Che cosa ne è stato
della Sicilia musulmana? di Racalmuto saracena? Gli storici indulgono troppo
sulla grandezza della Sicilia normanna e non si curano abbastanza delle
sofferenze e della prostrazione dei popoli indigeni, dei nostri antenati in
definitiva.La tragedia di quella conquista normanna ai danni dei saraceni
(quali erano gli abitanti della Racalmuto di allora) non ha avuto rogatori e
fonti storiche. Supplisce il poeta. Ibn Hamdis ha pianto anche per noi
racalmutesi, almeno quelli che vantiamo
che vantiamo sangue arabo nelle vene. Sciascia in testa. «Sciascia è un
cognome propriamente arabo .. Dunque il mio è un cognome diffusissimo nel mondo
arabo, in Sicilia e persino in Puglia dove Federico II deportò tanti
arabo-siculi.» ([1])
* * *
Dopo i primi
cedimenti il Granconte Ruggero si avviò verso un potere unitario ed una
sovranità personale. La tendenza a dilatare il demanio pubblico prevalse. Ma
Racalmuto, come altre terre profondamente intrise di islamismo, sembrò
sottrarsi sia al fenomeno
normanno del feudalesimo sia a quello
accentratore e demaniale dell'Altavilla. Se feudo divenne, ciò maturò
qualche tempo dopo. Crediamo che nei
primi decenni del XII secolo, ai tempi del geografo arabo EDRISI, l’abitato di
Racalmuto fosse ancora in mano degli indigeni saraceni, addetti all'agricoltura ed abili nelle colture arboree e negli
ortaggi. Per quello che diremo dopo, il
nostro paese è forse da collegare alla località GARDUTAH di Edrisi che era
appunto «un grosso casale e luogo popolato; con orti e molti alberi e terreni
da seminare ben coltivati.» ([2])
Gli storici
stanno ritornando sul controverso tema dei rapporti tra Ruggero e il papato. Il
risultato è quello di rinverdire più che dissolvere i dubbi sui tanti diplomi a
vantaggio di chiese e conventi che puzzano di falso e di manipolazione. Anche
l'attribuzione della stessa LEGAZIA APOSTOLICA desta nuove perplessità. ([3])
Del resto in
Sicilia, mancava da tempo ogni forma di organizzazione della Chiesa. Il suo
quadro religioso era diverso da quello in cui gli Altavilla erano abituati ad
operare. La religione cristiana di rito
latino era pressoché inesistente. A Racalmuto praticavano - solo o in
maggioranza, ci è ignoto - la religione islamica. Qualche residuo cristiano
poteva esserci ad Agrigento e comunque era di rito greco. Qualcosa vi era a
Palermo, la cui chiesa episcopale era relegata ad una stramberga.
Ruggero in un
primo tempo si mise a favorire i monasteri greci, talora rifondandoli, qualche
volta dotandoli di beni. Si rese, però,
subito conto che ciò non bastava. Era di fronte ad una chiesa di frontiera, lui
in fondo laico. Bisognava avviare un «processo portatore di scelte di fondo
capaci di dar vita, in termini che superassero i limiti gravi e le
insufficienze accumulati in secoli di preminenza musulmana, a funzionali e
organiche strutture ecclesiastiche. Le
sole in grado di coordinare le manifestazioni di pratiche religiose e
quindi di vita quotidiana della gente e
di riconfermare e rendere operativa l'alleanza
fra Chiesa e politica che affidava un ruolo di
protagonista agli Altavilla e
rappresentava un dato strutturale
della società normanna.» ([4])
Ruggero non ebbe certo tra le sue preoccupazioni l'evangelizzazione del
popolo conquistato. Subordinarlo a vescovi di sua fiducia, fu idea politica e
perspicace. Una religione di Stato, cristiana ma non unica, serviva al suo
progetto politico e forniva in definitiva un apparente rispetto degli accordi
di Melfi col papa latino. Le
preoccupazioni politiche erano ad ogni modo preminenti. Istituire diocesi ma
mettervi a capo uomini di fiducia, allogeni,
chiamati dalla natia
Normandia, fu - ripetiamo - il taglio adottato da
Ruggero nella instaurazione della Chiesa
di Roma nelle terre
della Sicilia musulmana. Così il Normanno fondò i vescovati di Troina,
Agrigento, Catania, Mazara e di altre città isolane.
Un casale quale
Racalmuto, periferico ed ancora tutto saraceno, nulla ebbe ad avvertire della
rivoluzione religiosa messa in atto da Ruggero.
Dubitiamo persino che ebbe notizia
di essere incluso nelle
pertinenze della neo diocesi di Agrigento, affidata al vescovo
francese Gerlando. Nell'anno 1092, [5] dopo
cinque anni dalla conquista del territorio di Racalmuto da parte normanna,
giunge, dunque, ad Agrigento il novello vescovo Gerlando. I confini della diocesi sono stati
definiti da Ruggero
in persona. Il documento, in latino ([6]), può
così tradursi:
«Io, Ruggiero, ho istituito nella conquistata Sicilia le
sedi vescovili, di cui una è quella di Agrigento al cui soglio episcopale viene
chiamato GERLANDO. Assegno alla sua
giurisdizione quanto rientra nei seguenti confini: da dove sorge il fiume di
Corleone fin su Pietra di Zineth [Pietralonga]; indi
sino ai confini di Iatina [Iato]
e Cefala [Cefaladiana] e quindi ai limiti di Vicari; indi fino al
fiume Salso, che costituisce il discrimine tra Palermo e Termine,
e dalla foce di questo fiume là dove cade in mare si estende questa
diocesi lungo il mare sino al fiume Torto; e da qui,
da dove sorge, si
estende verso Pira, sotto Petralia;
quindi sino al monte
alto [Pizzo di Corvo] che trovasi sopra Pira; poi verso il fiume Salso,
nel punto in cui si congiunge con il fiume di Petralia e da questo punto i confini della diocesi
seguono il corso del fiume Salso sino a Limpiade
(Licata). Questa località divide Agrigento
da Butera. Lungo la costa i confini
della diocesi corrono dal Licata
sino al fiume Belice, che costituisce i confini
con Mazara, e da qui raggiungono Corleone, da dove inizia la delimitazione, che ad ogni modo esclude
Vicari, Corleone e Termini.»
Se il lettore è stato paziente nel seguire il
zig zag dei confini avrà subito colto
che Racalmuto, quale centro al di qua
del Salso, venne in quella bolla
assegnato a GERLANDO, un vescovo santo
ma sempre un padrone, un feudatario.
Per esser, comunque, normanno, venne descritto dalla pur tardiva storiografia secondo
il consunto steriotipo di uomo
di nobile prosapia, bello, alto,
biondo e di gentile aspetto. Tale versione risale al secentesco Pirro ed il
Picone la riecheggia con questi tratti
descrittivi: «Gerlando, quel sant'uomo, nato in
Besansone, città della Borgogna,
di copiosa dottrina fornito, eruditissimo nelle chiesastiche discipline
ed eloquentissimo, trasse alla fede gran numero di Ebrei e di
Musulmani.[p. 454]»
I padri bollandisti
ci appaiono più circospetti. In base
alle loro attente letture dei vari 'privilegi' escludono che Gerlando fosse il gran cappellano
del conte Ruggero, carica che
fu di GEROLDO, e quanto al
resto si
rifanno alle postume storie del FAZELLO e del PIRRO.
I privilegi, che, in parte, abbiamo anche citato e che
riguardano il vescovo Gerlando, sono postumi e secondo
l'ultima critica paleografica del
COLLURA risalgono per lo meno alla seconda
metà del sec. XII. Quattro tra i
primi sei più antichi documenti della
Cattedrale di Agrigento accennano a tale vescovo di nome Gregorio e sulla sua esistenza storica non sembra
lecito nutrire dubbi.
Il personaggio
non è dunque inventato e questo è già
molto. E il vescovo
ebbe subito fama di santità, come può
arguirsi dal Libellus custodito nello stesso Archivio Capitolare
ove si parla dell'anima benedetta del beato Gerlando che, discioltasi
dalla umana carne, ebbe a riposarsi nel Signore «beati Gerlandi anima,
carne soluta, quievit in Domino».
Quello che, invece, lascia increduli noi laici è quella
sua facondia trascinatrice di Ebrei e Musulmani. Nell'agrigentino - ed a
Racalmuto per quel che ci riguarda - si parlava da secoli arabo
e solo arabo. Forse residuava un uso del greco nei
ceppi più tenaci. Questo vescovo
borgognone che chissà quale lingua parlava (pensiamo a quella natìa di
Normandia e magari masticava di latino) dovette disperarsi nel cercare di
capire i suoi sudditi che, come ancor oggi si dice, parlavan turco, di certo,
per lui, incomprensibilmente. E le sue
prediche inventate dal Pirro, se davvero vi
furono, dovettero lasciare di stucco i 'fedeli' musulmani.
Eppure nella favola della facondia salvifica del vescovo
normanno in mezzo ai saraceni
dell'agrigentino un nucleo di
verità deve pur esservi: forse
GERLANDO ebbe qualche successo nello stabilire un certo
colloquio con i potentati locali di lingua araba.
In particolare fu forse capace di chiamare scribi e letterati poliglotti
che poterono stabilire alcuni contatti, specie di natura diplomatica e notarile. Di certo
Agrigento era divenuta cosmopolita. Il primo documento dell'Archivio Capitolare di Agrigento (1° settembre -
24 dicembre 1092) - una falsificazione in
forma originale, secondo il Collura
- accenna a nobilati
francesi già presenti in Agrigento, a
concanonici che officiano in una chiesa dedicata a S. Maria, a
parenti francesi da beneficiare con diciassette villani, due paia
di buoi ed un cavallo.
Su tutto vigila il vescovo Gerlando, mandato
da un ROGERIUS che ci
avrebbe redento da 'demonicis ...
ritibus' da riti demoniaci (che pure era la grande religione
di Allah). Emerge il nome di un
francese: Pietro de Mortain (nell'originale,
invero, Petrus Maurituniacus). Vi
è un teste: Pagano de Giorgis ma scritto con una gamma greca nel bel mezzo della grafia latina.
Principalmente, a colpirci, è il
richiamo allo strumento giuridico
del PRIVILEGIUM che viene firmato
in presenza di testi e davanti ad un
vero e proprio notaio 'Rosperto notarius'. Al vescovo Gerlando viene
riconosciuta 'probitas', probità, ed il suo consiglio viene giudicato
'justus'. Francesi, notai, prebende ecclesiastiche, canonici, vescovi probi ed assennati, ma anche
interessati alle cose terrene,
tutto il mondo della
burocrazia ecclesiastica
romana vi traspare, ed era passato
appena un quinquennio dalla conquista normanna sui saraceni, che ora sono, come si
è visto, villani, schiavi ed oggetto di
pii legati.
[1] ) Leonardo Sciascia, La Sicilia come metafora, Mondatori Milano 1979, p. 12. E potremmo
citare “Occhio di Capra” ove l’arabismo scasciano plana addirittura
nell’onirico.
[2]) EDRISI, Sollazzo
per chi si diletta di girare il mondo,
libro I, pag. 94 in Biblioteca Arabo-Sicula, a cura di Michele Amari,
Roma 1880.
[3]) «Un
problema complesso e contraddittorio», le cui fonti sono giunte a noi in copie
del XVII e XVIII secolo. S. Tramontana, La monarchia normanna e sveva, op. cit.
pag. 543.
[4]) S. Tramontana, "La
monarchia normanna e sveva", op. cit. pag. 541.
[5]) Secondo i
BOLLANDISTI [ACTA SANCTORUM BOLLANDISTORUM, collegerunt ac digesserunt
Joannes BULLANDUS, Godefridus
HENSCHENIUS, Societatis Jesu Theologi - "De S. GERLANDO - Episcopo
Agrigentino in Sicilia", addì 25
febbraio, tomo III, Antuerpiae, apud Iacobum Meursium, 1658 p. 590 ss.] - autori secondo il COLLURA [op.cit. p. XI] della "migliore dissertazione su
S. Gerlando" - il primo vescovo di Agrigento post saraceno potè essere
consacrato dallo stesso pontefice
Urbano II nello stesso anno in cui questi
salì al soglio pontificio (12 marzo 1088). Ma è congettura che viene
avanzata solo sulla base di un'asserzione
del PIRRO che vuole Gerlando consacrato da Urbano II
"ex pontificio diplomate". L'assegnazione dei confini diocesani da parte di Ruggero è però del
successivo 1093. Al 1092, il COLLURA - sulla base anche del primo documento capitolare di Agrigento - fa
risalire l'inizio dell'episcopato di Gerlando. Peraltro, un documento - Libellus, c. 18B - afferma: «complens
duodecim annis beati Gerlandi anima, carne soluta, quievit in Domino vicesimo quinto die mensis februarii [1104]».
Il conto con il 1092 dunque torna. Ed il primo documento dell'archivio di Agrigento porta la data appunto
del 1092. [Puntuali, come sempre, le notizie e le note critiche in
proposito del Collura, op. cit., p. XI e
p. 3]. Il PICONE parla del 1090 [op. cit. p. 823], ma incidentalmente e senza alcun supporto
critico.
[6]) «Ego Rugerius ... in conquisita Sicilia
episcopales ecclesias ordinavi, quarum una est Agrigentina Ecclesia, cuius episcopus vocatur GERLANDUS , cui in
parochiam assigno quicquid intra fines
subscriptos continetur, [ ... ], videlicet, a loco ubi oritur flumen de
subtus Corilionem, usque desuper petram de Zineth, et inde tenditur
per divisiones Iatinae et
Cephalae, et deinde ad divisiones Bichare; inde vero usque
ad flumen Salsum, quod est divisio Panormi et Therme, et ab ore
huius fluminis, ubi cadit in mare,
protenditur haec parochia de
iuxta mare usque ad flumen Tortum, et ab hoc, ab inde ubi oritur,
tenditur ad Pira de subtus Petram Heliae, atque inde ad altum
montem, qui est supra Pira; inde autem ad flumen Salsum ubi iungitur cum flumine
Petra Helie, et ex hoc flumine sicut ipsum descendit ad Limpiadum, qui
locus dividit Agrigentum et Butheriam;
atque inde per maritimum usque ad flumen de Belith, quod est divisio Mazariae,
et aduch tenditur sicut hoc flumen currit usque de subtus Corilionem
, ubi incepit divisio, exceptis Bichara et Corilione et Termis.»
Questo
documento è pubblicato sub 2) dal
Collura, ["Le più antiche carte ...", op. cit. p. 7-18], ed è
sottoposto ad una esegesi molto accurata. Del resto trattasi del diploma
fondamentale della Chiesa agrigentina
normanna. Noto al Fazello, fu ripreso dal Pirro [I, p. 695 A-B] e se ne
occuparono STARABBA, LA MANTIA, GARUFI, PICONE, RUSSO, BERNARDO, FULCI,
PUNTURO, SALVIOLI, WINKELMANN, LAURICELLA, KEHR, CASPAR [v. Collura, op. cit., p. 7]. Il documento edito dal Collura
viene considerato "una copia incompleta della seconda metà del XII secolo. Altre copie, ma tardive,
dell'intero diploma si conservano in Palermo, Archivio di Stato, in 'Prelatiae Regni',
I, codice n. 54, CC.109A-110A
[I], redatta il 10 febbraio 1509, ed
in 'Liber Regiae Monarchiae Regni Siciliae', I, codice
n. 56, cc. 49A-51A [L], redatta il 3 gennaio 1555 (apografo del 1770; l'originale è conservato nell'Archivio
di Stato di Torino)" [op. cit. p. 7].
Il FAZELLO,
il religioso di Sciacca nato nel 1498 e morto nel 1570, fu il primo a scrivere
su questo documento [Tommaso FAZELLO,
"Storia di Sicilia, Deghe due", Palermo 1830, tomo II p. 86]. I padri
bollandisti si avvalsero dell'opera del
Fazello, ma ancor di più di quella del Pirro, per la loro dissertazione
sul documento e su S. Gerlando [cfr. Acta Sanctorum
Bollandistorum, op. cit., p. 590 e ss.]. Anche il Picone
[op. cit. appendice I] riporta il testo con note critiche, ma copia
pedissequamente dal Pirro. Il quale [ Sicilia sacra, t. I, p. 695 e 696], non ha sottomano i documenti originali di
Agrigento e si avvale di corrispondenti locali.
Considerano autentico il documento WINKELMANN,
LAURICELLA, KEBER, CASPAR, GARUFI, JORDAN e SCADUTO; sono per la falsità:
BERNARDO, FULCI, STARABBA, PUNTURO e SALVIOLI.
Nell'opera del Netino può leggersi, anche, la Bolla
di papa Urbano II di ratifica, del 10
ottobre del 1098.
Il Pirro utilizzò il diploma agrigentino, donde tutti
gli altri editori tra cui il MANSI,
il CARUSO, il PICONE, il RUSSO e il PUNTURO [Collura,
op. cit., p. 21]. Nel 1960 il documento viene edito criticamente dal Collura
[op. cit. doc. n. 5, p. 21-24], secondo il quale "nel complesso il testo
della bolla è sincero".
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