sabato 25 febbraio 2017


Araldica racalmutese dopo i del Carretto


 

 

Non è agevole far collimare quello che emerge dalla documentazione Palagonia con quanto asserisce il Villabianca (che in ogni caso appare minuziosamente informato).

L’arcigno marchese di Villabianca ha così infatti sunteggiato il trambusto della successione della contea di Racalmuto dai del Carretto ai Gaetani:

 

 

«estinti essi [del Carretto] in PALERMO colla morte dell'ultimo Principe GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA, passa[..] detta contea nelle mani della di lui vedova BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI, che jure crediti, delle sue doti aggiudicossela investendosene a 10. Luglio 1716.

Se ne vede oggi investita sin dal 1747. del dì 16.Marzo la vivente Principessa di Palagonia GRAVINA Maria Gioachina GAETANI e BUGLIO, e C. di Ragalmuto, la di cui invest. per detto Stato cadde a 7. Agosto 1735., e del titolo di essa a 12. Aprile 1736.»

 

Ma in altra parte della sua opera [1] , il Villabianca è discorde con sé stesso:

 

Fu sua  moglie[di Giuseppe del Carretto]  BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la quale per il credito della sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla R. G. Corte nel 1711. pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716. Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI maritata a Giacomo  P. Lanza, il di cui figlio

 

ANTONINO LANZA e SCHITTINI se ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia, P. Lanza, B. dello Stato di Calamigna, etc.. »

 

Ma abbiamo visto che il duca Gaetani era riuscito sin dal 1636 a divenire conte di Racalmuto. Evidentemente il marchese di Villabianca non ne era ancora a conoscenza quando scrisse sui Ventimiglia; lo era invece allorché pose mano al volume sui del Carretto.

Più preciso ci pare il San Martino de Spucches - che pure fu un diligente chiosatore del Villabianca - e noi ne riportiamo qui le pagine sui successori dei del Carretto:

 

 

 

Brigida SCHITTINI GALLETTI, prese investitura della Contea, Terra e Castello di Racalmuto, a 10 luglio 1716, per la morte di Girolamo del Carretto, suo suocero ed in forza di rivendica delle sue doti riconosciuta con sentenza resa dal Tribunale della Gran Corte (R. Cancell. IX Indiz. f. 98). Questa Dama morendo lasciò erede dei suoi beni Olivia, sua sorella, moglie del P.pe Giacomo LANZA.

 

Lo Stato comprendente la Baronia, Terra e Castello di Racalmuto, passò a Luigi Gaetano, Duca di Valverde, che s'investì come aggiudicatario di essi beni. (R. Canc. X Ind., f. 75). A 12 aprile dell'anno 1736 s'investì del titolo di conte Luigi Gaetano, duca di Val verde; egli successe come nominatario di Paola MACALUSO; questa, a sua volta, l'aveva acquistato all'asta pubblica da mani e potere di Brigida SCHITTINI e GALLETTI (R. Canc., XIV Ind. f. 89).

 

Raffaela GAETANO BUGLIO, duchessa di Valverde, come tutrice di Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, s'investì del titolo di Conte di Racalmuto, a 16 marzo 1747, per le causali come di contro (Conserv. vol. 1177, Inve.re figlio 21)

 

Raffaela GAETANO e BUGLIO s'investì della terra e castello di Racalmuto, a 16 marzo 1747, come tutrice di Maria Gioacchina GAETANO E BUGLIO, Duchessa di Valverde e C.ssa di Racalmuto; successe come donatrice di Aloisio GAETANO SALONIA, C.te di RACALMUTO, in forza di atto in Not. Giuseppe Buttafuoco di Palermo li 17 marzo 1742; e ciò con riserva di usufrutto a favore del donante, durante sua vita. Quale morte si avverò in Palermo. il 30 ottobre 1743, come risulta da fede rilasciata dalla Parrocchia di S. Nicolò la Kalsa (Conserv., vol. 1167 Investiture f. 19 retro).

 

E qui subentra in Racalmuto la potente famiglia dei Requisenz. Secondo il San Martino de Spucches abbiamo:  ……cfr. consiglio d’egitto pp. 64 e segg.

 

Giuseppe Antonio REQUISENZ di Napoli, P.pe di Pantelleria, s'investì, a 28 gennaio 1771, della Terra, Castello e feudi di Racalmuto; successe in forze di sentenza pronunziata a suo favore dal Tribunale del Concistoro e Giudici aggiunti, per voto segreto, contro Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, P.ssa di Palogonia, già c.ssa di Racalmuto; quale sentenza porta la data 2 ottobre 1765 e fu pubblicata, in esecuzione degli ordini del Re, da detto Tribunale li 20 giugno 1770 (Conserv. Reg. Invest. 1172 [o 1772?], f. 143, retro).  [...] Detto P.pe Francesco a sua volta, fu figlio del P.pe Antonino Requisenz e Morso e di Giuseppa del CARRETTO. Questa Dama fu infine figlia del Conte di Racalmuto GIROLAMO di cui è parola di sopra al n. 4. E' da questa discendenza che i signori REQUISENZ reclamarono ed ottennero i beni tutti ereditari della famiglia del CARRETTO. Giuseppe sposò BRANCIFORTE e BRANCIFORTE di Ercole, P.pe di Butera e della P.ssa Caterina Branciforte Ventimiglia (ereditiera di Butera). (Dotali in Not. Leonardo di Miceli da Palermo 8 febbraio 1744). [...]

 

Francesco REQUISENZ e BRANCIFORTE s'investì della contea e della terra di Racalmuto a 30 gennaio 1781; successe iure proprio come figlio primogenito ed erede di Giuseppe Antonio suddetto, morto intestato (Conserv. vol. 1175 f. 122). E' l'ultimo investito. Sposò Marianna BONANNO BONOMI di Giuseppe, p.pe di Cattolica; matrimonio celebrato in Palermo a 29 gennaro 1766.

Questo P.pe di Pantelleria e Conte di Racalmuto, Francesco, ebbe tre maschi e cinque femmine.

a) GIUSEPPE ANTONIO primogenito, già conte di Buscemi, successo alla morte del padre e morto senza figli in Palermo; la salma fu sepolta ai Cappuccini;

b) MICHELE secondogenito che sposò, di anni 42, in Palermo, Stefania GALLETTI, figlia di Nicolò GALLETTI LA GRUA, P.pe di Fiumesalato e di Eleonora ONETO e GRAVINA (Sperlinga), già vedova di Luigi NASELLI ALLIATA, primogenito di Baldassare, P.pe di Aragona. E ciò in Palermo nella parrocchia di S. GIOVANNI dei TARTARI a 16 agosto 1814; morì senza figli in Palermo a 6 febbraio 1834.

c) EMANUELE terzogenito, che fu riconosciuto Cavaliere di Malta nel 1779 e fu Capitano nell'Esercito; successe a tutti i titoli di famiglia. Morì in Palermo, a 25 marzo 1848, senza figli.

La primogenita delle femmine del C.te Francesco si chiamò CATERINA. Ella successe de iure in tutti i titoli paterni. Era nata il 5 febbraio 1770. Sposò Antonio Giuseppe REGGIO, P.pe della Catena, già vedovo di Maria Teresa VANNI. Questo secondo matrimonio si celebrò in Palermo nella parrocchia di S. Giacomo la Marina a 22 marzo 1794. Fu il p.pe Tesoriere generale del regno; Superiore della compagnia della Carità in Palermo; Gran Croce dell'ordine costantiniano.

 

Antonia REGGIO e REQUISENZ, fu C.ssa di Racalmuto come figlia ed erede di Caterina, sua madre. Sposò questa nel 1823 Leopoldo GRIFEO, figlio ultimogenito di Benedetto Maria GRIFEO del BOSCO, p.pe di Partanna e della p.ssa Lucia MIGLIACCIO BORGIA, ereditiera Duchessa di Floridia. Era nato questi a 17 agosto 1796; fu maggiordomo di Settimana e gentiluomo di Camera d'Entrata nella corte di Napoli. Con sovrano decreto 11 ottobre 1823, il detto Leopoldo fu insignito del titolo di conte. Morì il 1° agosto 1871. Da questo matrimonio nacquero;

a) Benedetto GRIFEO REGGIO, primogenito;

b) il C.te Giuseppe GRIFEO REGGIO, morto celibe a Napoli;

c) la C.ssa Lucia GRIFEO REGGIO di cui parleremo in seguito, morta a Napoli a 27 gennaio 1890.

 

Benedetto GRIFEO REGGIO fu, de jure, C.nte di Racalmuto alla morte di Antonia, sua madre; nacque nel 1824. Sposò Eleonora STATELLA e BERIO dei P.pi di Cassaro. Morì a Napoli (Sezione di CHIAIA) li9 maggio 1884. Fu P.pe di Pantelleria, Conte di Buscemi, ecc. ecc.

 

Leopoldo GRIFEO STATELLA successe, de jure, nel titolo suddetto, per la morte di Benedetto, suo padre; nacque li 3 giugno 1851; fu inoltre P.pe di Pantelleria, C.te di Buscemi. Sposò Maria Francesca di LORENZO, da cui sono nate due figlie Eleonora primogenita e Lucia secondogenita. Ebbe altresì questo conte una sorella chiamata Antonia GRIFEO STATELLA che nacque li 3 luglio 1855; sposò li 4 febbraio 1886 il nobile Alfonso TUFANELLI.

 

Francesco D'AYALA VALVA GRIFEO fu riconosciuto per rinnovazione con R. D. del 1900. Fu conte di Racalmuto e nobile dei marchesi di Valva. Nacque primogenito a Napoli a 9 gennaio 1854, dalla Contessa Lucia GRIFEO REGGIO (di cui sopra è parola al numero 15 lettera c) e da Matteo AYALA VALVA, figlio del marchese Francesco Saverio. E' Cav. del Sacro Militare Ordine Gerosolomitano. Non ha figli. Per i futuri chiamati vedi l'annesso albero genealogico. Matteo AYALA VALVA, nato in Taranto ai 30 Maggio 1818, dal marchese Francesco Saverio e dalla Marchesa Caterina dei Duchi CAPECE PISCITELLI, prese la carriera militare e pervenne al grado di colonnello di Cavalleria; sposò Lucia GRIFEO dei Principi di Partanna, morta ai 27 gennaio 1890. [...]

 N.B. - Dati tratti da: La Storia dei Feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dell' Avv. Francesco SAN MARTINO de SPUCCHES - Vol. VII - Palermo Suola Tip. "Boccone del Povero" 1929 - da quadro 783 "CONTE di RACALMUTO" pagg. 181-188.

 

*    *    *

 


Terraggio e terraggiolo: atto finale


 

 

 

 

Presso la Matrice si conserva un Liber in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum. Al n.° 292 (col. 16) incontriamo questa dedica a D. Nicolò Figliola: «di Grotte, domiciliato in Racalmuto, eletto nella causa del Terragiuolo, che gli antenati inutilmente tentarono nei tribunali contro il Signor Conte.

«Nell’anno 1783 si cominciò la causa, e nel tempo dell’agitazione il predetto Figliola due volte si trasferì in Napoli al R. Erario e riportò dal Sovrano, che il Conte mostrasse il titolo dell’imposizione del terragiolo, che non poté provare, per cui sotto li 30 luglio 1787, dopo quattro anni di causa dal Tribunale si era designato il giorno di decisione, ma il Figliola nello stesso mese, se ne morì.

 

«Il sudetto nel 1786 ottenne dal Re, che questa terra di Racalmuto si reluisse il Mero e Misto Imperio, che di più di centinaia d’anni ne godeva il Conte. Morì in corso di causa, con pianto e dolore universale, nell’infermeria dei RR.PP. del Terz’Ordine di S. Francesco nel convento della Misericordia, in cui sta sepolto il di lui cadavere, in Palermo. 14 luglio 1787 d’anni 38

 

Al n.° 297 (col. 17) tocca all’altro protagonista della vicenda: l’Arciprete D. Stefano Campanella, di cui si tesse questo encomio:

«Collegiale-Economo nel 1754-1755 in Campofranco. Successore dell’Arciprete Antonio Scaglione, fatto il concorso nella Corte Vescovile di Girgenti nel 1756 a 19 Febbraio sotto Mons. Lucchese Palli, approvato e raccomandato alla Santità di Papa Benedetto XIV, da cui fu eletto Arciprete Parroco con bolla emanata da Roma 16 giugno 1756 ed in Palermo esecutoriata 8 Agosto 1756 confirmata dal Vescovo di Girgenti 14 Agosto e l’indomani, 15, prese possesso.

«Da principio curò il ristoramento delle Fabbriche della Chiesa. Nel 1760 fece la presente ampia Sacristia, nel 1767 compì il cappellone grande. Nel 1776 si perfezionò con stucchi ed oro fino, si fecero i due campanili ed arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783.

«Egli con altri primari del paese incominciarono a proprie spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di Palermo  e dopo quattro anni di strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787. “Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium declaratur non deberi.”

 

«Finalmente nel 1787 in Favara fu Visitatore eletto dalla Corte Vescovile di Girgenti per quel Collegio di Maria. Morì compianto da tutti il 26 Aprile 1789 d’anni 60, mesi otto, giorni 2 - e di Arcipretura anni 32, mesi 8 giorni 7.

 

«Fu ancora Vicario di questo Monastero, Delegato dalla Regia Monarchia etc.»

 

 

La vicenda del terraggio e del terraggiolo è stata oggetto di nostre apposite ricerche,  che, solo di recente per  il ritrovamento di importanti documenti da parte del prof. Giuseppe Nalbone, abbiamo potuto approfondire: crediamo di essere riusciti almeno in parte nell’opera di ripulitura di tante incrostazioni ideologiche degli storici nostrani.

 

Di rilievo, alcune carte della Real Segreteria del 1785 che palesano una settecentesca controversia clerical-sociale nella nostra Racalmuto.

La politica antibaronale del Caracciolo è fin troppo nota per sorprenderci dell’andamento della controversia feudale di Racalmuto.

Non siamo partigiani certamente del Principe di Lampedusa, né del sacerdote locale, don Giuseppe Savatteri, che gli teneva bordone. Ma al di là dei meriti dei sacerdoti Figliola e Campanella, prima rievocati, fu quella del 28 settembre 1787 una sentenza politica, giuridicamente azzardata, storicamente falsa.

Era di sicuro un grande araldista il Requisenz per lasciarsi abbindolare dai legulei di Racalmuto. Avrà esibito i bei diplomi del 500 e del 600, tutti a suo vantaggio, ma contro il Caracciolo naufragò.

Al di là dell’aspetto sociale,  che ci vede dall’altra parte della barricata, siamo portati,  per amore della storia locale, a credere che il burbanzoso principe di Pantelleria avesse ragione e l’illuminista Caracciolo sbagliasse.

Resta ancora poco chiaro come venissero corrisposti i pesi feudali ai del Carretto, se in natura (come i termini “terraggio” e “terraggiolo” fanno pensare) o in contanti (come tanti atti dell’epoca lasciano intendere) o in forma mista.

Abbiamo notato sopra le varie controversie dei Gaetani sul terraggio e sul terraggiolo. I tribunali gli avevano dato, tutto sommato, ragione, ma erano altri tempi. Ora, alla fine del Settecento la musica è ben altra. Ne fa le spese il buon nome del sac. Savatteri, vilipeso imperituramente da Sciascia.

Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)


 

Bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino. Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.

Quando, il Tinebra Martorana - un famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.

Quello sui cui il Tinebra trama è il carteggio del Caracciolo su cui abbiamo già detto. Ripetiamo quello che riguarda il nostro sacerdote:

«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die 16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie e pratticando molte estorsioni.

«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente per non vedersi pur troppo soverchiati.»

 

Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in un capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere anticlericali.  Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia [2]:

«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso.

Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggetti che il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la politica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.

 

D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giuseppe Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle sanzioni. Così risulta annotato in registri della confraternita.

 

Sciascia ed i Sant’Elia - Conclusione


 

 

 

Sciascia è benevolo verso i principi di Sant’Elia. Leggiamolo assieme: «Con lui [Girolamo IV, ma rectius III] si estingueva la famiglia, l’investitura passava ai marchesi di Sant’Elia, ancor oggi i borgesi di Regalpetra pagano il censo agli eredi dei Sant’Elia: ma certo che fu grande riforma quella che i Sant’Elia fecero centocinquanta anni addietro, divisero il feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque, litigiosa e feroce; una lite per confini o trazzere fa presto a passare dal perito catastale a quello balistico, i borgesi hanno fame di terra come di pane, ciascuno tenta di mangiare la terra del vicino ...» [3] A parte la bellezza della trasfigurazione letteraria, si resta perplessi. Sotto il profilo storico, non sappiamo dove abbia preso Sciascia quelle notizie sui Sant’Elia. A noi risultano fatti, intenti e liti ben diversi da quelli sottesi nella pagina sciasciana. Ad addentrarsi in tali meandri, il discorso porta lontano, ben lontano dalla vicenda feudale racalmutese. Ed in questa sede c’interessa solo il declino del baronaggio in Racalmuto. Riforma borbonica e rivoluzione francese estinsero quell’istituto. I Sant’Elia ne furono, a loro modo, vittime. Divennero semplici proprietari “allodiali” di terre già in enfiteusi perpetua, sminuzzate tra tanti ex vassalli racalmutesi. Gliene venne il magro censo che ancora all’epoca in cui Sciascia scriveva si pagava, svilito ormai per le tante selvagge svalutazioni monetarie, non certo per bontà d’animo di quei signori. Le loro memorie giacciono negli archivi dei tribunali e quando verranno riesumate suoneranno condanna per quegli ultimi virgulti della decrepita società feudale siciliana.


APPENDICE PRIMA

FATTI E MISFATTI, FACCENDE E VICENDE RACALMUTESI

Il 1622 fu anno fatale per Racalmuto: sarà vero, non sarà vero, fatto sta che il pressoché impubere Girolamo del Carretto vi rimise la pelle. Per malattia, come noi pensiamo, per mano mano omicida di un servo, come tutto Racalmuto ha voglia di credere, poco importa. La peste è alle porte: Marco Antonio Alaimo a Palermo si diletta di letteratura latina e trasforma gli antichi saggi romani in maestri incommensurabili di medicina. Beatrice del Carretto, giovane vedova e bella ereditiera, forse tresca con il cognato arciprete, figlio illegittimo dell’irrequieto Giovanni Del Carretto.

Il polo soffre e tace: ma qualche tratto di penna cade nei registri della Curia Vescovile, a discreta memoria futura. Cataldo Morreale è racalumtese ma chissà perché langue nelle carceri (pare, personali) di tal Raffaele Gnandardone; e così Paolo La Licata, figlio di Pietro. Il vescovo viene a saperlo; se ne intenerisce (forse per denaro) e ne dispone “gli arresti domiciliari”. Ecco quel che oggi possiamo leggere nei sotterranei della Curia Vescovile di Agrigento:

REGISTRI  1622 et 1623

f. 181

 Eodem ( die 21 9bris VI ind. 1622)

Pro Cataldo Monreale Terrae Racalmuti ad presens carcerato in domo Raffaelis Gnandardone, et Paolo la Licata Petri terrae praedictae ad presens carcerato in Castro ..

ANNOTATO provvisus et mandatum ... quod isti Cataldus Monreale et Paulus La Licata habeant facultatem et licentiam non obstante clausola contenta in prox.a accedendi ad terram Racalmutiibique commorandi per dies quatuor a crastina die numerandos trium et dumtaxat ..          \

 

La giustizia curiale agrigentina era, diciamolo pure,  compiacente con gli ottimati racalmutesi. E Laura Barba poteva allora vantare accondiscendenze episcopali, atte ad avere il sopravvento su Martino Curto, che non era poi l’ultimo venuto, anche se qualche vezzo usuraio dovette averlo. Una Laura Barba ubbidiente al marito fino all’autodistruzione della propria cospicua dote, non ci pare del tutto sincera. Non vuol essere spergiura e con palese menzogna si prostra al Vescovo per intenerirlo e farsi assolvere dai giuramenti (in campo economico) profusi in azzardate operazioni finanziarie.  Il Vescovo ha voglia di crederle: noi, francamente, no. Al nostro paziente (eventuale) lettore lasciamo il destro di credere a chi voglia.

 

Die 26 novembre 1622 (f. 188)

 Nos Dilecte nobis in Xristo Laurie relictae quondam Antonini Barba Terrae Racalmuti agrigentinae doecesis salutem . Fuit nobis ex parte tua supplicatum .. ut nos provisum sub forma sequente Videlicet.  ... Laurea relicta dello quondam Antonino Barba della terra di Racalmuto espone a V. S. Ill.ma che non potendo resistere essa esponente alla violenza et timore di detto suo marito fu costretta in tempo di sua vita tantum per vim et metus concussam quantum reverentia maritali obligarsi quantum debitoris di detto suo marito con gravissima et enormissima lesione con prejudizio della sua dote, sicome si obbligao contra sua voglia in solidum con dicto suo marito ... di onze 1. 15 di rendita dovuti et da pagarsi ogni anno a Martino Curto. In virtù di questa subjugatione fatti nelli atti di notaro Simuni Arnuni di Racalmuto …  et anco detto suo marito la fece obligarsi ad una venditione di certi casalini venduti a D. Giuseppe Sanfilippo. In virtù di questo fatto all'atti di notar Natali Castrogiovanni die 20 octobris XV Ind. 1616 et più la feci obligari sicome lo obligao in una permutatione, et cambio di una vigna di detto suo marito con una vigna di Angilo ...... per la quale permutatione essa esponenti si acollao pagare in solidum con suo marito o. 1 ogni anno allo Convento di S. Maria di Gesù di Racalmuto. In virtù di questo fatto nelli atti di notaro Simuni Arnuni di Racalmuto et similmente la fece intervenire et obligare a certi terraggi dovuti a Fabricio di Trapani. In virtù di questo fatto nelli atti di notarr Natali Castro Gio: dicti et anco in  uno altro contratto debitore di onze 40 dovuti ad Angelo Duno (?) In virtù di ... li quali obligationi benche de jure siano nulli et nullissimi tutta volta a maggior cautela pretende detti atti far dichiarare invalidi et nulli et rescindere  et obstandoli li giuramenti prestati et contenuti in detti contratti li quali non devono esser vinculo di iniquita per tanto non resultandoli tanto grave preiudicio  et interesse di sua dote della quale non può ne deve restare indotata de iure. Supplica perciò V. S. Ill.ma resti servita ordinazione che sia absoluta da tutti et singuli iuramenti in genere et in specie facultate et expresse presbiti et presentem ab illo iuramento  petendo absolutionem et ea obtenta non  ... ad effectum agendi  et concederli ditta absolutione . In forma ... Agrigenti die 8 novembre VI ind. 1622. Ex parte  fuit provisus et .. quoad absolvatur ab omnibus et singulis iuramentis in genere et specie presbiteris ad effectum agendi tunc et dumtaxat ....

 Non erano tempi quelli in cui i Curto riuscivano ad intessere buoni rapporti con il vescovo di Agrigento. Una condanna in contumacia se la becca Antonino Curto fu Bartolo. Il vescovo dà incarico al locale Vicario per l’esecuzione dell’episcopale afflizione.

(f. 191) die 29 novembris 1622

Contumacia Antonini Curto quondam Bartholi terrae Racalmuti et tali fermiter  huius episcopi ... agrigentinae diocesis directa R.do Vicario d.ae Terrae

Di casa sul colle vescovile era ovviamente il chierico, già ricco, famoso e felicemente sposato. Ha voglia di andare in giro in abito clericale. Fa voti al vescovo ed il vescovo è ben felice di esaudire il mistico desiderio del pittore racalmutese. 

Die 29 dicembre 1622 (f. 213)

Nos dilecto in X.sto filio Cle: Petro d'Asaro terrae Racalmuti. quia ex parte tua fuit nobis suplicatum ut tibi observaternales (') litteras ... licentia abitum clericalem insumendi ac gerendi  expositis  concedere digneremeur ideo fuit  per nos ad relaciones .....

in dorso memorialis ebibis  quod fiant ... in forma ut sequitur .. Bonincontro  ... filio Petro de asaro d.ae terrae Racalmuti salutem  ... ex parte tua fuerit nobis .. expositum quod cum fueris

 

Il 5 febbraio 1621 s’erge già imponente l’attuale Matrice intitolata a Santa Maria dell’Annunziata: certo non era ancora il tempio a tre navate che oggi contraddistingue Racalmuto e quella strana svolta del corso principale che gli ottocenteschi massoni racalmutesi hanno voluto dedicare all’eretico ed ostile Garibaldi. Ma non era più l’ecclesiola degli anni ’40 del 500. Vi officiava anche don Santo d’Agrò, e se pur accarezzava il sogno (lugubre) di farsi seppellire sotto il primo altare della navata laterale, non si può dire che avesse tutti quegli alumbiamenti che dopo gli appioppò, infondatamente, Leonardo Sciascia. Vicino c’era già un altare che veniva servito dai confrati di S. Giuseppe. E sotto la detta data del 5 febbraio 1621, quel sodalizio (confraternita senza dubbio della buona morte) ottiene dal dottor don Gabriele Salerno (U.I.d. e vicario generale) tanto di bolla episcopale che avrà reso felice il Governatore (della religiosa confraternita, s’intende) Francesco lo Brutto ed i notabili (i confrati “officiali”) Jacobo Grillo, Benedetto Troyano, Girlando Gueli e Vincenzo Macaluso. «Cupientes – scandisce oltremodo solennemente, il Salerno – vobis  [concediamo] licentias et facultates .. fundandi ac oratorium costruendi sub titulo S. Joseph, sacchos et mantellos apportandi et deferendi in processionibus et exercitia spiritualia exercendi in dicta ecclesia S. Mariae Annunciatae in cappella S. Joseph …»  Saremmo stati veramente curiosi di vedere questi nostri secenteschi antenati, tristi e compunti, nelle sacre processioni e goderci lo spettacolo di codesti allucinati figuri nei loro lunghi “sacchi” e con quelle azolate mantelline, mistificante sagra di un contristato rito religioso con attori poco sinceri, reduci forse da orge vinaiole consumate nelle tante “putie di vino” nei bassi del Castello o negli anfratti di Zia Betta.

 

Chi davvero fosse Pietro d’Asaro, se un pittore, o un appaltante o un banchiere camuffato da chierico, non si sa. Se in un primo tempo, Sciascia lo voleva famiglio del Sant’Ufficio, dopo lo scrittore si ricredette e lasciò padre Alessi nell’imbarazzo della scelta, scrivendogli che degli antichi ricordi gli era rimasto un segno tanto sbiadito da non ricordare, tutto sommato, più nulla. Certo, Pietro d’Asaro un gruzzoletto se l’era fatto, ed anche se proveniente da famiglia non poverissima (è dubbio se fosse di antica origine racalmutese) un bel salto nella scala dei valori sociali il pittore, cieco di un occhio, l’aveva bellamente compiuto. Ecco un suo “rilevo”:

 

389 - Rivelo che il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico coniugato di questa terra di Racalmuto presenta con giuramento nell'officio del signor D. Giacomo Agliata capitano d'arme del Regno nella nuova numerazione delle anime, e facultà in virtù di bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in detta terra a 25 novembre Va ind. 1636 [cfr. Maria Pia Demma: Percorso biografico ed artistico, in Pietro d'Asaro «il Monocolo di Racalmuto» - Racalmuto 1985, p. 23 e pag 30 - "Archivio di Stato di Palermo - Tribunale del Real Patrimonio, Riveli del Comune di Racalmuto, anno 1637, vol. 607, f. 389 r.]

Anime

 

m Cl. d. Pietro d'Asaro c. di casa d'anni cinquantasette

o Vincenza moglie

m. Michel Angilo d'anni dodici

m. Gio:battista d'anni quattordici

o. Rosalea

o. Dorothea

o. Ninfa figli

o. Gioanna madre

m. e. Giuseppe di Beneditto d'anni diecidotto discepolo

m. Angilo Lo Sardo garzone d'anni dodici

o. Caterina e

o. Natala zitelle

 

Beni stabili

 

Una casa in otto corpi solerati e terrani in questa terra, quartieri di S. Giuliano confinante con la Casa di Pietro di Giuliana e via publica dove habita, quale un anno per l'altro franca di conti si potria locare onze quattro che à 7 per 100 il capitale di cinquantasette e quattro........................ 57. 4

 

Una casa terrana in un corpo di detta terra,  quartieri predetto,confinante con la casa di Pietro di Giuliana e via pubblica, quale un anno per l'altro  franca di conti l'hà soluto e suole locare tarì quindici che à 7 per cento. il capitale onze 7  e tarì quattro............................................. 7. 4

 

Altra casa terrana in tre corpi in detto quartieri confinante con la casa di Giovanni Lo Sardo quale un anno per l'altro franca di conti l'ha soluto e suole locare onza una e tarì 12  che à 7 per 100 il capitale onze 21 e tarì 12 ..........................21.12

 

Una vigna di cinque migliara nella contrada del Serrone territorio di questa predetta terra confinante con la vigna di Giacomo Xibetta e vigna di Francesco di Laurenzo, della quale un anno per l'altro ricava botti quattro di musto che ragionato ad onze 2.18. la botte importa onze diece e tarì dodici delli quali deduttine onze sette per tutti conti a ragione di onze 1.12. per migliaro restano onze tre e tarì dodici che à 7 per cento. il capitale onze quarantotto e tarì sei .....................................48.6

 

[390]

 

Terra lavorativa salme due con migliara sei di pianta infruttifera dentro nella contrata della Montagna territorio predetto confinante con la Chiusa di Stefano d'Agrò, e chiusa di Giuseppe Casuccio quale ragionata ad onze 2.20. la salma importa onze cinque e tarì diece che à 7 per 100  il capitale    settantasei e  tarì cinque..............................................76.5

 

e più terra lavorativa salma una nella contrada di Garamoli territorio predetto confinante con la terra di Salvatore d'Acquista e con la Chiusa di Giuseppe Ferraro, quale ragionata come sopra importa onze due etarì venti che à sette per cento il capitale onze trentotto e tarì due ........................38.2

 

Rendite

 

Dà Mario Morreale di questa predetta terra onze tre e tarì quindici iure sub.nis s.a una sua vigna e chiusa nella contrata di la fico territorio di detta terra che à 10 per 100 il capitale onze trentacinque .........................................35.

 

Dalle infradette persone di d.a terra onze due e tarì quindici sopra l'infrascritti loro beni in detta terra e suo territorio iure subiug.nis cioè onze 1.2 da Francesco la Matina   sopra una sua vigna e chiusa et tt. 28 da Maria Macaluso rel. del q.m Vincenzo sopra una sua chiusa e tt. 15 dà Pietro Sferlazza Marramao, su una sua vigna che à 10  per 100 il capitale onze venticinque................................................25.

                                                   --------------

                                             onze [/'] 308.3

                                              ====================

 

 

 

Beni mobili

 

Prezzo di detta pianta infuttifera importa onze trenta ...30

 

Una giumenta di sella di pelo baio di prezzo onze 8 ...... 8

 

frumento seminativo dentro la suddetta prima chiusa

tt.na [tummina] dudici che ragionata ad onze 4.26 la

salma importa onze tre e tarì venti........................3.20

     

                                                         --------

                                                          41.20

     

                                                        =========

 

Gravezze stabili

 

Paga ogni anno s.a tutti li suoi suddetti beni onze sei e tarì sei iure prop.tis all'Ill.mo conte di detta terra che à 7 per cento il capitale onze ottantasette e tarì due ...................87.2

 

e più paga sopra detti beni iure subiug.nis cioè onze 1.18 alla Cappella della SS.ma Nunziata tt.24 alla Cappella del SS.mo Sacramento e tt. 18 alla Compagnia del Suffraggio che a 10 per 100

[391]

il capitale importa onze trenta.........................30.

                                                      -------

                                                   onze 117.2

                                                 

                                                 ===============

 

Gravezze mobili

 

Deve onze ducento a Leonora d'Asaro di detta terra re: dal q.m Bartholo d'Asaro per causa et compenso delle sue doti assegnatele per testamento di d.o q.m Bartholo in notaio Simone d'Arnone di detta terra di onze....................................200  

 

                                                 ===============

 

Ristretto

 

 

Maschi d'età          1

 

d'altri               4

 

femine                7

                    _____

 

         anime       12

    

                   ======

 

 

Giumente di S. .....1

Beni stabili .........308.03

 

Beni mobili........... 41.20

                   ----------- 349.23

 

gravezze stabili......117.2.

gravezze mobili.......200

                   ----------- 317.2.

                            ----------

                   liq. onze    32.21.

                            =========== 

                             

(Trombino)

 

Terra Racalmuti die 14 dicembris V ind. 1636

 

A) Le chiese di Racalmuto nella ricognizione dei visitatori regi.

Sulle visite del De Ciocchis attorno agli anni Trenta del 'Settecento v'è ampia letteratura.

 

Mi diffondo sull’argomento perché indottovi da alcuni documenti trovati presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma sui poteri inquisitori della Monarchia della Sicilia sullo stato delle chiese. Basilare, in ordine al diritto ecclesiastico di Sicilia, appare la visita di Mons. De Ciocchis che si svolse tra il  4 maggio 1741 (data iniziale dell’incarico ricevuto da Carlo III a Portici) e il 27 giugno 1743. Il De Ciocchis fu un visitatore molto diligente, sino forse alla pignoleria. Le risultanze di quella visita devono trovarsi a Palermo, ma non posso escludere che in gran parte siano finite a Napoli, presso la corte borbonica. Molti suoi provvedimenti saranno stati raccolti in processi lasciati presso le varie curie vescovile. Mi pare che il prof. Manduca abbia trovato qualcosa ad Agrigento, tra i documenti dell’Archivio Vescovile. Ma è certo che, data l’importanza delle varie disposizioni del De Ciocchis - considerate valide sino all’unità d’Italia -, si è proceduto nel 1836 alla pubblicazione in due volumi del materiale di quel visitatore regio. Nel primo volume dedicato alla Valle di Mazara, alle pagine pp. 235-372, si parla della diocesi di Agrigento.  Là, di certo, v’è molto materiale sulle chiese di Racalmuto. Per le tue ricerche vi possono essere spunti preziosi. L’opera s’intitola: DE CIOCCHIS, GIOVANNI ANGELO: SACRAE REGIAE VISITATIONIS PER SICILIAM  ACTA DECRETAQUE OMNIA, Palermo 1836, Diari Letterarii .

L’opera è praticamente introvabile fuori della Sicilia. Riscontro in una pubblicazione specializzata “CLIO” che una copia trovasi presso la Biblioteca Universitaria di Messina. Ma qualche copia deve pure essere disponibile in Palermo. Guarda, dunque, un po' se puoi procurarti le fotocopie almeno delle pagine che riguardano Racalmuto.

Per le vicende di Santa Rosalia, andrebbero consultate le visite dei predecessori del De Ciocchis. Secondo quel che ne leggo in un importante libro del 1846 (GALLO AVV. ANDREA  CODICE ECCLESIASTICO SICOLO - PALERMO DALLA STAMPERIA CARINI - 1846 VOL. 1 E 2 - ) essi sarebbero:

- Pietro Pujades

«Si elegge un visitatore di tutte le Chiese di Sicilia, al quale si conferisce la potestà di far decreti relativi al culto divino.

L'imperatore Carlo V re di Sicilia - A Pietro Pujades Ab. del Monistero di Noara dell'Ordine di S. Bernardo. Bruxelles 22 dicembre  V Ind. 1516 apud Di Chiara de regio Sacram. Visit. per Sicil. jure; Mantis. monument. num. III, pag. 5».

- D. Nicolò Daneo

«Si elegge altro Visitatore di tutte le chiese regie di Val di Mazara e di Valdemone, con gli incarichi come sopra. M. Antonio Colonna Vicerè di Sicilia.

Nel nome del re  al rev. D. Nicolò Daneo ab. di s. Maria di Terrana, Palermo 19 maggio VII ind. 1579 apud cit. Di Chiara n. VI pag. 10 (pag. 135)

DIPLOMA CCXXI

... vi eligemo, deputamo, e nominamo visitatore, e commissario generale delle Prelazie, Abbatie, Commende, Priorati, ed altri beneficii del jus patronato regio, i quali siano fondati nelle Valli di Mazzara, e Demini, et anche etc. .. e delli loro membri, pertinentie, grancie, acciocché abbiate a provvedere ...

Datum Panormi die 19 Maii 7 ind. 1579»

 

- D. Lupo del Campo

«Si nomina un visitatore delle chiese di regio patronato, per la reintegrazione dei beni usurpati ed alienati in danno di dette chiese, al quale si conferiscono pieni poteri.

Filippo II re di Sicilia.

A Lupo del Campo. Madrid 24  febbraio 1588. apud. Cit. Di Chiara n. VII pag. 12.

DIPLOMA CCXXII

... tibi dicto Doctori D. Lupo del Campo commictimus, praecipimus, et mandamus etc. ....

Datum Matriti die 24 mensis februarii anno a nativitate Domini 1588 - YO EL REY».

 

 

Ma stando agli studi di Virgilio Titone (Origini della Questione Meridionale - Riveli e Platee del Regno di Sicilia - Milano 1961, pag. 56) abbiamo un elenco completo di codesti Visitatori Regii (ad eccezione invero di d. Lupo del Campo di cui sopra, anno 1588).

Il Titone a pag. 56 dice sul Puyades: «Le sacre visitazioni di cui abbiamo memoria, hanno inizio quasi nello stesso tempo dei riveli. La prima sembra essere stata quella di Pietro Puyades, abate di Nohara, negli anni 1511, 1514, 1516, e parecchie se ne ebbero nel corso di quel secolo.. Ma dal 1580 al 1743 se ne ricordano solo due, l’una fatta nel 1603, l’altra iniziata, ma non compiuta, nel 1683.»

Il Titone ci indica anche dove si trovano gli atti a Palermo.  Aggiungo, da parte mia,  solo che ho riscontrato nella “GUIDA GENERALE DEGLI ARCHIVI DI STATO ITALIANO” 1986 - N - R nella parte riguardante Palermo a pag. 303 la seguente voce che ci conduce agli atti di quelle visite: CONSERVATORIA di REGISTRO. Al suo interno, trovo: <VISITE ECCLESIASTICHE>. Queste ultime contengono sicuramente i documenti del Vento (1542, n. 1305-07); dell’Arnedo, anno 1552, nn.° 1308-10;  del Manriquez, anno 1576, n.° 1314-17; dell’Afflitto, anno 1579, nn.° 1310 e 1319; del Daneo, anno 1579, nn.° 2015-16; del Pozzo, anno 1580, nn.° 1326-29; dello Iordio, anno 1603, nn.° 1330-34; di Fortezza e Manriquez, anno 1683, nn.° 1337-39.

Il Titone non dà estremi d’archivio per il Puyades perché la sua visita è antecedente alla raccolta di Palermo che come si è visto parte dal 1542.

Per il De Ciocchis, il Titone -  non so perché - si limita a citare soltanto il libro del 1836 (quello per me introvabile qui a Roma).

 

 

b) la possibilità di reperire alcuni documenti su Diego La Matina

 

La vicenda di fra Diego La Matina sta diventando una mia ossessione; reputo la questione molto falsata da Leonardo Sciascia nel suo libro “Morte dell’Inquisitore” per preconcetto anticlericalismo.

Sciascia scrive: «Volentieri ci daremmo al diavolo con una polisa, se in cambio potessimo avere quel libro che fra Diego scrisse ”di sua mano con molti spropositi ereticali, ma senza discorso e pieno di mille ignoranze...”». (pag. 219 dell’edizione Laterza 1982)

Quel libro - semmai fu scritto - difficilmente si troverà. Bruciato da Caracciolo, forse, nel rogo del 27 giugno 1782 ([4])

Forse qualche accenno alle eresie - se mai queste vi siano state - poteva trovarsi in un manoscritto del Consultore del Santo Officio, il Matranga, tanto citato e tanto bistrattato da Leonardo Sciascia. Consultando il Mongitore della “Biblioteca Sicola”, la mia attenzione si è soffermata su questo passo: «Pre parata reliquit haec opera, quae in Bibliotheca S. Joseph Panormi servantur, nempè: «Fidei Acropagum, in quo propositiones innumerae quas ferrea nostra aetas, aut temerè vomit, aut callidè evulgandas protulit, subtilissime  examinantur, et nota theologica incrementur; plurimaeque reorum causae ad Tribunal  S. Inquisitionis spectantes referentur; Criminum qualitas, et circumstantiae expendentur, deque iis judicium fertur». [vedi  Biblioteca op. cit.  pag. 281 - ove Girolamo Matranga viene segnato come palermitano chierico regolare, nato nel 1605, che prese l’abito il 25.3.1620. Fu per 40 anni consultore del S. Ufficio, censore oculatissimo. Esaminatore sinodale dell’arcivescovado di Palermo. Conosceva latino, greco ed ebraico. Morì in Palermo il 28 agosto 1679 all’età di 73 anni.]

 

Mi ero chiesto se in quel FIDEI ACROPAGUM fossero riportate anche le tesi che avrebbe sostenuto fra Diego La Matina  e quali contradeduzioni avesse addotto l’erudito Matranga. Sciascia, che ha fatto (e per quel che mi risulta, ha fatto fare) indagini sul nostro frate di Racalmuto,  non accenna a questa opera del Matranga. Resta da vedere che cosa intendeva il Mongitore riferendosi alla “Biblioteca di San Giuseppe di Palermo” ed eventualmente dove sono andati a finire i manoscritti che quest’ultima conteneva. In ogni caso bisognerebbe vedere che fine ha fatto il manoscritto del Matranga citato dal Mongitore.

 

In un primo momento, ho ritenuto che il tutto fosse reperibile nella Biblioteca di Palermo o nell’Archivio di Stato di Palermo. Per quest’ultimo, la consultazione della relativa Guida mi porta ad escludere manoscritti provenienti da quella Biblioteca di S. Giuseppe. Resta la Biblioteca del Comune. Investigazioni fatte qui a Roma in proposito, purtroppo mi sono tornate infruttuose.

 

Quanto a fra Diego La Matina, non è da escludere che nella sezione del “Tribunale del S. Ufficio” dell’Archivio di Palermo (vedi Ricevitoria ed anche Carceri 1604-1765, vol. 8 <pag. 315 della Guida generale citata>) possa ritrovarsi qualche cosa. (La pubblicistica su questa sezione dell’Archivio è, nelle mie conoscenze, limitata a Notizie Archivi di Stato NAS 1954 pp. 79-81 e Rassegna Archivi di Stato RAS 1971 pp. 677/689).

 

 

Le date su cui concentrare l’attenzione potrebbero essere queste:

 

- 1644 fra Diego la Matina commette un reato che ricade sotto la giustizia ordinaria, ma viene rimesso al Sant’Uffizio (Sciascia op. cit. pag. 195, ma dai Diari del D’Auria );

 

-  1645  “fra Diego è di nuovo davanti al sacro tribunale” (sempre Sciascia, pag. 199);

 

- 1646 - ritorna per la terza volta sotto il giudizio del Santo Officio che ne “volle punire l’ostinazione se non l’eresia” (Sciascia, pag. 200);

 

- 12 gennaio 1648 fra Diego «usci allo spettacolo la seconda volta assoluto, e tornò in galera» (Auria, citato da Sciascia ibidem);

 

- 7 agosto 1649 «sedusse alcuni forzati di galera» (ibidem. pag. 201);

 

- 1650 «uscì per la terza volta allo spettacolo ... condannato e recluso murato  in perpetuo in una stanza» (ibidem);

 

- 1656 «Dallo Steri fra Diego evase nel 1656: aprì con meraviglia di chi vide il loco, ed il fatto udì, delle segrete Carceri fortissimo muro (Matranga) e fuggì con il laccio della tortura, quale trovò in certo luogo (Auria)» Sciascia, pag. 202);

 

 

4 aprile 1657 - «Si seppellì - annota Auria (Sciascia, pag. 176) - ...D. Giovanni Lopez Cisneros, inquisitore [morto per le molte percosse dategli da] fra Diego La Matina della terra di Ragalmuto, dell’ordine della Riforma di s. Agostino, detti li padri della Madonna della Rocca..»;

 

- 2 marzo 1658 Matteo Perino annuncia per il 17 marzo 1658 lo Spettacolo Generale di Fede, nel piano della Madre Chiesa (Sciascia, pag. 208);

 

- 17 marzo 1658 - Si abbandona «fra Diego al suo destino infernale ... (bruciato vivo sopra un)  mucchio di legna, nel piano di S. Erasmo» (Sciascia, pag. 212).

 

 

c) la questione dei “maragmeri”.

 

Il Titone scrive (op. cit. pag. 58 nota 8): «Maramma val quanto fabbrica: masse e maramme si chiamano quindi le amministrazioni delle rendite destinate al mantenimento e restauri dei sacri edifizi». Il termine “maramma” è dialettale, ma risale a data antica (lo ritrovo in un diploma del 15 luglio 1489). E’ termine giuridico, tant’è che trovo un intero titolo del Codice Ecclesiastico Sicolo di Andrea Gallo (libro III, pag. 121 e segg.) dedicato appunto alle maramme. Stando ad alcune disposizioni del De Ciocchis, emergono la seguente terminologia e le seguenti locuzioni:

« XIV. Della riparazione delle chiese, delle Maramme e degli spogli dei prelati.»; « introitus Maragmatis»; «reditus Maragmatis  administrantur antiquitus per duos Maragmerios qui a rege tamquam Ecclesiae Patrono eligebantur»; «.. hi duo Maragmerii non ecclesiastici a solo Senatu [eletti]»;  «Caeterum quod expensiones, quietantiae, mandata syngraphe de recepto, ac omnes quicumque actus, ab utroque simul Maragmerio fiant sub poena nullitatis»;  «capsa depositi Maragmatis, servetur in thesauro Ecclesiae»

Ferdinando II di Castiglia Re di Sicilia e per lui Ferdinando di Acugna Vicerè di Sicilia sancisce che «niuno officiale marammiere che ha incarico della costruzione di una Chiesa, vi possa apporre, dipingere o scolpire le sue armi gentilizie.» [ Palermo 15 luglio 1489. Prag, Regni Siciliae Tom. II. tit. 42. pragm. Unica pag. 404].

 

Da quanto sopra mi pare che emerga che il “marammeri” o “marammiere” (alla latina “maragmeri”) più che un tecnico simile al nostro “geometra” era un amministratore (religioso, ma qualche volta laico) di istituzioni per la costruzione o la conservazione di edifici sacri (Fabbrica, massa , maramma, dice il Titone).

 



[1] ) PARTE II. libro I - DELLA SICILIA NOBILE [VILLA BIANCA] VENTIMIGLIA - TERRA BARONALE, pag. 74 e segg.
[2] ) Leonardo SCIASCIA Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 21.
[3] Leonardo SCIASCIA Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 19.
[4]) Trascrivo un’efficace pagina del Gallo che mi pare illuminante su quegli eventi della soppressione del Tribunale del Santo Officio:
« E la Sicilia tributa lodi di riconoscenza ad un Marchese Caracciolo, per la cui opera il nostro sovrano Ferdinando III, con suo Real Dispaccio, dato in Napoli il dì 16 marzo 1782, abolì ed estinse siffatto Tribunale. Era allora inquisitor supremo e generale Mr. Ventimiglia già vescovo di Catania e poi arcivescovo in partibus di Nicomedia; quando a 12 marzo 1782, giorno del pontefice s. Gregorio, il Consultor del Governo Saverio Simonetti si portò al Palazzo del S. Officio, una volta chiamato Palazzo Steri che significa domum cospicuam (Amico Lex. Topograph. t.I p. II, pag. 372) oggi de' Tribunali, e sigillò l'Archivio. Nel dì 27 dello stesso Marzo, mattina del Mercoledì Santo, il Vicerè Marchese Caracciolo si recò a quel Palazzo; entrò nella sala del Segreto, in cui trovavansi riuniti lo Arcivescovo di Palermo, il giudice della Monarchia, il Consultore ed il Segretario del Governo, tutto il Sacro Consiglio, il Pretore ed il Capitano della Città. Preso ciascuno il suo posto, dal segretario del Governo fu letto il Diploma dell'abolizione. Dopo tale lettura il Vicerè entrò nell'Archivio Segreto stato sigillato nel giorno 12 dal Consultor Simonetti, ed indi nelle carceri segrete, dando libertà a que' meschini che vi si ritrovavano rinchiusi.
Nell'anno appresso, a 27 giugno, nel giardino dell'alcaide barone Zappino, per ordine sovrano fu in presenza dello stesso Vicerè dato principio all'abbruciamento di tutto l'archivio segreto, che durò per due giorni sino a mezzodì, vigilia dei SS. apostoli Pietro e Paolo, fintantochè col fuoco fu consumata ogni minima memoria del S. Officio, comprese le mitre, abiti gialli, ritratti d'inquisiti, e qualunque altra minuzia appartenente all'inquisizione: che anzi, per togliere qualsivoglia vestigio e rimembranza del già abolito Tribunale, quel vicerè, la cui memoria ci sarà sempre grata, con suo biglietto dei 3 luglio 1782 ordinò, come fu infatti eseguito, che il Crocifisso, il quale trovavasi nella cappella della sala del segreto, si fosse trasportato nella chiesa sotterranea della real cappella di S. Pietro nel regio Palazzo: Ved. il Parroco Alessi Miscell. Sicilient. n. 485. MSS. che si conserva  nella Bibl. del Comune di Palermo .
98 ) Conc. Trid. sess. XXIII,....»

Nessun commento: