FEDERICO II CHIARAMONTE ALLA
CONQUISTA DI RACALMUTO - L’EREDITA’ DEI DEL CARRETTO
I Chiaramonte si sono impossessati di Racalmuto all’inizio del secolo XIII. Federico
Chiaramonte - un cadetto della famiglia - aveva fatto
costruire, secondo il Fazello, nel primo decennio del
Duecento, l’attuale fortezza, forse una, forse tutte e due le torri oggi
esistenti. Il territorio era divenuto ‘terra et castrum Racalmuti’. Vi giunsero
preti e monaci forestieri. Nel 1308 e nel 1310 costoro vennero tassati dal
lontano papa: un piccolo prelievo - si dirà - dalle pingue rendite che un prete
ed un monaco riuscivano a cavare dai poveri coloni infeudati dai Chiaramonte.
Sono ad ogni modo pagine non gloriose della storia ecclesiastica racalmutese.
Nel 1392 giunge in Sicilia il duca di Montblanc. E’ un cinico, infido, ma
astuto e determinato personaggio, protagonista in Sicilia ed in Spagna di
grandi svolte storiche. Martino, secondogenito di Pietro IV e duca di Montblanc, viene dagli storici
siciliani indicato come Martino il vecchio; ebbe la ventura non comune - scrive
Santi Corrente - di succedere al proprio figlio sul trono di Sicilia. Resta
l’artefice della sconcertante condanna a morte del vicario ribelle Andrea
Chiaramonte, e non cessò di combattere la
nobiltà siciliana, salvo a remunerarla oltremisura appena ciò gli fosse tornato
utile.
Ne approfitta Matteo del Carretto per farsi riconoscere il titolo di barone di
Racalmuto, naturalmente a pagamento.
L’intrigo della genesi della baronia di Racalmuto dei Del Carretto è tuttora scarsamente inverato dagli storici.
All’inizio del secolo XIII un marchese di Finale e di Savona - a quanto
pare titolare di quel marchesato solo per un terzo - scende in Sicilia e sposa
la figlia di Federico Chiaramonte, Costanza. Ha appena il tempo di averne
un figlio cui si dà il suo stesso nome, Antonio, e muore. La vedeva convola,
quindi, a nozze con un altro ligure, il genovese Brancaleone Doria - un personaggio che Dante colloca nell’Inferno
- e ne ha diversi figli, tra cui Matteo Doria che morrà senza prole: costui pare che abbia
lasciato i suoi beni (in tutto o in parte, non si sa) agli eredi del suo
fratellastro Antonio del Carretto.
Antonio frattanto si era trasferito a Genova. Aveva procreato vari figli,
tra cui Gerardo e Matteo. Matteo, in età alquanto matura, scende in Sicilia:
rivendica i beni dotali di Agrigento, Palermo, Siculiana e soprattutto Racalmuto. Parteggia ora per i
Chiaramonte ora per Martino, duca di Montblanc ed alla fine gli torna comodo passare
integralmente dalla parte dell’Aragonese.
In cambio ne ottiene il riconoscimento della baronia. Certo dovrà
vedersela con le remore del diritto feudale. Inventa un negozio giuridico
transattivo con il fratello primogenito Gerardo, che se ne sta a Genova, ove ha
cointeressenze in compagnie di navigazione, e finge di acquistare l’intera
proprietà della “terra et castrum Racalmuti”.
Martino il vecchio si rende subito conto del senso e
della portata dell’istituto tutto siculo della cosiddetta Legazia Apostolica. Deteneva
il beneficio racalmutese di Santa Margherita l’estraneo canonico “Tommaso de Manglono, nostro ribelle al tempo della secessione contro le
nostre benignità” - come scrive Martino da Siracusa, l’anno del Signore
VII^ Ind. 1398. Quel beneficio gli viene tolto per essere assegnato ad un altro
estraneo “al reverendo padre Gerardo de
Fino arciprete della terra di
Paternò, cappellano della nostra
regia cappella, predicatore e familiare nostro devoto”. Altra
ignominia della storia ecclesiastica racalmutese.
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