. Qualcuno, però, si avvalse di quel ricordo per l’esaltazione della propria famiglia. Riporto a tal proposito il seguente passo di Eugenio Napoleone Messana (op. cit. pag.  104)
«Giovanni IV del Carretto, marito di donna Beatrice Ventimiglia, figlia unica del principe di Castelbuono, quando ascese alla contea [di Racalmuto] aveva tre figli, Girolamo Aldonza e Porzia. Girolamo per la legge del maggiorasco vigente era destinato alla successione della contea. Le figlie erano entrambi (sic) ospiti della zia Marzia del Carretto, figlia di Giovanni III, abbatessa di Santa Caterina in Palermo fino al  1598, data della sua morte e vi sarebbero forse rimaste se non fossero state riportate in paese nel 1600, per volontà del padre, allarmato dell’insurrezione contro il nuovo pretore. In quell’occasione Giovanni IV promise le figlie in moglie a quei cavalieri che gliele avessero ricondotte al castello sane e salve. La sorte arrise al milite Scipione Savatteri che sposò Maria ed ebbe in dote il feudo di Gibillini. Questo matrimonio diede inizio alla famiglia dei Savatteri di Racalmuto, che risulta essere la più nobile di tutte le altre. I Savatteri infatti discendono da Pable Zavatier, nobile francese al seguito del conte Ruggero [...] Non si hanno notizie dei motivi per cui Aldonza non contrasse mai nozze, si sa soltanto che lei nel 1605 a proprie spese fece costruire l’Abbazia di Santa Chiara  ...»
L’inattendibilità storica, specie sui del Carretto, è fin troppo vistosa. Quanto a donna Aldonza, questa non ebbe mai a maritarsi e fu ospitata, zitella invecchiata, nel monastero di S. Caterina in Palermo. Eugenio Messana non  ebbe modo di studiare i documenti che si rinvengono nell’Archivio di Stato di Agrigento per  conoscere la vicenda della terribile virago secentesca donna Aldonza del Carretto. In Pirri, ad esempio, vi è qualche spunto per la storia di questa nobildonna. (cfr. pag. 758, op. cit.)
Sul nobile Savatteri, gli archivi parrocchiali smentiscono purtroppo impietosamente. Ma la digressione prova come anche nelle fantasie nobiliari locali vi sia un barlume di storia: il caso citato può a mio avviso collegarsi allo sfilare di cavalieri con le reliquie di S. Rosalia nell’estate del 1625.[14]
 
La chiesa di S. Rosalia resta funzionante per circa un secolo e mezzo. Nel 1758 essa è ormai quasi cadente: nel libro delle visite pastorali (Archivio Vescovile di Agrigento - Visita del 1758 di Andrea Lucchesi Palli -  f.  735) si annota:
«Eodem [giugno 1758] - S.ta Rosalia - Predictus Ill.mus et rev.mus U.J.d. D. Gerlandus Brunone accessit ad visitandam Ecclesiam S.tæ Rosaliæ et dixit:
‘che fosse  interdetta fin tanto, che gli altari fossero provveduti delle necessarie suppellettili giusta la forma prescritta dal nostro Ecc.mo Monsig. nelle sue istruzioni della Sagra Visita date in stampa.
La melanconica fine della gloriosa chiesa di S. Rosalia emerge burocraticamente dal Registro dei Vescovi 1792-1793, ff. 570-571, giusta i seguenti termini:
[la parte della pag. 570 che riguarda S. Rosalia reca a fianco annotato: Non abuit effectum e risulta tagliata con un’ampia X, ma la lettura è del pari interessante:]  «Rev.do Archip.tero terræ Racalmuti salutem. Restiamo intesi dalle vostre lettere segnate sotto li 21. del mese cadente di Maggio in risposta al nostro ordine  colle quali ci rappresentavate, che avendo fatto  bandire (bandiare) la Chiesa quasi diruta sotto titolo di S.ta Rosalia, non vi è stata alcuna offerta; solamente codesto Sacerdote Don Salvatore Maria Grillo per sua devozione  vuole erigere l’altare a d.a Santa entro codesta Venerabile Chiesa Madre a sue proprie spese una con tutti quelli paramenti per decoro di d.o Altare conservandosi della cessione della medesima Chiesa di S.ta Rosalia, e perciò avete a Noi ricorso per l’ordine opportuno.  Dietro il quale fu da Noi fatta ‘provvista] quod fiat ordo Rev. Paroco prout conveni.  In seguito di che vi diciamo ed ordiniamo che obligandosi il Rev. di Grillo ad erigere il dovuto Altare con tutte le necessarie decorazioni a proprie spese, ed al mantenimento del  medesimo, passerete a stipulare il contratto »
«Rev. Archip.ro Terræ Racalmuti Salutem - Restiamo intesi delle vostre lettere [...]  sotto li 21: del p.p. Mese di Maggio colle quali ci  partecipate di aver d’ordine nostro fatto subastare per il corso di anni due la ven.le Chiesa di S. Rosalia quasi diruta, e non è stato possibile rinvenire dicitore, che volesse far la sua offerta, solamente codesto Rev.do Salvadore Grillo pella sua pietà e devozione verso d.a gloriosa Santa , ed a preghiere anche dei devoti s’indusse ad acconsentire di erigere d.o Altare e Cappella condecente e congrua in codesta Venerabile Chiesa madre in onore di detta Santa uniformemente  di ornato della stessa Chiesa una [f. 571] ... con tutte le decorazioni necessarie a d.o Altare e Cappella, conservandosi della cessione della suddetta Chiesa di S.a Rosaria e Sagrestia annessa, quale offerta fu da voi annunziata, dopo averla fatta mettere all’asta [ subastare?] non fù migliorata da nissuno, e perciò chiede da Noi la licenza per poter passare a stipular contratto di cessione di suddetta Chiesa e Sagrestia in favor di detto di Grillo, obligandosi questo di far sud. Altare e Cappella, con tutta la decorazione necessaria, ed a corrispondenza dell’ornato di detta Chiesa, e come meglio per dette lettere. Dietro le quali fù da noi fatta provvista quod fiat ordo Rev. Archip.ro prout concedit: In seguito di che vi diciamo et ordiniamo che facesse fare la relazione ad un perito Maestro Marammiere di quanto bisogna per l’erezione dell’altare colle dovute decorazioni e valore della chiesa distratta, quale relazione la trasmettirete a Noi. [...] Datis Agrigenti die 3  Junij 1793: Can. Thes.us Caracciolo Vic. Cap.ris , Can. Trapani cancellarius.»
Questo sac. D. Salvatore Maria Grillo - che fa la permuta con la chiesa di S. Rosalia - appare tra i sacerdoti officianti dell’Itria a fine del secolo XVIII, anche se spesso si fa sostituire a pagamento da altri sacerdoti nella celebrazione delle messe dovute per i confrati di quella congregazione.
Nei vari Censimenti custoditi in Matrice figura questo sacerdote, che risulta  defunto nel 1806. Eccone qualche dato:

(dal censimento del 1790)

103
Grillo
Nicolò
ROSALIA D.A M - ANTONIO 20 – D. GAETANO 16 - D. GIROLAMO 28 - FILIPPA SERVA – CALOGERA SERVA
BARONE
104
Grillo
Salvadore
VENERA SERVA - CHIARENZA FRANCESCA SERVA - D. RAFFAELE 23 NIPOTE
 
 
(in quello del 1801, il gruppo familiare risulta così ripartito)
·     Rev. Dn Salvadore Grillo - Dn. Raffaele nipote anni 34 - Venera serva - Francesca serva.
·     D.n Girolamo Grillo - Dn. Francesca moglie.
·     D.n Antonino Grillo libero anni 24 - D.n Gaetano anni 30 - D.n Francesca anni 32 - Filippa serva - Rosalia serva.
Il sac. Salvadore Grillo è, peraltro, soggiogatario piuttosto diligente della Matrice di Racalmuto, come appare nei libri della Fabbrica, proprio durante la gestione del Procuratore Sac. Benedetto Nalbone. Paga come erede di un altro Grillo e, così, dopo il 1806 i suoi eredi.
Credo che ai documenti vescovili prima riportati si riferisse il P. Morreale S.J a pag. 24 della sua op. cit. e da lì abbia tratto la congettura di ubicare la chiesa di S. Rosalia «in fondo alle attuali vie Cavour e baronessa Tulumello». Certo quel Sac. Grillo sembra appartenere alla nota famiglia baronale che ebbe a concentrarsi attorno a quello che oggi viene indicato come ‘Arco di D. Illuminato’, sopra il Collegio. Ma da qui a  collocare la chiesetta  quasi diruta - fagocitata per poche once da quel prete che tiene in casa una serva a nome Chiarenza [antenata del prete garibaldino racalmutese?] - nelle aree di dominio dei barone Grillo, ce ne corre.
Il testo dell’Arciprete Genco vorrebbe accreditare il canonico Mantione come un dissennato piromane dei documenti  comprovanti la nascita a Racalmuto di Rosalia. Quei documenti non poteva distruggerli perché del tutto inesistenti. Se fossero esistiti non sarebbero sfuggiti al puntigliosissimo inquisitore del card. Doria, il p. gesuita Cascini. E gli si sarebbe ulteriormente complicata la vita, già tutt’altro che agevole, dovendo far collimare le tante dicerie sulla nascita di S. Rosalia. Dopo S. Stefano Quisquina - tanto lontana dagli altri posti creduti quelli natali di S. Rosalia come i centri reatini Rocca Sinibalda e Borgorose (un tempo Borgo Collefegato) - ci mancava proprio Racalmuto per la quadratura di quel cerchio nativo di S. Rosalia.
Il can Mantione, però, una imperdonabile colpa ce l’ha: per mera grettezza economica ha lasciato che una gloriosissima testimonianza religiosa di Racalmuto andasse irrimediabilmente perduta. Santa Rosalia di Racalmuto non sarà stata la «prima chiesa in honor di lei nel mezo della terra, che hoggi è servita dai Confrati del Santissimo Sacramento (cfr. Cascini  op. cit. pag. 15)», ma aveva un rilievo ed una sacralità  superiori allo stesso interesse locale e se veramente il Mantione era uomo di cultura non doveva permettere quello scempio. Era  da quattro anni arciprete di Racalmuto, con prebende, quindi, cospicue. I mezzi occorrenti per sistemare un tetto o rafforzare un muro erano accessibilissimi. Ai miei occhi, il comportamento di quell’Arciprete appare incomprensibile. Un  pozzo di scienza, viene ritenuto. Ma la dimostrata insensibilità culturale (se non religiosa)  verso la chiesetta di S. Rosalia o Rosaliella gli riverbera una  imperdonabile ombra.
A voler sintetizzare, abbiamo dunque un’antichissima chiesetta che risale, a seconda delle varie versioni delle fonti,  al 1200 (Vetrano, Acquisto) o al 1208 (Salerno) o al 1320-30 (Cascini, Asparacio, Morreale) o al 1400 (Pirri). Forse realisticamente quella chiesa non esisteva prima del 1540 (epoca delle visite pastorali agrigentine).
Nel 1628, ad opera della Confraternita delle Anime del Purgatorio viene riadattata, o edificata (o riedificata) la novella chiesa di S. Rosalia che resiste sino al  3 giugno 1793 quando viene ceduta al sac. Salvadore Grillo essendo stata barattata dal can. Mantione per un altare con statua alla Matrice.
Ma già nel 1758 quella chiesetta era in cattivo stato. Il vero culto della Santa si era trasferito alla Matrice come attesta l’arc. Algozini  nella visita pastorale del  1732. Vi si riferisce il § IX ove inclusa nell’elenco “delle processioni”  è  quella di “S. ROSALIA”.

 

La vecchia chiesa di S. Margherita.

Scrive il Pirri:
Antiquissimum est templum olim maius S. Margaritae Virg. ab oppido ad 3 lapidis jactum, anno 1108 de licentia Episcopi Agrigenti a Roberto Malconvenant domino illius agri exctructum, praediisque auctum
Su tale chiesa incombono le decime destinate al 18°. canonicatus  . Margaritae [talora 10° Canonicato di Santa Margherita in Racalmuto]. Soggiunge il Netino:
«an. 1398, ob rebellionem Thomae de Miglorno Rex Martinus dedit Gerardo de Fimio in lib. Canc. ind. 6. ann. 1398. f. 137. Capib. f. 316. habet mediam decimam oppidi unc. 56.» Vi sono in questo passo richiami a documenti della Cancelleria e dei Capibrevi di Palermo: per i Capibrevi cfr. quelli pubblicati nel 1963 da Illuminato Peri [ Gian Luca Barberi - beneficia ecclesiastica - a cura di Illuminato Peri - G. Manfredi Editore Palermo - Vol. II , pag. 139]. Vi si legge: «canonicatus agrigentine sedis prebenda sancte margarite rayalmuti - [316] - Cum ob rebellionem et nephariam proditionem per presbiterum Thomam de Maglono canonicum agrigentinum contra serenissimum regem Martinum Sicilie regem perpetratam canonicatus agrigentine sedis cum prebenda ecclesie sancte Marie de Rayhalmuto agrigentine dioecesis vacaret, rex ipse auctoritate apostolica sibi in hac parte sufficienter impensa canonicatum ipsum cum eadem prebenda tanquam de regio patronatu presbitero Gerardo de Fino contulit et concessit, quemadmodum in ipsius domini regis Martini provisione in regie cancellarie libro anni 1398. VI. inditionis in cartis 137 registrata diffusius est videre.
Unde per verba illa, scilicet: ‘Auctoritate apostolica in hac parte nobis sufficienter concessa’ notandum est quod Sicilie reges a summis pontificibus perpetuam habuerunt prerogativam et potestatem conferendi omnia regni beneficia. invenitur enim reges ipsos non tantum beneficia regii patronatus, verum etiam alia ad prelatorum et aliarum personarum collationem spectantia contulisse, prout superius pluribus in locis expositum est. Nunc autem anno 1511 currente.»
Sulla chiesa abbiamo detto alquanto diffusamente prima. Per correntezza vi facciamo qui generico rinvio.


ARCIPRETI, SACERDOTI, RELIGIOSI E LAICI IN OLTRE DUE SECOLI DI STORIA RACALMUTESE - 1500-1731


Dopo la venuta della Madonna del Monte


 

Ad Ercole succede nella baronia il figlio Giovanni (il secondo di una serie che arriva a quota cinque).  Reperibile a Palermo negli atti del Protonotaro del Regno di Sicilia, un diploma che lo riguarda e che risale al 28 gennaio, VII^ Ind., 1519. In quel torno di tempo capitò ai Del Carretto un intreccio di fatti criminosi che un loro pronipote, Vincenzo Di Giovanni, ebbe poi voglia di raccontare in un suo volume dal titolo Palermo Restaurato, buttato giù subito dopo la celebre peste del 1624.

L’intreccio di omicidi e vendette fra nobili passò alla storia come il caso di Racalmuto, quasi celebre come quello di Sciacca. Un Del Carretto, Paolo, aveva avuto un contrasto con la famiglia Barresi di Castronovo ed al colmo della sua ira ebbe a schiaffeggiare un membro di quella nobile casa. Apriti cielo! Quando codesto Paolo Del Carretto con 25 cavalli andò a visitare don Ercole Del Carretto, signore di Racalmuto, spie avvertirono i Barresi che si mossero verso la piana di San Pietro per tendere un agguato. Ne scaturì una rissa con morti dell’una e dell’altra parte. Paolo del Carretto, il più animoso di tutti, brandiva a destra e a manca il suo pugnale per uccidere senza pietà. Ma una saetta nemica gli si conficcò in fronte e cadde a terra morto stecchito.

I Barresi poterono lavare l’onta subita ma dovettero riparare all’estero, a combattere con il maresciallo di Francia Lautrec, temendo la ritorsione della più potente famiglia dei Del Carretto. Passato un certo tempo, si reputarono al sicuro e tornarono in Sicilia. Morto, frattanto, Ercole Del Carretto, toccava al figlio primogenito Giovanni l’incombenza della vendetta di famiglia. Giovanni del Carretto, neo barone di Racalmuto, non se la sente di affrontare di persona i Barresi. E’ in rapporti di grande amicizia con Enrico Giacchetto di Naro, manigoldo sopraffino, e gli dà l’incarico di punire per suo conto l’oltraggio subìto. Enrico promette e nella città di Termine stermina la famiglia Barresi, che aveva frattanto abbandonato Castronovo. Le teste mozzate furono portate a D. Giovanni a certificazione della consumata vendetta. Il Del Carretto ebbe quindi fastidi dalla giustizia di allora ma col tempo, per dirla con il cronista, “riuscì con vittoria, grandissimo onore e reputazione.” [15]

Codesto Paolo del Carretto affiora negli archivi della Curia Vescovile Agrigentina. E’ chierico, ossia un ordine minore del tempo che consente il matrimonio ed una normale attività laica. Non certo quella criminale. E’ vessatorio verso Racalmuto, tanto che pacifici cittadini - e persino un prete - gli fanno causa, nonostante i vincoli feudali che si erano già affermati. [16]

 

Il Sacerdote che contrasta con il chierico del Carretto è don Francesco La Licata, su cui abbiamo i dati forniti dal documento datato 17 maggio 1512 - XV^ Ind., riguardante la consegna di cedole della Curia Vescovile ai sindaci di Racalmuto Vito de Grachio, Francesco de Bona, Jacobo de Mulé, Philippo Fanara, Salvatore Casuchia, Grabiele La Licata, Orlando de Messana, presbitero Franesco La Licata et Stephano de  Santa Lucia, a seguito di istanze avanzate alla Gran Regia  Curia. L'incarico promanava dal Vicario Generale Luca Amantea ed è rivolto al Vicario di Racalmuto.

 

 

Il barone Giovanni Del Carretto, avrà avuto la meglio sulla giustizia terrena, ma nel suo Castello sopra la Fontana la sua coscienza gli rimorse sino alla morte. Cercò di tacitarla facendo sorgere chiese e conventi (San Giuliano, San Francesco, Santa Maria di Juso, il Carmelo). Ebbe ad essere munifico con i preti. Dispose per  un avello dovizioso a San Francesco. Fece sorgere confraternite al Monte, a San Giuliano, nella chiesa arcipretile di S. Antonio, a Santa Maria di Jesu. I carmelitani di padre Fanara gli furono devotissimi. I minori conventuali della custodia agrigentina ebbero beni ed onori e poterono officiare nella sontuosa chiesa di S. Francesco. Proprio qui il barone avrebbe voluto la sua tomba. [17]

Ma la quiete dell’anima, in vita, Giovanni Del Carretto non pare l’abbia mai raggiunta.

Abbiamo motivo di ritenere che il figlio Girolamo - primo conte di Racalmuto - ebbe poi voglia di titoli nobiliari altisonanti, che molto denaro gli costò, troppo anche per le sue cospicue disponibilità. Quella cappella, a nostro avviso, non la costruì mai: non emerge dalla documentazione d’archivio, che pure è cospicua in ordine alla chiesa di San Francesco. Per sottrarsi agli obblighi testamentari, che investendo cose di chiesa potevano far scattare temibilissime scomuniche, fu tanto abile da fare incarcerare dal compiacente Santo Ufficio il notaio redigente il testamento. Quel notaio si chiamava - guarda caso - Jacobo Damiano, sì, proprio quello a cui sia Sciascia sia E.N. Messana dedicano la loro attenzione.

Il testamento che gronda spirito cristiano, bontà, benevolenza verso i poveri, rispetto per il clero, devozione, e simili nobiltà d’animo, noi l’abbiamo già pubblicato altrove: la sua consultazione illumina sulla storia (veridica e non fantasiosa) della prima metà del Cinquecento racalmutese. Vi traspare il livello religioso della locale comunità ecclesiale, il culto della Madonna e dei Santi, l’empito morale, la voglia di nuove chiese in cui pregare (ed ove venire sepolti).

 

 

Nella prima metà del cinquecento sorgono le prime grandi confraternite racalmutesi. Queste non sono da confondere con le aggregazioni delle maestranze, come si è soliti pensare in forza delle reminiscenze scolastiche. Le confraternite racalmutesi trascendono il dato sociale: vi si associano, tutti insieme ed alla pari, nobili e plebei, mastri e contadini, preti e laici. Hanno essenzialmente la funzione di assicurare la “buona morte” - che equivale ad una sepoltura dignitosa e cristiana nelle chiese che i sodalizi riescono a fabbricare con i mezzi propri e con l’apporto economico determinante del barone locale.

Le confraternite amministrano anche i lasciti - cospicui - che taluni arricchiti, morti senza prole o che intendono punire la poco affidabile vedova, stabiliscono per testamento al fine di dotare un’orfana - purché appartenente al loro ceppo familiare e sempreché sia povera (relativamente).

Le organizzazioni - decisamente laicali, anche se assistite da un cappellano - disponevano di fondi pecuniari da far fruttare. Finivano con lo svolgere attività intermediatrice, si configuravano in modo assimilabile alle moderne banche. Investivano soprattutto in case che affittavano e per contrassegno vi stampavano una figura che richiamava, di norma, la denominazione della confraternita, derivata dalla chiesa in cui avevano sede sociale.

Stando alla visita del 1540-4 del vescovo Tagliavia, si possono ricordare queste istituzioni:

·     Luminaria del Santissimo Corpo di Cristo, istituita nella chiesa maggiore di S. Antonio (che però essendo pressoché distrutta - almeno nel 1540 - non era praticabile ed al suo posto operava provvisoriamente l’ “Ecclesiola” dell’Annunciazione della Gloriosa Vergine Maria): ne era Governatore mastro Antonino La Licata, che introitava la detta luminaria sopra alcune case di Racalmuto, e cioè su 17 corpi di fabbricati, che si solevano locare per circa otto once, con affitti peraltro crescenti. In più il Governatore raccoglieva le elemosine giornaliere e curava i legati.

·     Confraternita della Nunziata: ne erano i rettori:

1.   Montana mastro Paolo;

2.   Cacciatore mastro Paolo;

3.   Santa Lucia Cesare;

4.   Vaccari Giovanni.

Aveva dodici once di reddito sopra diverse case di proprietà, locate per dodici once.

*                                         Confraternita di Santa Maria del Monte: ne erano rettori:

1.   Cacciatore mastro Pietro;

2.   Vaccari Pietro;

3.   de Agrò Mirardo;

4.   Fanara Adario.

Aveva quattro once e venti tarì di reddito sopra diversi possedimenti terrieri.

·     Confraternita di Santa Maria di Gesù: ne erano rettori:

1.   de Agrò Natale;

2.   Vurchillino (Borsellino) Antonino;

3.   Murriali Giuliano;

4.   de Alaimo Michele.

Aveva  dodici corpi di case in Racalmuto, locate per dieci once all’anno.

·     Confraternita di S. Giuliano: ne erano rettori:

1.   Curto Angelo;

2.   Lauricella Andrea;

3.   Curto Stefano;

4.   Picuni Antonino.

Aveva una certa rendita in denaro. Ai rettori fu imposto di esibire il legittimo inventario, sotto pena d’interdetto.

 

Le confraternite racalmutesi appaiono come peculiari organizzazioni economiche, con un patrimonio immobiliare abitativo estesissimo, quasi monopolistico; fungono da banche con prestiti a tassi contenuti, quelli ammessi dalla chiesa; amministrano i fondi di dotazione per il matrimonio di orfane povere; e principalmente lucrano con le incombenze della sepoltura dei morti nelle chiese di loro proprietà. Emergono, comunque,  due singolari e sorprendenti caratteristiche: la prima è una spiccata laicità, quasi si temesse una indesiderata sopraffazione ecclesiastica. Si badi bene, il sacerdote è bene accetto, ma esso deve limitarsi alla parte spirituale; è il cappellano che dice messa - a pagamento - ed accudisce agli atti di pietà quotidiana. La gestione economica e societaria è però di esclusivo appannaggio dei laici: il governatore, i rettori e figure simili. L’altra caratteristica è un interclassismo del tutto inusitato per i tempi. I cosiddetti “magnifici”, o i “mastri” o i semplici ‘villani’ convivono in un solo sodalizio senza preminenze e senza subordinazioni d’indole classista. C’è chi fa derivare da tali aspetti una forma di vita religiosa racalmutese, senza dubbio sincera e sentita, ma con venature anticlericali. E’ tipicamente racalmutese il motto: “monaci e parrini, vidici la missa e stoccaci li rini”. Atavica dunque a Racalmuto la separazione tra il mondo di Dio, della religione, della chiesa e quello del consorzio civile specie sotto il profilo economico e sociale. Al contempo, il classismo - o come vorrebbe Gramsci la coscienza di classe - non ha molto senso nella ‘dimora vitale’ racalmutese e da sempre. Solo nell’Ottocento gli arricchiti dello zolfo pretesero una loro egemonia accompagnata a prestigio sociale; si ritennero “galantuomini” e si associarono in loro esclusivi circoli. Nel Novecento tale discriminatoria suddivisione sopravvisse, con i tratti - spesso buffi, e talora beffardi - che Sciascia seppe mirabilmente rappresentare nelle Parrocchie di Regalpetra. Ma tra i vari Circoli Unione o della Concordia e le antiche confraternite cinquecentesche non v’è analogia alcuna.

Le confraternite - che sappiamo essere diffuse in tutta la Sicilia - non vantano ancora una sufficiente pubblicistica, diversamente da quello che avviene, ad esempio, in Francia. Ci pare che solo il padre Sindoni di Caltanissetta se ne sia occupato.  Ma da ultimo, mons. Cataldo Naro sta supplendovi alla grande. Alla Matrice sono conservati Rolli ed altri documenti di minuziosa ricognizione della lunga vita di siffatte confraternite. Nessuno, sinora, li ha studiati. Qualche spurio accenno si trova nel libro di padre Morreale sulla Madonna del Monte. [18] Pur nel massimo rispetto per quel grande gesuita, ci pare però che l’approccio è fuorviante ed il peculiare fenomeno racalmutese delle confraternite sfuggì all’intelligenza del colto studioso.

 



[1]) cfr. Atti della Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -  1582-1600 ove leggesi la seguente nota: «DIE 16 Julii XIe Indi.nis 1598: ''Pigliao la possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO (?) procuratori di don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto plubico''.»
 
 
[2]) Archivio Segreto Vaticano - Relationes ad Limina - 18A - f. 1.
 
In spagnolo, il Covarruvias così presentava il Capocho alla Sacra Congregazione competente:
 
«Quando no veniera negocios en esta Corte a que embiar a Don Alexandro Capocho mi secretario, me diera contento embiarlo a hacer riverencia a V.S.Ill.a y darle cuenta de las cosas de por aca, como lo hara Don Alexandro ...el obispo de Girgento». 
 
Nell'atto di delega del 12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene titolato come "Sacrae theologie professorem eiusque [del vescovo] Secretarium”. Noi, su quella scia, abbiamo consultato il processo canonico - Archivio Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento) - ff. 30-62.
 
La testimonianza di quello che sarà il nostro arciprete è, a dire il vero, schietta e per niente compiacente (f. 36v e 37).
 
Sintetizzando e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e residente per il momento in questa  corte.
 
«Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y Covarruvias  di vista  e solo da due mesi, poco più poco meno, e di non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
 
 Salta quindi ben dodici domande che attenevano alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui conferente). Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni, poco più poco meno’.
 
 
 
[3]) Sull’Horozco è tornato di recente, con una approfondita ricerca Raffaele Manduca: Il sinodo di Giovanni Horozco (Girgenti 1600-1603) in Archivio Storico per la Sicilia Orientale - 1991 Fasc.I-III, pag. 243-296.
 
[4]) Cfr. Atti Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -  1582-1600. E’ ivi annotato: «Di la maiori ecclesia di Racalmuto pigliao possisioni don Andria Argumento  a li 7 di  marzo XIII ind.1600».
 
[5]) «don Andreas de Algumento U.J.d. Ar.[arciprete] terre Recalmuti» (cfr. Archivio Vaticano Segreto - Relationes ad limina - A18 - f.  40).
 
[6]) L'elenco degli arcipreti di p. Puma omette ogni dato sull'arciprete Argumento,  [l'annotazione a penna +1579 resta indecifrabile.  Forse è da rettificare in 1599 e segna la fine dell'arcipretura del Capoccio o Cappocho.]
[7] ) Cfr. le pagine 196v-198v della Visita.
[8] ) In un appunto manoscritto del 15 ottobre del 1922 che si rinviene negli archivi della Matrice, si riferisce - credo dall’arciprete Genco - che Santa Rosalia sarebbe nata a Racalmuto nel natale del 1120. Le prove documentali le avrebbe avute il canonico Mantione ma le avrebbe distrutte per dispetto al vescovo riluttante a finanziargli la pubblicazione di un suo libro. Tra l’altro, in quel manoscritto leggesi che «Padre Gregorio [rectius: Giordano] CASCINO scrittore del 1600, palermitano e gesuita, [fu autore di una vita sulla Santa]». E quindi: «Fui il 13 ottobre 1921 nella Biblioteca Nazionale di Palermo ed ebbi il piacere di leggerlo per summa capita: trovai che il Padre Cascini Gregorio [rectius: Giordano] morì nel 1635= [...] poi a pag. 171[parla di antiche iscrizioni e di chiese anche fuori Palermo includendovi:]  “quella di Rahalmuto, della quale non appare altro millesimo. che questo M.CC. ed il muro è guasto”». Il testo riportato dall’Arciprete Genco non comprova certo che il 1200 fosse la data di costruzione di quell’antica chiesa, essendo sicuramente abrase le successive lettere della data, appunto per quel ‘muro guasto’. Seguono altre citazioni, tra le quali quella di maggior risalto appare il riferimento al P. Spucces, difensore a Roma dell’antichità del culto della Santa nel 1642 e, per altro verso, - se trattasi della stessa persona - il gesuita delatore della congiura del conte di Mazzarino che costò la vita al nostro conte Giovanni del Carretto.
Si deve essere scettici sull’attendibilità di tante notizie contenute nel manoscritto: è certo, comunque, che di esse ebbe ad avvantaggiarsi il padre gesuita Girolamo Morreale nel suo “Maria SS. del Monte di Racalmuto” , stando a quel che si legge nelle pagine  23, 24, 69, 97, 98, 99 e 101.
Ritornando alle cronache sulla chiesa di Santa Rosalia,  i libri d’archivio della Matrice comprovano l’esistenza di quella chiesa solo dal 1618, come risulta dal seguente atto:
13
1618
Puma Cincorana
Vincenza
f. di Petro
S. Rosalia (Chiesa della sepoltura)
 
(Tra il 1618 e il 1620 si trovano una cinquina di sepolture in una chiesa dedicata a santa ROSANA o ROSANNA, ma sembra trattarsi dell’identica chiesa di Santa Rosalia. Se ne fa qui la trascrizione:
24
12
1618
Xichili
Ursula
f.di Antonino
Santa Rosana
Curto d. Mario
 
26
6
1619
Castronovo
Vicenza
f. di Francesco
Santa Rosana
Curto d. Mario
 
7
10
1619
Di Benedetto
Gioseppi
f. di Francesco
Santa Rosana
Curto d. Mario
 
4
11
1620
Mule’ (di)
Antonina
f. di Filippo
Santa Rosana
 
17
11
1620
Giancani
Rosa
f. di Antonino
Santa Rosana
 
Va annotato che prima del 1636 neppure era diffuso il nome di Rosalia in Racalmuto: un paio di casi risalgono al 1500;  vedasi l’atto di battesimo di:
98
1595
Rosalia
Jo:
Surci
Joanna
 
ed il nome della teste nel matrimonio di:
12
10
1570
Micheluzzo
 di Filippu
Murriali
Chiappara Rosalia
 
Nei primi del Seicento notiamo:
1601
07/02/01
ROSALIA
VINCENZO
PETRA
 
 
Dobbiamo arrivare all’anno 1643 per riscontrare in un elenco delle comunicate una lunga sfilza di Rosalie e simili.
 
 
[9]) Leggo ne L' amico del popolo  di Agrigento del 22 dicembre 1991 (n. 39) pag. 5: Racalmuto: la patria di Pietro d'Asaro: " ....Distrutto Casalvecchio, come riferisce Michele Amari, il nuovo centro abitato venne spostato di alcuni chilometri e dagli  Arabi venne  denominato Rahal Maut (villaggio distrutto o paese della morte a causa di una terribile peste che fece innumerevoli  vittime). ...".   L'articolo è genericamente assegnato alla Regione Siciliana - Assessorato Turismo Comunicazioni e Trasporti..
 
Nel falso dell'Abate Vella si parla di un 'governatore - AABD-ALUHAR - di RAHAL-Almut (v. Tinebra Marturana, pag. 36). A pag. 37  dell'opera del Marturana  v'è già l'accenno  a Casal Vecchio.  Per Tinebra Marturana,  Casal Vecchio, s'accresce notevolmente anche sotto i Normanni (cfr. pag. 55). Quanto poi scrive a pag. 69 sembra alquanto contraddittorio..
 
Su Casal Vecchio si  dilunaga  Eugenio Napoleone Messana in  racalmuto nella  storia  della  sicilia. Leggesi a pag. 30  "Gli Arabi in Sicilia trovarono i miseri avanzi di un antico splendore, sia per lo stato in cui l'avevano ridotta  i precedenti invasori, sia per la loro guerra nelle zone in cui  ebbe luogo, giacchè in più posti vi giunsero con patteggi. Essi chiamarono il Casalvecchio dell'agrigentino Rahal Maut, paese distrutto  o Rahal-Kal-Maut, paese in  pendio diroccato, si ignora se per fedele traduzione del nome o per danni che subì alla loro conquista, o per i resti ancora visibili dell'antica città di cui abbiamo a josa discusso. Casalvecchio non era dove oggi è Racalmuto, ma più a sud-est, precisamente  nella contrada di Casalvecchio (Casaliviecchi). ... "
 
Di  Castel  Vecchio ( e non Casal Vecchio) parla in effetti Michele Amari  (Storia dei Musulmani di Sicilia, a cura di Nallino, Catania )  nel volume II, pag. 64-67, ma la località non sembra possa riferirsi a Racalmuto.  Annotiamo qui alcuni brani:  (pag. 64 ..."Ibrahim a venticinque anni salì al trono per uno spergiuro [875-901]. Muhammad, suo fratello, venendo a morte lasciava il regno al proprio figliolo bambino: commettea la tutela ad Ibrahim, facendogli far sacramento di non attentar mai ai diritti del nipote, né metter pie' nel Castel Vecchio, ove questi dovea soggiornare con la corte  ....   Uscito da al-Qayrawan alla testa del popolo in arme, occupava il  Castel Vecchio; si  facea gridar principe [pag. 67]. .......
 
[I familiari di Muhammad] furono ridotti nel Castel Vecchio [pag. 67]. Fece por mano ai lavori il 263 [876-877] in luogo discosto quattro miglia da al-Qayrawan e chiamato Raqqadah  [in nota: "«Sonnolenta» come suona apponoi ... I due ultimi scrrittori al-barki e ibn-wadiran riferiscono la fondazione di Raqqadah negli anni 273-274. Il nome nacque, secondo alcuni, dall'amenità del sito che inebriasse di voluttà e sforzasse al sonno; secondo altri, da un gran mucchio di cadaveri che vi si trovarono a dormire l'ultimo sonno. "]  Era avvenuto che i liberti di Castel Vecchio  tumultuassero [ v. pag. 67].
 
[10] ) Ad ulteriore esplicazione valgano i dati espunti da una lunga nota apposta in proposito sempre dal Mirabella: «Questi beneficj della diocesi di Girgenti furono dall’Orosco assegnati a don Pietro Bagalino col seguente atto, che trovasi inserto in quello d’accettazione rogato a 28 agosto IX indiz. 1596 in Alcamo presso il not. Lorenzo Lombardo: ‘ Die 23 augusti viiij ind. 1596 - Cum ad presens in manibus Illustrissimi et R.mi Domini Episcopi Agrigentini vacaverint et vacent infrascripta beneficia, videlicet: beneficium sante Lucie existens subtus orologium seu campanile maioris ecclesie civitatis Castronovi, beneficium Sante Agathe exstens in terra Racalmuti, ac etiam et benefitium sante Marie Maddalene in civitate Narii Agrigentine dioecesis ob liberam resignationem et renuntiationem fattam in manibus ditti illustris.mi et Rev.mi domini episcopi per clericum don Joannem Gomes hispanum, olim beneficialem dittorum benefitiorum prout virtute suarum bullarum apparet, [....]: ideo volens dittus illst.mus et rev.mus dominus Episcopus dei eis disponere tanquam de mensa episcopali, ne ditta benefictia suis debitis defraudent obsequiis, attentis meritis don Petri Bagolini alcamensis, quibus testimonio fide degno comprobatur, vigore presentis actus superattiva benefictia  supradicto modo vacantia contulit et confert in persona ditti de Bagolino cum omnibus et singulis iustis juribus redditibus fructibus et emolumentis ceterisque ad ditta benefictia debitis spectantibus et pertinentibus, cum onere celebrandi seu celebrari faciendi solitas missas et de solvendo quolibet anno in qualibet translatione santi Gerlandi patroni nostri solitam ceram jure recognitionis et superioritatis ditto ill.mo et rev.mo domino Episcopo prout erant obligati ditti olim beneficiales. Unde de mandato ill.mi et Rev.mi episcopi Agrigentini fattus est presens attus electionis hodie die quo supra suis die loco et tempore valiturus. Unde etc. -  Ex actis Magne Curie Episcopalis Agrigentine extracta est presens copia. Collatione salva. - Joseph a Marco Magister Notarius».
 
[11] ) Questo secondo la tradizione corrente. Noi abbiamo motivo di pensare che la peste incrudelì nel 1626 dopo l’improvvido invio di 80 “cavalieri” che l’irrequita vedova di Girolamo del Carretto volle mandare a Palermo per una reliquia della Santuzza in un momento di recrudescenza dell’epidemia, il che comportò una ferale importazione del morbo a Racalmuto.
[12] ) Ad ogni buon conto, integro qui quelle parti dell’opera che riguardano Racalmuto e che non sono state integralmente citate dal supposto Genco.
Pag. 14.
«Ma nella Diocese Agrigentina trè luoghi principalmente antica, e celebre la memoria di Santa Rosalia conservano, Bivona, S. Stefano, e Rahalmuto, e par che portata, ò accresciuta vi fosse tal devotione dai Chiaramontani, percioche poterono per questo haver due cagioni; una la comune patria di Palermo, dove la Casa Chiaramonte fù molto nobile, e potente: l’altra, la signoria di quei medesimi paesi, dei quali era stata già Signora la Santa  Vergine Rosalia, come diremo nella vita.
«Hor primieramente quanto a Rahalmuto n’habbiamo chiarezza, percioche Costanza di Chiaramonte, figlia di Manfredi, sorella di Giovanni, Conte di Modica rimaritandosi la seconda volta  con Antonio del Carretto, figlio pur di Antonio, che illustrò questa famiglia col titolo di Marchese del Finale, edificò, ò riedificò da fondamenti quella terra
Pag. 15
«nel 1320. e visse fin al 1330 [evidentemente l’Asparacio nel 1924 e, mediatamente, il p. Morreale  nel 1986 - cfr. op. cit. -  derivano da qui la datazione della fondazione del chiesa di S. Rosalia di Racalmuto nel decennio 1320-1330)  e benché le lasciasse l’antico nome Rahalmut , che vuol dire in Arabico, Casalmorto, cioè distrutto, li volle però dare ornamento, e presidio di vita col patrocinio di S. Rosalia, che perciò edificò la prima Chiesa in honor di lei nel mezo della terra, che hoggi è servita dai confrati del Santissimo Sacramento.
«V’era l’imagine della Santa dipinta nel muro da poco in quà rovinato, e quella che v’ha hoggi in tela è assai nuova, cioè del 1600, mà della prima imagine, restandosi ben fissa nella mente, un valente dipintore del medesimo luogo, detto il Monocolo di Rahalmuto il cui nome è Pietro d’Asaro , n’ha dato fuori un bello essemplar: vi si fà la festa à 4. di settembre un gran concorso, e devotione del Popolo, e quel quarto della terra hà pure il nome di S. Rosalia fin’hoggi.»
«Hora per ciò meglio confermare, passerò all’altra testimonianza delle immagini [...]  Quella di Rahalmuto, della quale non appare altro millesimo, che questo M.CC. e il muro è guasto»
L’importantissimo passo delle pagg. 373 e 374 è stato sopra riportato e ad esso si fa qui rinvio.
Pag. 376
«Le Grotte patirono anche molto [al tempo della peste del 1624], alle quali soccorse la Contessa di Rahalmuto, che l’era vicinissima, colla reliquia di S. Rosalia; ma non hò distinta, e certa relatione di alcun benefitio ...»
 
Per inquadrare in qualche modo la figura del Cascini e l’opera sua, riporto alcuni dati reperibili nell’introduzione del libro.
«AL LETTORE, Pietro Salerno della Compagnia di Giesù.
«L’autore di quest’opera fù il R.P. Giordano Cascini della Compagnia di Giesù, che a miglior vita passò sul finire del 1635.
«Nacque il P. Giordano Cascini di famiglia nobile nella città di Palermo, fù adoperato dall’Em. Cardinale Giovannettino Doria Arcivescovo di Palermo nelle consulte per la dichiaratione delle ritrovate Reliquie di S. Rosalia.
«[....] raccolse quanto il padre Ottavio Caetano [aveva già scritto, prima del rinvenimento del corpo a Montepellegrino e con contrapposto orientamento su S. Rosalia,, n.d.r.] nelle Vite de’ Santi di Sicilia».
 
In polverosi e ponderosi volumi consultabili presso la Biblioteca Nazionale di Roma, mi sono imbattuto nella vita di S. Rosalia  che trovasi negli «ACTA SANCTORUM -  Septembris (tra i santi festeggiati il 4 di settembre) Tomus II - Antverpiæ - apud Bernardum Albertum Vander Plassche - 1748 - pag. 278 e ss.
Stralcio e talora traduco:
«Sec. XII post medium. Nullius antiquus de S. Rosalia egisse scitur: nonnulli tamen ante inventionem corporis.
- [Antonio Ignazio Mancuso S.J. - scrive nel 1621 e ricorda i più antichi scrittori rispetto al 1624 e cioè Valerio Rossi nel 1590 visto da Vincenzo Auria; Filippo Paruta nel 1609 - ] recensit Simonem Parisium , baronem Milochæ, qui in “De scriptione Siciliæ”, anno 1610 edita [e Vincenzo la Farina, barone di Aspromonte, che scrisse nel 1620 una “epistolam de S. Rosalia]. [Soprattutto Ottavio Cajetano S.J., attorno al 1607 nella sua “Vite dei Santi” [..] Il Cascini muore il 21 dicembre 1631 (?) in Mongitore “Bibliotecha Sicula”.] «Edidit Cascinus anno 1627 Vitam S. Rosaliæ etc.. Anno 1631 “Vitam et inventionem corporis S. Rosaliæ”»
Infine, viene pubblicata l’opera maggiore in tre libri, dopo la morte, nel 1651 ove sono inserite molte opinioni, notizie e congetture da parte del p. Salerno. Gli ACTA si diffondono in puntigliose incongruenze, specie di date che appaiono postume rispetto alla data di morte del Cascini.
·     Altri autori di vite della Santa: «Joseph Spucces Societatis Jesu: dissertatione Ms. quà anno 1642 Romæ antiquitatem cultùs S. Rosaliæ defendit. Dissertationem hanc cum altera ejusdem auctoris de stirpe S. Rosaliæ nobiscum anno 1744 communicavit R.P. Stanislaus Ignatius Castiglia Societatis Jesu, tunc provinciæ præpositus ..»
 

Pag. 317

·     Hisce breviter observatis, redeo ad laudatam dissertationem [...]: “ Primò Racalmuti [* Rahalmuti] quod est oppidum in dioecesi Agrigentina, templum habetur antiquissimum S. Rosaliæ, cuius antiquitas refertur ad annum MCCVIII, ut conijcere licet ex notis repertis in arcu quodam ejusdem ecclesiæ, quae huiusmodi erant MCCVIII: quinque enim postremae jam media sui parte corrosæ, hanc tantùm speciem ostendebat.” Hanc S. Rosaliæ ecclesiam memorat etiam brevissime Salernus pag. 152, et Cascinus pag. 14 et 15. At hic uno seculo ecclesiam posteriorem facere videtur, cùm narret ædificatam inter annum 1320 et 1330,  [ed a questo appiglio mi pare che tornino ad aggrapparsi, per una riconferma delle loro tesi l’Asparacio nel 1924 e, mediatamente, il p. Morreale  nel 1986 - cfr. op. cit.] , uti ibidem videre licet. Verùm sive seculo XIII sive XIV condita sit illa ecclesia S. Rosaliæ, certùm est antiquissimi cultus argumentum.»
 

Pag. 362

«380. Rahalmutum, Agrigentinæ quaque dioecesis oppidum, Siculis Rahalmut, antiquis temporibus S. Rosaliam coluit, primamque eidem ecclesiam dedicavit, ut vult Cascinus. Hanc ecclesiam, invento corpore, diligenter instaurarunt Rahalmutenses, et Sanctae reliquias obtenuerunt Panormi. Harum trasnlatio incidit in diem XXXI Augusti anni 1625, quando suscepta sunt ab inculis insigni pietate et pari solemnitate, eodemque die energumena liberata, in Ecclesia Fratrum Minorum de Observantia, ubi solemne cantabatur Sacrum, teste Cascino. Rahalmutenses quoque peste periculo liberasse videtur patrona Rosalia, præsertim quia illa maximé sæviebat in vicinia et quia nonnulli infecti Rahalmutum intrârunt, malo nulli communicato, et demum quia ipsi Rahalmutenses satis diu cum vicinis infectis commercium habuerant, nec nullum tamen contraxerant contagium.»
 
[13] ) Ciò chiaramente appare, aggiung’ei, da un antico Atto esistente in notar D. Michele Morreale di quella stessa Comune . Quod virtutis specimen non solum fas est suspicere in nostro Marco Antonio, nam admiratione dignum quoquo videtur in Aloisia Alaimo, a qua originem ducit idem Marcus Antonius, quæ suis sumptibus in Racalbutensi oppido templum S. Rosaliæ V.P. sacrum extruxit, anno circiter 1200 a partu Virginis, ut ex veteri monumento, et chirograho publici Notarii Michaelis Morreale Racalbutensis, clarissime apparet.»
Interessante, pure, il passo di pag. 14:
«Ci tramandano i nostri padri, che han ricevuto per incontrastabile certezza, che quattro Chiese numera la nostra Patria, ove la S. Vergine ha avuto speciale divotissimo culto. La prima, e la seconda son quelle appunto, che rapporta il Cascini, di cui l’una precesse alla riedificata, ed in quel luogo, ove è oggi detto d’alcuni di S. Rosaliella. La terza in quello, ove a nostri dì è la Chiesa di San Michele, opera dell’immortal  memoria del Sac. D. Giuseppe Tulumello! nella quale si rappresentava a seconda la descrizione del Pirro; e la quarta finalmente è la Chiesa della Matrice, quale, sebbene non alla S. Vergine consacrata, avvi intanto a destra un’adornato dorato Altare, e cappella. In essa si vede una quasi parlante Statua colorita, in abito eremitico, con croce in destra, e libro e bastone nell’altra, pari all’antico modello.»
[14] ) Le ricerche presso l’Archivio Vescovile di Agrigento consentono di appurare la verità sulla congregazione citata dal Pirri.  E’ nota, ad esempio, la bolla di fondazione della Congregazione delle Anime del Purgatorio nella Chiesa di S. Rosalia (vedi  ff. 558 e 559 del REGISTRO DEI VESCOVI 1636-37).
 
 
[15] ) Il racconto, però, va gustato nella sua stesura originale. La lingua è arcaica, secentesca, talora contorta e spesso  scorretta, ma la narrazione non manca di fascino accattivante.
Scrive dunque don Vincenzo Di Giovanni
«Nel tempo che fu Lotrecco [Lautrec] a Napoli successe in Sicilia lo caso di Barresi, il qual si nota dopo quel di Sciacca. E fu il predetto caso, che essendo nella città di Castronovo D. Paolo Carretto, mio avo paterno, uomo di gran valore, e avendo differenza con uno di casa Barresi, gli diede il Carretto uno schiaffo; onde ne successe fra loro gravissima inimicizia, in modo che la città si ridusse a parte.
Un giorno volle il Carretto andar a visitare suo fratello D. Ercole, signor di Racalmuto, e vi andò con 25 cavalli. Ma saputo ciò per le spie da’ nemici, lo assaltâro alla piana di santo Pietro. Vide egli da lungi venire i nemici; e potendosi salvare nella chiesa di santo Pietro, gli parve viltà, e si risolse piuttosto morire, che far gesto di sé indegno. Si venne tra loro alle mani; ché animosamente il Carretto investì, e ne morsero dall’una e dall’altra parte.
Ma il Carretto, investendo il suo nemico, era con un pugnale a levargli la vita, avendolo preso per il petto, quando uno de’ compagni con una saetta lo percosse in fronte e lo mandò morto a terra.
Satisfatti perciò i nemici, attesero a salvarsi, e se ne andâro alle guerre del Trecco [Lautrec] a servire Sua Maestà, perché erano due fratelli; e gli successe in una giornata di adoperarsi valorosamente sotto la condotta del conte Borrello, figlio del viceré, perché mantennero un ponte tutti e due, tanto quanto gli arrivasse il soccorso; dal che si evitò gran danno, che poteva succedere agl’Imperiali.
Del che fattosene relazione a Sua Maestà, spedita la guerra, fûro i predetti due fratelli indultati in vita, e fûro fatti capitani d’armi per il regno.
Sentì gravemente il successo D. Giovanni Carretto, nepote del predetto D. Paolo; e più per vedersi i nemici, in quel momento favoriti, stargli innante gli occhi, e perché era di gran valore e chimera, procurò quello, che non avea procurato il padre D. Ercole.
In quel tempo era nella città di Naro Enrico Giacchetto, uomo valorosissimo e potente, consobrino di mia ava paterna, il quale, per avere inimicizia con il barone di Camastra, anco della città di Naro, manteneva a sue spese cento cavalli, ordinariamente di gente scelta e valorosa, con li quali faceva allo  spesso gesti eroici e singolari. Di costui ne temeva tutto il regno.
D. Giovanni del Carretto, figlio del predetto D. Ercole, si fé chiamare il predetto Enrico, che gli era amicissimo, a cui conferì il suo pensiero, e lo richiese che si volesse adoperare per lui in satisfarlo di quell’oltraggio.
Gli promise buona opera Enrico; e perché si sentiva che i Barresi si volevano levar le mogli e le case da Castronovo, e portarsele alla città di Termine, li appostò Enrico con quaranta cavalli, e, venendo quelli a passare per il fundaco delle Fiaccate, per quel cammino assaltò i predetti fratelli con molta compagnia. I quali non prima si videro Enrico addosso, che sbigottiti si posero a fuggire, e furono finalmente giunti, presi ed uccisi.
E se ne presero le teste, che furono portate al predetto D. Giovanni, il quale, benché prevedesse gran travagli di giustizia, ne fu pure assai sotisfatto e contento; tanto si estimava l’onore in quei tempi.
N’ebbe al fine gran travagli: ma col tempo ne riuscì con vittoria, grandissimo onore e reputazione.»
 
[16] ) Da un mio precedente studio si possono trarre i seguenti dati distintivi della neo baronia racalmutese:
1.    Diritto dei baroni all’amministrazione della giustizia. Un secolo dopo, il pingue vescovo di Agrigento Horozco cerca pretestuosamente di contrastarlo,  fingendosi paladino di un omicida, il  chierico Jacobo Vella.
2.    Diritto alla destituzione e nomina di tutte le cariche, civili e militari, di Racalmuto. I Tudisco, i Promontorio, i Piamontesi, i Neglia, i Puma, i Nobili, gli Acquisto, i Taibi, i Fanara,  i La Licata, i Gulpi, i Rizzo, i Morreali, i Vaccari, i Capobianco etc. hanno, tra il XIV ed il XVI secolo possibilità di farsi apprezzare dagli stravaganti baroni di Racalmuto: ne diventano fiduciari; spesso si arricchiscono alle loro spalle; in ogni caso attecchiscono nella fertile terra del grano. Poi tanti svaniscono nel nulla. Qualcuno resta tuttora, ma senza più il ruolo di profittatori del regime.
3.    Non emerge ancora un chiaro affermarsi del diritto al terraggio ed al terraggiolo [prestazioni in natura da parte dei coltivatori delle terre del barone, nel primo caso, e fuori la baronia, nel secondo - stando almeno alla volgarizzazione della fine del Settecento].
Il mero e misto impero  dei baroni fa capolino nel Cinquecento, ma si afferma piuttosto tardivamente.
[17] ) A tal fine lasciò il seguente legato:
Item ipse spectabilis Testator voluit et mandavit praedictum spectabilem D. Hieronymum de Carrectis eius filium primogenitum heredem particularem Missa in Conventu Sancti Francisci dictae Terrae, conficietur Cappella in loco per eum eligendo [50] in dicta Ecclesia magis congruo in qua debeat expendi uncias centum in pecunia infra terminum annorum duorum à die mortis dicti Domini Testatoris numerandorum, cui Cappellae conficiendae pro anima dicti domini Testatoris, et suorum predecessorum, et pro venia suorum peccatorum legavit, et legat uncias septem annuales redditus debendas per magnificum Joannem de Guglielmo Baronem Biginorum super dicto pheudo Biginorum, et casu  quo dictae unciae septem annuae redditus revendentur à dicto Conventu per supradictum de Guglielmo et suorum & tali casu de praectio dictarum unciarum septem annuales redditus emi debeant aliae unciae septem redditus praedijs tutis in futurum, et casu quo infra dictum tempus annorum duorum ipse spectabilis dominus D. Hieronymus non erogaret dictas uncias centum in constructione dictae Cappellae, tunc et eo casu teneatur dictus dominus D. Hieronymus solvere uncias quinquaginta pro emendis redditibus pro Conventu dicti Sancti  Francisci, ultra dictas unceas centum pro constructione dictae Cappellae, et ita voluit et mandavit.
[18]) Girolamo Maria Morreale S.J. - Maria SS. del Monte di Racalmuto - Racalmuto 1986 - pagg. 83-89

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