AL TEMPO DEI NORMANNI E DEGLI SVEVI
Ruggero il Normanno tiene saldamente in mano l’intera diocesi di
Agrigento sino alla sua morte, avvenuta nel 1091. Racalmuto non esiste ancora:
solo, nei pressi, due centri appaiono di una qualche consistenza, Gardutah e
Minsar. Ci pare di poter sospettare che il primo si trovasse nel circondario di
Naro; il secondo andrebbe identificato in un feudo nel territorio di
Bompensiere, a meno che non si tratti di Gargilata come recentissimi
ritrovamenti cominciano a far pensare. Nelle precedenti pagine abbiamo
illustrato quanto la coeva letteratura ci ha tramandato: resta l’amaro in bocca
di non potere fantasticare su un casale corrispondente a Racalmuto, prospero o
derelitto sotto i Normanni. Anche la incrollabile tradizione di una chiesetta a
Santa Maria fatta costruire da un locale barone, il Malconvenant, crolla al
primo impatto con una critica storica appena avvertita.
Quando le campagne di scavi e le ricerche archeologiche nel nostro
territorio metteranno alla luce i resti di quegli insediamenti medievali,
potranno aversi elementi per una chiarificazione e per il dilaceramento del
fitto buio che oggi ci angustia.
Non andiamo molto lontani dalla realtà se affermiamo che con la conquista
normanna s’inverte la sopraffazione dei locali “villani”: prima erano i berberi
a dominare i bizantini; ora sono i normanni a sfruttare gli arabi, che vengono
denominati saraceni. Esistesse o meno
una terra fortificata di nome Racel (ad utilizzare le cronache del Malaterra), per Racalmuto fu il tempo del villanaggio saraceno che durò sino al greve riordino
sociale di Federico II. Che cosa è stato il
“villanaggio”? Non è questa la sede per spiegare l’istituzione contadina che
vedeva il subalterno colono come una “res” del “dominus”, quasi alla stregua di
uno schiavo. (Vedansi, da parte di chi ne voglia saperne di più, gli studi di
I. Peri). Contadini islamici, miseri e schiavi da una
parte; padroni cristiani, lontani e socialmente insensibili, dall’altra.
L’istituzione di un beneficio a favore di canonici agrigentini, mai racalmutesi, con le decime
del feudo facente capo ad un falso diploma del 1108 (non foss’altro perché non
si riferiva a Racalmuto), svela i misteri della colonizzazione di nuove terre sotto i Normanni. Tanto avvenne
per il beneficio di Santa Margherita, che per l’avallo del Pirri, costituì poi la saga della
nostra chiesa di Santa Maria di Gesù.
I saraceni si ribellarono in modo devastante negli anni venti del 1200.
Federico II li represse, deportandoli in Puglia. Racalmuto diventa deserta. Tocca a tal Federico Musca farvi fiorire un nuovo casale. Nel 1271 le
testimonianze sulla vita e le vicende del risorto centro urbano cominciano ad
avere dignità di fonti documentali. Sotto il Vespro, la terra è Universitas così bene organizzata che il nuovo padrone
aragonese Pietro può esigere tasse ed armamenti, demandando ai
locali sindaci l’ingrato compito esattoriale, persino con la vessatoria
condizione di doverne rispondere con il proprio patrimonio in caso di
insolvenza. Una sorta di ‘solve et repete’ ante
litteram.
La cattolicissima Spagna esordiva
con spirito depredatorio nel regno che gli era stato regalato da taluni
maggiorenti siciliani. E così anche la ‘meschinella’ Racalmuto iniziava a
pagarne lo scotto. Roma, il papato, dissentiva. Sarà questa una scusa
buona per esigere dai fedeli di Racalmuto, che nel 1375 abitano in case coperte
di paglia, una tassa pesante onde liberarsi dell’antico interdetto, che secondo
il nuovo padrone feudale Manfredi Chiaramonte era la causa della ‘mala epitimia’
distruttrice di uomini e cose.
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