venerdì 30 dicembre 2016


CONCLUSIONI

 
 
Ad ispirare le precedenti dissertazioni sui punti topici della storia religiosa di Racalmuto è stato l’attuale arciprete sac. Alfonso Puma. Origini e familiari di costui hanno avuto dispiegamento in un apposito capitoletto. Qualche dato biografico va qui comunque aggiunto, ai fini di una migliore comprensione dello spirito che ha animato gli studi e la ricerca storica del lavoro che qui si licenzia.
 

Cenni biografici: Arciprete Alfonso Puma

 
Nato a Racalmuto il  21 novembre 1926, ha avuto l’ordinazione sacerdotale il 29 giugno 1950, anno santo; parroco del Carmine dal 1961 al 1966, è divenuto parroco-arciprete della Matrice di Racalmuto dal passato 1° dicembre  1966 sino ad oggi. Sin dalla tenera età aspirava al sacerdozio, e  così, finite le elementari, è entrato in Seminario nell’ottobre del 1939. I suoi studi colà sono avvenuti durante il tremendo periodo della guerra. Sono stati vissuti senza eccessiva  paura ma senza iattanza, nutrendo sempre la speranza di farcela.
Sua madre fu la prima direttrice spirituale; suo padre, un uomo sodo, calibrato, molto parco nel parlare ma saggio, diceva sempre: voi pensate a studiare, al resto penso io. Se faccio sacrifici o non ne faccio, voi non ve ne dovete preoccupare; dovete pensare solo a studiare. I suoi genitori sono stati i suoi primi ed impareggiabili amici.
In Seminario ha avuto padri spirituali di grande santità come il padre Isidoro Fiorini per il quale ha fatto da testimone nella causa della sua beatificazione, come il padre Stefano Conte, anima bella che lo ha sostenuto durante la guerra, o come mons. Jacolino, poi fatto vescovo, uomo di stampo tedesco ma molto temprato al sacrificio: questi, durante la guerra, riuscì a mantenere aperto il Seminario, unico caso: seppe provvedere al cibo quotidiano e per quei tempi era problema pressoché insolubile.
L’ apostolato di padre Puma si è svolto in un centro minerario, con problemi sociali e politici tutti particolari, diversi da quelli del circondario, eminentemente agricolo. La sua famiglia è stata colpita dal primo sequestro di persona dell’Italia del dopoguerra. Un suo cognato ha subito l’onta del sequestro nell’estate del 1946. Un sequestro fatto più per fame che per vera  cattiveria; un atto criminoso che fruttò agli artefici ben magra ricompensa. Ciò lo ha sensibilizzato nel versante dei poveri, che astretti dalla necessità si spingono verso il crimine, ed in quello della giustizia sociale. Ciò ha ingenerato in lui una repulsione profonda, sincera nei confronti della mafia. Questa, ha combattuto con vigore, anche con le armi che promanano dal suo carattere sacerdotale e dal suo ruolo di guida del paese, come arciprete. Oggi, - può affermarsi - la mafia, quella tradizionale, discendente dalla notoria Fratellanza della Favara ottocentesca, che aveva le sue propaggini in tante famiglie racalmutesi, può dirsi finita e non certo per l’opera dell’Antimafia - Dio solo sa quanto veritiere e schiette sono state talune pagine di Leonardo Sciascia! - ma per cruentissima ed efferata autoeliminazione. Purtroppo, è subentrata una microcriminalità che non viene adeguatamente fronteggiata. Melanconicamente può affermarsi che Racalmuto si consegna al terzo millennio in deteriorate condizioni morali ed in un invivibile disordine sociale.
Lungi da lui l’insidiosa tentazione di autocommemorarsi. Non può giudicarsi per il noto aforisma: nemo judex in causa propria. Né, a dire il vero, ne ha voglia. La microstoria locale dovrà di certo occuparsi della sua persona: potrà raffigurarlo nei più disparati modi, ma non potrà in alcun modo etichettarlo come ... arciprete accidioso.
Come uomo, suo motto preferito, suol essere “fare cose utili, dire cose coraggiose, contemplare cose belle”.
Come prete ha dovuto attraversare un deserto, è stato “comu l’ovu, ca chiù si coci, chiù duru si fa”;  non si è mai adagiato, anche se solo e solo in un deserto; ha ambito ad una fusione dello spirito pragmatico di S. Pietro e di quello speculativo, innovatore e missionario di S. Paolo. Ha difeso ad oltranza la casa del Signore. Non può vantare orpelli e questo testimonia la sua scarsa arrendevolezza verso i potenti, anche se ecclesiasticamente paludati.  Se Sciascia amava dire di sé “contraddisse e si contraddisse”;  come suo compaesano e suo contemporaneo, padre Puma ha amato la fede in Cristo e ha riposto fiducia nella Madonna (specie in quella nostra del Monte); ha avuto carità ed attaccamento a questo popolo di Dio racalmutese. Un suo antico parente volle ad epitaffio: “feci quod potui, faciant meliora potentes”. Lo vorrebbe adattato a se stesso.

Le svolte epocali della chiesa di Racalmuto.

 
L’avvento del terzo millennio recepisce una Racalmuto non più povera, non più mineraria, non più derelitta, men che meno “meschinella”, eppure piena di turbe sociali, in mano ad una microcriminalità radicata e diffusa, con una religiosità appariscente ma alquanto formalistica e satura di miasmi consumistici, di vacuità perbenistiche, di inquinamenti ritualistici.
Non è più la vecchia paura dell’oltretomba ad inquinare il credo religioso dei racalmutesi, che pur di avere un avello in chiesa erano disposti a soggiogare il  cadente “dammuso” o la minuscola “chiusa”. I rolli delle confraternite pieni di tali lasciti giacciono ormai polverosi negli scaffali della Matrice, per la delizia dei radi studiosi locali.
Oggi, l’opulenta “gentilizia” - acquistata da eredi smemorati e sacrileghi delle vetuste famiglie nobiliari del luogo - raccoglie i resti talora martoriati dalla lupara mafiosa.
Il rosario non lo canta più la voce ineffabile di un vecchio che devoto ed implacabile imponeva la risposta salmodiante alle tante vecchiette rinsecchite, mentre intirizzivano di freddo sulle panche di San Giuseppe o della Matrice.
Non sono più pensabili le processioni propiziatorie,  con il loro carico di superstiziosa sensualità repressa.  Non è più pensabile che i racalmutesi - per dirla con Sciascia - vivano del ricordo e della tradizione del miracolo della venuta di “la bedda Matri di lu Munti  e restano “compensati del terraggio e del terraggiolo, dei contributi unificati, della ingiusta mercede riscossa per estirpare sale e zolfo”. Mondo definitivamente scomparso, ammesso poi che sia mai veramente esistito.  Il dissacrante Sciascia vuole il miracolo del Monte come un arcano “succo gastrico” “ per don Girolamo del Carretto, per don Calogero Virzì che persino i velieri possedeva per vendere lo zolfo che i racalmutesi cavavano per lui, per Salvatore Accursio che ammucchia ricchezze col sale, un succo gastrico che aiuta a digerire la ricchezza, uomini lavorano come talpe e quelli fanno siesta a digerire ricchezza”. L’apologo nel 1960 veniva all’istante afferrato da colti ed incolti di Racalmuto. Ora, solo qualche attempato erudito riesce a cavarne una qualche rimembranza paesana. Sempre Sciascia accenna alla strumentalizzazione della Madonna nelle elezioni del 1948. A Racalmuto avvenne una zuffa che potrebbe assurgere ad emblema, fantasmagoria e che sicuramente rispecchia lo spirito dei tempi. Lasciamo la parola allo scrittore: «I regalpetresi [alias racalmutesi] pretesero che la consegna [dell’effige della Madonna] avvenisse alle porte del paese, ne nacque una burrasca, si invelenì di vecchi rancori, dispregiosi apprezzamenti furono gridati dall’una e dall’altra parte. La zuffa si accese, girandole di bestemmie rutilarono intorno alla celeste effige, i padri levarono alte le mani a placare la tempesta. Mai la Madonna come in quel giorno è stata bestemmiata dai cittadini di Castro e di Regalpetra. I comunisti furono primi nella mischia; si fosse votato nei giorni che la Madonna di Fatima restò a Regalpetra, un solo voto al Pc non sarebbe toccato; si votò un mese dopo, e il Pc ne ebbe un migliaio.» Il terzo millennio non annovererà racalmutesi di tal fatta. La Chiesa locale sarà ben altra. Come e con quali problemi, con quali angosce, con quali empiti, sono quesiti che saranno gli storici a venire a dipanare. Mutato il paese, mutata la società locale, mutata l’economia della zona, mutato il costume, mutata persino la struttura mafiosa e delinquenziale - la “stidda” d’oggidì non può più dirsi certo ‘omertosa’ - è anche profondamente mutata la religiosità locale e tanto in termini e con connotati che non è dato per il momento afferrare.
I mutamenti di pelle la comunità ecclesiale di Racalmuto li ha conosciuti varie volte nello scorrere dei secoli. A volo d’uccello, possiamo affermare che ciò avvenne attorno al quinto secolo, quando da chiesa latina sembra essere divenuta chiesa greca sotto l’egida del vescovo (se santo o depravato, neppure Mons. De Gregorio riesce per il momento a stabilirlo). Sotto i berberi, da cattolici pare che i racalmutesi preferissero passare all’Islam per non sottostare a tassazione d’indole religiosa (gizia o altro che sia). Insediatosi il vescovo Gerlando, a Racalmuto non seppe risorgere una comunità cristiana memorabile. I Saraceni rimasero saraceni e divennero “villani”. I loro padroni - cattolici e latini - abitavano altrove. Sotto Federico II, le orde ribelli che osarono addirittura imprigionare un vescovo (senza dubbio esoso e vessatorio) furono dirottate verso Lucera e nell’altipiano racalmutese giunse tal Federico Musca - dopo autoproclamatosi conte di Modica - con taluni coloni e sfruttando le terre lasciate incolte dai saraceni pose le basi per un casale - nel luogo un tempo fortificato dal gaito di Naro Chamut - che ebbe a chiamarsi Rachal Chamuth prima di stabilizzarsi nell’attuale toponimo di Racalmuto. Ora la fede ed il culto sono quelli di stretto rito latino. Monaci arrivano sul posto a confermare nella fede dei padri, cioè in quella una, vera, cattolica, romana. Angelo di Montecaveoso fu di certo uno di tali monaci. Unitamente all’altro sacerdote Martuzio de Sifolone può avere ‘primizie’ ed altre rendite dai fedeli racalmutesi, ma a sua volta e nel 1308 e nel 1310 viene chiamato, sempre assieme al Sifolone, a versare decime cospicue alla lontana corte papale. Alcuni studiosi locali - il p. Girolamo M. Morreale, S. J. - accennano all’episodio. Noi, in questo lavoro, non abbiamo mancato di dilungarci trattandosi dell’esordio o del battesimo della comunità ecclesiale racalmutese che si conclude con questo secolo o questo millennio.

Da dove vengono e ove vanno i fedeli racalmutesi. 

 
Sulle plaghe racalmutesi, nell’età del bronzo d’occidente, circa quattromila anni fa, un popolo che da Tucidide in poi si denomina sicano mise le sue radici. Lo contraddistingue il sentimento religioso tanto profondo da spingerlo ad opere che scavalcano l’obliterazione dei millenni per giungere sino a noi. Sono le tombe sicane che si affacciano grandiose e impressionanti dalla parete della grotta di Fra  Diego. Il culto dei morti - una costante racalmutese che diventa una mania al di là di ogni temperanza, dai tempi remoti sino ai nostri giorni - affonda le radici in quel sentimento religioso, nel senso dell’al di là che connota ed ossessiona persino l’uomo preistorico racalmutese. Certo, a quel tempo è più il terrore superstizioso della morte, che non una liberatrice fede nell’immortalità dell’anima, ad avere il sopravvento. Ma è pur aspetto nobile e qualificante di un popolo che se crede in una vita ultraterrena, crede anche nell’esistenza di Dio. In tal senso anche il popolo sicano racalmutese è stato il popolo di Dio.
Sparita quella civiltà attorno al XIII secolo a.C., saranno i sicilioti greci di Akragas a rifrequentare quelle plaghe. Continua il culto dei morti, sorge una religione politeista, vi ispira sentimenti nuovi di pietà e di fede operosa. Dio continua ad essere presente a Racalmuto. Così come avviene quando il territorio viene annesso dalla predace Roma ed assoggettato a decime in natura ed in denaro. Una epigrafe sul timbro apposto nell’interno del manico di una diota testimonia la tassazione romana delle terre di Racalmuto al tempo di Cicerone. Reperti archeologici di tombe attestano riti e culti religiosi.
Con Commodo, nel 180 d. C., le viscere della terra, che erano state invase da vibrioni trasformatisi in vene di zolfo,  vengono violate per l’estrazione del biondo minerale con metodi e strumenti che dopo essersi eclissati per secoli riemergono nell’ottocento e durano, tutto sommato, sino a metà di questo secolo. Reperti archeologici compresi per primo dal nostro quasi compaesano avv. Giuseppe Picone disvelano l’esistenza a quei tempi di “gàvite” con impressi timbri di singolare importanza epigrafica. In esse talora viene impressa una piccola croce. Ecco la più antica testimonianza dell’avvento del cristianesimo a Racalmuto.
L’industria mineraria solfifera dura dal II al IV secolo d.C. in quel di Racalmuto: dopo decade e scompare (salvo a risorgere nel XVIII secolo) per l’opera nefasta dei Vandali di Genserico. L’abitato si trasferisce allora a Casalvecchio. Un monticello calcareo - le Grotticelle - ben si presta alla tumulazione dei morti. Per Biagio Pace quello è un ipogeo cristiano. Il culto dei morti si ammanta ora di pietà cristiana. Solo la rapace ed incolta pirateria di improvvisati tombaroli racalmutesi degli anni ’quaranta ha impedito uno studio archeologico serio di quell’ipogeo. Nessun reperto si è comunque salvato. Di nessun dato disponiamo per una vulnerazione del buio fitto che è calato sulla vicenda religiosa locale del periodo post-romano.
Nell’atrio dell’ex convento della Clarisse - rapinato dal buon Garibaldi - si custodisce il noto sarcofago con il bassorilievo del ratto di Proserpina. Giaceva prima nel castello chiaramontano, assurto nel XVI secolo a dimora dei Del Carretto. Chi, quando e come ve lo avesse qui portato, resta un mistero. Se dovesse essere il superstite segno di una necropoli giacente sotto (o nei dintorni) del castello (per i racalmutesi: lu Cannuni), se ne dovrebbe trarre l’inferenza che ancora nel VI secolo d. C. la religione cristiana non era universalmente abbracciata in questa antica terra, e qualcuno amava farsi seppellire in sarcofagi pagani.
Dal VI al IX secolo Racalmuto - ci è ignoto il nome greco del periodo - divenne palesemente bizantino. Secoli fervidi di opere e di umane presenze che le future campagne di scavi redimeranno dall’oblio dei tempi. La locale comunità fu di certo grecofona e quanto al rito religioso ebbe ad optare per quello ortodosso. Infuriava ad Agrigento la lotta tra vescovo greco e quello latino. Le vicende di tal Gregorio ci sono state tramandate ma con tali obnubilamenti che neppure il grandissimo mons. De Gregorio è riuscito sinora a dipanare. Misterioso dunque l’atteggiamento della periferica chiesa racalmutese in tal frangente.
Subentrano gli arabi. I contadini berberi penetrano e si espandono nelle terre del nostro paese. Un toponimo - troppo poco - vorrebbe testimoniare che si siano raggrumati attorno alla località del Saracino: la vicinanze di abbondanti sorgenti d’acqua, propiziatrici delle colture di ortaggi con il sistema delle porche e zanelle, in cui erano maestri, potrebbe avvalorare la congettura. Sia quel che sia, l’Islam divenne imperante e non sono da escludere conversioni in massa dei pavidi cattolici del tempo, non foss’altro per sottrarsi alle sgradite tassazioni che la tolleranza araba aveva inventato per permettere che i non credenti conservassero vita e beni.
La sopraffazione si inverte con la conquista normanna dell’XI secolo. Esistesse o meno una terra fortificata di nome Racel (ad utilizzare le cronache del Malaterra), per Racalmuto fu il tempo del villanaggio saraceno che durò sino al greve riordino sociale di Federico II. Che cosa è stato il “villanaggio”? Non è questa la sede per spiegare l’istituzione contadina che vedeva il subalterno colono come una “res” del “dominus”, quasi alla stregua di uno schiavo. (Vedansi, per chi ne voglia sapere di più gli studi di I. Peri).  Contadini islamici, miseri e schiavi da una parte; padroni cristiani, lontani e socialmente insensibili, dall’altra. L’istituzione di un beneficio a favore di canonici agrigentini, mai racalmutesi, con le decime del feudo facente capo ad un falso diploma del 1108 (non foss’altro perché non si riferiva a Racalmuto), svela i misteri della colonizzazione, sotto i Normanni, di nuove terre. Tanto avvenne per il beneficio di Santa Margherita, che per l’avallo del Pirri, costituì poi la saga della nostra chiesa di Santa Maria di Gesù.
I saraceni si ribellarono in modo devastante negli anni venti del 1200. Federico II li represse, deportandoli in Puglia. Racalmuto diventa deserta. Tocca a Federico Musca - come si è detto - farvi fiorire un nuovo casale. Nel 1271 le testimonianze sulla vita e le vicende del risorto centro urbano cominciano ad avere dignità di fonti documentali. Sotto i Vespri, la terra è Universitas così bene organizzata che il nuovo padrone aragonese Pietro può esigere tasse ed armamenti, demandando ai locali sindaci l’ingrato compito esattoriale, persino con la vessatoria condizione di doverne rispondere con il proprio patrimonio in caso di insolvenza. Una sorta di ‘solve et repete’ ante litteram. La cattolicissima Spagna esordiva  con spirito predatorio nel regno che gli era stato regalato da taluni maggiorenti siciliani. E così anche la ‘meschinella’ Racalmuto iniziava a pagarne lo scotto. Roma, il papato, dissentiva. Sarà questa una scusa buona per esigere dai fedeli di Racalmuto, ove nel 1375 abitano in case coperte di paglia, una tassa pesante onde liberarsi dell’antico interdetto, che secondo il nuovo padrone feudale Manfredi Chiaramonte era la causa della ‘mala epitimia’ distruttrice di uomini e cose.
I Chiaramonte si erano impossessati di Racalmuto all’inizio del secolo XIII. Federico Chiaramonte - un cadetto della famiglia - aveva fatto costruire, secondo il Fazello, nel primo decennio, l’attuale fortezza,  forse una, forse tutte e due le torri oggi esistenti. Il territorio era divenuto ‘terra et castrum Racalmuti’. Vi giunsero preti e monaci forestieri. Nel 1308 e nel 1310 costoro vennero tassati dal lontano papa: un piccolo prelievo - si dirà - dalle pingue rendite che un prete ed un monaco riuscivano a cavare dai poveri coloni infeudati dai Chiaramonte. Sono certo pagine non gloriose della storia ecclesiastica racalmutese. Ma basta ciò per essere obbligati al silenzio omertoso, sia pure in tema di verità storica? In questa fatica, non sono state poche le pagine dedicate a tale spinosa questione.
Nel 1392 giunge in Sicilia il duca di Montblanc. E’ un  cinico, infido, ma astuto e determinato personaggio, protagonista in Sicilia ed in Spagna di grandi svolte storiche. Martino, secondogenito di Pietro IV e duca di Montblanc, viene dagli storici siciliani indicato come Martino il vecchio; ebbe la ventura non comune - scrive Santi Corrente - di succedere al proprio figlio sul trono di Sicilia. Resta l’artefice della sconcertante condanna a morte del vicario ribelle Andrea Chiaramonte, e non cessò di combattere la nobiltà siciliana, salvo a remunerarla oltremisura appena ciò gli fosse tornato utile.
Ne approfitta Matteo del Carretto per farsi riconoscere il titolo di barone di Racalmuto, naturalmente a pagamento. L’intrigo della genesi della baronia di Racalmuto dei Del Carretto è tuttora scarsamente inverato dagli storici. All’inizio del secolo XIII un marchese di Finale e di Savona - a quanto pare titolare di quel marchesato solo per un terzo - scende in Sicilia e sposa la figlia di Federico Chiaramonte, Costanza. Ha appena il tempo di averne un figlio cui si dà il suo stesso nome, Antonio, e muore. La vedeva convola, quindi, a nozze con un altro ligure, il genovese Brancaleone Doria - un personaggio che Dante colloca nell’Inferno - e ne ha diversi figli, tra cui Matteo Doria che morrà senza prole e pare che abbia lasciato i suoi beni (in tutto o in parte, non si sa) agli eredi del suo fratellastro Antonio del Carretto. Questi frattanto si era trasferito a Genova. Aveva procreato vari figli, tra cui Gerardo e Matteo. Matteo, in età alquanto matura, scende in Sicilia: rivendica i beni dotali di Agrigento, Palermo, Siculiana e soprattutto Racalmuto. Parteggia ora per i Chiaramonte ora per Martino, duca di Montblanc ed alla fine gli torna comodo passare integralmente dalla parte dell’Aragonese.  In cambio ne ottiene il riconoscimento della baronia. Certo dovrà vedersela con le remore del diritto feudale. Inventa un negozio giuridico transattivo con il fratello primogenito Gerardo, che se ne sta a Genova, ove ha cointeressenze in compagnie di navigazione, e finge di acquistare l’intera proprietà della “terra et castrum Racalmuti”. [1]
Martino il vecchio si rende subito edotto del senso e della portata dell’istituto tutto siculo della cosiddetta Legazia Apostolica. Deteneva il beneficio racalmutese di Santa Margherita l’estraneo canonico “Tommaso de Manglono, nostro ribelle al tempo della secessione contro le nostre benignità” - come scrive Martino da Siracusa, l’anno del Signore VII^ Ind. 1398. Gli viene tolto per essere assegnato ad un altro estraneo “al reverendo padre GERARDO DE FINO arciprete della terra di Paternò, cappellano della nostra regia cappella, predicatore e familiare nostro devoto”. Altra ignominia della storia ecclesiastica racalmutese, che ci guardiamo bene dall’oscurare. Ne abbiamo trattato - come spero si ricorderà - dianzi.
Il secolo XV vede Racalmuto saldamente in mano a Giovanni del Carretto, figlio del detto Matteo. Henri Bresc vorrebbe questo barone come un disastrato, finito in mano degli Isfar di Siculiana. A noi risulta il contrario. Lo vediamo rapace esportatore di grano locale dal caricatoio del suo feudo minore di Siculiana. Appare come creditore dei Martino, socio degli Agliata. Lo storico francesce è perentorio: «La baisse du prix de la terre - que l’on suit sur la courbe des prix moyens des fief vendus par la noblesse oblige à un endettement toujours plus grave et à une gestion très rigoureuse du patrimoine résiduel. Et l’on s’achemine vers l’intervention de la monarchie et de la classe féodale dans l’administration des domaines fonciers et des seigneuries: Giovanni Del Carretto est ainsi dépouillé en 1422 de sa baronnie de Racalmuto, confiée en curatelle à son gendre Gispert d’Isfar, déjà maître de Siculiana
Attorno alla metà del secolo, subentra nella baronia di Racalmuto Federico del Carretto. Il 3 agosto 1452 ne viene ratificata l’investitura stando agli atti del  protonotaro del Regno in Palermo. Un grave episodio di intolleranza religiosa contro gli ebrei - in cui però preminente è l’aspetto di comune criminalità - si verifica nelle immediate adiacenze di Racalmuto nell’anno 1474. E’ l’efferata esecuzione dell’ebreo locale Sadia di Palermo, cui abbiamo già fatto riferimento. In un documento del 7 luglio 1474,  Ind. VII vengono narrate le circostanze raccapriccianti del crimine.
 Lo spaccato della società racalmutese non appare molto esaltante. Non possono comunque da un singolo episodio trarsi valenze generali che sarebbero solo generiche e fuorvianti. Ma l’indignazione rimane e la tentazione alla condanna di tutta la comunità ecclesiale dell’epoca è piuttosto irrefrenabile. Alcuni tratti, un marchio, un DNA, riconducibili alle famiglie citate nel quattrocentesco dispaccio, qualcuno potrebbe ravvisarli ancora in taluni personaggi locali.
Il Cinquecento si apre con la pia leggenda della venuta della Madonna del Monte. Dominava il barone (non certo conte) Ercole Del Carretto. Ebbe costui il suo bel da fare con Giovan Luca Barberi, che sembra essere venuto proprio a Racalmuto per meglio investigare sulle usurpazioni della potente famiglia baronale. Il Barberi arriva persino a dubitare sul concepimento nel legittimo letto di alcuni antenati del povero barone Ercole Del Carretto. Gli contesta molte irregolarità d’investitura ed il padrone di Racalmuto è costretto a ricorrere ai ripari formalizzando i suoi titoli nobiliari presso la corte vicereale di Palermo, a suon di once. La ricaduta - oggi si direbbe: traslazione d’imposta - sui disgraziati racalmutesi dovette essere espoliativa. In compenso - direbbe Sciascia - fu profuso il succo gastrico delle opere di religione. Non proprio una “venuta” miracolosa, ma una statua di marmo della Madonna fu certamente fatta venire da Palermo - genericamente si dice dalla scuola del Gagini - e posta in bella mostra su un altare, maestosa, della chiesa del Monte, che ad ogni buon conto preesisteva. Ai parrocchiani, questo non può di sicuro venire predicato. Se ne scandalizzerebbero oltre misura. Ma qui, in un orecchio, può venire sommessamente e riservatamente sussurrato. Chi ha orecchie da intendere, intenda.
 
In apposito capitolo, abbiamo seguito la storia (quasi sotterranea) di una Racalmuto alle prese con tanti problemi politici, religiosi ed economici. Là abbiamo puntato l’attenzione  su arcipreti, sacerdoti, religiosi e laici del nostro paese nei due secoli e più successivi alla scoperta dell’America: mentre il mondo entrava nell’era moderna, il medioevo racalmutese persisteva in istituti, atteggiamenti ed altro che appariva come un’ascia bipenne: masse di contadini scorticate a vivo; signorotti e prelati rapaci e lontani.
 
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La vicenda della controversia liparitana, nel suo svilupparsi a Racalmuto è un’orrida vicenda: abbiamo scritto quella pagina di storia locale - religiosa e civile - con raccapriccio, disorientamento, vergogna: il distacco dello storico va a farsi benedire di fronte a siffatti disvelamenti che i cupi registri parrocchiali ti sbattono in faccia. Ogni commento saprebbe di impietosa acquiescenza e noi non ne abbiamo voglia. Per un pugno di ceci, si poteva - e si doveva - avere remora a tribolare le popolazioni contadine affamate anche con crudeltà inferte in punto di morte.
 
 
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E qui si apre una voragine di altri quattro secoli di storia religiosa e civile di Racalmuto. Non è questa la sede per avventurarci in tale smisurato pelago. Lo spunto è tratto da documenti di archivio: specie quelli della Matrice, ma anche quelli degli archivi agrigentini (della Curia e dello Stato), nonché degli archivi di Roma e di Palermo. Sono provocazioni. Occorrono altre ricerche ed altre forze per cavarne un abbozzo di storia (altro che microstoria) racalmutese. Sciascia, nel presentare il libro di memorie del Tinebra, prima dichiara il testo di E. N. Messana: «voluminoso, fitto di notizie» e poi, nella chiusa, inopinatamente catoneggia: «... limitato è il numero delle notizie che su Racalmuto si possono estrarre dai libri e da manoscritti.» Ed invece, i nostri richiami  spalancano le porte a mari, oceani  di notizie. Né ci si venga a dire che sono curiosità paesane, affette da municipalismo. Tutt’altro. Si scopre che un tal m° Giovanni Sciascia (parente alla lontana dello scrittore) ebbe ad aggiudicarsi il subappalto della famigerata (ed esecrata dallo stesso Leonardo) tassa sul macinato: i manoscritti sono espliciti:  maestro Giovanni Sciascia gabelloto del macino per onze 285; e ciò nell’anno di grazia 1809-10.
 
 
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All’obiettore che storcerà il naso per quel nostro ricorrente richiamo critico a Sciascia, eccepiamo che tanto ingegno ci ha molto inceppato nelle nostre ricerche storiche su Racalmuto: è stata opera defatigante far collimare il nostro sviscerato attaccamento al grande scrittore con l’opposta realtà che le carte man mano disvelavano. Se qualche volta siamo sbottati, è merito di Sciascia che nella ricerca della verità non ti consente quiete e distrazione. Se qualche altro eccepisce “de mortuis nihil nisi bonum”, ebbene Leonardo Sciascia non è, come espressione dell’intellettuale collettivo, morto: mentre vaga - ci assicura - nelle infinite lande dell’empireo, ha tuttora voglia di ricordarsi di questo pianeta; noi che in questo pianeta ancora dimoriamo, non possiamo fare a meno di ricordarci di lui - anche di scontrarci con lui - quando, alieni dal metafisicismo del Borges, non sappiamo avere “l’impressione che la nostra nascita a Racalmuto sia alquanto posteriore alla nostra  residenza qui”. L’ancestralità del nostro essere racalmutesi ci porta a volere, sopra ogni cosa, la verità storica del paese e non quella fantasmatica, come direbbe Massimo Onofri magari a spese delle derelitte casse del Comune.

Per finire, .... davvero!

 
Nel mio rapporto con il paese, posso affermare che ho sempre coltivato le tre virtù ... teologali. La speranza che il paese avesse sempre la forza di uscire dai tunnel della delinquenza, della mafia, dell’amoralità è stata e permane sempre vivida. E ciò è anche un atto di fede. Un empito di carità charitas non è mai mancato nel mio percorso culturale nel deserto dell’altipiano del sale (della sapienza ma anche dell’intelligenza corrosiva, autocompiacentesi) e dello zolfo, anche quello dello schioppo, anche quello della lupara che da secoli folgora sinistro ed improvviso nelle campagne ubertose o nei calanchi scoscesi ed ammalianti. Quello che ho narrato, l’ho narrato con amore, con la forza passionale della charitas, senza asetticismo. Non storico, dunque, ma dilettante rinvenitore dei minuscoli segreti racalmutesi dei tempi trascorsi; quei segreti di ogni giorno di quella «vita tenace e rigogliosa, abbarbicata al dolore e alla fame come erba alle rocce», per chiudere, appunto, con Sciascia.

INDICI E SOMMARIO
 
 
 
 



[Dizionario topografico della Sicilia; 120
‘tenace concetto’; 103
Abate; 70
Acquisto; 87
ad Oliverio RAFFA; 17
adversus Reverendos Sacerdotes; 154
Afflitto
Carlo; 64
agostiniani; 106; 115; 118; 120
Agrigento; 11; 15; 16; 17; 19; 21; 22; 23; 33; 35; 40; 58; 59; 61; 70; 71; 79; 202
Alaimo; 10; 30; 69; 75; 90; 102; 127; 128; 129; 138
fra Sebastiano; 30
ALAIMO; 28
Aldonza del Carretto; 100; 137; 153
Alfano; 128; 135
Algozzini
arc.; 83
Algumento; 62
alla chiesa del Monte; 21
Amari; 70
Amato; 37
fra Antonino; 37
Amella; 128; 135
Amico; 120; 142; 154
Andrea d’Argomento; 23
Angelo de Montecaveoso; 24
Angelo di Montecaveoso; 8; 9; 24
Annunziata; 21
Antimafia; 209
Antinoro
fra Giuseppe; 36
Antonio del Carretto; 14; 74
Antonio Veneziano; 94; 119
Aragona; 96
ARCHIVIO STORICO SICILIANO; 71
Archivio Vaticano Segreto; 23; 61; 62
arciprete; 8; 15; 23; 24; 36; 38; 39; 40; 59; 60; 61; 62; 65; 69; 83; 94; 97; 98; 101; 109; 110; 114; 123; 124; 128; 130; 133; 137; 138; 139; 140; 141; 153; 157; 158; 203; 204; 208; 209; 210; 217
arcipreti; 62
Argisto Giuffredi; 119
Asaro; 66; 70
Averna; 23; 39; 43
AVERNA
Arciprete don Gerlando; 38
AVS - Reg. Av. 162; 9
Barberi; 16; 26; 44; 45; 46; 84; 128; 129; 218
Giovan Luca; 218
BARONE; 81
baroni di Racalmuto; 87
Barresi; 85; 86
beneficio del Crocifisso; 38; 202
Bertrando du Mazel; 9
bolla; 23; 38; 78; 79; 200; 202
Bona; 24
BONGIORNO; 13
Bonincontro; 30; 32; 64; 124; 125; 126; 129
Bonsignura; 66
Borboni; 106
Bovo seu Montagna; 154
Burruano; 10
Burzellina; 66
BUSCEMI; 13
Busuito; 200
Cammalleri; 66
Cammarata; 97; 134; 137; 138 
Canicattì; 13
Cannuni; 214
canonicato di Agrigento; 16
canonicato di Santa Margherita; 15
canonici; 97; 104; 124; 215
Capibrevi; 84
Capobianco; 87; 128
Capoccio; 23; 60; 61; 62
arciprete; 97; 98; 99; 100; 101
cappellano; 15; 24; 89; 91; 99; 132; 137; 139; 152; 206; 217
Caracciolo; 106; 118
Carchiola; 66
Carlino; 13
Carlo d’Angiò; 10
carmelitani racalmutesi del secolo XVI; 32
Carmine; 94; 129; 158; 208
Carretto; 14; 15; 16; 19; 24; 25; 26; 27; 29; 31; 33; 40; 41; 42; 43; 44; 46; 58; 65; 74; 78; 79; 85; 86; 87; 88; 92; 94; 95; 96; 97; 100; 103; 108; 110; 113; 114; 115; 116; 117; 118; 119; 120; 121; 126; 128; 129; 130; 131; 132; 133; 135; 137; 139; 140; 153; 154; 155; 157; 158; 201; 211; 214; 216; 217; 218
Girolamo; 211
Casal Vecchio; 70
Casalvecchio; 214
Cascini; 65; 69; 70; 72; 73; 74; 75; 82; 83; 203
Giordano; 73
Castronovo; 20; 65; 66; 72
Casuccio; 24; 35; 66
fra Angelo; 35
Casuchia; 87; 128; 129
Cavallaro; 64; 67; 202
Chamut; 212
Chiaramonte; 10; 14; 15; 16; 27; 74; 216
Chiarenza; 66; 82
CHIAZZA; 13
Chiesa della \“NUNTIATA; 64
Chiesa di S. Giuliano; 64
chiesa di S. Margherita; 12; 83
chiesa di S. Maria; 8; 12; 23; 76; 78
chiesa di San Leonardo lo vecchio; 64; 67
Chiesa di Santa Maria del Monte; 63
Chiesa di santa Maria di Gesù; 63
Chiesa di Santa Maria di lo Munti; 64
Chiesa di Santa Rosalia; 64; 65; 66; 67; 68; 72
CHIESA DI SANTA ROSALIA; 67
Chiesa Maggiore; 63
Cicerone; 213
Cicio
dott. Giuseppe arciprete; 137
Clarisse; 214
Collegio di Maria; 69
Collura
Paolo; 9
COLLURA; 11
Commodo; 213
confraternita; 34; 67; 72; 78; 185
confraternite; 87; 88; 89; 90; 91; 95; 96; 210
Conte
Stefano Conte; 121; 130; 135; 209
Convento del Carmine; 31; 33
convento di S. Francesco; 26
Convento di S. Francesco; 26
convento di S. Giuliano; 102; 106
Costanza; 216
Costanza Chiaramonte; 14
Covarruvias; 59; 61; 62
Crocifisso; 38; 200; 202
Cuddura; 66
Cullura; 66
Curto; 44; 45; 46; 64; 65; 67; 68
d’Afflitto; 64; 67
D’AMELLA; 13
d’Argomento; 123
Andrea; 123
d’Asaro; 102; 129; 130; 131; 135; 138
D’Averna; 39; 40
Damiano; 88; 93; 96
DE FINO; 217
Gerardo; 217
de Grachio; 87
De Gregorio; 97; 212; 214
Mons. Domenico; 212; 214
Del Carretto
Giovanni; 85; 86; 87; 88; 92; 93; 94; 95; 96; 97; 110; 113; 114; 117; 120; 121; 129; 130; 131; 132; 133; 135; 139; 140; 153; 154; 155; 157; 158; 214; 216; 217; 218
Del Carretto; 218
Di Benedetto; 65
Di Giovanni; 85; 86; 92; 108
Vincenzo; 85
Di Liberto; 37
fra Pasquale; 37
di S. Margherita Belice; 9; 12
di S. Maria di Gesù; 8; 34
Di Vita; 115
Diego La Matina; 20; 102; 105; 107
diocesi di Agrigento; 15
don Calogerum Cavallaro; 154; 155
don Fabritium Signorino; 154
don Franciscum de Agrò; 154; 155
don Joannem Battistam Baera; 154
don Joseph Casucci; 154
don Michaelem Angelum Rao; 154
don Petrum Casucci; 154
don Sanctum de Acquista; 154
Doria; 136; 216
Brancaleone; 216
Matteo; 217
duca d'Alba; 119
duca di Montblanc; 216; 217
ebrei; 11; 16; 19
Ecclesiola; 63
Enrico; 86
Ercole Del Carretto; 85; 95; 218
EUGENIO NAPOLEONE MESSANA; 11
Evodio; 116; 120
Falletta; 23; 66
Paolino sac.; 23
Fanara; 24; 26; 31; 32; 33; 36; 87; 90; 123
fra Paolo; 32
padre Paolo carmelitano; 31
Farrauto; 13; 66; 202
Favara; 113; 209
Fazello; 216
Federico Chiaramonte; 216
Federico II; 8; 212; 215
Filippini; 153
Fiorini
Isidoro Fiorini; 209
Fontana; 21; 63; 67; 68; 71
Fra  Diego; 213
Francesco de Bona; 87
Franciscus Sferrazza; 35
Fratellanza; 209
Gagini; 218
Gaitano; 29; 30
padre Cola Andrea; 29
gaito; 212
Galletti; 23
Garamoli; 58
Garibaldi; 214
GARUFI; 12
Genco
arciprete; 65; 69; 72; 74; 82
Genova; 14; 15
Gerardo de Fino; 24; 84
GERARDO DE FINO; 15
Gerlando; 212
Gerlando d’Averna; 23; 38; 40; 41
Giacchetto; 86
Giancani; 65
Giglia; 66
Gilberto; 11
Giovanni Del Carretto; 88; 218
Giovanni Sciascia; 220
mastro gabelloto; 220
Giovanni V; 94; 103; 119; 121; 135; 137; 139; 153
Girgenti; 10; 14; 17; 40; 45; 61; 72; 102; 129; 140; 142; 200; 201
Girolamo II; 94; 114; 115; 118; 119; 130; 131; 135; 137
Girolamo III; 110; 119; 121; 135; 140; 153; 154; 155
Girolamo IV; 119
giudei; 17
Giudeo; 16
governatore; 91; 94
Graci; 24
Gregorio Blundo; 64; 67
Grillo; 80; 81; 82; 83; 164; 203
don Antonino; 82
don Girolamo; 82
rev. don Salvadore; 82
GRILLO; 81
Grotte; 11; 73; 74
Grotticelle; 24
Guarino; 11
Gueli; 66
Gulpi; 44; 45; 46; 87; 155
Hammud; 10; 12
Horoczo y Covarruvias; 61
Horozco; 59; 60; 61; 87; 94; 97; 98; 99; 100; 101; 104; 110
inquisitore; 105; 119; 120; 121
ipogeo cristiano; 24
Islam; 212
Jacobo Damiano; 88; 93; 96
Jacobo Vella; 87
Jacolino; 209
Jo:Vito D’Amella; 14
La Cannita; 119
La Gnignia; 66
La Lattuca; 30; 66
la Legazia Apostolica; 15
La Licata; 10; 24; 25; 28; 36; 43; 66; 87; 89; 155
Francesco; 14; 63; 65
Leonardo; 24; 25; 28
LA LOMIA; 13
La Matina; 20; 36; 102; 103; 105; 107; 154
La Nuza; 106
Lagumina; 17
Bartolomeo; 17
Lanuza, gesuita; 106
Laudicu; 66
Lauricella; 22; 66
Lautrec; 85; 86
Legazia Apostolica; 142; 217
Leonardo Sciascia; 20; 63
Liuni; 18
Lo Brutto; 44; 45; 46; 65; 66; 68; 110; 128; 129; 141; 153; 155; 156; 185; 200; 202; 204
arciprete; 153
Lo Sardo; 66
Lombardo; 72
Lop Ximen Durrea; 17; 18
Macaluso; 10; 44; 45; 46; 68
Madonna del Monte; 20; 21; 91; 218
MADONNA DEL MONTE; 20
Madonna di Fatima; 211
Malaterra; 215
Malconvenant; 8; 11; 12; 83
Manfredi Chiaramonte; 10; 16; 216
Manglono; 217
Tommaso; 217
Mantione; 65; 82; 83; 164; 203
canonico; 82; 203
Marco Antonio Alaimo; 102; 138
Martino; 93; 216; 217
MARTORANA; 10; 11
Martuzio de Sifolono; 23
MARTUZIO DE SILOFONO; 12
Matera; 8
Matranga; 103; 105; 107
Matrice; 20; 21; 23; 34; 35; 38; 39; 40; 61; 62; 65; 68; 75; 76; 78; 81; 82; 83; 91; 97; 102; 103; 106; 108; 109; 121; 133; 137; 138; 139; 140; 141; 142; 143; 156; 157; 158; 164; 185; 206; 208; 210; 211; 219
Matrona; 13; 39; 200; 202
Matteo; 95; 216; 217
Del Carretto; 217
Matteo del Carretto; 14; 15; 16; 24
MAZEL; 9
Menta; 201
mero e misto impero; 87
Messana; 7; 13; 20; 70; 71; 78; 79; 87; 88; 106; 157; 202; 220
Messina; 24
Michele Romano; 23; 39; 40; 43; 59
Modica; 212
Molinaro; 137
monaci e parrini; 91
Monte; 87; 90; 91; 153; 210; 211; 218
Montecaveoso
Angelo; 212
Montescaglioso; 8
Montiliuni; 14
Morreale; 20; 21; 28; 29; 44; 45; 46; 65; 68; 69; 70; 73; 74; 75; 82; 83; 201; 203
Antonella; 28
Girolamo gesuita; 20
Morreali; 87; 128; 129
Morte dell’Inquisitore; 93; 103; 105; 107; 115; 116
Mulè; 24
Mulè alias Paruzzo; 154
Mule’; 65
Murriali; 43; 65; 66
Musca; 212; 215
Federico; 212
Mussomeli; 133; 155
Nalbone; 14; 15; 28; 60; 82; 87; 93; 100; 106; 108; 115; 116; 132; 133; 153; 154
Giuseppe; 28
Napoli; 24; 61; 75
Naro; 86; 129; 139; 212
Neglia; 87
Nicastro; 14
Nicola de Galloctis; 23
Nicolò Salvo; 20
Nobili; 66; 68; 87
Normanni; 15; 24; 63; 70; 215
Noto; 8; 59
Nunziata; 89; 123
Olivero Raffa; 18
Pace; 24; 214
Biagio; 214
padre Bonaventura Caroselli; 20
Paolo del Carretto; 25
Paramo; 119
parocchia della Nuntiata; 65
parrocchia di S. Giuliano; 67
Paternò; 15; 24; 217
Peri
Illuminato; 215
PERI I; 9
Petruzzella
don Salvatore; 140
Piamontesi; 87
Piamontisi; 10; 68
Jacomo; 10
PIAMONTISI; 13
Picataggi; 13
PICONE; 11
Picuni; 66
Pietro; 85; 86; 90; 96; 102; 109; 128; 129; 130; 133; 135; 138; 139; 142; 210; 215; 216
re; 215
Pietro d’Aragona; 10
Pirri; 7; 8; 16; 67; 69; 71; 72; 79; 83; 92; 98; 134; 203; 215
PIRRI; 8; 11; 66
Pirro; 120
Pistuna; 66
presbitero Franesco La Licata; 87
Prizzi; 24
Promontorio; 87
Provenzano; 26
Puma
Alfonso Puma; 87; 154; 158; 208
PUMA; 1
Racalmuto; 8; 9; 10; 11; 12; 13; 14; 15; 16; 17; 18; 19; 20; 21; 22; 23; 24; 25; 26; 27; 30; 31; 32; 34; 36; 38; 39; 40; 41; 42; 43; 44; 45; 46; 47; 48; 51; 53; 54; 55; 57; 58; 59; 60; 61; 62; 63; 64; 65; 67; 68; 69; 70; 71; 72; 74; 75; 76; 78; 82; 84; 85; 86; 87; 88; 89; 90; 91; 92; 93; 94; 95; 96; 97; 98; 100; 101; 103; 104; 105; 106; 107; 108; 110; 113; 114; 115; 116; 118; 120; 121; 122; 123; 124; 125; 126; 129; 130; 132; 133; 134; 135; 136; 137; 138; 139; 140; 141; 153; 154; 155; 156; 200; 202; 203; 204; 205; 208; 209; 210; 211; 212; 213; 214; 215; 216; 217; 218; 219; 220
RACALMUTO; 9; 14; 15; 16; 23; 26; 41; 68
RACALMUTU; 110
Racel; 215
Rachal Chamuth; 212
Raffo; 49
Ramirez; 110; 112; 142; 206
Randazza; 66
Raneri; 18
ratto di Proserpina; 214
Reale Cancelleria; 24
Regalpetra; 91; 92; 116; 117; 120; 211
Rettore; 200
Riccio; 34
fra Salvatore; 34
fra Zaccaria; 34
riformati di S. Agostino; 103
Ristiva; 66
Rizzo; 34; 68; 87; 129; 155; 205
RIZZO; 13
Romano; 23; 36; 39; 40; 43; 58; 59; 60; 97; 112; 205; 206
Rosalia; 21; 22; 63; 64; 65; 66; 67; 68; 69; 71; 72; 73; 74; 75; 76; 77; 78; 79; 80; 81; 82; 83; 164; 203
ROSALIA; 63; 66; 67; 72; 81; 83; 204
S. Agata; 71
S. Antonio; 38; 40; 63
S. Benedetto; 26; 71
S. Chiara; 26
S. Giovanni Gemini; 24
S. Margaritella; 15; 16
S. Maria di Gadera; 5; 8
S. Michele Arcangelo; 153
S. ROSALIA; 63; 72; 83; 204
S.Anna; 153
S.Erasmo; 103
SACERDOTI; 23
Sadia  di  Palermo
giudeo; 17
Sadia di Palermo; 18; 95; 218
SALAMUNI; 11
Salvo; 20; 28; 29; 30; 68
fra Ludovico; 30
SALVO; 28
Sammaritano; 139
arciprete; 139
San Giuliano; 64
Sant’Uffizio; 93; 96; 98; 99; 102; 104; 105; 106
Santa Chiara; 94; 137
Santa Margherita; 15; 24; 63; 64; 84; 130; 215; 217
Santa Maria di Gesù; 64; 90; 129; 215
chiesa; 215
Santa Rosana; 65
Santo d’Agrò; 102; 137; 138
saraceni; 8; 11; 12; 13; 15
Saraceni; 212
Saracino; 155; 215
SAVATERI; 13
SAVATTERI; 13
SCATURRO; 12
SCHILLACI; 13
Sciascia; 20; 63
Leonardo Sciascia; 88; 91; 92; 93; 94; 95; 96; 102; 103; 104; 105; 107; 109; 110; 114; 116; 117; 118; 120; 121; 123; 130; 132; 137; 142; 209; 210; 211; 218; 220; 221
Sferrazza; 23; 35; 36
Falciotta o Fasciotta don Francesco; 35
fra Francesco; 35
SFERRAZZA; 32
sicano; 213
Sicilia Sacra; 120
Siculiana; 217
Sifolone
Martuzio; 212
Spalletta; 37
SS. Sacramento; 70; 185
Surci; 65
Tagliavia; 8; 23; 26
Tagliavia de Aragona; 96
Taibi; 10; 66; 87
Taverna; 39; 87; 93; 97; 100; 115
Terra di Racalmuto; 14
THOSSINIANO; 27
Tinebra Martorana; 20; 92; 93; 116; 117; 120; 121; 130; 131; 137; 138
TINEBRA MARTORANA; 11
TINEBRA-MARTORANA; 10
Tirone; 107; 157; 158
tombe sicane; 213
Tommaso de Manglono; 15; 24
Tommaso Sciarrabba; 23
Traina; 134; 135; 137; 138; 139; 140
Tucidide; 213
Tudisco; 87
Tulumello; 13; 69; 75; 82
UGO; 13
Unione; 91
Circolo; 91
Universitas; 135; 215
Vaccari; 87; 89; 90
Valenti; 155; 205
Calogero; 205
vescovo di Agrigento; 87; 95; 96; 99
villanaggio; 215
Vinci; 20
Francesco; 20
Zanghi; 124
zolfo; 91; 211; 213; 221


 


SOMMARIO

 

 

PRIMA DELLA STORIA..................................................... 2

LE PROBABILI ORIGINI BENEDETTINE DI RACALMUTO...................................................................... 3

GLI ESORDI STORICI...................................................... 8

IL QUATTROCENTO ECCLESIASTICO A RACALMUTO.................................................................... 14

GLI EBREI  A RACALMUTO........................................... 16

IL SECOLO DELLA MADONNA DEL MONTE............. 20

SACERDOTI DI RACALMUTO DEL XVI SECOLO......... 23

Premessa.............................................................................. 23

I CONVENTI DI RACALMUTO NEL ‘500......................... 26

CENNI INTRODUTTIVI.................................................... 26

Convento di S. Francesco....................................................... 26

Francescani conventuali nel 1593........................................ 28

Il guardiano padre Cola Andrea Gaitano............................. 29

Fra Ludovico de Salvo......................................................... 30

Fra Sebastiano d’Alaimo..................................................... 30

Il Convento del Carmine...................................................... 31

I carmelitani racalmutesi del secolo XVI............................ 32

Fra Paolo Fanara.................................................................. 32

Fra Salvatore Riccio di Racalmuto................................... 34

Fra Zaccaria Riccio.............................................................. 34

Fra Angelo Casuccio............................................................ 35

Fra Francesco Sferrazza....................................................... 35

Fra Giuseppe d’Antinoro..................................................... 36

Due religiosi di fine secolo:................................................. 37

fra Antonino Amato;......................................................... 37

fra Pasquale Di Liberto..................................................... 37

L’arciprete don  Gerlando d’AVERNA.................................. 38

Il nobile Girolamo Russo, marito della figlia spuria di Giovanni del Carretto........................................................ 40

L’arciprete don Michele ROMANO....................................... 43

Capoccio arciprete di Racalmuto............................................ 60

ANTICHE CHIESE................................................................ 63

CULTO DI S. ROSALIA.................................................... 63

CHIESA DI SANTA ROSALIA......................................... 67

LA NOVELLA CHIESA DI S. ROSALIA......................... 72

La vecchia chiesa di S. Margherita...................................... 83

ARCIPRETI, SACERDOTI, RELIGIOSI E LAICI IN OLTRE DUE SECOLI DI STORIA RACALMUTESE - 1500-1731. 85

Dopo la venuta della Madonna del Monte........................... 85

Il Seicento Racalmutese..................................................... 113

Brigida Schittini................................................................. 166

Paola Macaluso.................................................................. 167

Luigi Gaetani..................................................................... 167

Araldica racalmutese dopo i del Carretto.......................... 168

Terraggio e terraggiolo: atto finale................................. 169

Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802).................. 172

Tratti salienti del Settecento racalmutese............................. 174

IL CANONICO MANTIONE.............................................. 203

L’INTERDETTO.................................................................. 204

CONCLUSIONI................................................................... 208

Cenni biografici: Arciprete Alfonso Puma........................... 208

Le svolte epocali della chiesa di Racalmuto...................... 210

Da dove vengono e ove vanno i fedeli racalmutesi........... 213

Per finire, .... davvero!.......................................................... 221

 

 

 



[1])  Solo lo studio e l’analisi del diploma del 1400 dell’Archivio di Stato di Palermo, relativo ai Del Carretto consente di far una qualche luce sulle vicende del feudo racalmutese nel XIII secolo. Cfr. ARCHIVIO DI STATO - PALERMO - REAL CANCELLERIA - BUSTA N. 38 - (Anni 1399-1401) pag. 177 recto a pag. 181.)

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